Читать книгу Voglio Morderti Il... - Gemma Cates - Страница 7
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ОглавлениеEro andata a letto davvero tardi quella sera.
Davvero tardi.
Dopo altri drink. Potenzialmente parecchi altri drink, perché non riuscivo a ricordare esattamente quanti fossero stati.
Quello che ricordavo erano i messaggi.
Con un villoso sexy.
Messaggi da ubriachi.
Quando la sveglia s’era messa a suonare, a una certa ora strana, mi ero girata e l’avevo spenta, perché ero troppo stanca, con troppi postumi da sbornia, troppo impreparata ad affrontare la vita anche solo per cominciare a prendere in considerazione gli eventi della sera prima.
Ma poi la sveglia aveva ripreso a suonare, e poi ancora.
Alla quarta volta ero abbastanza sveglia da ricordare quei fottuti messaggi. Tranne che nessuno era così stupido, nemmeno la me ubriaca delle tre del mattino.
Mi ero sfregata gli occhi e avevo toccato l’icona dei messaggi, cercando di ignorare il fatto che erano le 6:37 del fottuto mattino e la notte prima avevo dormito meno di quattro ore.
Ma lì c’era tutto: la mia stupidità, immortalata per sempre nello storico dei miei messaggi.
Io: Hey figo chitarrista barista uomo peloso
Figo peloso: Fammi indovinare… Megan
Io: Sì! Sei molto più intelligente di quanto sembri
Wow, stavo veramente incarnando la mia malefica stronza interiore con quello. Apparentemente, la mia malefica stronza interiore era meno carina alle tre del mattino di quanto fosse stata prima, durante la serata, perché erano trascorsi parecchi minuti senza ricevere risposta da Oliver. La me ubriaca aveva deciso di pungolarlo.
Io: Grazie per il queso. È stato molto carino da parte tua.
Figo peloso: Era il minimo che potessi fare dopo che mi hai accusato di averlo mangiato tutto.
Apparentemente, la me ubriaca era confusa per questo, non vedendo l’ironia di un uomo ingiustamente accusato che faceva quella dichiarazione, ma sapendo che c’era qualcosa di sbagliato.
Io: Dannatamente diretto. Aspetta. Sei stato tu a mangiare il queso? O non sei stato tu a mangiare il queso?
Figo peloso: Ti sembro uno che consuma due chili di queso in una sera?
Io: Sembri uno che scopa molte donne
Io: e uno che ha decisamente molta energia nel cazzo
Io: O forse no?
Io: Oppure il tuo cazzo è così grosso che nessuno nota la pancia da queso
Wow. La me ubriaca delle tre del mattino era fottutamente sfacciata. E giudicante. In realtà non pensavo che un uomo dovesse avere gli addominali scolpiti per essere fisicamente attraente.
Però non avevo detto che la sua ipotetica pancia da queso fosse non attraente, solo che in confronto al suo mostruoso cazzo spariva.
Bel problema. Qualcuno dovrebbe togliermi il telefono quando sono ubriaca. La mia migliore amica, Becca, mi chiama stronza malefica, ma per lo più è per scherzo. In realtà non sono una stronza malefica… di solito.
Io: Ci sei?
Figo peloso: Sto ancora elaborando.
Forse, a questo punto avevo rivisto i miei messaggi e mi ero resa conto di avere esagerato? Non ero sicura di cosa pensassi. L’intera conversazione era piuttosto maledettamente confusa.
Io: Um, scusa?
Figo peloso: Pensi di chiedermi scusa o mi chiedi scusa?
Io: È più che certo che ti chiedo scusa, ho deciso di mandarti messaggi da ubriaca nel cuore della notte
Figo peloso: Perché l’hai fatto?
Io: Perché hai risposto?
Oh, guardami, ubriaca e ancora in grado di essere evasiva. Bel lavoro, Megan ubriaca.
Figo peloso: Ero sveglio. Non riuscivo a dormire.
Figo peloso: Ed ero contento di sentirti.
Io: Davvero?
Beh, cavolo. Avevo fatto bene per un minuto, ma la me ubriaca aveva decisamente bisogno di un po’ di attenzioni.
Figo peloso: Davvero. Ti avevo dato il mio numero. Sono decisamente contento di sentirti. Anche alle 3:17 del mattino.
Figo peloso: Esci con me.
Io: Lo dici così?
Figo peloso: Non è così che funziona? Un ragazzo conosce una ragazza e le dà il suo numero. La ragazza chiama. Il ragazzo le chiede di uscire.
Io: Non sono sicura che funzioni in questo modo.
Figo peloso: Ok
E poi Oliver aveva fatto un po’ il malefico di suo. Quell’uomo sapeva di avere a che fare con una donna ubriaca che aveva una durata dell’attenzione pari a quella di un moscerino e la pazienza di una pulce.
Aveva aspettato. Tre minuti.
Io: Cosa intendi con ok?
Figo peloso: Hai detto che non funziona in questo modo. Sono d’accordo.
Io: Ma… non dovresti semplicemente rinunciare.
Di nuovo il bisogno di attenzioni. La me ubriaca faceva pena.
Figo peloso: Cosa dovrei fare?
Io: Riprovare?
Figo peloso: Hm.
Oh, sì. Quell’uomo stava incanalando la sua parte malefica. Questa volta la stronza ubriaca aveva resistito soltanto un paio di minuti, e visto il modo in cui le marche temporali funzionano, suppongo che in realtà fosse passato un minuto e mezzo.
Io: Dovresti decisamente riprovare.
Figo peloso: Dovrei? Magari il mio ego è fragile. Magari, distruggendomi come hai fatto, hai mandato in frantumi quel po’ di fiducia in me che avevo.
Io: Balle. Dovresti decisamente ritentare.
Figo peloso: Che ne dici di sistemare la cosa con una sfida?
E bam, quell’uomo mi aveva fatta sua. Mi piace una buona sfida. A chi non piace?
Io: Ci sto.
E a parlare era stata decisamente la Megan ubriaca che più ubriaca non si può. Mi potrà anche piacere una buona sfida, ma tutti sanno che non accetti senza stabilire i parametri, i paletti e le regole.
La me ubriaca aveva appena fatto una mossa da principiante.
Figo peloso: Eccellente. Yoga all’alba tutti i giorni per tutto il mese di novembre.
Forse la me ubriaca aveva avuto un barlume dell’idiozia delle sue azioni. Sicuro come la morte che doveva averlo avuto. Avrei voluto prendere a schiaffi la me ubriaca, ma sarebbe stato controproducente vedendo quanta me ubriaca fosse ancora me. Dannazione.
E sarebbe stata questa me che avrebbe fatto cose che sembravano un po’ una tortura. Alzarsi all’alba. Piegare il mio corpo in modi in cui non era predisposto a piegarsi.
Figo peloso: Ci sei?
Io: Sì. Parametri?
Figo peloso: La seduta da venti minuti di yoga comincia all’alba. Il primo che salta una seduta perde. D’accordo?
Io: Maledizione, sì.
Figo peloso: Ti manderò un link. Devi collegarti ogni mattina all’alba. C’è un’app.
Tutto questo sembrava assai sospetto alla luce del giorno. Oliver, così per caso, conosceva un’app per sfide di yoga all’alba? Il tipo era chiaramente uno yogi o come volete chiamare le persone che eccellono nel piegarsi in varie pose allenandosi ossessivamente.
Oh, giusto, quelle persone vengono definite pazze.
Specialmente quando si alzano al sorgere del sole per fare quelle stronzate di piegamenti.
Io: Regole?
Figo peloso: Fatti vedere in orario, resta per l’intera seduta e fai un tentativo onesto per ogni posa, modificandola appropriatamente.
Io: D’accordo. E i paletti?
Figo peloso: Chi perde paga un forfait a scelta del vincitore.
E questo è il motivo per cui soltanto un’idiota avrebbe accettato una sfida prima che parametri, regole e paletti venissero stabiliti chiaramente. Sapevo che era meglio farlo prima di buttarsi alla cieca in una sfida. Peccato non poter dire lo stesso della Megan ubriaca.
Io: Va bene.
Figo peloso: A proposito, domani l’alba è alle 6:46.
La mia risposta era stata una varietà di emoji e comprendeva il mio dito preferito.
La sua risposta era stata la faccina che ride così tanto da piangere.
E poiché anche la Megan ubriaca odiava perdere una sfida, avevo messo cinque sveglie. Ecco perché ora ero sveglia alle…
Una rapida occhiata al telefono aveva rivelato che era un’ora impossibile: le 6:44.
Cazzo!
Avevo due minuti. Non avevo intenzione di perdere quel patetico pezzo di merda di sfida proprio il primo giorno. Avevo cercato il link e mi ero rapidamente registrata, riuscendo appena in tempo a presentarmi alla prima seduta in programma.
Sul display c’era un timer che visualizzava un conto alla rovescia; erano rimasti ventisette secondi. Mentre quei secondi scorrevano all’indietro, il mio Io stanco, con i postumi della sbornia, ma non ubriaco, aveva considerato che da quella stupida sfida Oliver non avrebbe guadagnato assolutamente niente.
Quell’uomo doveva sapere che ero stata sul punto di accettare di uscire con lui. Se si fosse solamente preso la briga di chiederlo di nuovo, avrei detto sì.
E a cosa sarebbe servito, a entrambi, un mese di fottuto yoga?
Quando la prima seduta era cominciata, mi ero resa conto di come esattamente mi avrebbero fatta sentire i successivi trenta giorni di yoga mattutino.
Arrapata.
E frustrata.
Probabilmente anche con tendenze omicide, se l’immagine sullo schermo era un assaggio dei successivi trenta giorni.
Oliver era l’istruttore.
E no, Oliver non aveva la pancia da queso. Non aveva nemmeno un pacco da sei.1
No, aveva un pacco da otto, di cui riuscivo a vedere ogni cresta e ombra – persino sul minuscolo schermo del mio telefono – perché l’essere divino precedentemente conosciuto come Oliver, detto Figo Peloso, era a torso nudo.
E che cazzo indossava come pantaloni?
Mi era venuto bisogno di farmi aria.
Pantaloni, un corno. Non erano nemmeno pantaloncini. Sembravano più degli slip.
Beh, non coprivano solo le natiche. Saranno stati a mezza coscia, ma mentre lui si muoveva, gli short, che aderivano ai suoi glutei muscolosi, mostravano flash dei suoi quadricipiti gonfi.
Avevo inspirato profondamente, come da sue istruzioni, poi avevo cominciato a seguire il divino Oliver e la sua voce flautata mentre mi guidava in una routine yoga di venti minuti.
Come avrei fatto a gestire una cosa del genere per trenta giorni?