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AMELIA CALANI

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Ottimamente, secondo la opinione mia, certo filosofo antico rassomigliò la buona memoria della vita passata al profumo che lascia nella casa degli Dei il grano dello incenso arso nel turibolo; e come quanto più dura la soavità del profumo, tanto maggiore si conosce essere stata la eccellenza dell'olibano, così non senza ragione misurano la bontà dei defunti dal desiderio che nei superstiti si conserva di quelli: per la quale cosa, anzichè riuscirmi argomento di pudore giungere tardo a scrivere della Signora Contessa Amelia Calani Carletti, nè meno lode, parendo a me, che questo indugio abbia a ridondare in massima onoranza di lei.

Entrando pertanto senz'altro proemio a favellare della donna egregia, meco stesso delibero di non ricordare i natali illustri, nè gli anni primi del vivere, e di quanta venustà di forme le fosse liberale natura; molto meno dirò (chè sarebbe indiscreto) del padre suo, e quanto scapestrato egli fosse; le angustie domestiche, i giorni pieni di affanno, e l'arcano scomparire di punto in bianco di lui: rifuggirò dal raccontare come la donzella gentile non vivesse, ma logorasse gli anni dentro uno di cotesti ergastoli volontarii, che nome hanno di Conventi, dove dai genitori o spietati, o ignoranti, e spesso amendue, si buttano le care intelligenze, ed i corpi leggiadri; onde quelle corrompendo corrompansi, questi miseramente si guastino; alla rovescia degli Spartani, i quali gettavano nell'Apotete i parti sconci, affinchè crescendo non venisse per essi ad alterarsi la gagliarda leggiadria dei cittadini: tacerò chi prima ella condusse a marito, e quali e quanti da quel connubio a lei ne venissero figliuoli; e come rimasta vedova piegasse l'animo alle seconde nozze con Mario Conte Carletti, ed altri di cotale guisa particolari. In questo proponimento mi hanno fermo due ragioni, che paionmi buone; la prima è, che potrei dirne troppo o troppo poco, e nell'un modo e nell'altro allo scopo del mio discorso non farebbe caso, divisando io tenere proposito della parte che sopravviverà unicamente nei posteri ai funerali della inclita donna; l'altra sta nel considerare come molti scrittori di queste cose così partitamente e con sì bel garbo ragionarono, che a me non avanzerebbe su quel campo nè anche lo infelice mestiere dello spigolatore.

E nè gli affetti levino querimonia in queste carte, ch'essi pure non sono punto nostri, ma estrinseci a noi, ed in balía della fortuna: ad ogni modo, comecchè meritati, in capo ad una generazione o due cessano, chè natura ordinò, che l'uomo senta per sè, non per via di fideicommisso; ed ogni generazione ha il suo cómpito di lacrime pur troppo!

Quello che importa e giova ai posteri, sta nel conoscere le opere dell'ingegno del defunto scrittore: queste durano sempre vive dinanzi alla mente di loro: non supplicano ricordo, bensì lo impongono; non accattano ossequio, ma discrete consigliano, che a spregiarle se ne acquista ignominia. Quindi i futuri venerano ed osservano i dettati degl'ingegni divini, perchè conoscono, che ciò non facendo, oltre alla vergogna, ne avrebbero il danno.

La egregia donna, che da noi si è partita, sacrificò nella primavera dei suoi giorni alle Muse, e non poteva fare a meno, donzella tenera ed italiana, venuta a noi, per dirla con un suo concetto,

« . . . . . . . . . come di stella

Raggio, che scenda tremolando a sera;»

e la poesia insomma altro non è, che un'onda di sangue giovenilmente generoso spinta dal cuore contro il cervello, donde poi si riversa su le carte in mille rivi fantastici, eppure appassionati, discordi, e non pertanto armoniosi, splendidi sempre; ma indi a breve baciata la sua Musa in fronte le disse: — vatti con Dio, i fati avversi dalle donne italiane chiedono ben altro che canto.

E senza ambage interrogò il suo spirito con le solenni domande: Qual è l'ufficio della donna nel mondo? Quali le impongono doveri la famiglia, e la patria? La donna italiana di presente pensa e vive, può, vuole, o sa satisfare a questo suo dovere? Ed ora, per quanto le basterà la vita, irrequieto l'agiterà il pensiero di chiarire questi argomenti: se fie che per colpa di malattia interrompa la indagine, state sicuri, che, rimessa appena, la riassumerà più alacre che mai, nè la cesserà finchè con le forze non le sia venuto meno lo spirito.

Alla recisa ella bandisce: le femmine adesso nulla sono; animali di lusso, e neanche dei primi; arnesi di voluttà, messi su gli altari, o imbrodolati nel pantano, meno per merito o per demerito proprio, che per insana voltabilità dell'uzzolo altrui: e quando anche non la vada così alla trista per loro, la donna o per difetto di educazione o per educazione guasta, o per frivolezza di costume, o per agonía di lusso stupido e corruttore, si mostrerà incapace di consiglio, di alti sensi, e forse di affetti. E sì che le donne nascendo formano la metà del genere umano, e vivendo la superano; imperciocchè, o sia che le passioni, o le cure, o le fatiche logorino più gli uomini, o per qualsivoglia altra causa, eglino vivono meno delle donne assai; onde non avrebbe a parere strano che in parte almanco le cose di questo mondo si governassero da coloro, che oltre alla metà lo popolano. Anzi fa conto, che, o lo consentano o lo contrastino gli uomini, le donne arrivano sempre a reggere non parte, ma la massima parte delle faccende mondiali, ed eziandio di quelle nelle quali non dovrebbero entrare, così porgendo o la necessità, o la superba scioperatezza degli uomini. Al punto in che ne siamo, ognuno conosce a prova come la donna se per ordinario non fa la roba, ella o la conserva lunga pezza in famiglia, o presto la manda a male: però la buona massaia fu giudicata sempre in casa una vera benedizione di Dio. Questa comunella poi partorita dal matrimonio gli è mestiero che si distenda fuori di casa; imperciocchè le faccende possano durare tra l'uomo e la donna divise fino al punto in cui l'uomo si mantenga sano e stia presente; ma laddove egli caschi infermo, o i negozii lo tengano in viaggio, o la patria richieda l'opera sua, bisognerà pure, che allora gli sottentri la donna: in simili casi l'uomo di consueto fida in qualche suo fattore o commesso; ma se questo sia savio partito, e riesca sempre a bene, lascio che altri giudichi: ad ogni modo rimarrà sempre vero, che di rado troverai fede pari a quella di colei, che si giurò compagna alle tue fortune, ed ha da pascersi del tuo pane, bevere del tuo vino, e posare il capo sul tuo medesimo guanciale. Tuttavolta, anche ciò messo da un lato, l'uomo in ogni tempo ed in ogni maniera di civiltà, appena uscito alla vita, si abbandona in balía della donna, e da questa riceve le impressioni così morali come intellettuali: quindi prime maestre le madri, e più dei padri assai; conciossiachè i padri, ai figliuoli adulti, insieme con gli altri, che con esso loro conversano, insegneranno morale; professori, deputati a ciò, gli ammaestreranno nelle scolastiche discipline; mentre, finchè la infanzia dura, la madre si trovi ad essere maestra di tutto sola. Certo, le prime impressioni non si vogliono sostenere indelebili: può la educazione successiva cancellarle; ma oltrechè riesce difficile sempre, e i primi abiti quando meno te lo aspetti tornano a galla, il meglio che vada gli è di rifare i passi con perdita di tempo, e sovente con perdita della ingenua serenità dell'animo.

Se le belle donne procreano i bei garzoni senza saperlo, virtuosi non li possono fare ignorandone l'arte. Di qui il bisogno di allevare bene le donne, se pure vogliamo che a posta loro sappiano educare i nostri figliuoli. Afferma la nostra filosofia le donne non avere ricevuto convenevole educazione nè presso le civiltà antiche, e nè durante il tempo che sogliamo appellare medio; e questa, a vero dire, parmi ricerca ardua; anzi dubito forte, se, mettendocisi di proposito, si venisse a capo di rinvenire la sua sentenza vera; infatti torna ostico a credere che Lucrezia, Cornelia, e la vedova del magno Pompeo, ed Arria, ed Eponima, e la moglie di Marco Bruto non fossero educate, nè capaci ad educare presso i Romani. Rispetto a Cornelia, Plutarco, nella vita dei Gracchi, racconta come dimorando ella nella sua vecchia età presso il Miseno soleva mettere tavola, e trattenersi in quistioni convivali, dove qualora cascava il taglio di favellare dei suoi figliuoli Tiberio e Caio, sì il faceva come se parlato avesse di uomini e di cose di altra età a lei remotissima; per lo che alcuni la giudicavano, a cagione degli anni o della grandezza dei mali, svanita; ma Plutarco dice, e dice bene, che insensati erano quei cotali, non sapendo quanto ai colpi di rea fortuna giovi la educazione magnanima, e come la virtù, troppo spesso in ogni altra cosa vinta, non può essere superata mai nella costanza. E a cui basterebbe il cuore di negare, che bene educata fosse Arria, Arria dico, la quale insegnò allo esitante marito come con morte si fugga servaggio, sicchè cacciatosi nelle viscere il pugnale, ne lo cavava fumante, e porgendolo al marito gli diceva: — Pete, non dolet?[1]

Nè inculte riputerò io nè altri le Lacedemonie, se consegnando ai figliuoli lo scudo in procinto di combattere, superato ogni senso imbelle, poterono ordinare: — Con questo torna, o dentro questo. — Rozza a mio parere non fu la madre di Cleomene, la quale a verun patto sofferse che, per francarla dalla servitù di Tolomeo, il figliuolo stringesse lega con gli Achei; e meno di ogni altra quel fiore eterno di gentilezza Cleonida, che, prevalendo il consorte Cleombroto nella contenzione del regno, figlia pietosa seguitò consolando il padre Leonida nello esilio; e quando poi i nemici di Cleombroto richiamato Leonida da Tagea lo restituirono nel dominio e l'altro riparò nel tempio di Nettuno sfidato, la valorosa donna mutando animo con la fortuna conteneva il furore del padre cercante il genero a morte: alfine ottenuto a Cleombroto lo esilio, pose nelle braccia di lui il figlio primogenito, e l'altro pargoletto recatosi ella medesima in collo, dopo adorato il Dio, tenne dietro ai passi del marito, invano il padre colle braccia tese e singhiozzoso supplicando, che non lo abbandonasse. Narra la fama lontana, che la divina donna a blandire l'ansio genitore non ci adoperasse parole altre che queste: — la parte della donna è quella dei miseri. — Plutarco, insegnatore stupendo di sensi magnanimi, questa avventura raccontando considera, che se Cleombroto non fosse stato del tutto guasto dalla superbia avrebbe creduto lo esilio, in compagnia di tanta donna, fortuna troppo migliore del regno. Presso gli Ebrei doveva farsi stima maravigliosa delle femmine, se Salomone, re di quella sapienza che tutto il mondo conosce, ebbe a dire la donna valorosa essere la corona della vita; e così pure tra gli Egizii, porgendo le storie che un re dei loro, volendo mostrare ad un altro re le sue ricchezze, ultimamente per la cosa più nobile che possedesse gli additò la moglie, con assai acconci ragionamenti persuadendolo non potersi trovare al mondo gemma, per quanto preziosa ella sia, che superi in pregio la donna prudente. Nè fra gli antichi si reputi già che le femmine di alto affare soltanto ci somministrino indizio di ammiranda coltura, imperciocchè credendo questo andremmo errati: all'opposto per quanto scenderai tra persone umili ed anco abiette non ti verranno meno gli esempii; così troverai Frine cortigiana profferire la pecunia turpe a rimettere in piede le mura di Tebe, e il collegio amplissimo delle meretrici greche condursi a supplicare Diana in Corinto, affinchè la patria invasa dai barbari liberasse, e liberata poi magnifici tempii in Efeso e sul territorio di Abido le votarono.

In altre età, presso altra gente, io non temerei obiezione; ma qui dubito, che non mi si opponga trattarsi negli esempii allegati piuttosto di amore di patria che di coltura; al che risoluto rispondo, come il fine di ogni disciplina, e di qualsivoglia istituto, anzi pure della stessa famiglia, sia l'amore di patria, anzi pensiero e palpito di questa umana creta finchè le si concede argomentare e sentire.

Neppure apparisce puntuale, che nei tempi mezzani fossero stimate le donne materia pretta, e forse sembrerà piuttosto vera la contraria sentenza, che le non ricevessero mai culto più fervente d'allora; e non fie arduo chiarirsene pensando come, gli ordini del vivere civile obliati od offesi, a contenere i feroci appetiti non avanzasse altro freno che la mente della donna. Le virtù e le scienze più sante furono simboleggiate con simulacri femminei; e Dante, che per lo Inferno e il Purgatorio si contenta di Virgilio e di Stazio, in Cielo poi non patisce altra scorta che di donna, la Beatrice sua, per la ragione espressa nei dolci versi che incominciano:

«Donne che avete intelletto di amore.»

Vanno per le storie famose le Corti di amore di Guascogna, Narbona, Fiandra, Sciampagna, e della regina Eleonora, dove un collegio di femmine non giudicava solo i piati della gaia scienza, bensì quistioni coniugali scabrosissime, quali appena ai dì nostri attenterebbonsi decifrare dottori solenni in jure, come a mo' di esempio la sarebbe questa. Sottoposto alla decisione della contessa di Sciampagna il quesito se vero amore potesse fra marito e moglie durare, rispose: — «Col tenore delle presenti facciamo sapere a cui spetta, che amore fra gente maritata non regge, e ciò per causa che gli amanti l'uno l'altro largisconsi quanto possiedono liberi e sciolti da qualsivoglia obbligo, necessità, patto, e condizione, mentre all'opposto gli sposi sono costretti a sopportarsi a vicenda e a darsi scambievolmente quello di cui vengono richiesti. Questo giudizio da noi profferito con molta ponderazione, e dietro avviso di molte e sapute gentildonne, di ora in poi intendiamo e vogliamo che sia considerato come cosa ferma e non soggetta a dubbio. Così deciso l'anno 1174, il terzo calen di maggio, indizione VII». — E correndo la temperie propizia le donne non si chiamarono contente alla parte di giudice, chè vollero altresì sperimentare la dolcezza di comporre leggi; e le composero, chiudendole dentro un codice di 33 ordinanze, le quali se te ne piglia talento potrai leggere nelle opere di Andrea cappellano del re di Francia, e più destramente nel libro di Enrico Beyle intorno all'amore. Il Don Chisotto di Michele Cervantes non esagera punto la sperticata reverenza, che un dì gli uomini professarono per le donne, e ce ne persuaderemo alla prima quante volte pongasi mente a Santo Ignazio lojolita, il quale incominciò la vita beata dichiarandosi cavaliere della Madonna, e facendo la veglia d'avanti al suo altare con sacramento espresso di sostenere con lancia e spada, a piedi e a cavallo, a primo transito, o a tutta oltranza l'onore della sua dama contro qualunque

«Ebreo, Turco o Cristian rinnegato.»

Certo, non vuolsi mettere in oblio come Santo Ignazio, prima di diventare quel gran santo che tutti sanno, avesse dato nei gerundii, ma ciò non toglie niente alla verità del fatto, che le donne durante l'età mezzane furono reputate assaissimo e forse d'avanzo.

Anzi, cosa non vista più mai prima nè dopo, Roma sacerdotale in cotesti tempi ebbe viscere davanti lo spettacolo dello amore infinito di due donne, e disse santo per loro quello che aveva predicato fin lì e continuò poi a predicare per gli altri misfatto. Narra il reverendo dottore Lorenzo Sterne come il conte di Gleichen, combattendo in Giudea, venisse preso e mandato a lavorare nei giardini del Sultano: ora piacque a Dio, che la figliuola di questo principe infedele avendo posto gli occhi addosso al cavaliere, e parendole, come veramente egli era, di signorili sembianze, e bello, si sentisse accesa forte di lui, sicchè certo giorno, capitatole il destro, messo da parte ogni ritegno, gli aperse il conceputo ardore, dandogli ad intendere sè essere disposta, amante e sposa, a seguitarlo libero dalla catena a casa sua. Al conte sembrò divino ricuperare la cara libertà; ma dall'altra parte riputando diabolico tradire la fiduciosa trasse un lungo sospiro, e poi la chiarì aspettarlo nel paterno castello una moglie amantissima e amata. La Saracina sopra sè stette alquanto; poi rispose, che non faceva ostacolo, come quella che per sua legge era assueta vedere più femmine mogli di uno stesso marito. Allora senza porre tempo fra mezzo entrati in nave dopo molte fortune arrivarono a salvamento a Venezia, dove ristoratisi dei patiti travagli mossero uniti al castello di Gleichen. La Castellana (tanto in lei poteva lo sviscerato affetto pel marito!) di leggeri sofferse riacquistarlo a qualsivoglia patto, non rifinando di abbracciare e baciare la Saracina, professandole grazie maravigliose pel benefizio ricevuto. In seguito, essendo ella non meno religiosa che magnanima, considerò che a rimanere insieme legittimamente uniti si opponevano i sacri canoni; e a starsi in casa in tutto altro aspetto che moglie dissuadeva la Saracina il senso di donnesca dignità destosi alfine sotto lo influsso degli esempii gentili, e dei santi comandamenti. Per la qual cosa la Castellana propose, e l'assentirono gli altri, di recarsi a Roma di conserva, e quivi supplicare il Papa, affinchè nella sua plenipotenza il duplice matrimonio al conte acconsentisse. Sedeva allora su la cattedra di San Pietro Gregorio IX, al quale parve da prima quella del conte una faccenda imbrogliata, ad assettarsi impossibile; ma preso tempo a meditare, si sentì commosso dalla fede della Saracina, dall'alto spirito della contessa, dalla bontà del marito, dallo affetto di tutti; e poi bilanciò da un lato l'acquisto di un'anima se concedeva, e dall'altro la perdita sicurissima di quella se ricusava; onde in virtù della sua potestà permise il doppio vincolo, a condizione che la Saracina si rendesse cristiana: il che fu fatto. Così rimasero uniti: e la storia aggiunge, che la Saracina non avendo generato figliuoli amò di amore materno quelli della rivale. Per molto secolo si mostrava, a cui volle vederlo, il letto dove riposavano il capo questi tre avventurati; e, come il letto, ebbero comune la tomba nella chiesa dei Benedettini a Petersburgo di Allemagna. Il conte superstite alle amate donne, prima di raggiungerle nel sepolcro, ci fece scolpire sopra questo epitaffio di sua composizione:

«Qui dormono in pace due donne le quali si amarono come sorelle, e me amarono del pari. Una abbandonò la legge di Maometto per seguitare il suo sposo; l'altra tutta amore si strinse al seno colei che glielo restituì. Uniti col vincolo dell'affezione e del matrimonio, avemmo comune il letto in vita, e morti ci copre la medesima pietra.»

Qui però non giace il nodo; chè se in antiquo le femmine o no ricevessero convenevole educazione, se poco se ne facesse conto o molto, importa mediocremente indagare; di troppo maggiore portata è conoscere se ai tempi che corrono l'abbiano o non l'abbiano, se meritino reverenza, o vituperio. Se dovessi giudicare proprio di mio, ci penserei due volte, e poi me ne asterrei; ma dacchè femmine di alto intendimento lo confessano, ripeterò con loro, che la più parte delle nostre donne compaiono d'ingegno ottuse, frivole di mortale fatuità, infaticate cicale di cose inani, di cuore stupide, corrompitrici e corrotte, alla patria danno, alla famiglia disdoro, maledizione ai figliuoli, delle stesse discipline gentili maleaugurose guastatrici, avendo ridotto a scusa d'imbelli ozii, ed arnese di turpitudine, ciò che una volta fu carissimo ornato del vivere urbano, e quindi con lieve trapasso diventano argute fabbre di servaggio, confederate di ogni maniera di tirannide, fomentatrici di viltà; morte insomma della italiana virtù.

Gravi carichi questi, e meritati, se non da tutte le donne, chè saría temerario affermarlo, da molta parte di loro; e questo egli è doloroso come vero pur troppo! L'anima spaventata raccapriccia a pensare come parecchie femmine, nè tutte grossiere, ma talune di natali illustri, il commercio degli abborriti oppressori nostri sofferissero, nè soltanto soffersero, ma lo cercarono, e ambirono, e — lo dico, o lo taccio? — (Io pur dirò, onde sia chiarito a prova, che il secolo vile ha vinto il paragone col più vile metallo) — seco loro si mescolarono in abbracciamenti, i quali non so se benedicessero i preti, usi sempre a benedire chi gli atterrisce o li paga; questo altro ben so, che gli maledissero tutti: anzi una perduta la casa disertata e il figliuolo, si cacciò dietro ustolando al tedesco lurco, il quale indi a poco ristucco la buttò via come calzare sdrucito, ed ella tornò per fare la gente dubbia se fosse maggiore o la sfrontatezza sua riparando dentro le religiose mura della Patria o la viltà dei cittadini patendo ch'entrasse, ed entrata sopportandola. — Che se taluno statuisse contrappormi essere stati cotesti accidenti radissimi, io vorrei pure potere rispondergli: — Dio volesse! — Ma poche non furono per avventura coteste matte e crudeli, che nulla memori del recente oltraggio della occupazione straniera, nulla della perduta libertà affannose, nulla curando l'angoscia di chi si consuma negli squallidi esilii, nulla la strage menata di tante vite dal morbo asiatico, nulla l'altro flagello della fame minacciante; nulla sbigottite o irate dal pensiero, che i nomi stessi dei magnanimi morti in difesa della Patria svelti dalla vista dei pietosi fossero posti in disonesta carcere; niente sospettando di sdrucciolare sul sangue sparso per le pubbliche vie dagli assassini tedeschi,... con piè irrequieto, la cervice alta, larvata la faccia come chi commette misfatto, su per coteste vie menavano balli! La storia piangerà nel registrare questa infamia nelle sue pagine, ma nè lacrime nè sangue varranno a cancellarle giammai. Mercè vostra, o gentilissime donne toscane, i posteri sputeranno in faccia a questo tempo come al ladro esposto alla gogna!

E che presumete voi dire con cotesti labbri irrequieti, che mordendo contenete appena? Lo so: tacete: infamia partecipata non iscema; e se nel fallire vostro aveste complici gli uomini, io non mi rimuovo da considerare la vostra colpa principale, però che a voi sopra ogni altra creatura Dio commise la santa custodia degli affetti, il pudore nello infortunio, ed il pio blandimento alle ferite dell'anima. Dove corre maggiore obbligo, quivi eziandio la mancanza è più grave; e ragione vuole, che ne conseguitino esasperati la rampogna, e il castigo.

Però qui cade in acconcio notare, che ogni educazione femminile verrà manco se innanzi tratto gli uomini non attendono ad emendarsi, ed educarsi davvero: se quali sono mantengonsi, egli è negozio spacciato, chè qual coltello tal guaina si rimarranno pur sempre; e in ciò sta tutto.

Inoltre considera, che il guaio della educazione parziale pareggia, se pure non vince, quello del difetto assoluto di educazione. La prima radice dei mali diuturni così intrinseci come estrinseci, che travagliano i popoli, secondo il mio parere, deve cercarsi nella disparità di scienza, d'istituti, di civiltà, e di possanza fra loro. Se il male del precipitare innanzi di un popolo, o di un ordine di cittadini, stesse unicamente nell'obbligo dei precorsi di attendere i serotini, non meriterebbe la spesa di rammaricarcene troppo. Ma la non va così: i precursori reputandosi da più degli altri retrogradano riottosi per la dominazione, di che i serotini sbigottiti stornano a posta loro, e a fine del conto per civanzo della classe o stirpe che volle stracorrere tu trovi come le sieno andate tutte a ritroso.

Urge però, che la educazione sia universale, cioè compartita a tutti: questo di prima côlta apparisce, non pure difficile, impossibile; attesa la repugnanza delle generazioni, che sembrano benedette dalla natura con un pugno sul capo; ma non ci si vede proprio motivo come la Tirannide riesca a fare tante cose per forza a fine di male, mentre la Libertà o non sa, o non vuole fare anch'ella qualche cosa per forza a fine di bene; chè se per avventura fosse questo ch'io vado a dire, non tornerebbe in onore agli uomini, che godono fama di liberi; tuttavolta va detta. Il tiranno non dubita di mettersi allo sbaraglio in qualunque cimento, perchè sa che guadagnando non partisce; mentre i liberali non operando per sè, bensì per tutti, repugnano avventurare la posta grossa sopra una carta di cui non possono mettersi in tasca la vincita. Di qui nasce, che vediamo procedere gli ordinamenti per la Libertà dei popoli ranchettando come i rachitici, mentre i tirannici vanno via di galoppo, e dove mettono piè stampano l'orma. I governi assoluti hanno potuto imporre, che la gente s'inocchiasse il vaiolo, e ciò perchè premesse loro assaissimo avere uomini sani e gagliardi per trasformarli in mastini, fidati e mordaci custodi del trono: importava ai governi liberi inocchiare la ignoranza, affinchè i cittadini crescendo nella notizia della dignità umana non potessero essere plasticati mai più in arnesi di servitù, e non si attentarono a comandarlo. Base prima della educazione sia pertanto la universalità, e dove non ti venga conseguita per amore, tu conquistala a forza. Si capisce benissimo che di questa sorte spedienti non si possono pigliare senzachè si scateni un remolino di querele, di presagi sinistri, e di minaccie, che l'odierno vivere civile tracollando giù sul lastrone empirà il mondo di ruine: non vi affannate, di grazia; bene altri edifizii, che non è la bicocca della civiltà nostra, cascarono, e le moriccie di quelli servirono a nuove fabbriche più adattate ai gusti di cui le murò; e poi, che vale chiudersi le orecchie? Tanto, la voce dei tempi si fa sentire ad ogni modo, la quale avverte, che nonstante l'aborrimento degl'interessati nella immobilità, e malgrado i rimedii proposti talora peggiori del male, l'attuale civiltà ci traballa sotto i piedi: forse qualche subitaneo accidente potrebbe accelerarne il moto già rapido; e se ciò fosse bene, Dio sa; ma dove questo non avvenga, considera arguto e vedrai, che succederà negl'istituti nostri quello che accade nel pregio dell'oro, voglio dire, che ogni anno scapita l'uno circa per cento, sicchè andando innanzi di questo passo nel volgere di un secolo gli scudi tanto svisceratamente amati non avranno più valore. Ma sì! credere che ai tempi che corrono di qui a cento anni non capiti una rivoluzione, egli è come sperare le more a mezzo gennaio. Su via, giuochiamo a carte scoperte: senza dilungarci dall'argomento delle donne, vi par egli che meriti andare conservato questo consorzio dove il giudice stasera saluterà una femmina prudentissima, e savissima, di dentro e di fuori divina, e non ardirà contradirle, e domani le decreterà il curatore che l'assista a cagione del sesso imbecille nella vendita di un fienile? Bugiarde le leggi, falsità nei costumi, magistrati ipocriti; e non si dice il peggio. Queste forme sociali pur troppo hanno da cascare; e più presto sarà, fie il meglio. Ad eccezione di pochi, mi pare sentire bociare dietro di loro quello che disse la botta all'erpice.

Lo so per esperienza, che quando si tratta di rifare i panni ad un popolo non è dato mica tagliare dalla pezza, bensì fa mestiere ire innanzi a suono di toppe, e rabberciare alla meglio; però nel concetto della educazione universale apparécchiati ad incontrare di molte maniere inciampi, e prima di ogni altro questo, se la dovrà essere gratuita o pagata: se pagata, il povero non potrà pagare per sè; e se gratuita, l'avrà a pagare per sè e per altrui. Contradizione apparente, non vera, laddove pensiamo, che i poveri formando la massima parte delle nostre comunanze, mercè il fascio dei balzelli che portano verrebbero a mantenere le scuole in preferenza degli abbienti, i quali sono i meno; ma qui contrapponi, che si deve trovare qualche spediente, affinchè il necessitoso di ogni cosa non paghi l'aggravio con un pezzo di vita, mentre l'opulento lo paga con una scheggia del superfluo. Ai dì nostri abbiamo veduto i signori procedere svisceratissimi delle pubbliche libertà, finchè sperarono guadagnarci sopra, segnatamente risparmiando le gravezze dei predii così rustici come urbani; ma accortisi poi, che toccava a loro a pagare i sonatori cagliarono affatto, anzi parecchi non rifuggirono da tramestare affinchè l'antico dispotismo si restaurasse come meno costoso. In qual guisa al tirare della somma trovassero errato il conto, e ci rimettessero il mosto e l'acquarello, ora non fa caso ricordare: basti bene, che la faccenda andò quale si accenna.

Ancora, se non ti pare o che il cuore ti basti, o che i tempi te lo comportino, di potere recidere con un colpo di accetta il male dalla radice, rimanti, che diversamente getterai via ranno e sapone. Qui ci bisogna davvero un atto di potenza simile a quello, che divise le tenebre dalla luce. Dire per quante generazioni urga dividere i figliuoli dai genitori, non torna facile; questo però è sicuro, che per la prima bisogna separarli affatto: dura legge, ma impreteribile se ti riprometti fare opera utile: in coscienza, che gioveranno le raccomandazioni e gl'insegnamenti prodigati nel giorno, se la creatura tornando a casa la sera senta le quotidiane turpezze, e veda i soliti esempi di ribalderìa? Si rinnuoverà su l'anima umana la tela di Penelope: nè darti a credere, che il male mescolando col bene sia per uscirne una tal quale poltiglia nè buona nè cattiva, da potercisi accomodare, chè le sarebbero grulleríe dei moderati. Così in morale che in politica questa illepida gente cacciasi fra mezzo a coloro che vogliono il sole e gli altri che chiamano la mezza notte, e ruminato un pezzo immaginano avere scoperto l'America sentenziando: — orsù, contentiamoci tutti del chiaro di luna, e viviamo d'accordo! — Aspetta di trovarti attraversato dalla finta pietà, la quale armata di lamento femminile dirà cose da farne strabiliare i cani circa alla ferocia di svellere i figliuoli dal seno materno, privarli della carezza, e dei baci. Dio vi perdoni! se frequentaste i casolari del povero, vedreste voi che carezze, e che baci. Le madri impotenti a porgere alle creature loro un latte, che scarso ed acquidoso non sia: la più parte del giorno lascianle sole, chiamate dalle faccende altrove; e per paura che caschino, le accovacciano su di un pagliericcio per terra, donde tanti casi funesti di creature guaste, e sovente divorate dagli animali domestici o salvatichi; e questo le buone: le cattive madri poi non latte, ma busse danno ai pargoli, ovvero latte per acredine di umori corrotti pestifero, per la qual cosa dall'universale quando coteste creaturine muoiono non compíto l'anno si dice: — Provvidenza! — Quella che dall'amore pei figliuoli si scompagna non è pietà; ora, volere ch'essi stentino, intristiscano, di anima deteriorino e di corpo, unicamente pel sollazzo di vederceli attorno, non si può chiamare affetto, bensì bizza dispettosa di tenerci chiusi in mano i balocchi. Vergogna! Voi, madri, perfidiate a tenere i figliuoli in casa, come il vostro uomo vuole il tabacco, per masticarselo oziando. Io per me giudico, che non occorrerà persona, la quale non reputi troppo più pietosa la madre, che si reca la domenica a godersi la figliuola bella, sana, e bene allevata fuori di casa, dell'altra che s'incapona a vedersela crescere in casa sozza, piangolosa, malescia, e fastidievole. — Non ti muoverà meno cruda guerra la cupidigia dei padri, la quale rivendicando il dominio del suo sangue ti dirà alla recisa, i figliuoli essere il suo patrimonio, averci fatto il suo assegnamento sopra: la roba sua avere ad essere ben sua, e volerne cavare quel migliore partito, che Dio, la Natura, e le Leggi loro consentono. Notate bene Dio, conciossiachè questi faceti mortali non abbiano anco smesso il mal vezzo di mescolare nelle miserie e più spesso nelle tristizie loro Dio, nè fanno le viste di volere smettere per ora. — Però tu risponderai alla cupidigia, che chi ha fatto la legge la può disfare, che Dio non ha potuto volere altro che il bene, e la Natura altresì, come quella che nasce da lui; che Dio, la Natura, e la Legge non patiscono che il padre vesta di mota il corpo del figliuolo, e l'anima di vituperio; che egli non ha da sfruttarlo come la bestia da soma; e alla fine, che in verun libro sta scritto potere togliere dal seno della Natura un ente per renderlo alla società arnese da spedale, o da patibolo.

Se la esperienza non ce lo avesse chiarito a nostre spese, sembrerebbe svarione solenne affermare che dei due mali, di avere popolo mezzo educato, o ignorante affatto, il meglio sta nel tenercelo del tutto ignorante: invero, la educazione compartita a spizzico cresce e perpetua il danno ch'ella proponevasi sradicare, la disuguaglianza dei cittadini. Gesù Cristo istituendo dodici Apostoli disse: — andate, e siate il sale della terra; — e come disse furono, ma i pochi educati penetrano come veleno dentro le moltitudini inculte; essendochè al manipolo degl'istruiti paia avere diritto a mutare stato; così la paterna scure, e l'ago, e la cazzuola recansi a tedio: per mediocre scienza prosuntuosi sè reputano sovraumani intelletti condannati a morire del male del tisico per astio di uomini crudeli; donde la nausea del lavoro, gli ozii irrequieti, e per ultimo (dacchè il senso morale dell'anima, quasi trama che sfilaccica sotto le dita, va di grado in grado sperperandosi fra le mani della necessità) il falsare del conio, e delle scritture, perchè il delitto ritenga quasi la impronta della funesta educazione che lo partorì. Il male poi che di natura sua è fecondissimo (infatti il diavolo si chiama legione), si allarga per guisa, che anco gli esclusi dalla educazione sentono germogliarsi nel cuore l'odio contro coloro i quali senza un merito al mondo furono privilegiati, e contro tutti gli altri, che senza causa plausibile cotesti elessero, essi rigettarono. Gli anfanatori dei nostri tempi a ciò non pensano; ma a che cosa pensano eglino? Sbracciandosi eglino a tutto uomo per ispasimo di levare rumore, e far sapere al mondo che ci erano, non fosse altro, come la polvere, entrando negli occhi, educando il popolo parzialmente e male, ne hanno reso pessimo lo stato, abbastanza già misero.

Ciò fatto, e non sarebbe poco, la Filosofia nostra va indagando quello che si vorria insegnare alla gioventù; e su questo non rimane punto perplessa: giusta l'antica sentenza ab Jove principium, ella vuole che lo ammaestramento incominci da Dio. Bene a ragione la illustre donna così prescrive, imperciocchè vi abbia chi di Dio dubita, e chi lo nega, ma tutti lo sentono. Ai tempi nostri le dottrine germaniche professate dalla massima parte dei novatori superlativi, cui danno nome di comunisti, procedono infeste alla nozione di Dio, affermando che da amaro seme amaro frutto nasce, e lo vediamo a prova: avere la paura creato Dio creatore, epperò ogni derivazione da quello andare ingombra di sgomento e d'ingiuria; così vero che gli scellerati, i quali pestano su i capi dei fratelli come su di uva matura, giurano desumerne il diritto proprio da Dio, e sè soli millantano plasmati a similitudine di lui. Di grazia mirate un po' come abbiano concio Dio; per mezzo ad ardua solitudine inaccessibile, assoluto, implacabile, diaccio più delle cime della Immalaja, e tuttavolta favellante co' fulmini: ministri al suo trono la morte, la peste e gli altri tutti flagelli della Natura; le sempiterne seti egli tempera alquanto con un sorso di sangue; con le carni di vittime, sovente umane, attutate così di tratto in tratto le fami, che non si saziano mai: alle immani froge divine odore solo gradito salisce il leppo; delle colpe gravi assegna castigo eterno, il fuoco; e delle lievi, anche il fuoco, comecchè a tempo; mette spavento rammentarlo; l'uomo casca paralitico a udirlo; vederlo è morte: di amore non si parla manco per ombra, bensì paura, e sempre e poi sempre paura di Dio. Quanti popoli, e sto per dire uomini, tanti Dii; chi se lo strappa da un lato, chi dall'altro; e perchè non si entri in troppe parole, i Russi respingono dai baluardi di Malakoff i Francesi, e te, Dio, lodano; più tardi i Francesi superano i contrastati terrapieni, e lodano te, Dio; e gli uni e gli altri cristiani: croce contro croce. Insomma chi dei due Dio? Quello dei Russi, o l'altro dei Francesi? Comechè questo abbaruffare di Dio con le sciempiaggini sanguinose degli uomini compaia, e sia, temerità grande, non è però la più brutta cosa ch'eglino sappiano commettere, considerando il nome di Dio strascinato in mezzo ad ogni loro frode, ipocrisia, slealtà, spergiuro, e ladronaia. Cancellisi dunque dalla mente degli uomini una nozione, che legittimò la tirannide, e fece il dispotismo sacrosanto: aboliscasi un ente il quale si rivelò sempre col male: tregua una volta alla sperticata ammirazione del creato: o che ci è egli da celebrare qui dentro? Sottile intendi, e vedi da una parte avara crudeltà, come nel tardigrado cui furono negate membra capaci a procurarsi senza grandissimo stento il cibo, e dall'altra scandaloso sprecamento, come nello scarafaggio in cui la notomía microscopica scoperse gli occhi composti con diciassettemila occhi semplici, e duegentottantaquattro muscoli. Le stelle! esclama Hegel stizzito, le stelle insomma che cosa elleno sono? Ve lo dirò io: la rogna dei cieli. Predicano necessaria la nozione di Dio come quella da cui deriva la speranza del premio, e il timore della pena, per la virtù negletta, o per la colpa fortunata nel mondo. Che importa questo? Chi vi assicura che il delitto nonostante le apparenze contrarie non sia di sè stesso carnefice? Veruno impunemente è iniquo: nè uomo si sentì mai lieto per misfatti; chè quando anco la coscienza taccia, la ingiuria chiama la vendetta, e il reo lo sa, e trema: ed è per ciò, che Dionisio tiranno di Siracusa non accoglie nel talamo la moglie se non frugata prima, e per sospetto del ferro fa scorciarsi co' tizzoni i capelli. In quanto a virtù, se la disposizione dell'animo a bene operare è mossa da desiderio, o da speranza di premio, tu giudicala traffico, non virtù, e ti apporrai. Orsù, che pretendete voi? (e questo pure dice Hegel), per avventura la mancia nell'altro mondo per non avere tagliato la gola alla signora baronessa vostra madre, o per esservi astenuto da ministrare l'acquetta al signor conte vostro fratello? La virtù di sè ha da piacersi, di sè soddisfarsi; se no, muti nome, e vada a iscriversi alla Borsa accanto al quattro e mezzo per cento.

Non si può mica contrastare in coscienza, che qui dentro non covi qualche parte di vero; e lo sarebbe anco tutto, se non fosse venuto al mondo Cristo, il quale ci rivelò Dio essere padre degli afflitti, Dio avere creato gli uomini liberi, uguali, e volerli felici; piuttosto essi straccherebbonsi a offenderlo, ch'egli a perdonare; bastargli per tutta preghiera un sospiro; il saluto, che meglio gli tornerebbe accetto, essere: padre delle misericordie; sola una progenie aborrita in sempiterno da lui, quella dei tiranni. — Gesù Cristo (canta il vescovo Isaia Tegner nel poema della prima Comunione), ha insegnato la voce di Dio non favellarci nel terremoto, o nel fuoco, o nella procella, bensì venire a noi col mormorio delle brezze vespertine: amore essere origine della creazione, e sostanza di Dio: infiniti mondi riposare come pargoli sopra le sue sante braccia. Per amare, e perchè lo amassero, egli soffiò il suo alito sopra la polvere assopita, ed ella sorse, e postasi la destra sul cuore se lo sentì infiammato di fuoco celeste; bada, che questo fuoco non si estingua dentro di te, ch'egli è l'anima dell'anima tua: l'amore genera la vita, l'odio la morte. —

Senonchè, vedete, a simili concetti i filosofi tentennano sghignazzando il capo, e bisbigliano: — poesie! — e poi aggiungono: — fatto sta, che il cristianesimo sovvertiva l'impero romano, snervò gli spiriti guerrieri, e dispose i popoli alla mollezza vile, che fu invito alla ingiuria, donde poi da una parte oppressione, dall'altra rancore, e la alterna vicenda di offese e di vendette, che travagliarono e travagliano parecchi popoli, massime italiani. Anche Cristo sta co' battaglioni più numerosi; in nome proprio di lui, quegli che si afferma suo Vicario in terra ha bandito: — curvatevi, o popoli, e state allegri sotto il peso delle vostre catene; e se non volete starvi lieti, non piangete, o piangete sommessi perchè non monti in bestia il padrone. — E se essi non si vollero curvare, e, memori che Dio creò l'uomo perchè guardasse a viso alto nei cieli, levaronsi in piedi (orribile a dirsi!) il tristo prete gli maledisse in nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Nè qui sotterfugio giova; lo scrittore del Diario l'Universo ha ragione da vendere: gli avversarii suoi sono gli azzeccagarbugli: ecco, egli squaderna la enciclica famosa di Gregorio XVI, ecco egli ributta in faccia agli imbroglioni gli esempi di Pio IX, e non ci è da ripetere verbo. Giù la fronte, svergognati calunniatori, Cristo e Libertà si vogliono bene come il fumo e gli occhi. —

A questi di tal razza filosofi non riesce punto malagevole rispondere, e lo farò, che non sono uso sbigottirmi per poco, e voglio le mie parole: una cosa è Cristo, e un'altra i preti; così vero questo, che il Vangelo di Gesù senza le chiose di Monsignore Martini Roma registra tra i libri proibiti, come se Cristo, il quale predicò alle turbe, e fece sua delizia i poveri di spirito, e garrì coloro che impedivano i pargoli si accostassero a lui, come se Cristo, che scelse fra uomini volgari e meccanici gli Apostoli suoi, avesse mestieri comento per essere inteso! Rispetto allo impero romano, e' formerà sempre massima delle glorie cristiane averlo sovvertito; imperciocchè fin dove arriva memoria di uomo, pensiero mortale non seppe mai immaginare, nonchè conseguire, così immensamente disperata e prepotentemente ingiusta dominazione. Cristo ruppe fra gli ugnoli dell'Aquila la immane catena, ora gli Avoltoi ne hanno grancito qualche anella, e le strascinano sopra la faccia del mondo. Lasciate passare: dove non valse la catena intera, pensate voi che possa bastare il troncone? Gli è poi falso del tutto, che Cristo insegni codardia, o costanza nel patire soltanto: amore, egli predica, vuolsi ricambiare con amore; ma dall'altro canto ammonisce espresso, ch'ei venne a mettere nel mondo non la pace, ma la spada; spada sul capo a cui non si contenta della terra che la Natura gli assegnò, spada nel cuore a cui contrista gli spiriti immortali, spada ai domestici tiranni, spada agli ascitizii, che con la frode, le proditorie stragi, e la corruttela sostentano l'aborrita rapina. Fratelli sì siamo, a patto che in questa fraternità nostra nessuno pretenda la parte di Caino; e poichè la gente Austriaca a noi è Caina, la maledizione del Signore scenda sopra di lei. Certo, Cristo prescrive rendersi a Cesare quello ch'è di Cesare; ma che spetta a Cesare? Il frammento del metallo, che ritiene la sua immagine, la qual cosa, spiegata come conviene, significa: butta in faccia al corruttore l'arnese della corruttela, e vivi la vita dell'anima, ch'è la Libertà. Dirittamente dunque la donna egregia raccomanda, che le fanciulle nelle dottrine del santo Evangelo ammaestrinsi, avvegnachè la parola di Gesù Cristo non pure non dissuada, ma all'opposto imponga espressamente combattere i nemici della Patria, e sopportare con animo forte gli esilii, le carceri, e le morti per la redenzione di quella.

Dopo Dio, o insieme con Dio, quello che più preme è la educazione morale: ma qual morale? Infelicissima condizione dei tempi, in cui ad ogni piè sospinto ti è forza rimanerti incerto sul cammino da prendere! Il comune degli uomini, io lo sento, farà le stimate dicendo: — o che su la morale può egli cascare dubbio? O che delle morali soncene due? Eternamente immutabile, la morale è quella che si accomoda meglio ai bisogni dell'umano consorzio. — Ciò detto, questi cotali dottori forbirannosi la bocca come se avessero pronunziato una sentenza da segnarsi col carbone bianco. Ora, quando avrai detto così, avrai detto niente. Infatti, civiltà che è? La romana stava nel vincere il mondo, e con romana mola macinarlo: civiltà lacedemone patire per essere invitti, commettere imbrolii per non restare superati in accortezza: civiltà ateniese fare e dire con elegante inverecondia ogni cosa, mettendo in opera sottilissima industria, affinchè la turpitudine comparisse onesta. Le altre civiltà, se mai ce ne furono, omettonsi. Quale fia pertanto la civiltà nostra? La mollizie del vivere scioperato, il lusso smagliante, le vivande squisite, le vie ampie e illuminate a gasso, la parola commessa al fulmine, i mari e i venti contenuti dal vapore, le meraviglie delle gambe alzate, e i delirii delle gole gorgheggianti, i febbrili spasimi del giuoco, e i governi che tengono il banco: queste ed altre cose di congenere natura appellansi adesso civiltà: per lo contrario la perizia nelle armi, dai Romani salutata unicamente virtù, siccome comprensiva di ogni altra virtù, e le armi stesse, si giudicano barbare; anche in pro della Patria impugnate, barbare sempre: nè questo reputisi punto immaginativa di cui scrive, chè forse sta fitto nella mente di molti come certo valente uomo di Stato arringando così spiattellatamente e dalla bigoncia dicesse: — congratularsi col suo paese per esperimentarlo senza rimedio imbelle, essendochè l'esercizio delle armi porga testimonio di barbarie nel popolo che ci si abbandona: — e il nemico ci era sopra le spalle menando strepito di catena!

Havvi pertanto una morale eterna, e ve ne ha un'altra mutabile secondo lo stato in cui si trova il paese: arduo somministrarne esempii, ed anco pericoloso; questo basti, che il fine della educazione italiana oggi ha da gittare l'áncora nel disegno di sovvertire dalla radice buona parte di quelle cose che come civili si vantano, imperciocchè mentre così noi duriamo l'Italia non possa presumere di presentare la faccia nel collegio degli uomini liberi. Come le stoffe smontate di colore hannosi a tuffare in tinta più scura perchè le ritornino in sesto, così, perchè non caschino di rilassatezza, bisogna di tratto in tratto riportare gli ordini civili verso i loro principii: sentenza in ogni sua parte vera, con l'autorità di Niccolò Macchiavello confermata, e rinvenuta efficace in quasi tutte le faccende umane. Epperò avverti, lettore, che se ti preme davvero che la Italia cessi di essere ludibrio delle genti, bada a ritemprarla tuffandola nella barbarie; se pure al tuo onesto ingegno parrà barbarie, che scompaiano per sempre le agonie dei súbiti guadagni, i lussi ubriachi, e i lezii sazievoli di quel tenerume abbiosciato, che vantano umanità. Umanità, disgraziati, sarebbe tendere le orecchie e il cuore al rammarichío che mandano come altrettante bocche aperte le ferite fatte dalle austriache palle nei petti italiani, e supplicano dalla religione dei vivi il suffragio della vendetta! Ma le orecchie civilissime vostre ritengono troppo delle melodiche voci delle cantatrici, onde non si sentano stonate da cotesti stridi. Ecco la educazione morale di cui adesso abbisogna la Italia: la camicia insanguinata dei traditi scossa su gli occhi dei figliuoli, finchè ei non abbiano compíta la vendetta. La vendetta ora è sacra, religioso il furore: però le donne hanno da crescere tali, che valgano a scolpire l'anima della prole al patimento, alla vittoria, o alla morte.

Per ciò che concerne la educazione intellettuale delle donne, se male non mi appongo, dubito che le proposte della filosofia nostra non sieno per apparire di soverchio ambiziose, in ispecie a coloro, che non considerano come fosse suo intento rivendicare per la donna la comunione intera coll'uomo degli obblighi, dei diritti, e degli ufficii: sembrava a lei, che essendo le femmine dotate di organi pari a quelli dell'uomo per sentire e pensare, elleno e potessero e dovessero operare quello che da lui si opera; donde, secondo lei, ne veniva la necessità di uguali condizioni per ambedue i sessi. Antica ubbía femminile è questa, ma forse mai si affacciò tanto pretensionosa come ai tempi che corrono; e tu l'odi pestare i piedi impaziente dinanzi alle porte chiuse, e fremere a pugni stretti facendo le viste di romperle, ed allagare dentro scalando i pergami sacri per bandire la parola di Dio, e le tribune politiche per isbertare le leggi vecchie, e proporne delle nuove, sempre nuove, almanco una volta al mese. Le donne americane, come più avventate, venute di botto a mezza spada deliberarono a questi giorni di presentare alla camera legislativa dell'Ohio certo loro richiamo, che suona per lo appunto così: — Considerando come le donne dell'Ohio, quantunque reputate cittadine dalla costituzione, non godano le franchigie a cagione del sesso, noi domandiamo per l'ultima volta il diritto di votare, il quale diritto comprende in sè tutti gli altri, che senza ingiustizia espressa non ci ponno essere negati. Tutti nascemmo liberi ed uguali, e chi deve essere sottoposto alle leggi ha da prendere parte a formarle: però provvedasi, affinchè i cittadini quanti sono, senza distinzione di uomini e di donne, esercitino i legittimi diritti. — Intanto che aspettavano i diritti, le donne americane presero le vesti dei mariti; nè contente di trionfare nel mondo nuovo, la signora Bloomer varcò l'Oceano missionaria della religione dei calzoni presso le donne del mondo vecchio: non fece buona prova, e il marito per via di correzione a questa, e forse a qualche altra scappata, non infrequente alla vita dei missionarii femmine, sparatale una pistola nel petto, la stese morta. S'intende acqua, ma non tempesta! E nessuno discreto negherà, che per questa volta il soverchio rompesse il coperchio. Se la signora Bloomer aveva commesso nel mondo nuovo, ovvero nel mondo vecchio, alcune di coteste marachelle a cui le donne pretendono avere comune co' mariti il diritto (e non ce lo dovrebbe avere nessuno dei due), il signore Bloomer poteva castigarla con le mortificazioni, e via anche con le mani; alla più trista passi il bastone, ma pistole poi! Basta, a ogni modo la signora Bloomer per adesso è morta; requiescat in pace, e ritorniamo alle donne vive, le quali sono più difficili a contentarsi. Comecchè le creature umane, o vogli uomo o vogli donna, nascano uguali in diritto, e su questo non può cascare dubbio, tuttavolta non possono essere così in atto, per la differenza del fine a cui uomo e donna vengono destinati. Forse in verun periodo di tempo quanto in questo provammo vera la sentenza dello Ariosto:

Amelia Calani ed altri scritti

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