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ATTO I
SCENA V

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Filigenio vecchio. Forca. Pirino.

Filigenio. Fu giudicata sempre la buona educazione il fonte e l’origine degli abiti virtuosi e il fondamento delle umane felicitá, e tanto necessaria al buon vivere quanto l’anima al vivere. Perché, introducendosi a poco a poco ne’ teneri intelletti il zelo della santa religione, con quella si viene a dar l’imperio alla ragione, freno agli affetti e termine alla volontá.

Forca. (Oh, gran pedagogo sarebbe stato il mio padrone!).

Filigenio. Cosí, al contrario, la cattiva educazione è la fucina dove si fabricano gli strumenti della ruina della misera gioventú; perché, mancando per l’immatura etá la virtú moderatrice dei temerari desidèri della strabocchevol concupiscenza, corre sfrenata ad ogni precipitoso consiglio, e le buone qualitá della natura vengono atterrate e tiranneggiate da’ vizi e difetti del tempo. Ecco l’essempio in Pirino mio figliuolo: ché bisognando per alcuni miei affari partirmi di Napoli, le mie occupazioni fur cagione del suo ozio, restando in tutela di un servo ribaldissimo, furfante della cappellina, capo de tutti i furbi del mondo.

Forca. (Giá è entrato nelle mie lodi, racconta il catalogo delle mie virtú).

Filigenio. Ma a che mi affatico a dir tanto? basta che è servo. Cosí tutte quelle virtú e buone qualitá che gli erano state largamente dotate dalla natura, da cosí cattiva educazione sono state spente e atterrate. Onde poco stima Dio, manco il padre, sprezza ogni buon ricordo; e fattosi idol quel suo servo, corre precipitoso dietro a quello che gli vien additato da costui. Onde appena sono in piazza, che le genti mi sono adosso, dicendomi che Pirino sta innamorato di una puttana; e che quelle ricchezze che con tanto risparmio e lunghe fatiche sono state raunate in casa mia, vanno in essilio in casa di un ruffiano e si consumano in un viver lussurioso; e che allettato dagli artefici di costei, cerca rubbarmi cinquecento ducati per riscattarla.

Forca. (Fa’ e di’ quanto sai, ché con i tuoi dinari la riscattaremo).

Filigenio. E se non fusse che veggio persone di maggior etá e condizione, anzi di quei che governano al mondo, inviluppati in simili materie, mi dispererei; ma con l’essempio di persone cosí degne allevio gli affanni miei. Ma eccolo: Forca, Forca; mi son accorto di te ben, sí!

Forca. Vengo, padrone.

Filigenio. Come serpe all’incanto. Giá sleghi lo sacco delle bugie per vomitarmele adosso. Fa’ che a quanto ti dimando mi risponda subito, accioché non abbi tempo a pensare e colorir menzogne.

Forca. Se stimate che quanto dico sia bugia, a voi soverchio il dimandare, a me il rispondere.

Filigenio. Ben, che si fa?

Forca. Si sta in piedi, con la beretta in mano, aspettando se mi comandate alcuna cosa.

Filigenio. Dove è Pirino?

Forca. Stando qua, non posso saper dove sia.

Filigenio. Dove l’hai condotto?

Forca. Egli conduce me dietro a lui, perché li son servo.

Filigenio. Dove l’hai lasciato?

Forca. Egli ha lasciato me.

Filigenio. Parli cosí poco, come avessi a pagar la gabella delle parole. Furfante, furfante, ben sai che ci conosciamo insieme: se non mi dici il vero, farò che muti nome, e da Forca che sei diventerai un appiccato.

Forca. Se dicessi la bugia, voi lo conosceresti in aprir la bocca.

Filigenio. Quanto tempo è che mio figlio non ha visto la…?

Forca. La che?

Filigenio. Quella.

Forca. Chi quella?

Filigenio. Quella vostra…

Forca. Chi quella vostra?

Filigenio. Quella cosa vostra che voi sapete.

Forca. Ah, ah, ah: sí, sí.

Filigenio. Vedi pur che la conscienza accusatrice dell’animo tuo ti fa accertar il vero, ancorché non vogli?

Forca. La vede ogni ora, ogni momento.

Filigenio. Come ne sta innamorato?

Forca. Innamoratissimo.

Pirino. (Questo forfante par che discuopra i miei secreti).

Filigenio. E segue tuttavia la prattica?

Forca. La segue con tutto il suo studio.

Filigenio. Quando pensa lasciarla?

Forca. Quando lasciará la vita.

Filigenio. Come lo sai?

Forca. Ce l’ho inteso dir mille volte.

Filigenio. Tanto è ostinato?

Forca. Ostinatissimo.

Filigenio. Perché tu non lo togli da questo proposito?

Forca. Se non ubbidisce a voi, perché vuol ubbidir me?

Filigenio. Quando va a casa sua, che fa?

Forca. Gionto in casa sua, si butta sul letto supino, se la toglie in braccio e se la squinterna sul ventre e se l’accomoda innanzi: volta di qua, volta di lá, non la fa star mai ferma per tre o quattro ore, finché stracco non va tutto in acqua.

Pirino. (Oh, che ti cadano i denti e quella lingua traditora!).

Filigenio. E ti par questa buon’opra?

Forca. Buonissima, eccellentissima.

Filigenio. E tu sei quello che lo guidi e aiuti?

Forca. Io, quando lo vedo tiepido e disamorato, l’aguzzo l’appetito.

Filigenio. Talché tu sei il maestro.

Forca. Maestro io? signor no, è il maestro del Studio.

Filigenio. Che Studio? che signor no? Di che parli tu?

Forca. E voi di che parlate?

Filigenio. Io parlo della sua puttana.

Forca. Ah, io non pensava che voi parlaste di cose triste, ma della sua Legge; e tutto il giorno si trastulla con la sua libraria, la strapazza e se la tiene aperta innanzi.

Pirino. (O buon Forca, come l’hai ben salvata!).

Filigenio. Cosí mi burli, eh?

Forca. Io non burlo altrimente; rispondo alle vostre dimande.

Filigenio. O Dio, che avessi un bastone! ché avendo tu la pelle delle spalle piú indurita di quella degli asini, se ti do con le mani, offenderò piú me che te. O che unguento di cancheri! Traditorissimo, se non ti disponi a dirmi la veritá, proverai lo sdegno di un padron irato e schernito da te. Ti darò tante bòtte che amboduo restaremo stracchi, io di dar, tu di ricevere.

Forca. Dico il vero, a voi sta il creder quel che volete.

Filigenio. Non mi hai risposto a quello che ti dimandava. Vuoi tu negarmi che Pirino non stia innamorato di una puttana, chiamata Melitea, che l’ha in poter un ruffiano che ne chiede cinquecento ducati?

Forca. Signor no, signor sí, eh, padrone.

Filigenio. Che «signor sí», «signor no» cerchi in nasconder la veritá? ed è tanta la sua forza che a tuo dispetto ti muove la lingua a dirla.

Forca. Eh, padron mio.

Pirino. (Sta’ saldo, Forca, ché il padron non ti scalza).

Filigenio. Che padrone? mi fai del balordo; che balbezzare è il tuo?

Forca. Io non so nulla; ma… .

Filigenio. Che ma?

Forca. Direi alcuna cosa, se stessi sicuro che egli non l’avessi a sapere.

Filigenio. T’impegno la fede mia che non sará per saperlo giamai.

Forca. Dubito che voi lo scoprirete un giorno, ed egli mi salterá adosso con un bastone; e non sapete che tremo in sentirlo nominare?

Filigenio. Non dubitar, dico, ché quando io non bastassi a difenderti, sarei uomo da farti franco e mandarti via.

Pirino. (Questa bestia mi fa entrare in suspetto).

Forca. So che lo risaprá, e le spalle ne patiranno la penitenza. Ma alfin voi sète il padrone, vo’ piú per voi che per lui.

Filigenio. Cosí mi par di ragione.

Forca. Quanto avete detto, tutto è vero: che sta innamorato di una cortegiana, detta Melitea, che sta in poter di un ruffiano che l’ha venduta ad un dottore per cinquecento ducati; e però ne arrabbia di dolore.

Filigenio. Dove pensa avergli?

Forca. Rubbargli a voi come meglio potrá.

Pirino. (Ecco che fa l’affratellarsi con i servidori: pensava aver un servo fidele e ho una spia secreta di mio padre).

Filigenio. Come volete rubbarmi, se sto in cervello e mi guardo piú di voi che di tutti i ladri del mondo?

Forca. È deliberato scassar lo scrittorio, se non lo può aprir col grimaldello.

Pirino. (Merito questo e peggio. Or non sapevo io che i maggiori inimici che abbiamo sono i servidori?).

Filigenio. Ma come mi accorgeva del fatto, come andava il fatto per voi?

Forca. V’attossicavamo.

Pirino. (O Dio, che ascolto? non posso contenermi, mi risolvo lasciar il rispetto da parte, passargli questa spada per i fianchi, e accadane quel che si voglia).

Filigenio. Al suo padre questo? ahi, figli iniqui! or non dovea cosí scelerato pensiero indurgli terrore?

Forca. Ma tutto ciò è nulla: ci è di peggio assai.

Filigenio. Che ci può esser peggio?

Forca. Quel dottore è un cervello bizaro, straordinario, ha molti bravi che lo seguono, per un pelo se la torrebbe col diavolo; ne sta geloso e ha deliberato farlo ammazzare e li tiene le spie sovra.

Pirino. (Non gli basta quanto ha detto: ci vuol aggionger del suo ancora).

Filigenio. Se ben per i continui inganni che m’ave usato costui, non gli devo prestar fede, pur la vita di un figlio importa molto. Forca, tu che conosci costoro e sai questi maneggi, ricorro a te, mi pongo nelle tue mani; vorrei che rimediassi, ché non si procedesse piú oltre.

Forca. Non è cosa da ragionarsene in piazza: potrebbe egli sovragiongere e stimarebbe che il tutto fusse uscito da me, e non si potrebbe piú rimediare: vi mostrerò modo di salvarlo.

La Carbonaria

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