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I.
ОглавлениеNel pomeriggio del 30 luglio 18…. un uomo correva trafelato verso il parco di Montrone, presso Napoli.
Aveva fiori e nastri rossi al cappello: i panni da festa: la faccia come infuocata.
—Domenico!… Domenico!…—Uomini, donne, ragazzi lo chiamavano, sghignazzando, facendosi beffe di lui, ma egli non si fermava.
—È tardi!… è tardi!…—aveva risposto due o tre volte a' più importuni.
E aveva continuato nella sua corsa.
Domenico era ben noto per diecine di miglia intorno a Napoli.
Avea servito molti signori, in un anno mutava cinque, sei padroni; era stato cocchiere, cuoco, valletto; aveva pur servito in conventi, in locande, in osterie, sempre cacciato per la sua intemperanza.
Ora egli era giardiniere del duca di Montrone.
Il duca, ufficiale nell'esercito austriaco, aveva testè preso parte a una delle guerre d'Oriente, ed era tornato la sera innanzi, dopo oltre un anno di assenza, con l'uniforme di generale.
Quel giorno i suoi amici, i suoi contadini, lo festeggiavano.
Il parco di Montrone era tutto imbandierato, vi erano stati eretti archi di fiori.
Domenico, a una cert'ora, contando che nessuno s'accorgesse della mancanza di lui, se ne era andato a mangiar e bere con alcuni compagni all'osteria del Falcone, tenuta dalla grossa Elisabetta, di cui egli spasimava.
E fra il bere, il corteggiare, il ridere, si era trattenuto più che non disegnava.
Ecco perchè correva a quel modo.
In fatti, già tutti si erano accorti della sua sparizione.
Egli doveva presentare al duca i contadini, e, siccome aveva lo scilinguagnolo pronto, parlare, in nome di tutti, al gentiluomo.
—E Domenico?… e Domenico?…—s'interrogavano gli uni e gli altri.
—Domenico, a quest'ora,—rispondeva uno,—sarà addormentato sotto un albero, o in un granaio, o all'ombra di qualche muro…. chi sa…. dopo aver tracannato molto….
Con maggiore insistenza degli altri avea cercato di Domenico, Cristina
Braco, cameriera della figlia del duca.
Costei avea domandato più volte del giardiniere, e chi avesse potuto leggerle nell'animo vi avrebbe scoperto una grande inquietudine.
Cristina, piuttosto alta di statura, nerboruta, di viso scialbo, con profonde occhiaie, di modi bruschi, taciturna, era un personaggio assai misterioso; e sembrava, ad alcuni non privi d'acume, messa accanto alla giovane duchessa come il suo cattivo genio.
Enrica, o che i malvagi istinti la traessero a prediligere una donna come Cristina, o qual altro ne fosse il motivo, avea sempre dato sembiante di tenerla in grande affetto.
E durante l'assenza del duca, si può dire che le due donne, la padrona e la cameriera, avevano vissuto sempre sole, e senza staccarsi mai l'una dall'altra.
Un tempo andavano la domenica alla chiesa, senza far motto ad alcuno: tutte e due rigide e pallide: senza mai dar al sagrestano, che andava attorno per la questua, l'elemosina che non gli rifiutavano i più tapini.
Non pochi avevano notato in Enrica un ghigno feroce come se la travagliassero cattive, irresistibili passioni: come se ella covasse in sè una forte inclinazione a odiare e distruggere.
In breve, le due donne non comparvero più nella chiesa: un prete andava a dir la messa la domenica nella cappella entro il parco di Montrone…. Ed Enrica e la cameriera l'ascoltavano dietro la grata d'un coretto, in alto.
Non erano più uscite dal parco per varii mesi, allorchè il duca tornò all'improvviso, inaspettato.
Il duca adorava la sua unica figlia; era partito, affidandola ad una sua sorella, poichè egli era vedovo da molti anni. La gentildonna era stata colta da una grave malattia: per consiglio dei medici avea dovuto recarsi in altro clima. Enrica era rimasta con Cristina e aveva persuaso, il che non le riesciva mai difficile, il duca che così stava benissimo, senza pericoli.
Il duca non potea aver inquietudini: era di carattere leggero, spensierato, confidava molto nella serietà di Enrica, nella stretta solitudine in cui viveva, nel vigile amore di coloro che la circondavano.
Cristina, poi, ispirava al duca una fiducia senza limiti.
—Ecco…. ecco Domenico!—gridò un contadino che era andato molto innanzi sulla strada, fuori del parco, quasi subodorando che il giardiniere dovesse venire di là.
Subito la lieta notizia andò di bocca in bocca.
Domenico entrò correndo, ansando, nel parco: ruppe ogni domanda inopportuna sulle labbra degli indiscreti.
—Qua…. qua…. venite…. è tardi…. riuniamoci…. per andare tutti insieme al palazzo…. Dove sono gli stendardi di fiori?… Le ragazze sono arrivate?… Qua…. qua….—e accennava con la mano verso un viale ove si vedevano aggruppate parecchie diecine di ragazze vestite di bianco.
—E la musica? la musica?…—gridava Domenico, che non voleva dar tempo agli altri d'interrogarlo.
Ma il suo viso acceso, i suoi occhi stralunati, l'eccitazione de' suoi gesti rivelavano, senz'altro, come e dove egli aveva passato quelle ore.
—Cristina vi cercava!—gli susurrò all'orecchio il vecchio intendente del duca.
—Ah! Ah!
Malgrado il piglio di leggerezza con cui rispondeva, la fisonomia di Domenico diventò contraffatta, come se le parole dettegli dall'intendente gli avessero sgradevolmente ricordato qualche brutta cosa, ch'egli dovea compiere, e che il vino, propizio o no, gli avea fatto dimenticare.
—E il duca?…—chiese Domenico, sopra pensiero.
—Il duca non è ancora uscito dalla villa,—replicò l'intendente.
Domenico respirò.
—La duchessina è molto debole…. Sta sempre assai male…. E il duca voleva persuaderla a uscire con lui, e venir a ballare sul prato le prime quadriglie con le nostre ragazze.
—Sarà impossibile!—scappò detto a Domenico. E subito si guardava attorno, sospettoso.
Vide che erano arrivati molti signori, amici e parenti del duca.
C'erano fra gli altri il conte di Squirace, il marchese di Trapani, e parlavano in quel punto con l'avvocato del duca, fra i più reputati di Napoli, Maurizio Cotella.
—Marchese,—diceva il conte di Squirace,—siete molto inquieto….
—E come no?—rispondeva il marchese, cugino del duca,—ho lasciato a casa mia moglie in gravissimo stato…. Da un momento all'altro può arrivare qui un messo ad anunziarmi che ho avuto un figlio, o pure…. Essa soffre tanto…. Ci voleva proprio questo ritorno improvviso di mio cugino perchè la lasciassi, anche per poco….
Il marchese era veramente concitato.
Aveva l'aspetto sconvolto, lo sguardo incerto, un tremito in tutta la persona.
Era come un uomo, la cui vita è affidata a una suprema risoluzione, d'esito incerto, e magari all'esito d'un delitto.
—Se mio cugino non viene l'andrò a cercare,—osservò a un tratto, con certa impazienza, il marchese….—Mi dicono che è nella camera di sua figlia, ammalazzata… forse per la sorpresa di rivederlo, dopo tanto tempo!
Il marchese si allontanò.
—Ci prende per semplici,—disse il conte all'avvocato.—Non è l'amore per suo cugino che lo ha fatto accorrere qui così presto…. Egli vuole ottenere un ufficio molto lucroso e spera ottenerlo con la sempre maggior influenza che il duca, dopo le sue ultime gesta, ha acquistato sull'animo del Re.
—Il marchese è rovinato,—riprese l'avvocato Cotella.—Vi rammentate che, anni or sono, corse voce che egli era morto in Egitto…. Poi tornò in Napoli…. Suo padre dette fondo al patrimonio di famiglia con le più bizzarre dissipazioni. Ma ebbe una virtù: benchè nobile, si consacrò al più umile lavoro. Fu in America: si fece commerciante in pianoforti, quindi agricoltore, impresario: fu proprietario di uno dei più grandi alberghi di New-York, ove tutti i servizi erano fatti da negri e da negre: fondò un giornale, l'Evening Standard. Morì, e lasciò al figlio circa tre milioni di franchi.
—E il figlio?
—Si è divorato tutto in pochi anni a Parigi, ove tenne una scuderia di cavalli da corsa, ove il suo sfarzo attirò l'attenzione della Corte, degli ambasciatori, de' principi che si trovavano di passaggio. Egli si ridusse… diceva almeno il duca di Lari… a vivere cogr imprestiti fattigli danna famosa avventuriera italiana: la Barrucci…. Ebbe l'eredità di due zii, e sfumarono l'una accanto all'altra…. Sposò la principessa di Morella, cugina dei Montrone; gobba, malsana, la sposò per la dote… che ha già mangiato….
—Non ho mai visto la principessa….
—Essa sta quasi sempre a Parigi, per far la corte a sua nonna, ricchissima: e che lascerà al Papa, o agli Orléans, i suoi milioni, se si disgusta con la sua unica nipote…. È una vecchia mezzo fanatica, mezzo demente… di una sordida avarizia. Si ricuce le calze da sè: non accende il fuoco d'inverno: fa rattoppare i vestiti: mangia soltanto pochi legumi: e ciò in un palazzo splendido, fra lo scintillio degli ori, gli arazzi, gli oggetti d'arte, il lusso d'ogni maniera, profuso dagli antenati di suo marito. La principessa ha pure una zia, anch'essa millionaria, a Genova: e così passa la sua vita fra Genova e Parigi, o viceversa…. Intanto, ottiene cospicui assegni, che il marchese ghermisce, mentre la tiene di sentinella alle due eredità…. che sono ormai la sua sola speranza. È con questa speranza ch'egli paga i suoi numerosi creditori…. Il marchese è in una di quelle condizioni, che rendono l'uomo capace di tutto….
—Intendo; la nonna, la zia resistono, ed egli deve prendere un partito estremo….
—Siamo ora ad una catastrofe,—soggiunse il primo avvocato di Napoli.—Io ho in mano protesti di cambiali firmate dal marchese; altri gravi documenti…. So che la rovina irreparabile, palese, e il disonore possono da lui esser protratti, con sforzi titanici, soltanto di pochi giorni…. Gli rimane però un'altra debole speranza: e in questo momento egli ha raccolto su di essa tutte le sue energie, come il naufrago le sue forze sull'unica tavola di salvezza che gli si presenta…. La principessa, dopo il suo matrimonio col marchese, ha avuto due parti molto laboriosi e molto infelici…. Essa sta ora di nuovo per divenir madre…. Hanno fatto venir da Vienna un celebre specialista. Egli mi ha detto, poichè avevo interesse a saperlo, che la marchesa questa volta ben difficilmente sopravviverà al suo parto: e ben difficilmente anche questa volta il frutto di lei sarà vitale…. Se ciò accade, il marchese è perduto: nè la nonna di Parigi, nè la zia di Genova lasceranno a lui un picciolo, poichè lo aborrono…. Ecco in quali speranze e in quali terrori si dibatte in questo momento il marchese…. E forse, temendo il peggio, vorrà propiziarsi, in questo stesso momento, suo cugino. Ma, domani, il duca non potrà aiutarlo, senza partecipare al disonore di lui, senza esser trascinato nella stessa rovina…. So quello che io dico…. Nel corso della notte sarà decisa l'esistenza del marchese.
—Non mi meraviglierei,—osservò il conte,—che la decisione fosse propizia. Vi sono uomini che calpestano la fortuna, la insultano, e a cui essa, appunto come femmina, corre dietro.
—Non me ne meraviglierei neppur'io!—soggiunse l'avvocato.—Pietro ha avuto sempre una fortuna uguale, per lo meno, alla sua mancanza di coscienza. Gli errori cagionati da questa li potè sempre riparare, sin ora, coi favori dell'altra….
—Oh, il duca!—
Il duca di Montrone scendeva la fastosa scala, che era dinanzi alla porta principale della sua villa da sovrano, dando il braccio a sua figlia.
Enrica, pallidissima, scendeva lentamente e come se dovesse ad ogni tratto cadere.
Subito i gentiluomini andarono incontro al duca per festeggiarlo.
Erano pochi amici, arrivati innanzi tempo, per essere tra i primi a stringere la mano al valoroso, all'antico compagno di eleganti dissipazioni.
Il marchese già doveva avergli parlato, poichè usciva dalla villa dopo il duca ed Enrica.
—Viva il duca!
I contadini, scortati da Domenico, che pronunziò poche parole, si stringevano attorno al gentiluomo, urlando a tutta possa, agitando rami fioriti. Incominciò la danza della tarantella; la dolce musica napoletana risuonava sotto il bel cielo di opale e di azzurro.
Una delle ragazze offrì alla figlia del duca un magnifico mazzo di fiori.
Essa rispose con un sorriso, tra sarcastico e altero, senza gentilezza di sorta.
Tutte guardavano Enrica, rigida, benchè in preda a una sofferenza che le traspariva dal volto; seducente ma d'una di quelle bellezze che fanno paura.
Il duca stringeva la mano a' suoi contadini; e specialmente coi vecchi, i quali l'avean tante volte, bambino, gratificato ne' suoi desiderii, e aveano tanto amato i suoi genitori, si mostrava espansivo.
Uomini, donne, si trovavano col duca a loro agio; la sua gaia affabilità li confortava, ispirava in essi riconoscenza; ma l'aspetto di Enrica li turbava, li agghiacciava sempre.
Essa era sì indifferente, sì sdegnosa e, sembrava loro, sì cattiva, che lasciava in quelle povere anime un vero sgomento.
Enrica avea sentito più volte questo effetto che ella destava, e ne avea gioito, come se le andasse a versi di esser tenuta una creatura malefica: come se godesse del maligno influsso che esercitava.
Non sì tosto il duca era comparso con Enrica sulla soglia della porta della villa, si erano sparati da un'altura del parco mortaretti e per tutto il parco rimbombavano colpi di fucile in segno di gioia.
Il duca, nel rivedersi in mezzo a' suoi, era commosso, ravvivato da vera allegrezza.
A un tratto, in mezzo alla folla, Cristina si avvicinò al giardiniere
Domenico.
—Ubriacone!—gli mormorò.
—Sono io!…
—Nella casetta… in fondo al parco… tutto è in ordine…. Questo è il momento!
Domenico si turbò un poco.
—Ho capito!—rispose in un tuono che l'altra fu soddisfatta….
Di lì a pochi minuti, Domenico fu alla casetta.
La strada, che corre in fondo al parco, era deserta.
In quell'ora tutte le persone dei dintorni si trovavavano a festeggiare il duca: e, per ordine suo, in un attimo s'erano imbandite le mense per rifocillare, dopo le danze, la gente accorsa; qualche centinaio di persone.
Domenico avea attaccato una delle carrozze di cui si serviva Enrica: e dentro vi avea accomodato un oggetto recato con pena e con ogni cura fra le sue braccia: oggetto che dovea essere molto prezioso, poichè, innanzi di deporlo nella carrozza, avea guardato più volte a destra e a sinistra: e avea chiuso la carrozza ermeticamente da tutti i lati, dopo aver tirato giù le tendine azzurre sui vetri.
Incominciava a cadere il crepuscolo, allorchè Domenico, salito a cassetta, con piglio assai vivace, aveva sferzato i cavalli, che s'impennavano.
Subito uscì, di dietro a un gruppo d'alberi, Cristina, sempre più pallida e più contraffatta.
—Guarda,—gli disse,—beone, di non fermarti a nessuna osteria…. E attento a non parlare a nessuno…. È il segreto di una povera donna…. Se tu cianciassi… sarebbe licenziata….
Aprì una cassetta, ben salda, che era sul dinanzi della carrozza, e mostrò a Domenico un sacchetto pieno di ducati.
—Questo per la donna….
—Ho capito!—ribattè Domenico con sufficienza. E i cavalli partirono.
—Il segreto di una persona di servizio!—pensava Domenico,—come se io non sapessi i segreti de' gran signori….
E continuava, con le guide in mano, a stringer le labbra, ad alzar le spalle, a far gesti, come per assicurarsi che il segreto sarebbe morto con lui!
Il duca, intanto, parlava col conte di Squirace.
Il conte non cavava gli occhi di dosso ad Enrica. Essa gli piaceva: aveva cercato più volte vederla durante l'assenza del padre, ma indarno.
Le aveva scritto: ne avea ricevuto ripulse: le si era mostrato, quando frequentava la casa di lei, appassionatissimo: ella gli aveva risposto con indifferenza e quasi con oltraggio.
Gli sembrava che ora, invece, l'incoraggiasse.
Le parole da lei indirizzategli non erano improntate della solita asprezza.
Il conte si permise far rilevare al duca che la bellezza della sua figliuola andava sempre crescendo: che, anche in quel punto, benchè malazzata, non perdea della sua gran venustà.
—Essa ha un fascino strano,—diceva il conte al suo provetto amico.—Non credo ci sia oggi in Napoli un'altra bellezza più singolare, e che commuova, al primo riguardarla, più della bellezza di lei…. Qual trionfo l'aspetta nel nostro gran mondo… alla Corte….
—Oh, io non mi curo,—rispose il duca,—di queste frivolezze…. E non credo neppure che Enrica se ne curi…. Essa è un po' altera, ma non ambiziosa: almeno se io ben la conosco…. Or è un anno, il giovane principe m'ha parlato di lei…. La lodava quasi con entusiasmo dinanzi alla regina madre: ma ciò era un semplice pretesto—per far arrabbiare la nuova favorita di allora, che assisteva al colloquio, la principessa di Sarno….
—La mia, tutt'altro che venerata cugina….
—Ma resterete qui con noi almeno fino a domani,—interruppe il duca, distratto dalle persone, che ogni tanto gli s'avvicinavano, gli facevano festa con gli sguardi, coi sorrisi, o aspettavano da lui una parola.—Restate: stasera a cena dobbiamo essere una ventina…. Ho fatto apprestare tutte le camere nelle due villette, che servono per gli ospiti, affinchè essi possano avere la massima libertà. Vedete, in fondo al giardino… là….
Vi si arrivava dalla via principale per una serra, piena di palme, di orchidee, di nepenti….
Il conte accettò l'invito.
Sapeva benissimo che Enrica non avrebbe assistito alla cena: ma pensava che la mattina appresso gli sarebbe venuto l'atto d'incontrarla nel parco: avrebbe potuto parlare.
A ogni modo era lieto di esserle vicino.
Dopo la cena, che durò sino a ora inoltrata della notte, si coricò molto allegro: il suo ultimo pensiero, prima di addormentarsi, fu per la bizzarra donzella.
Il conte di Squirace aveva appena trent'anni: era stato sempre ordinato nella sua vita, ma lo tacciavano di carattere doppio, di avarizia, di meschini appetiti.
Il duca, lasciati, a tarda ora, dopo cena, i suoi convitati, era entrato nelle sue stanze.
Provò il bisogno di riconcentrarsi, dopo tutte le commozioni, i rumori della giornata.
Aveva, sin dalla sera innanzi, una spina fitta nel cuore.
Non gli era sembrato che sua figlia lo avesse accolto con sufficiente espansione: sopra tutto era inquieto di averla ritrovata così cagionevole di salute, così pensosa… così abbattuta.
Aprì la finestra del suo salotto e mise il piede in una ampia terrazza, che dava sulle serre dello splendido giardino.
In un gruppo d'alberi vide il riflesso di un lume.
Alzò il capo: e s'accorse che il lume veniva dalle finestre della camera d'Enrica.
Scorse un'ombra, poi un'altr'ombra di donna disegnarsi sugli arbusti illuminati.
Enrica e Cristina vegliavano.
—Come mai,—pensò il duca,—a quest'ora ella, tanto sofferente, non si è coricata?
Il duca ebbe l'idea di salire da sua figlia.
Ma a un tratto le imposte delle finestre della camera furono chiuse.