Читать книгу Punita Nella Notte - Giovanna Esse - Страница 7
Tre
ОглавлениеMolti dei nuovi arrivati, però, avevano espressioni più determinate, facce più decise, qualcuno dava lâimpressione di non essere veramente il ritratto dellâonestà .
Ci spostammo di nuovo e cercammo un tavolino; per fortuna ne trovammo uno ancora vuoto, mentre sul palco, davanti al quadrato, un trans bellissimo, seminudo, il cui pene era coperto solo da un piccola conchiglia, iniziò a cantare in tedesco una canzone molto ritmata. I suoi seni rifatti, invece, erano completamente esposti, sotto un bolerino di tulle nero e trasparente. Se fossero state tette naturali, non avrei potuto che invidiarle con tutta me stessa. Era passata mezzanotte, lâanimazione era alle stelle, ogni tanto tra la musica rock ci si accorgeva dello scoppio di qualche alterco, piccole risse senza conseguenze ma che mi misero una certa agitazione. Lo dissi a Nunzio, che mi calmò con una semplice osservazione: - Tesoro, hai fiducia in me? â disse con lo sguardo più ingenuo del mondo â Ti metterei mai in pericolo? Guarda, segui attentamente le mie istruzioni ... - e mi prese per le spalle, facendomi girare in direzione di ciò che dovevo osservare. - Ecco, vedi quei due ragazzoni a destra del palco, nella zona dei bagni? â lâispezione continuò â E quello, vicino alla porta, con la giacca a strisce? E ce ne sono ancora... sono tutti buttafuori. Eâ lâatmosfera del locale. Ma non temere, nessuno entra armato, niente coltelli. Eâ uno stile. Come una serata a tema. Poi se qualcuno vuole misurarsi, si può recare su quel quadrato e risolvere la questione, dando anche spettacolo. Ma nessuno si fa male, tranquilla. â âSarà â pensai tra me e me, ma le facce da galera che erano arrivate negli ultimi minuti, mi rendevano un poâ perplessa. Nunzio mi disse cha sarebbe andato a prendere da bere. Mi lamentai: perché non chiedere ad una cameriera? Ma lui si era già perduto nella calca. Pochi minuti dopo, tre ragazze, che sembravano sul brillo, sedettero al nostro tavolo, senza nemmeno chiedere permesso. Una, grossa e puzzolente di sudore, si mise proprio al mio fianco, al posto dove era seduto Nunzio. Mi diede solo una brevissima occhiata, quasi disgustata, poi mi lasciò perdere. Non me la sentii di protestare, anche perché non conoscevo una parola della loro lingua complicata. âAndiamo beneâ, pensai tra me. Una delle due ragazze sedute di fronte mi guardò, come se si accorgesse solo allora della mia esistenza. Smise di parlottare sguaiatamente con le sue amiche e si rivolse a me: - Si può sapere cosa tu hai da guardare? â Io sussultai. La ragazza parlava italiano, come lo parlano le badanti: aveva capito subito da dove venivo. - Ah, bene, lei parla italiano. â risposi â volevo solo dire che il posto, questo al mio fianco, è occupato dal mio ragazzo ... è solo andato via, un attimo. â Fui contenta di poterle avvisare che ero accompagnata. Avevo paura che quelle tre iene mi mangiassero in un sol boccone. La donna mi squadrò, poi, come se non avessi nemmeno aperto bocca, ritornò a discutere animatamente con le altre. Intanto arrivò la cameriera con tre birre in barattolo e, alle sue spalle, Nunzio con i nostri bicchieri, colmi di Coca Cola. - Ehi, visto? - dissi indispettita alla ragazza che parlava italiano â lui è il mio ragazzo! - Quella senza mai guardarmi, disse qualcosa alle altre, e tutte e tre sbottarono a ridere in modo volgare. Guardarono Nunzio e lui sorrise ... come un perfetto idiota: - Bene â disse in italiano Nunzio - abbiamo compagnia! - prese per un braccio la cameriera e pagò anche le birre di quelle tre stronze. - Ma che fai? â ci rimasi di stucco. - Questo è tuo uomo? â disse la âbadanteâ, poi, rivolta alle altre â Eâ un bello ragazzo, si può sedere! â E di nuovo giù, a ridere. Quellâimbecille di Nunzio, intanto, invece di portarmi via, se la rideva, come se non aspettasse altro che fare amicizia con quelle tre volgaracce. La donna che si era piazzata al mio fianco era la più grossa, di fisico e di età , dimostrava circa trentacinque anni. Lineamenti da russa e col mento pronunciato di un bulldog. Fece un sorriso a Nunzio che sembrava più una smorfia, e si spostò verso di me, col suo grosso culo bolscevico. A furia di spingere e di ignorarmi, la stronza finì per farmi cadere dalla panca, con un ultimo colpo secco. Lo fece apposta. Impreparata, finii col sedere a terra in una posizione così discinta che si videro in bella mostra, le mie collant a reggicalze e le mie mutande da educanda. Lâabbigliamento e la posizione suscitarono il ridicolo su di me, mettendomi improvvisamente in forte imbarazzo. La culona improvvisò per lâoccasione una sceneggiata che mi fece andare ancor più fuori di testa. Fece un panegirico ad alta voce, fingendo di rivolgersi alle amiche, ma che tutti poterono sentire, infatti commentarono con risatine compiaciute il suo show. Dopo aver fatto la stupida, la ragazza si alzò dalla panca e abbozzando un inchino di scuse, mi porse la mano per aiutarmi ad uscire da quella imbarazzante posizione. Confusa e stupita, ci cascai ... e le diedi la mano. Arrivata a mezzâaria, la troia mi lasciò di botto, facendomi ruzzolare peggio di prima sul pavimento, impacciata dalle scarpe da montagna. Le risate di quella massa di ignoranti arrivarono alle stelle. Nunzio, intanto, seguiva la scena con una faccia da stronzo ed unâespressione divertita. Ormai non pensavo più a lui, un velo rosso calò sui miei occhi. La russa si voltava in giro, mimando degli inchini e raccogliendo gli applausi degli amici: lâatmosfera si era surriscaldata. Non ci vidi più, umiliata e arrabbiata, da terra dove mi trovavo, facendo leva sui gomiti scalciai verso lâalto, alla cieca; fatto sta che, la russa, prese un bella pedata, di pianta, nel culo e fece un balzo in avanti. Non credo di averle fatto male ma di certo si adirò come una scimmia. Dopo la sorpresa, forse finta e un poâ esagerata, ripensandoci, la ragazzona mi fu addosso in un attimo e abbassò talmente il viso sul mio che mi uccise solo con lâalito puzzolente intriso di birra. Raccolsi le mani al viso, convinta che mi menasse ma lei si limitò a prendermi per la camicetta, allâaltezza del petto; con la sua forza mi sollevò quasi dal pavimento, poi, sciorinò sul mio volto una litania di offese. Non capii una sola parola ma, in compenso, venni subissata dagli spruzzi di saliva che riversava dalle labbra carnose. Un attimo dopo, invece di continuare quella che sarebbe potuta diventare una vera rissa, si rimise in piedi e con espressione disgustata, si allontanò dalla mia vista. Incredibile! Tirai un sospiro di sollievo, lâavevamo scampata bella: la serata poteva finire veramente male. Fortunatamente la gente che frequentava quel locale era meno aggressiva di quanto avessi temuto. Mi alzai, aiutata da Nunzio che, finalmente, sembrava meno ebete e più preoccupato. Una volta in piedi, però, mentre mi davo una spolverata alle mutande, visto che ormai la mia lingèrie era diventata di dominio pubblico, mi accorsi che qualcosa non andava. Nel locale era caduto un silenzio pregno di aspettativa e tutti gli occhi erano puntati su di noi. Sottovoce, per non dare nellâocchio, sussurrai al mio ragazzo: - Ma ... che câè ancora, mica saranno razzisti? Perché ci guardano come fenomeni da baraccone? â cominciavo a preoccuparmi più di prima â credo sia meglio se ce ne andiamo ... â - Ehm, amore, non credo sia così semplice... â disse Nunzio abbastanza impacciato â vedi, la ragazza di prima, quella a cui hai dato un calcio ... â Lo guardai allucinata, mi sembrava che anche lui parlasse slavo, visto che non riuscivo a comprendere cosa diavolo volesse dire: - Insomma, quella, â continuò lui con sguardo timoroso â ecco ... lei, ti ha lanciato una sfida! â - Sfidata? â a quel punto ero veramente nel pallone â Che cazzo vuol dire... quale sfida? Ma io chiamo la Polizia, qui siete tutti matti... â divenni veramente furiosa. Ora ce lâavevo anche con quel coglione di Nunzio; a un tratto lo sentii estraneo, lontano. Dopotutto, la nostra non era una storia dâamore... quindi tra noi, a parte lâamicizia e una buona intesa sessuale, non câera altro. Lui mi fece segno di calmarmi ma io non ne volevo sapere, la mia mentalità âestremamente civileâ poteva pure accettare una litigata improvvisa ma una sfida no... che roba. Cose da terzo mondo, da ghetto: trovavo quellâidea repellente, assurda. Mi girai per uscire, dandomi un contegno di superiorità ma alle mie spalle trovai i due buttafuori di prima... deglutii per la paura. Quelli non erano âragazzeâ. Avevano le braccia conserte e lâespressione decisa, ognuna delle loro mani era grossa come il mio avambraccio. Lâattesa della gente era palpabile e, forse era solo un mia impressione, ma mi sembravano, tutti, un poâ sullâincazzato. Ulteriore disappunto mi nasceva dal fatto che, quel maledetto locale, si riempiva nella notte, invece che svuotarsi. Una sensazione di irrealtà mi prese e mi girò la testa, chiusi un attimo gli occhi per cercare di riprendermi. Nunzio si frappose tra me e i due buttafuori, fece segno di prendere tempo, e quelli sembrarono ammansirsi. - Gioia, purtroppo è andata così ... mi spiace â disse piano â ma conosco questa gente, non ci mollano. Devi batterti con quella, credimi è la cosa migliore ... solo in questo modo ce la caveremo senza danni. â Strinsi gli occhi in una espressione di odio e di rabbia cieca. Dâimprovviso la situazione mi crollò addosso in tutta la sua drammaticità . Fu come quando, in un incubo, lâambiente familiare che ti circonda, allâimprovviso, diventa terrorizzante e ostile. Provai paura. In pochi minuti ero piombata dalla certezza pacata della civiltà al fondo della barbarie... ecco perché ci avevo messo tanto a razionalizzare quella situazione. Mi ritrovavo a miglia e miglia da casa, in un locale malfamato, nel bel mezzo di un quartiere malavitoso di una città straniera e sconosciuta. Il top, insomma! Con me câera unâeccellente illustratore pubblicitario milanese, abbastanza fighetto da sembrare una checca giuliva in mezzo a quella gente: già le femmine, erano più virili e violente di lui. Lâadrenalina si scaricò nel mio corpo e mi donò una certa lucidità ... quantomeno mi aiutò a ritornare con i piedi per terra. Non ce lâavevo con Nunzio, se non per avere sbagliato locale; ormai avevo capito che su di lui non potevo contare... era del tutto inadeguato alla situazione. Lâombra di un dubbio mi sfiorò la mente: il mio uomo, dopotutto, non era un imbecille. Ma il pericolo era così incombente, che non potevo permettermi di crogiolarmi nelle riflessioni. - Che devo fare? â chiesi, visto che, comunque, lui qualche parola biascicava di quella lingua tagliente â Dobbiamo prendere tempo... per cercare di scappare. â - Tesoro, sono le tre di notte â disse â dove credi che arriveremmo? Ascoltami, io ci sono già stato in questi posti: stai al gioco! Queste risse sono più una scaramuccia di pose, una specie di balletto ... ma non credo che raggiungano mai fasi violente. â - Mi aiuti molto, sai? â dissi piena di sarcasmo â Ma insomma, che cazzo vogliono? â - La grassona ti ha sfidato, adesso io provo a chiarire la cosa... ma ti prego non essere troppo preoccupata, per loro è uno spettacolo, una forma di bullismo... â Che spiegazione confortante, maledetto lui e quel locale pieno di matti.