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STORIA DI GUGLIELMO RHEDY
ОглавлениеGuglielmo Rhedy era nativo di Gressoney-la-Trinité, dove abitava una casa sulla sinistra del torrente Lys, poco più in basso del punto donde si dipartono le due strade del Col d'Ollen verso Alagna, e della Betta Forca verso la valle di Ajaz. Quella casa, come è l'uso del paese, era composta di due piccole casette in forma di padiglione, unite insieme sulla stessa fronte da un corpo di edifizio basso, nel quale di solito s'apre la porta di entrata, si sviluppa la scala di legno e corre ad ogni piano l'andito che mette alle diverse stanze. Per lo più delle due casette una è destinata al servizio, l'altra all'abitare. Da una parte la stalla, la cucina, il fienile, un'officina da falegname e le camere dei domestici; dall'altra le camere da letto ed un salone a terreno, dove il padrone l'estate riceve i conoscenti intorno ad una delle due tavole bislunghe che vi stanno disposte parallele come nelle osterie.
La famiglia vive a terreno nella stalla o nel salone, secondo le stagioni, e diffatti questi due membri mostrano lo studio minutissimo che presiedette al loro ordinamento. Delle stalle quali noi le conosciamo alla piana, quelle di lassù non hanno che il dolce penetrante calore e la morbida atmosfera. Non vi si vede un palmo di muro; tutte le pareti e la strombatura della porta e delle finestre sono rivestite di tavole commesse in modo che i nodi e le venature delle assi combinino simmetricamente. Dei regolini sagomati a cornice scompartiscono le pareti ed il soffitto in larghi quadri eguali all'uso svizzero e danno alla stanza un'aria di agiatezza accurata. Tutto vi è pulito ed ordinato. Un assito, che non giunge al soffitto, taglia la stanza per il suo lungo, impedisce la vista delle vacche e permette che il calore del loro fiato s'allarghi attraverso il vano lasciato in alto. Bisogna vedere che mondezza di stalla; la più nervosa e schifiltosa signora delle città accetterebbe di dormirvi senza arricciare il naso. Nemmeno il sospetto di puzzo o di tanfo, anzi un buon odore di fieno e di latte caldo che fa allargare le narici per aspirarlo voluttuosamente. Un ruscello d'acqua limpidissimo spazza continuamente ogni lordura e la mena all'aperto in una larga fossa donde filtra concime nei prati che attorniano la casa.
Quella gente industriosa e calma nella lunga stagione d'inverno lavora sempre a migliorarsi il nido con minutezza infantile. Ogni nuovo bisogno, ogni nuovo capriccio suggerisce nuovi artifizi sottilissimi che accusano un ingegno stretto, un amore sviscerato della casa, un bisogno continuo di operosità ed una grande ricchezza di tempo. Ogni inverno scava nelle pareti qualche nuovo ripostiglio, vi nasconde qualche tavola o piano che s'abbassa a volontà e si richiude senza più apparire, qualche braccio di legno che si allunga per sostenere matasse di filo, pezzuole, panni, lucerne, e si ripiega in se stesso e rientra nell'assito lasciandolo liscio come prima; ordisce qualche congegno misterioso ed intricato per aprir le finestre o per dar fieno alle vacche senza muoversi da sedere: aggiunte e migliorie che hanno l'aria di trastulli, e lo sono veramente, e formano l'orgoglio dei padroni e fanno sorridere i visitatori.
Di fuori, le case povere sono costrutte in muratura fino al primo piano donde giungono al tetto per via di tronchi d'abete sovrapposti, mentre delle più agiate il muro tiene tutta l'altezza. Così le une come le altre non hanno mai più di due piani oltre il terreno, ogni piano apre sulla facciata quattro o sei finestre e nel mezzo una porta che mette ad un ballatoio di legno lungo quanto la casa.
La casa di Guglielmo Rhedy era tutta in muratura. L'aveva fabbricata un tale Lysbak, birraio arricchitosi in Baviera, al quale, mentre attendeva a compirla internamente, erano capitati dei rovesci di fortuna che lo avevano fermato a mezz'opera. La casetta a destra verso il torrente ed il corpo di mezzo, cioè la scala, essendo ultimate, il Lysbak era venuto a dimorarvi colla moglie e la figliuola, lasciando l'altra casetta così com'era, le muraglie ritte, le finestre senza telai, sbarrate soltanto quelle a terreno. Cresciute le strettezze, il Lysbak aveva dopo due anni venduta quella parte di casa ed i prati in giro al padre di Guglielmo, il quale, raffazzonatala alla meglio, ci aveva installate le sue venticinque vacche, la sua grassa persona ed una gigantessa di domestica, vero serventone da fatica. Guglielmo era allora caporale di artiglieria a Pisa.
Fra il Lysbak ed il padre Rhedy non si era però, malgrado la vicinanza, stretta nessuna sorta di amicizia. Tutt'altro. Il primo, sempre col pensiero alle speculazioni tentate per rifarsi e fallite, respingeva col silenzio le vanterie del secondo e non rideva mai delle sue grosse facezie; questi aveva finito per aversene a male e aveva smesso di parlargli tenendolo per superbo. Di più in paese chiamavano: madama