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PARTE II. Assedio di Roma.

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Comprendo ottimamente la impazienza di coloro, che male ponno aspettare al canapo la storia di quanto il popolo oprò per avere Roma, e tenerla sostenendo il memorabile assedio, e di quanto sta per operare la monarchia, che se n’è accollato il compito: però importa non arrecarsi degl’indugi da un lato, perchè innanzi tutto bisogna che aggiustiamo qualche partita con Roma; dall’altro, perchè se dobbiamo compire il libro col racconto dei gesti monarchici per salire al Campidoglio noi potremo attendere un pezzo.

Dal primo assunto noi ci sbrigheremo presto come quello che è riposto in potestà nostra; quanto al secondo spetta alla monarchia e al suo governo e non a noi. Noi abbiamo pronte l’anima e la penna; sta alla monarchia apprestare le armi e combattere. Noi ci sentiamo sempre disposti perchè nostro ausilio sia Dio. La monarchia senza aiuti stranieri sembra non possa fare: almeno così ci afferma chi tiene il maestrato della guerra: più bellicoso, chi amministra l’erario: ma la guerra fin quì si è condotta con i cannoni carichi non con le casse vuote.

Parliamo di Roma sacerdotale, e poichè il Papa si vanta rappresentante in terra del principio di ogni giustizia, ch’è Dio, miriamo un po’ qual diritto egli possieda, come ai diritti altrui chini la fronte, e se Dio possa manifestarsi alle sue creature per via di così indegna, o scellerata, o stupida cosa come fu la maggior parte dei pontefici romani. Tanti già favellarono su questo argomento, che potrà parere per avventura soverchio; e parrà male per due ragioni; la prima delle quali consiste in questo, che ogni uomo considera i medesimi fatti con modo suo proprio, accadendo nella speculazione quello, che succede nella visione degli enti fisici; ed abbine esempio nelle forme diverse, che gli alunni ricavano da uno stesso modello nelle scuole del disegno; onde ti senti quasi per mano condotto a sempre nuovo, ed inaspettato ordine di pensieri; la seconda ragione poi è quest’altra: che l’errore ti casca come macchia d’inchiostro su l’anima, e per poca stilla ch’ei sia ci vogliono brocche di acqua per isbrattarlo.

Il Conte di Cavour intorno a Roma manifestò due concetti, uno dei quali, per opinione mia, si ha da reputare buono, e l’altro no. Buono quello di combattere la Chiesa romana più con le armi della ragione, che con le armi di ferro; e forse era meglio dire, dovercisi adoperare ambedue, però con questo intento, che la potestà temporale intorno intorno segata dalla dottrina caschi al primo tocco, come la porta santa sotto il colpo leggerissimo del martello del Papa. Chi poi crede che si possa movere guerra efficace alla potestà temporale lasciando incolume la spirituale, non se ne intende, perchè con questo Roma ripiglierà la prima a tempo ed a luogo; già lo fece una volta e non si capisce perchè non l’avesse a fare da capo; se il ragnatelo rifabbrica la sua rete sette volte, la Chiesa tornerà a tramarla per lo manco settanta volte sette; nè tu spera col Sacerdote pace sicura mai se prima la sua usurpata potestà temporale non cessi, e la spirituale non si rimondi da ogni mescolatura di faccende terrene.

La Chiesa romana quando acciecata dalla superbia, e dal considerarsi tanto nella dottrina superiore al secolo, che la circondava, intese definirsi, fece come Licurgo quando piantò la vigna; ella si tagliava le gambe: custode alla immobilità sua pose la maledizione, e il fuoco: nè di roghi, nè di anatemi ella fece a spilluzzico; ma il pensiero non si brucia: anco ai roghi, anzi soprattutto ai roghi dello errore si accendono le torce della verità: quanto a maledizioni avvertite, che quelle dell’uomo ben possono percotere, e percotono l’uomo, ma l’uomo soltanto, mentre quelle della ragione rompono l’uomo e le sue frodi.

E veramente noi confessiamo come l’uomo col suo intelletto non possa comprendere tutto: tra il cielo e la terra havvi uno spazio, che a sapienza umana non fu concesso penetrare; ma ciò non deve porgere argomento al Sacerdote di empirlo di terrori, di errori, e di fantasmi; aucupi di uccellatore cotesti per cavarne profitto ad ingrassare la mensa: se quì dentro sta chiuso un mistero per me, e tu Sacerdote a posta tua uomo come me, sovente meno di me, adora e taci.

Chi di coltello ammazza conviene che pèra, ha detto Cristo, e con giustizia migliore poteva sentenziarsi: chi seminò l’errore raccatta la morte. Il Sacerdote avvolse intorno alle gambe della umanità una catena d’inganni agguantandola per la cima a fine di reggerne i passi, ma la umanità limandola per secoli con la opera della mente se n’è affrancata, mentre la cima impiombatasi dentro la mano al Prete lo tiene preso provvidenzialmente.

La vita è moto: la immobilità spetta ai cadaveri, ovvero alle cose inanimate: nè cessa soltanto il viandante che si ferma per le lande nevose della Siberia, bensì ogni istituto, che sosta a mezzo il cammino del suo perfezionamento: per condizione di vita l’uomo ha da rimanere incompiuto finchè duri sopra la terra; condanna sia, o grazia il suo intelletto si trova spinto a poggiare sempre e più sempre in alto affaticandosi a diminuire la distanza la quale intercede fra la mente umana e la mente divina.

Che se ti oppongono: spenta l’autorità chi mai fie potente a creare la regola? – Cristo provvide a questo: l’uomo non la può imporre all’uomo, e la Chiesa non istà nello individuo, bensì nella comunione dei fedeli: così fu una volta, e così ha tornare ad essere: dai Concili composti di uomini guasti di ogni reo costume (e per ora invano gli speri diversi) non ti puoi attendere altro che miserie, più tardi ne uscirà regola e scienza: dalle legna secche prima non hai fumo, tristezza degli occhi, poi fiamma conforto delle membra assiderate?

L’altro concetto, che per me reputai pessimo e sbalestrato dal Cavour fu quello della Chiesa libera nello Stato libero. Se la servile piaggeria da una parte non generasse sempre temeraria prosunzione dall’altra, e se prima di avventurare proposte, le quali ci potrieno riuscire funeste le provassimo nella ragione di fatti per meditarci sopra conforme è debito di tutti, massime di cui regge gli stati, troveremmo come la Chiesa romana instasse un dì per siffatta separazione, poi ella stessa la togliesse di mezzo; ed ora ne aborrisca, e quasi fosse empietà la condanni; perpetua la contradizione nei detti, negli scritti, e nelle opere della Chiesa di Roma, comecchè ella sia tutto un prete, un prete solo che striscia pari ad un boa immane traverso quindici secoli: durante tre il Sacerdote raccolse nel suo cuore i raggi della divinità, e la sua via fu quella del paradiso; da quindici secoli a questa parte i passi di lui tendono per dritto tramite allo inferno; e nondimanco in mezzo alla contradizione proponesi fine immutabile; cotesta è volubilità delle vele da mulino per movere la mola, che macina il grano per casa.

Noi ci atterremo per non andare errati alle parole di Cristo, e mettendo il vangelo per falsariga sotto il cammino dei preti conosceremo a prova i passi loro essere quelli del granchio; nè vale opporre che la lettera uccida, e lo spirito ravvivi, conciossiachè la lettera di Cristo risplenda luminosa della luce dello spirito. I preti ad ogni piè sospinto ti vanno ripetendo santo Agostino avere sentenziato nelle cose dubbie doverci noi stare piuttosto alla interpretazione della Chiesa, che alla Scrittura, e quando pure l’opinione di questo santo facesse regola, tu nota com’egli dichiari la Chiesa non il prete, e che cosa sia Chiesa avvertimmo. Ma ai tempi nostri, Roma da imprudenti campioni non so bene se o tradita o difesa, sempre pertinace a rifiutare ogni riforma, scendeva nello arringo della discettazione: per questa guisa dopo renunziato il domma della infallibilità respinge anticipatamente i benefizi della disputa; anzi prima di disputare si confessa vinta, imperciocchè, il campo della disamina secondo lei, non avria ad essere libero e sconfinato, bensì all’opposto da lei definito e ristretto: ora chi a tale patto intende combattere si sente vinto.

Se col sussidio della notizia dei fatti tu vorrai conoscere la causa per la quale la Chiesa chiedente un dì la sua separazione dallo Stato, oggi arrovelli a solo udirne favellare ti fie palese, osservando come sottoposta un giorno allo Stato in ogni sua manifestazione esterna, ella che pure agognava a roba, e a potere terreno ebbe mestiere aggirarsi libera, e inosservata per una sfera di atti diversi, ed anco avversi al principato civile; avendo poi fatto roba ella con le ruine dello stato si compose uno stato, si armò di leggi, il codice romano si adattò a suo dosso, o piuttosto lo convertì in arnese capacissimo a lavorare i suoi disegni, nella maniera medesima che ritagliava per sè il titolo di pontefice massimo, e il paludamento imperatorio mutava in piviale. Ora poi che possiede le decretali d’Isidoro peccatore o mercatore, il Decreto di Graziano, le Clementine, l›Estravaganti, il sesto di Bonifazio VIII e il corpo del diritto canonico, e prosunzione d›infallibilità con altre più enormezze di cui terremo parola, in virtù delle quali, un tempo, ella s›impose sovrana dei sovrani, e dopo, per lo meno pari a loro, repugna a cosiffatta separazione, e veramente non si può operare senza trasformarla, così che avendo arruffato le cose divine con le umane, gl›interessi co› sacramenti, le stole con le manette, l›aspersorio con la mannaia, dividere importi tagliare. Il diritto canonico si caccia dentro il codice civile a mo› di bietta in mezzo al ceppo per ispaccarlo; ed invero egli talvolta dispone diverso, e tale altra opposto alla ragione civile; onde se lo abolisci, e devi abolirlo, non puoi lasciare la Chiesa libera come colei che si compone nella massima parte di questo, il quale ella inalzava alla dignità di domma, ed emana figliuolo primogenito dalla infallibilità sua: dove all›opposto tu glielo lasci stare, e› sarebbe come rapire al corsaro il bottino, e non levargli la galera; con le mani ignude ella strappò le corone di mano dei Re, pensa tu se non vorrebbe ritentare la prova provvista di questa sorte tanaglie! Qui con parole succinte pongo uno esempio. Nelle materie matrimoniali il codice civile conta da due parti; così a mente di questo tu disti dalla tua cugina quattro gradi, imperciocchè fra tuo padre e te corra un grado, un secondo fra tuo padre e l›avo tuo, il terzo fra l›avo e lo zio, finalmente il quarto tra la cugina e te; quindi là dove ti garbi puoi con la tua cugina stringere liberamente legittime nozze; non così per diritto canonico, il quale inteso a moltiplicare i divieti per crescere la messe delle dispense conta da un lato solo; però tu dalla tua cugina distando due gradi non puoi con essa dirittamente ammogliarti se prima, pagando, non ottieni la dispensa. Supposto che tu non voglia, o non possa procurarti la dispensa, ed invece persista nella voglia di sposare la cugina, ecco le coscienze turbate, la famiglia percossa nei fondamenti; se non che il prete ipocrita ti nota: o credi o non credi; se ti piace credere, tu lo hai da fare a questo patto; se non credi che t›importa di me? No, prete, non è così: le società umane senza religione non sembra, che possano durare, e tu ti sei impadronito di questa necessità dell›uomo, foggiandola in modo da fartene il tuo campamento; odi: si narra come a Temistocle esulo Serse donasse tre città, Lampsaco, Magnesia, e Miunte, la prima pel pane, la seconda pel vino, e l›altra pel companatico; a te poi non furono dati, bensì pigliasti i sette sacramenti e gli adattavi a cappa magna dei sette peccati mortali, che per ordinario ti trovi a possedere; nè qualche volta il panno basta per tutti. – La Chiesa come sta non può lasciarsi libera: la dottrina diversa è inganno, od errore; la religione forma parte dello stato; che rilevano menzogne? Peggiorano il male, che deve conoscersi intero e guarirsi; quando, come nei primordi della Chiesa, il popolo eleggerà i suoi seniori (dacchè prete altro non significa che vecchio) egli gli scerrà tali che rispondano ai suoi intendimenti, nè andrà a cercarli tra gente che tiene la religione come schiera ordinata contro la legge. Caschino le decretali di Gregorio, e il Sesto di Bonifazio; diventino curiosità di Museo i sacri canoni, e il diritto canonico, non oltrepassi la Chiesa la soglia della coscienza, e allora, ma allora soltanto si bandisca la Chiesa libera, però guardandola sempre, perchè in simili faccende sempre si vedano rimettere i talli sul vecchio.

Vedrai lettore questa Chiesa, che cristiana avversò con indefesso studio il paganesimo, fatta cattolica redarne le spoglie, e mentre conserva la rete di San Pietro per pescare pesci, adopera poi la rete di Vulcano per agguantare uccelli. – Ti fie manifesto altresì come Roma clericale ora della libertà dei popoli si armasse contro la tirannide dei re, e più spesso della tirannide dei re contro la libertà dei popoli, poi li pestasse ambedue. – Conoscerai come con parole avvampate di sacro furore il vescovo di Roma maledicesse in altrui quello, che per pigliare a suo benefizio non dubitò mandare sossopra la unità della Chiesa cristiana.

Casi peculiari ometteremo, o riporteremo pochi, e dei fatti generali solo quelli, che varranno a chiarire vero il nostro concetto. Questa grave materia gli scrittori partirono in diverse maniere secondochè meglio si adattava ai fini delle ricerche, che essi si proponevano: al mio assunto giova dividerla in quattro grandi sezioni, le quali sono:

Chiesa di Gesù Cristo, e suo costume, finchè per tre secoli seguitava le santissime orme di lui.

Chiesa romana, che s’industria prevalere sopra le Chiese sorelle, e vi arriva col danno dello scisma di oriente: di tanto non paga la Chiesa, volta alla terra ogni sua cura, acquista soldati, sbirri, carnefici, tribunali, e prigiona uomini da sfruttare, campagne dove mietere senza lavorare, città da mettere sotto il torchio col nome di governo; insomma acquista luogo nel sinedrio degli oppressori a modo e a verso come ogni altro tiranno. La Chiesa assetata per colpa del liquore che beve, male sopportando anzi aborrendo durare pari co’ potenti delira oltrepotere su tutti: e poichè dopo Samuele apparvero i re, ci stieno; a patto però che servano di pavimento ai piedi del sacerdote; e il mondo parve salvato dal diluvio universale dell’acqua piovana perchè sommergesse dentro un’altro diluvio di acqua benedetta.

Poichè il superbo intento andò in pezzi rotto dallo schiaffo sopra la guancia di Bonifazio VIII entra il periodo dove vediamo nel Papa mantenersi, ed anco crescere la libidine di dominare popoli e re sopra la terra; ma ogni giorno scema di potenza, quantunque qualche volta gli dieno ad intendere il contrario anco quelli che ci credono meno, a fine di mettere Dio complice nel misfatto commesso immaginando consacrare la usurpazione col depositarla sopra la tomba di San Pietro; il prete ora si rileva, ora casca, e diverso da Anteo ad ogni caduta perde di forza. Quello, che portò a Roma il flutto della barbarie, la civiltà ritoglie; la libertà riscatta quanto il prete ghermì alla scure del Franco; la lampada sdegnosa di essere tenuta sotto il moggio ad ardere pel prete, appiccato il fuoco al carcere illumina tutti i figli di Adamo; non anco è sorto il sole della verità nella pienezza dei suoi raggi, ma le tenebre dello errore si diradano ogni momento di più. La Chiesa di Roma oggi presenta lo spettacolo miserabile dell’uomo decrepito, che combatte con l’agonia; intorno al letto le fanno corona servi interessati, ed intrusi stranieri per involare parte del suo retaggio ai legittimi eredi. Anco quando presume operare bene ella fa male, e mentre a sè non giova, altrui danneggia, però che levando la voce a maledire il tiranno russo noi rammentiamo come altre volte la levasse a maledire l’oppresso Pollacco; e da voi altri sacerdoti non si veda, che cosa, secondo il vostro giudizio, rimarrebbe da fare ai Pollacchi quando vituperando l’enormezze russe rifuggite da lodare la virtù pollacca. La voce del sacerdote non suona amica, e franca; nella ribellione dell’oppresso il rappresentante della Giustizia eterna non ravvisando la sacra ira che la Provvidenza dette anco al verme mi scappa fuori con la dottrina infelice di San Paolo che comanda, o finge comandare ai cristiani tremanti sotto Nerone: «obbediscano sempre, e poi sempre ai principi comunque iniqui.» In questa voce, che emise il prete come se avesse la gola presa dal raffreddore tu senti che qualche cosa manca… sì certo, ci manca il prezzo pagato dal Moabita a Balam; se Alessandro moscovita donava a Pio IX un Cristo di oro co’ chiodi di rubini come praticava Niccolò suo padre con Gregorio XVI, costui avrebbe spaventato il mondo con una seconda edizione riveduta e corretta della scellerata enciclica del 1832.

Di due cose ha sete il tempo, o piuttosto di tre: di libertà, di probità, e di religione; prima, che muti il secolo queste tre cose sgorgheranno pari alle acque dell’Oreb dai capi del prete, e del despoto spezzati.

Ecco le parole di Cristo, chi le sa le rilegga, chi le ignora le apprenda e giudichi poi se il prete di Roma possa vantarsi vicario di lui: «Non vogliate possedere oro, nè argento, nè danaro nelle vostre borse, nè bisaccia in viaggio, nè due vesti, nè calzari, nè bastone. Paga il tributo delle due dramme a Cesare – Se vuoi essere perfetto va, vendi ogni tua sostanza, donane il prezzo ai poveri, ed avrai un tesoro nei cieli, quindi vieni, e seguimi. Io vi assicuro difficile, che un ricco entri nel regno dei cieli, anzi vi ripeto: è più facile, che un camelo passi per la cruna di un’ago di quello, che un dovizioso entri nel regno dei cieli. Ognuno, che perderà la casa, o i fratelli, o le sorelle, o il padre, o la madre, o la moglie, o i figli, o le possessioni per cagione mia riceverà centuplo il guiderdone, e possederà la vita eterna. Voi sapete, che i principi fra gli uomini li dominano, ed i magnati esercitano potere sopra di loro: tra voi ciò non abbia luogo, ma qualunque presumesse primeggiare fra voi sia il vostro ministro; chi vorrà parere primo diventi servo. Gesù pertanto avendo compreso, che sarebbero andati a lui per impadronirsene, e proclamarlo re, di bel nuovo tutto solo si ritrasse sul monte.»

Questa la dottrina di Cristo, la quale potremmo di leggieri confermare con altre sentenze ricavate dalle labbra di lui o da quelle dei primi Padri della Chiesa.

Il prete di Roma, che nel commentare si dimostra sì arguto per guisa, che sostiene Cristo avere comandato, non già che camminino scalzi i suoi sacerdoti, ma solo che non posseggano due paia di scarpe, però che il divieto di non tenere in serbo due vesti si ha da intendere esteso anco alla quantità delle scarpe: quasi la nudità dei piedi fosse la medesima cosa, che la intera nudità del corpo, o quasi i prelati di Roma per osservare il precetto di Cristo dalle scarpe, che portano in piedi non ne possedessero altre!

I preti di Roma intorno al divieto pronunziato da Cristo di primeggiare sopra i fratelli, e circa l’aborrimento di avere titolo e potestà di re tacciono o armeggiano. – Certo, i preti dichiarano, il regno di Cristo stà nei cieli, egli lo ha detto e non ci ha da ripetere; ma spieghiamoci a dovere, cotesto è il fine del viaggio, epperò nulla osta che per arrivarci meglio noi possiamo trapassare per un regno terrestre; il regno dei preti quaggiù gli è come la scala sognata da Giacob provvisoria e di legno per arrivare nel paradiso perenne. Cristo (parla sempre il prete) a me commise bandire la sua fede alle genti, ora, insegnatemi un po’ voi, come potrei obbedirgli con profitto senza un danaro al mondo, senza bauli, e senza scarpe? Si valicano i mari con tra le gambe un bastone? – Le amministrazioni dei vapori ci dicono, che quando daranno loro il carbone come a noi preti è data la grazia, cioè gratis, ci condurranno in America magari per nulla. – Possiamo noi presentarci al re del Congo vestiti come il giglio della valle, e il cedro del Libano? E tu rispondi: la dottrina che predicaste, e predicate ella è veramente dottrina di Cristo? Si conosce Cristo con gli orrori di cui empiste l’America, e traverso le idolatrie di cui spargete il seme nell’Asia? Bandite Cristo voi, o i vostri santi Ignazio da Loyola, Luigi Gonzaga, e Stanislao Kotska? Perchè tanto studio vi punge per la gente rimotissima, e di questa, che vi sta sottomano in casa non vi piglia studio di sorte? Quì ì Greci scismastici, quì Luterani, Calvinisti, Zuingliani, e Valdesi, qui Ebrei e Maomettani; qui d’increduli un diluvio: prima assettate le faccende di famiglia poi attenderete a quelle di fuori: chi tralascia avvantaggiare i suoi per vestire gli stranieri corre rischio di farsi abbaiare dai cani. In qual conto terreste il colono, che lasciasse in Europa il suo podere in balia delle ortiche per girsene traverso l’oceano a dissodare le terre della repubblica dell’Equatore? Innanzi di medicare altrui fie savio guarire sè stesso. Non nella China, o nel Giappone si rammenda il manto sdrucito della Chiesa, ma qui in Europa e più che altrove in Italia. Dite, preti, qual’è più cosa Dio, o il sole? Certo Dio; ora questa provvidenza suprema, che ogni dì manda il sole a illuminare la schiatta umana, ond’essa si mantenga in vita, non avrebbe saputo nella profondità del suo consiglio suscitare intelletti capaci di bandire la sua fede in ogni plaga del mondo? E se lo avesse giudicato spediente non lo avrebbe fatto da un bel pezzo a questa parte? Imperciocchè oggi alla religione di Cristo consenta la decima parte appena del genere umano. Donde in voi la crudele jattanza di affermare perduti tutti coloro, che, comparso Cristo, nol conobbero, o quelli altresì che innanzi di comparire non l’arieno potuto nè manco conoscere? Come lo sapete? Chi ve lo ha detto? Si confida la Divinità con voi? O presumete voi imporle regole, comandamenti, e definizioni?

Intanto questo è il primo predicato del Vangelo, che i sacerdoti di Cristo non solo devono procedere immuni da qualsivoglia dominio il quale ingerisca necessità di rompere guerre, e mettere mano nel sangue, ma ed anco da possedimento terreno.

Il Papa per dare un po’ di sostegno alle strane pretese sè afferma successore di San Pietro ito a bella posta da Galilea a Roma per fondarvi il supremo sacerdozio di Cristo: ora mercè la storia critica si rese manifesto come San Pietro non si recasse mai a Roma: e valga il vero. Gli storici della Chiesa cattolica asseriscono come San Pietro venisse nella metropoli del mondo nell’anno 42 dell’era cristiana e quinci scrivesse le due lettere, che rimangono di lui; tu prima nota: in quelle non rammentarsi mai Roma; solo nella prima si legge: «vi saluta la Chiesa ch’è in «Babilonia con voi eletta, e Marco mio figlio.» L’Arcivescovo Martini chiosando dichiara tutta l’antichità per Babilonia avere inteso Roma, e non è vero che se a taluno sembrerà temerario opporre una mentita ad un’Arcivescovo, e per di più morto, mi scusi presso costui lo sbugiardare ch’io faccio l’Arcivescovo Martini l’autorità dell’Arcivescovo Martini, il quale commentando il capitolo 16 dell’Apocalisse tira fuori tre ragioni per confutare gli antichi interpetri i quali insegnarono per Babilonia nell’Apocalisse aversi ad intendere Roma; ed è singolare quest’altro, che ad escludere il concetto, che Babilonia sia Roma, allega S. Agostino nella Enarrat, secunda in psal. XXVI, mentre quel medesimo benedetto Santo nella Città di Dio l. 48. c. 2. scrive: Roma essere quasi una seconda Babilonia. Però non voglio tacere, che ai giorni nostri Vincenzo Padula di Acri con begli e dotti ragionamenti dimostra come la Babilonia dell’Apocalisse non può essere altro che Roma, e chi ne ha voglia li vada a leggere, che io per me li lessi una volta e n’ebbi d’avanzo. Più sicuro è questo altro che seguita, Babilonia avere i nostri poeti chiamata più tardi la corte pontificia sia che ad Avignone stanziasse ovvero a Roma:

«L’avara Babilonia ha colmo il sacco

«D’ira di Dio, e di peccati empi e rei.

cantava il canonico Petrarca che ci stava di casa.

E qui pure, o lettore, pon mente, come per colorire sue novelle il prete non aborrisca prendere per prova ciò che una volta fu titolo per significare la infinita infamia di lui. – Pudore di prete, e sfrontatezza di meretrice gli è quasi come dir marito e moglie. E mira, se ti quadra, che San Pietro rammentando la Chiesa di Roma non lo avrebbe fatto sostituendo al vero un nome di vergogna. – Arrogi, che San Paolo descrivendo minutamente il suo viaggio, e la sua dimora in Roma nè anco per cenno rammenta la presenza di San Pietro costà. Contegno siffatto arieggia gli amori pieni zeppi di astio, che ricambiansi gli amici politici dei giorni nostri, ma che decisamente avrebbero fatto scorgere due santi, massime apostoli e di quelli che vanno per la maggiore. E vi ha di peggio; San Paolo oltre a non ricordare San Pietro inviando saluti ai Cristiani di Roma in nome suo, e dei compagni suoi non dimentica alcuno; fa i suoi rispetti così agli uomini come alle donne, e si dimostra sommo maestro in divinità del pari che fiore di gentiluomo; ma di San Pietro nulla. Gli scrittori papisti soliti a non isgomentarsi per poco obiettano: – allora San Pietro era in giro. – O dove? – Dove s’ignora, ma che fosse in giro egli è sicuro. – Bene sta. Ma dalla medesima lettera di San Paolo ecco uscire la testimonianza, che Pietro non fu mai a Roma; Paolo dichiara: «io poi non ho predicato lo evangelo dove è conosciuto Cristo, affinchè non edificassi sopra il fondamento altrui.» Ora parmi chiaro, che se San Pietro avesse fatto conoscere Cristo a Roma queste parole Paolo non aria potuto dire.

Rincalza l’argomento quello, che seguita; Paolo afferma i Romani convertiti giusta il suo evangelo: «a lui solo onore, il quale può confermarvi secondo il mio vangelo.» E questo da lui sarebbe stato anco meno veramente asserito se i Romani fossero stati redenti alla fede mercè il vangelo di San Pietro il quale usava quello di San Marco, mentre Paolo preferiva quello di San Luca. Paolo dunque non Pietro fu a Roma mandando innanzi alcuni suoi discepoli, e parenti perchè ammannissero il terreno alla sementa di Cristo.

Tuttavolta o andasse, come pretendono gli scrittori papisti, San Pietro in Roma, o non vi andasse come pensiamo noi certa cosa ella è che nè manco costoro, ora, che sono alla porta co’ sassi, perfidiano San Pietro immaginasse, e molto meno istituisse il primato della Chiesa Romana: solo sostengono che stava dentro il concetto di lui come pulcino nell’uovo, ed oggi predicano così il Dottore Newmann, e il Cardinale Wisemann, e il Moelher, ed altri cotali che la sanno lunga e la sanno contare. E’ sono arzigogoli pretti, però che la Chiesa cattolica non crebbe la dottrina di Cristo esplicandola bensì la schiantò di pianta sostituendone un’altra contraria, si capisce ottimamente come il pargolo crescendo diventerà uomo, non si capirebbe se diventasse un bufalo: e si comprende altresì che da non possedere altro che un paio di scarpe i sacerdoti tirando innanzi nei tempi dovessero essere forniti da comparire onorevoli secondo la dignità del sacerdozio; ma da non avere nulla a pretendere tutto ci corre: s›intende acqua ma non tempesta!… E badate che come concederei io per menare il buono per la pace non l›ammolla San Paolo, il quale fa una lavata di capo ai Galati con queste parole: «ci sono alcuni, che vi sconturbano e vogliono capivoltare il Vangelo di Cristo: ma quando anco noi od un›angiolo del cielo evangelizzi a voi oltre a quello, che abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema.

I dottori papisti abbaiando parlano di tre unità, di cui una si è votata mano a mano dentro l’altra, prima del vescovo, poi del metropolitano, all’ultimo del papa. – Dunque sul principio, cristianesimo non fu cattolicismo, e questa ultima forma, che sostenete perfettissima, non cadde nè anco in mente al suo fondatore: ciò parmi grave, e come grave contrario alla natura delle cose; perchè gl’instituti umani nei primordi procedono dirittamente, ma coll’andare del tempo venendosi a corrompere, egli è mestieri riportarli via via ai loro principii per mantenerli, la quale considerazione se ha luogo negl’instituti fondati dall’uomo, quanto non deve apparire maggiore negli altri che emanano da mente divina? – Il prete pertanto presume saperne più di Cristo, e mentre da per tutto il tempo logora o corrompe, a Roma poi conserva anzi migliora. Ancora, vuolsi domandare, perchè accaddero le modificazioni di cui favellate? Perchè, dice il Papista, secondo il costume degli uomini, e le qualità dei tempi egli è mestieri mutare. – Tu parli di oro; ma se questa tua gerarchia si governa co’ tempi, il tempo muta e non si ferma mai, onde nel modo che necessità ti strinse un giorno a cambiare potrebbe coartarti la quarta volta e la quinta; che se presumi sostenere come ormai lo edifizio essendo compito veruno abbia da toccarlo più, io ti avverto che le tue parole ti condannano, imperciocchè questa presente unità cattolica tu non l’affermi ordinata da Cristo, nè ottima in sè, sibbene partorita dalla necessità, e dal degenerare che fecero i cristiani dalla eccellenza antica; insomma buona come rimedio tenuto caro finchè il morbo dura: certamente quando giaci infermo tu bevi olio di ricini, ma ricuperato che abbi la salute già non credo che a mensa tu ti mesca olio di ricini, anzichè vino, e quello a questo tu preferisca. Peggio se il Papista pretendesse la ultima unità opera di Dio, le precedenti degli uomini; conciossiachè si abbia a credere più opera sua quella, che gli uscì dalle mani, e che fatta dagli Apostoli tuttavia spirava l’alito che ci soffiava con le sue labbra divine, che non l’altra fabbricata tardi dai sacerdoti presi pel collo, com’essi dicono, dalla necessità. – Finalmente Tertulliano, e gli altri padri della Chiesa danno di frego alla dottrina della Curia Romana con la solenne sentenza: «Quello soltanto è verità, ed è cattolico che prima fu stabilito; eresia quanto si diparte da lui.»

San Bernardo, domando io, nel concetto dei cattolici che roba egli è? Santo od eretico? Diavolo! Santo e dei buoni: or bene; egli rimbrottando il papa Eugenio III così gli favellava: «Quale Apostolo ha giudicato gli uomini, diviso i confini, distribuito terre....? Coteste fragili cose terrene hanno per giudici i principi della terra, ma voi perchè invadete i confini degli altri, e nella messe altrui ponete la falce?.... È vietato agli apostoli dominare. Ora va ed ardisci usurparti l›apostolato o la dominazione intitolandoti apostolico. O l’una cosa o l’altra ti è interdetta, e se ambedue presumerai tenere, entrambi perderai» Se però San Bernardo tu reputi santo, e tu seguilo; se eretico, e perchè non lo consegni al fuoco eterno?

E quanto San Bernardo dichiara in prosa Dante confermava da parecchi secoli in rima:

«Di oggimai, che la Chiesa di Roma,

Per confondere in se due reggimenti,

Cade nel fango e sè brutta e la soma

Dunque Cristo di cui si vanta Vicario il Papa gli vieta espresso ogni potestà temporale nel mondo.

Però quando leggi come nei primi tre secoli la Chiesa si mantenesse pura non la devi intendere così puntuale che mali esempi non fossero di già corsi in lei. Il desire ceco tira alla terra, e il corpo dà perpetua gravezza all’anima; fra i molti fatti comparisce notabile quello di Vittore I, il quale presumeva imporre ai Vescovi di Asia l’uso osservato a Roma di celebrare la Pasqua; i Vescovi asiatici non volendo obbedire egli trascorse al punto di bandirli separati dalla sua comunione; di che acerbamente lo rimproverava Santo Ireneo chiamandolo vuoto di carità, e pieno d’ignoranza. Stefano I in certa questione intorno al battesimo amministrato dagli eretici si chiarisce avverso alla dottrina di San Cipriano vescovo di Cartagine, il quale confutandolo lo taccia di leggerino, di gaglioffo, e di cocciuto presontuoso; e San Firmiliano vescovo di Cesarea ribadisce il chiodo scrivendo al medesimo Papa: «essere universalmente biasimate la stupidità, l’arroganza e in modo speciale il difetto di carità in lui, che sè estima erede di S. Pietro, mentre egli lo giudica il pericolosissimo fra gli eretici.» E’ pare che questo Papa non avesse troppo fortuna co’ santi.

La parola clero viene dal greco, e significa sorte, che è quanto dire i sacerdoti sortiti al servizio dello altare tutti si consacrino a quello lasciando addietro ogni cura mondana; pari ai leviti d’Isdraele si contentino delle decime, e delle oblazioni. – La tonsura poi denota la renunzia ad ogni cosa temporale: tutto si poneva in comunella tra i cristiani, ed anco dopochè i sacerdoti per munificenza di Costantino imperatore possederono terre, e casamenti per lungo tempo ebbero le sostanze comuni: le divisero in seguito. I vescovi eleggeva il popolo; parecchi fra loro vissero del lavoro delle proprie mani, e fu cosa degna; oggi si aborrisce parendo, che Cristo si degradi ad essere trattato da mani che il lavoro santificò, come se egli stesso con l’opera sua non sovvenisse al padre fabbro: servi dei servi di Dio non si dicevano quei primi sacerdoti, ma erano: loro intento procurare il bene meno del singolo, e di una classe, quanto della intera comunità. – Veramente San Paolo insegna, che gli anziani, o vuoi preti (che appunto prete suona anziano) quando fanno bene, e faticano nella parola e nella dottrina devano reputarsi degni «di doppio onore»; ma avverte altresì: «quando abbiamo vitto, e vestito contentiamoci.» E queste, nota San Girolamo, erano appunto tutte le ricchezze dei Cristiani. – Insomma per istringere quanto ci rimane a dire in una sola sentenza rammenteremo le parole di San Giovanni Crisostomo: – nei primi secoli della Chiesa preti di oro celebravano in calici di legno, adesso sacerdoti di legno celebrano in calici d’oro; e di quale legno! Di quello del quale Gesù Cristo comanda che inetto a fruttificare, ovvero atto a frutti tristi vuolsi mettere sul fuoco.

I lutti della Chiesa e la ruina d’Italia derivano pur troppo dalla origine a cui alluse l’Alighieri nostro:

«Ahi! Costantin di quanto mal fu madre

Non la tua conversion, ma quella dote,

Che da te prese il primo ricco padre

Però che se la donazione di Costantino sia ormai confessata una delle infinite fraudi per cui la curia di Roma avrebbe ad essere condannata a perpetuo ergastolo come falsaria, tuttavia si ha per certo, ch’ei si fosse largo a Salvestro vescovo di Roma di protezione, e di averi, per la quale cosa costui uscito dallo scuro subborgo fuori di porta Capena, dove viveva confuso agli Ebrei, si condusse ad abitare il palazzo Laterano proprietà una volta della imperatrice Fausta.

La Chiesa, e i chiesastici un tempo fabbrica e fabbricanti di falsità, nè permesse solo o sofferte, bensì prescritte: così quando non si avevano gli atti di un qualche martire pel dì della sua festa s’immaginavano; e tanto più erano accetti quanto più strepitosi; di quì le leggende mostruose onta della ragione umana, le false Decretali, i libri sibillini, il Libro della Gerarchia, i Canoni, le Costituzioni apostoliche, e la Donazione di Costantino.

La prima volta questa donazione occorre rammentata nella lettera di Adriano I a Carlomagno per destare in costui la gara della larghezza: ne affermano fattore quell’Isodoro il quale di peccatore, che si chiamava prima si trasformò in santo Isidoro e mercatore. Tra le altre cose si diceva in essa: «noi attribuiamo alla sede di Pietro tutta la gloria, e tutta la potenza imperiale. Noi diamo a Salvestro ed ai suoi successori il nostro palazzo di Laterano, la nostra corona, e tutte le nostre vesti imperiali, la città di Roma, e tutte le città occidentali della Italia, e delle altre contrade. Noi gli cediamo il luogo non essendo giusto che un imperatore terrestre conservi la minima possanza dove Iddio ha stabilito

Lo assedio di Roma

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