Читать книгу Il Misterioso Tesoro Di Roma - Juan Moisés De La Serna, Dr. Juan Moisés De La Serna, Paul Valent - Страница 5

CAPITOLO 1. IL DESIDERATO VIAGGIO

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Se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto. Chi lo avrebbe detto, che un viaggio on the road si sarebbe trasformato nella mia migliore avventura e che grazie a quello avrei potuto salvare la vita della persona che successivamente sarebbe diventata la mia sposa per trenta felici anni?, a volte la memoria mi gioca brutti scherzi e mi è difficile ricordare luoghi o date, per questo racconterò i fatti nella maniera più fedele possibile per fare in modo che questo testo diventi il mio diario.

Nella vita, come immagino in quella di tutti, ho avuto molti momenti belli e felici e pure difficili e tristi, però nessuno tanto importante come quello che arrivò quella settimana e che così tanto segnò il mio modo di pensare e il mio futuro.

Un amico molto tempo fa mi convinse a lasciare le mie memorie per iscritto, ma non è stato fino a questi ultimi giorni che mi sono deciso a farlo, forse non l’ho mai fatto prima per pigrizia o perché pensavo di avere ancora molti anni davanti a me, ma ora è diverso …

Nessuno mi ha detto come farlo e non sono sicuro che tutto andrà bene, forse ometterò molti dettagli, potrei persino confondere i nomi, ma la mia mente è limpida per quanto riguarda gli eventi che mi sono accaduti.

Con i miei ottant’anni recentemente compiuti, mi rendo conto che gran parte dell’emozione vissuta in quel momento è stata decisamente il risultato della mia inesperienza e inconsapevolezza su molte cose, che a poco a poco ho imparato e compreso nelle mie successive ricerche e viaggi.

La mia stanza piena di foto e ricordi come statue e monumenti in miniatura, tappeti ricamati con motivi tipici, mi riporta a uno dei molti luoghi in cui ho vissuto.

Se mi chiedessero da dove vengo, non potrei rispondere precisamente, conosco il posto e il giorno in cui ho visto la luce per la prima volta così come è scritto nel mio passaporto, ma poi … Ho vissuto in così tanti luoghi e continenti, a volte con soggiorni di tre mesi, altri di anni e in generale ho tentato di aiutare e collaborare in ciò che potevo.

Per questo, nel corso del tempo ho meritato alcune medaglie e altri premi, anche se il migliore ringraziamento per il mio lavoro lo vedevo ogni giorno sul viso dei miei studenti, nella felicità dei loro volti che riflettevano allo stesso modo entusiasmo, desiderio e speranza.

I miei cari studenti…! Sono sempre stati la mia grande fonte di ispirazione, anche se in diverse occasioni ho accennato loro dell’argomento, credo che non siano mai riusciti a credermi del tutto, ma ho imparato più da loro di quanto io non sia riuscito a trasmettere.

Beh, prima che mi perda, ogni cosa a suo tempo, perché non ho intenzione di raccontare tutta la mia vita, ma unicamente mettere per iscritto, quasi come un manifesto, quello che è stato senza dubbio il periodo più intenso e importante di tutti i miei anni vissuti.

Era mattina presto, di un giorno d’estate … no, di primavera! Ora ricordo che uno dei miei compagni di viaggio era ancora provato, per non dire ubriaco, dopo la recente celebrazione che ora si chiamerebbe “Festa di primavera”, che aveva riunito così tanti giovani nel campus.

Sebbene non fossimo tutti studenti, sapevamo goderci la festa ugualmente, con musica e balli condividendo e passando con gli amici, un momento di svago lontano dalla pressione degli studi e dalle lezioni restrittive.

C’era anche chi aveva portato qualcosa da sgranocchiare, preparato dalla mamma; beato lui! che poteva ancora gustare le prelibatezze della cucina di famiglia e non come la maggior parte di noi reclusa nel campus a mangiare quei piatti insipidi che avevano il sapore del cibo dell’ospedale.

Nonostante fossero ben cotti o stufati, erano sciapi e avevano lo stesso sapore ogni giorno, anche se cambiavano il menu perché mangiassimo bene con un equilibrio nutrizionale adeguato alla nostra costante attività fisica e intellettiva, ma per quanta varietà ci fosse, i piatti venivano fatti senza quel pizzico di amore e affetto che aggiungono le nostre madri, proprio come gli ingredienti segreti dei grandi cuochi.

Ma non tutti si divertivano allo stesso modo, i più sciocchi svuotavano le bottiglie di birra, come se fosse stata acqua di fonte, che avevano portato in alcuni fiaschi, pur sapendo che erano proibite.

Noi altri, essendo un po’ più consapevoli del fatto che nel pomeriggio avremmo avuto lezione, ci siamo solo goduti il momento, senza cercare eccessi.

Alla fine, dovetti accompagnare uno di quei compagni che aveva bevuto nella sua stanza, con un intenso odore di birra che faceva ribrezzo, perché non era in grado di arrivarci dato che le sue gambe non potevano sopportare il suo peso.

E quando provavano a camminare da sole, lo facevano traballando per alcuni brevi passi fino a quando non crollavano all’improvviso, finendo sul pavimento senza aver fatto nemmeno due metri, come se fosse stato un bebè che stava imparando a camminare.

Nel frattempo, i ragazzi balbettavano ripetendo continuamente che dovevano tornare nella loro stanza, come se il senso di colpa si fosse impossessato della loro mente e non si accorgessero di non poter proseguire oltre, essendo impossibile convincerli a starsene calmi e seduti in un posto fino a quando fosse passata la nausea e con ciò poter intraprendere quella missione stoica quasi impossibile da realizzare di tornare ai loro alloggi.

Un’immagine deplorevole quella di alcuni grandi sportivi come alcuni di loro, ora invece nemmeno in grado di stare in piedi per più di qualche minuto.

Alcuni di noi hanno dovuto intervenire portandoli nei loro dormitori per riposare per quello che restava della notte, sapendo che il giorno dopo non sarebbero stati in forma e con grandi mal di testa, ma era ciò che spettava loro per i loro eccessi.

L’alba era spuntata luminosa, non me ne ricordo una così soleggiata ed erano solo le sei, ma ero così emozionato che dovetti alzarmi e iniziare a fare qualcosa, tuttavia, era già tutto pronto.

I molti anni di disciplina in questa accademia mi avevano reso un uomo tutto d’un pezzo, quadrato nei suoi pensieri, ordinato e lungimirante, al punto che avevo già preparato la mia valigia da quasi una settimana.

Per quanto riguardava gli abiti che avrei indossato, alcuni ragazzi avevano proposto di vestirci tutti in modo simile, forse lo stesso tipo di vestiti o indossando qualcosa di un determinato colore, ma l’idea venne scartata dalla maggioranza già stanca di indossare un’uniforme tutti i giorni per vestirsi di nuovo allo stesso modo durante il viaggio.

Presi solo un paio di pantaloni, diverse camicie, un gilè, calze e biancheria, che occupavano gran parte della valigia insieme alla guida di viaggio del paese e un quaderno per prendere appunti degli eventi più importanti di ogni giorno.

È proprio questo che sto consultando per ricordare i dati più straordinari del viaggio perché ho smesso di fidarmi della mia memoria da molto tempo, da quando un giorno mi sono ritrovato in mezzo alla strada, camminando con calma e fermandomi, mi ritrovai per un momento con la mente vuota.

Stavo cercando di ricordare dove stessi andando, cosa stessi per fare e, cosa più preoccupante, non sapevo da dove venissi e nemmeno dove vivessi, tutto intorno a me sembrava strano e nuovo, e non avrei saputo dire se fossi già passato per quella strada.

Diventai molto nervoso guardando dappertutto, vedevo le persone che passavano con noncuranza come una madre con un bambino che correva accanto alla carrozzina che spingeva, all’interno della quale un neonato vestito di rosa riposava placidamente, con un nastro dello stesso colore intorno alla testa.

Dopo passò un uomo che teneva il cane al guinzaglio e portava un giornale arrotolato sotto il braccio, forse era uscito proprio per quello, per comprare il giornale, ma dove era il negozio? E quale era il giornale che leggevo di solito?

Il mio respiro accelerava man mano che il tempo passava senza una risposta, guardando dappertutto, cercando di fermare le persone che passavano tranquillamente, per chiedere loro se mi riconoscessero e se potessero aiutarmi a tornare a casa.

Le macchine andavano e venivano sulla strada vicina fino a quando una di esse si fermò e senza uscire, il passeggero mi chiese con tono affabile, – C’è qualcosa che non va?

Non sapevo cosa rispondere, non sapevo nemmeno perché si fossero fermati, era possibile che mi avessero riconosciuto, forse erano vicini, amici o parenti … avrebbero potuto persino essere i miei figli e non sarei riuscito a ricordare.

Mi voltai per dare loro le spalle, imbarazzato per la mia situazione, mi sentii così inutile e sconcertato che cominciai a tremare dalla disperazione, guardando dappertutto, sapendo che mi avevano fatto una domanda diretta, ma di cui non conoscevo la risposta, non sapevo … neppure come mi chiamassi.

–Non si preoccupi, signore! Si lasci aiutare da noi! La prima cosa che dobbiamo sapere è il suo nome e se abita qui vicino, insistette l’uomo mentre scendeva dall’auto e si dirigeva verso di me, rivelando una sagoma rotondetta, rivestita con una vistosa camicia blu e pantaloni dello stesso colore.

Continuavo a diffidare di lui che, pur usando un tono rassicurante, mi si avvicinava con troppa confidenza mentre a me che non ricordava nessuno, sembrava di vederlo per la prima volta e mi sforzavo di ricordare, ma … senza successo.

Non si preoccupi, sono un poliziotto – disse mentre si metteva in testa quel cappello particolare che rapidamente riconobbi, – non ha nessun documento? Forse nel suo portafoglio! -

Sebbene fossi felice di aver riconosciuto la sua professione, non fui in grado di pronunciare alcun suono, perché la mia bocca era come impastata, con una grande sensazione di secchezza e non riuscii balbettare nemmeno una parola.

Ma, anche se non avessi avuto queste difficoltà ad esprimermi, non avrei saputo cosa dire perché non riuscivo a concentrarmi, mentre il mio respiro accelerava per la confusione del momento. Riuscivo a malapena a sentire cosa stesse accadendo intorno a me, ascoltando come se fosse molto lontano, come se io non fossi presente a me stesso.

Guardi nella tasca posteriore- insistette l’ometto in tono quasi paterno, il cui collo era appena distinguibile dal resto del corpo, mentre mi metteva una mano sulla spalla.

–Dietro?– Risposi tra i denti quasi impercettibilmente mentre mi riprendevo grazie a quel piccolo tocco che mi aveva dato sulla spalla che mi era sembrato una grande dimostrazione di affetto, come era solito capitarmi quando, prima i miei figli e poi i miei nipoti, mi abbracciavano.

Inspirando profondamente un po’ angosciato dalla situazione, spostai la mano ancora tremante all’indietro e con mia sorpresa toccai qualcosa di duro in tasca, lo tirai fuori e c’era quello di cui stava parlando il poliziotto, un portafoglio con la foto identificativa di qualcuno, che pensai fosse mia ed era per questo che lo stavo portando con me.

Furono giorni difficili per me, i dottori mi ordinarono di riposare e di mangiare molta frutta secca, circa un centinaio di grammi di noci al giorno, ma ogni volta che potevo, le scambiavo con le nocciole che mi piacciono di più. Fortunatamente le infermiere mi assistettero ogni giorno fino a quando non fui in grado di ritornare a valermi di me stesso, anche se non tornò mai ad essere come prima.

Ora portavo sempre, in casa e per strada, una collana salvavita con un bottone, che premevo quando ero in difficoltà, o quando non sapevo dove fossi o come tornare a casa mia. Dopo averlo premuto, se fossi stato in strada, avrei dovuto solo aspettare qualche minuto perché qualcuno venisse ad aiutarmi.

Se fossi stato in casa, la televisione si sarebbe accesa e una ragazza gentile mi avrebbe chiesto di che cosa avessi avuto bisogno. Sebbene quelle precauzioni sembrassero eccessive, era anche vero che mi avevano tirato fuori da più di un guaio.

Diversamente da come mi sentivo quando ero più giovane, svegliarmi ogni giorno era motivo di gioia, sapendo che avrei potuto ancora fare qualcosa per gli altri, perché, sebbene fossi in pensione da molto tempo, non avevo certo smesso di fare ciò per cui credo di essere nato: fare del bene per gli altri.

Ho già realizzato con i miei sogni di ambizione alla ricerca di una posizione nella società, il rispetto degli altri e la possibilità godere di abbastanza denaro per avere una confortevole vecchiaia, ma ora tutto ciò mi dava l’impressione di essere un ricordo vago e banale.

Tanto tempo sprecato in queste piccolezze, così tanta vita non vissuta passata a preoccuparmi e prepararmi per il futuro e quando tutto questo arriva, diventa insignificante. Un’esistenza vuota che riuscivo a colmare a poco a poco grazie a quello che è stato il mio grande amore iniziato durante l’adolescenza e che rimase fino a quando se ne andò.

Se mi fossi dedicato al settore immobiliare, ora avrei molti possedimenti, se fossi stato un banchiere, molti soldi, ma nonostante mi fossi dedicato solo ad aiutare gli altri … Mi sentivo tremendamente fortunato per questo.

Beh, proseguo la mia narrazione …, vediamo …, ero con i ragazzi della festa di primavera … no, questo l’ho già raccontato, era … il giorno successivo.

Verso le sette scendemmo tutti a fare colazione, beh, tutti quelli che riuscirono a svegliarsi, visto che c’erano quelli che dormivano ancora sbronzi.

Alle dieci eravamo sull’autobus per l’aeroporto, c’erano circa una quarantina di persone da tutte le facoltà che come noi avevano deciso di fare questo viaggio.

Per farlo fummo costretti a raccogliere i soldi necessari, vendendo camicette o giornali e tutti i tipi di dolci per accompagnare il pasto e, naturalmente, abbiamo fatto la festa delle imitazioni, in cui tutti noi che avremmo fatto il viaggio imitavamo un cantante del momento diverso, individualmente o in gruppo.

L’idea non era quella di renderlo perfettamente, solo di intrattenere e divertire un pubblico affezionato, che cantava in coro tutte le canzoni, rendendo la recitazione più facile.

I vestiti non ebbero molto successo, perché non avevamo dedicato molto tempo a prepararli, dato che gli esami erano vicini, ma ciò non significava che per un paio d’ore tutti i partecipanti non si potessero divertire. Anche tra il pubblico c’era qualcuno che ogni tanto saliva sul palco nell’intervallo tra le esibizioni per improvvisare la sua canzone con lo stesso successo delle altre.

Quel giorno non si parlava di nient’altro in facoltà, si congratulavano con noi nei corridoi, come se fossimo stati eroi destinati a un’epopea gloriosa che sarebbe rimasta negli annali della storia.

Alcuni ci prendevano in giro per la nostra sconsideratezza, perché ce ne saremmo andati prima degli esami finali, senza nemmeno sapere se ci saremmo laureati quell’anno o no, ma a nessuno di noi importava, con l’aspettativa di ciò che speravamo sarebbe stata un’avventura memorabile, come alla fine fu, almeno per me.

Già sull’autobus parlavamo di ciò che credevamo che avremmo trovato, dal punto di vista più culturale e storico, partendo dai luoghi solo di interesse turistico, fino ad arrivare alle cose più superficiali che diventarono il tema centrale del resto del tragitto verso l’aeroporto, le ragazze.

Avevamo tutti un’immagine idealizzata di quelle preziose creature, ma l’opinione di uno differiva da quella di un altro, c’erano tante opinioni quante persone in quel veicolo, anche se avessimo chiesto all’autista ce ne avrebbe illustrata una totalmente nuova.

L’unico che sembrava avere un’idea esatta della realtà della nostra destinazione era il capo dell’organizzazione del viaggio, dal momento che aveva passato diverse estati nel paese, anche al sud, sulle spiagge e ora avremmo fatto il centro. Nonostante questo, in quel grande paese c’erano numerosi luoghi da visitare, che si distinguevano per una o per l’altra caratteristica.

Dai vigneti del sud, con le sue spiagge e quella montagna fumante sempre in procinto di scoppiare, alla città della moda nel nord e che ha una delle squadre di calcio più riconosciute al mondo, passando attraverso molte città e paesi con tradizioni secolari, alcune in cui venne segnato il corso della storia del paese, altre che racchiudono una propria architettura o la bellezza del paesaggio eccezionale.

Roma, fu la nostra destinazione finale, scartando per lei Parigi, Amsterdam o Madrid come città papabili che si sono distinte per avere alcune delle seguenti due caratteristiche: una certa tradizione e cultura rinomate e un’atmosfera amichevole e giovane.

Anche se si sarebbero potuti includere molti altri posti in questo elenco, la verità era che c’erano solo queste quattro possibilità e tra queste era stata scelta Roma, perché nessuno tranne uno la conosceva, mentre per quanto riguarda le restanti, alcuni erano già stati in un posto o nell’altro.

A quel tempo non sapevamo molto bene con cosa ci saremmo dovuti confrontare, tutto era organizzato come un viaggio di gruppo, trasferimenti, soggiorno e persino cibo e dovevamo solo prendere qualche lira, la valuta locale, per comprare qualche souvenir.

Per quelli, molti di noi hanno cambiato un piccolo importo in banca prima di partire, anche se c’erano coloro che preferivano farlo all’aeroporto di arrivo perché speravano che il cambio di valuta fosse più favorevole nel paese di destinazione.

Era una di quelle cose tipiche di quando si è giovani credere che, facendo un po’ di soldi, risparmiando molto su alcune piccole cose, si sarebbe potuta fondare una grande azienda un domani.

Ora che mi ricordo molti dei miei compagni laureati sono stati alti dirigenti di importanti aziende, tra cui uno è stato direttore del FMI (Fondo monetario internazionale), dove nessuno di noi sognava di arrivare nonostante l’influenza, il potere e il denaro di qualcuno dei nostri genitori, ma di quei giovani impetuosi e ambiziosi, cosa rimane adesso?

Di tanto in tanto ci siamo rincontrati con alcuni compagni per festeggiare il trascorrere dei decenni da quando ci eravamo diplomati, ma di quelli, con i quali ho avuto più contatti, non rimane nessuno.

Gli anni si sono fatti sentire con tutti, nonostante le grandi fortune che alcuni hanno accumulato o le molte operazioni a cui più di uno di loro si è sottoposto, per cambiare la milza, il fegato o persino il cuore, tentando di rimediare agli eccessi della gioventù , cercando di ingannare la morte, ma prima o poi arriva per tutti noi, non so perché non abbia ancora raggiunto me, forse ho ancora qualcosa da fare ma non saprei cosa.

Bene, ora che ricordo, conosco un amico che dopo aver sprecato la sua fortuna in donazioni per centri di ricerca per trovare una cura per quella terribile malattia che è la vecchiaia, tutto ciò che ha ottenuto è una solitaria fredda bara, lunga un metro e ottanta per settanta di larghezza, in un centro sperimentale dove mantengono il suo corpo criogenizzato.

Lì rimane inerte come se fosse in un sonno profondo, aspettando che, tra qualche anno, forse qualche decennio, la tecnologia avanzi così tanto da poterlo rianimare per garantirgli la tanto desiderata lunga vita.

Personalmente e dopo essere sopravvissuto a così tanti, capisco che pochi anni sarebbero bastati … se mi fossi reso conto di ciò che è veramente importante.

Tanto tempo sprecato nella ricerca e nel desiderio, senza conoscere il vero valore di ogni istante. Molte volte ho pensato che se avessi una seconda possibilità, cambierei molto di quello che ho fatto. Non che me ne penta perché ho una coscienza pulita, ma farei le cose in un altro modo e anche in un altro ordine.

Così tanti ricordi, così tante esperienze e ora sono solo le foto di un vecchio album accumulate in un qualche cassetto, o alcune incorniciate e appese al muro in attesa che qualcuno venga a chiedermi qualcosa.

Non sono mai stato molto bravo a raccontare storie, perché la mia fretta mi ha sempre consigliato di andare al punto, omettendo i dettagli, ma ora, anche se volessi quei dettagli, non esisterebbero più, solo le foto e alcune note, il resto è come se fosse in mezzo ad una fitta nebbia mattutina, che nasconde il paesaggio.

E ciò mi dà una strana sensazione, a volte di ammirazione e altre di impotenza, sapendo che ci sono tesori dietro la nebbia, hai la certezza che siano lì, ma sono inaccessibili per me.

Mia moglie, lei sì che era eccezionale nel ricordare anche i più piccoli dettagli di qualsiasi viaggio, incontro o conversazione, era incredibile la chiarezza con cui li raccontava, era come se li avesse davanti a sé e potesse descriverli.

Ancora mi stupisco quando ricordo come fosse in grado di riconoscere persone che non incontrava da anni e semplicemente vedendole sapeva perfettamente chi fossero e di cosa avessero parlato l’ultima volta.

Una memoria prodigiosa che le ha permesso di imparare qualsiasi argomento vedendolo praticamente una volta sola.

Mi diceva che doveva questo al fatto di avere una memoria fotografica, ma io ridevo dicendo che non esistevano macchine fotografiche nemmeno tra quelle moderne in grado di registrare tante immagini quanto lei.

Ah, mia moglie! Non credo ci fosse sulla Terra un essere tanto speciale quanto lei, è un peccato che se ne sia dovuta andare così presto, con tutto ciò che avevamo ancora da condividere, così tanti viaggi da fare … mi sembra ieri quando la incontrai per la prima volta e invece ora …

Com’è strana la memoria! Per quello che vuole ricorda tutto e il momento successivo c’è solo il vuoto, se solo potessi conservare i miei ricordi per un momento …! A che serve tutto ciò che ho vissuto se non posso ricordarlo, per fortuna che il mio lascito rimarrà ai miei studenti.

Grazie a loro e ai loro figli, tutto ciò che ho saputo, rimarrà per le generazioni future. In verità sarei soddisfatto se anche solo uno di loro facesse uso di ciò che gli è stato insegnato e che con esso fosse in grado di migliorare la sua vita.

Bene, bando alle ciance … per fortuna ho qui davanti a me il diario di viaggio aperto per ricordarmi dove stavo andando, vediamo, cosa ho appuntato di quel momento nel mio diario?

“Il 23 aprile 1953. Oggi siamo usciti alle dieci e siamo andati a Parigi per cambiare aereo fino a Roma. All’arrivo siamo stati prelevati da un autobus per andare all’hotel. Una struttura pittoresca di camere piccole e letti un po’ duri, ma con una vista incredibile e una posizione eccezionale nella zona turistica. Primo giorno dell’avventura, dividendo la stanza con Arthur, che russa così tanto da non farmi dormire”

Questo è quello che avevo scritto insieme al simbolo della porta dell’hotel, lo stemma della famiglia del proprietario dello stabile.

Beh, non ricordo molto bene cosa accadde, ma ciò che è chiaro è che nessuno di noi trascorse la notte in hotel, dato che volevamo approfittarne per visitare la città e sapere ciò che non c’era nei libri.

Alla fine, siamo dovuti tornare in albergo scoraggiati e con il corpo stanco a causa di una notte sfiancante e infruttuosa, dopo aver camminato molto, per quelle strade buie e scarsamente illuminate, con una penombra costante rotta esclusivamente da alcuni lampioncini, la cui fiamma esausta stava per spegnersi.

E tutto questo camminare per niente, perché non siamo riusciti a raggiungere la nostra destinazione, dove ci era stato assicurato che avremmo potuto trovare un’atmosfera festosa in qualsiasi momento dell’anno.

Forse fu una strada mal percorsa, un angolo sbagliato, una piazza in cui svoltammo nella direzione opposta, ciò che ci ha deviato dal nostro obiettivo, qualunque cosa fosse, non ha dato fastidio a nessuno di noi perché fu tutta un’esperienza vedere la città con altri colori, protetti da una bellissima e luminosa luna piena che rifletteva sulle sinuose pareti le ombre delle statue e le decorazioni delle case di epoca medievale.

I nostri sogni infranti di quella notte non ci impedirono la mattina successiva di visitare buona parte del centro, per questo avevamo l’aiuto di una persona che ci aveva fornito l’ambasciata.

Era un uomo anziano, di robusta costituzione e con una certa aria bohémien, per come si atteggiava e per il fatto che indossasse quel vistoso foulard al collo, ripiegato verso l’esterno.

Che ricordi, quella fu la prima volta che vidi un uomo indossare un fazzoletto come un indumento, al di là di quello con cui le ragazze si coprivano la testa quando era molto arioso, per evitare che i capelli si increspassero.

Quest’uomo lavorava per noi sia come guida turistica, che per controllare le nostre azioni, perché era stato incaricato di prendersi cura di noi, in modo che non ci infilassimo in troppi guai durante il soggiorno in città.

Anche se non penso che fosse necessario perché eravamo tutti consapevoli della situazione politica del momento, della natura delicata della nostra presenza a causa delle implicazioni internazionali che ciò comportava, quindi abbiamo cercato di attenerci a ciò che era stato il piano approvato, ma tutto andò fuori controllo quando capitò il primo grave incidente del viaggio.

Nonostante i molti avvertimenti sul fatto che la nostra presenza in quel luogo avrebbe potuto suscitare sospetti tra i suoi abitanti, non avevamo visto un solo gesto negativo. Inoltre, non ci aspettavamo che questo ci colpisse troppo perché avevamo pochi giorni a disposizione per vedere tutto e stavamo seguendo il piano, ma un incidente con uno dei compagni, al quale rubarono i pochi soldi che portava con sé, fece in modo che il gruppo si disfacesse e si disgregasse.

Alcuni compagni, compreso quello colpito dal furto, iniziarono l’inseguimento di quel malfattore, guidati più dallo sdegno provocato e per il fatto che se ne fosse scappato e fosse scoppiato a ridere a pochi metri da dove aveva compiuto il furto, mostrando con beffa il suo bottino, piuttosto che per la perdita economica, ma ogni tentativo di risolvere la situazione fu vano.

Non che corresse troppo, ma conosceva tutti gli angoli e le complessità di quei vicoli, e in più senza sapere da dove, uscirono un paio di suoi compari, il che rese difficile l’inseguimento, mettendosi in mezzo, mandando all’aria così le possibilità di raggiungere il criminale.

Sebbene non credo che quelli che già partiti all’inseguimento avessero molto chiaro cosa avrebbero fatto una volta raggiunto lui e recuperati i soldi, reagirono solo istintivamente come cani da preda in cerca del loro trofeo.

Ciò causò una sensazione spiacevole nel gruppo, spezzando l’armonia che c’era stata fino a quel momento.

Alcuni decisero di tornare in hotel, chiamare l’ambasciata e informarli di ciò che era appena accaduto e chiedere nuove istruzioni su cosa fare. Alcuni fecero pressione sulla nostra guida perché facesse intervenire la polizia, i Carabinieri, ma lui faceva di no con la testa perché ciò che era successo pareva più normale di quanto ci avessero detto.

Noi pochi che non eravamo stati coinvolti nella situazione, preferimmo continuare con l’escursione, sapendo di non avere troppi giorni prima che finisse il nostro soggiorno dato che la perdita prodotta, aveva influenzato soprattutto l’orgoglio di quel giovane che era stato violato nella sua intimità con quel furto, per quello non credemmo di dover interrompere le nostre attività culturali visitando i luoghi più interessanti della città.

La guida vedendo questo scompiglio indicò a noi pochi che volevamo continuare la visita dove dovessimo andare e a che ora saremmo dovuti tornare per mangiare, visto che lui alla fine decise di tornare in hotel con i compagni che volevano avvisare l’ambasciata.

Alcuni, cambiando idea, rimasero piuttosto turbati dal fatto che non avesse fatto intervenire le autorità locali e continuarono l’escursione con noi.

Non eravamo nemmeno la metà del gruppo, alcuni rimasero sul posto aspettando che quelli che avevano inseguito il malfattore tornassero in modo da poter indicare loro dove fossimo per riunirci prima di andare a mangiare.

Ora sì che era un’avventura quella, in un paese di cui ignoravamo la lingua, e che ovunque guardassimo ci era completamente sconosciuta la cultura locale.

Avevamo già visitato con la guida i monumenti più importanti, il Colosseo e il Foro, quindi ora ci stavamo dirigendo a conoscere alcune delle tante chiese che sono distribuite nel centro senza alcun tipo di ordine o sistema, come gocce di rugiada nel campo, in attesa di essere scoperte dal visitatore.

Quelle visite di contenuto religioso non avevano molto senso per me, perché avevo da tempo abbandonato le mie convinzioni, quindi non trovavo alcun significato nell’entrare in ogni chiesa per vedere alcune pale d’altare dipinte secoli prima o per ammirare una statua o un’icona, per quanto notevole, antica e ben fatta che fosse.

Ma con mia sorpresa le chiese non contenevano solo architettura e resti di tematica religiosa, erano anche rifugi per molti altri elementi, resti archeologici o appartenenti alla cultura popolare indipendentemente dalla loro origine, poiché erano diventati luoghi di rifugio per pezzi artistici, non era necessario che l’argomento fosse esclusivamente religioso.

Ne è stato un esempio la visita che abbiamo fatto alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin, al cui esterno si trova quel resto archeologico di un grande tondo scolpito con l’immagine di una persona anziana con i capelli in disordine e la barba arruffata, con uno sguardo fisso e inquietante e con la bocca aperta.

All’inizio siamo rimasti un po’ sorpresi, mentre procedevamo avanti con la fila e di fronte alla nostra perplessità uno di noi osò mettere la mano lì e non accadde niente, dopodiché l’abbiamo messa tutti con lo stesso risultato, senza comprendere appieno il significato nè a cosa servisse.

Più avanti in hotel la guida ci avrebbe spiegato che si trattava della Bocca della Verità, nella quale, una volta introdotta la mano destra nell’apertura, se la persona che l’aveva fatto non diceva la verità, la avrebbe persa.

Successivamente abbiamo continuato a girovagare per la città, stupiti dalla quantità di resti artistici e culturali sopravvissuti allo scorrere degli anni.

Avevo sentito parlare dei castelli del Medioevo, quelle sontuose e grandiose costruzioni, fortificazioni erette per salvare le proprietà dei re e dei signori feudali del luogo, insieme agli abitanti dei villaggi vicini, ma essere lì era come vivere in una città medievale dove si manteneva ancora la stessa architettura nelle sue strade, fontane e piazze.

Dovunque guardassimo, che fosse un balcone o l’architrave di una porta, rimanevamo colpiti dalla maestosità dei dettagli lavorati, scolpiti o dipinti, ricordi di una gloriosa era artistica precedente. Inoltre, come abbiamo appreso in seguito, la coltivazione delle diverse arti era qualcosa che veniva tenuta in vita nelle scuole, considerate tra le più prestigiose al mondo, un buon posto dove vivere se sei un amante della storia.

Ma io ero più pragmatico, preferivo ciò che aveva portato la tecnologia e tutti i vantaggi che ciò implicava. I viali ampi e lisci, dove potevi spostarti con il tuo veicolo da un luogo all’altro in breve tempo, senza dover salire e scendere per le strade acciottolate.

Un modo diverso di vedere e considerare la vita, preferivo le grandi città, dove era facile accedere a tutti i servizi in poco tempo. Non avevo mai considerato che qualcuno potesse vivere in un posto così particolare.

Alzarmi la mattina e vedere tutto ciò mi sembrava abbastanza inaudito e sconcertante, non riesco a immaginare vivere lì da quando si è piccoli, doveva essere come stare permanentemente in un museo, sapendo che tutto ciò che tocchi ha centinaia di anni.

Anche se in termini di persone, le differenze con noi non erano così tante, tuttavia alcuni ci guardavano con una faccia strana, come sospettosa, che ci faceva sentire estranei lì, quasi come una forza di occupazione.

Forse era solo una percezione, forse perché usavamo abiti diversi da quelli che eravamo abituati a vedere lì.

Fosse quel che fosse, con il disgusto del furto che avevamo sofferto durante la mattinata, stavamo attenti a che non si verificassero altri alterchi o problemi simili, sapendo che ora eravamo meno.

Forse il nostro viaggio era stato troppo precipitoso per le circostanze sociopolitiche del momento, ma era un segno di buona volontà da parte della nostra accademia, un segno di cooperazione e scambio.

Non so se un gruppo di studenti italiani avrebbe visitato il nostro paese, suppongo sarebbe potuto capitare, ma le mie informazioni non arrivavano a tanto.

Forse faceva parte di una politica di apertura con il resto del mondo, non lo so, ciò che era chiaro è che non avevo mai visitato il paese e che era una grande opportunità per farlo, quindi non volevo che niente o nessuno mi ostacolassero.

Se il compagno a cui era stato rubato il portafoglio mi avesse detto l’importo che gli mancava, io stesso lo avrei rimborsato in modo da poter continuare pacificamente con quell’escursione.

Non riesco a immaginare quale altro elemento di valore potesse avere in esso, perché tutta la documentazione l’avevamo depositata all’ambasciata. Qui, per muoverci in città, ci avevano fornito una scheda in cui inserire i nostri dati, le indicazioni dell’albergo dove alloggiavamo e il numero di telefono dell’ambasciata. Nonostante fosse appena iniziata la primavera, faceva piuttosto caldo e non eravamo abituati a temperature così elevate in questo periodo dell’anno e abbiamo trovato difficile reperire fontanelle per bere.

Quelle che c’erano non eravamo sicuri che fossero potabili, anche se le persone di lì bevevano senza preoccupazioni, ma prudentemente preferimmo solo rinfrescarci le mani e la testa, dato che una fonte che ha funzionato per così tanti secoli, non poteva essere pulita come avremmo voluto.

Forse era il contrasto, ma quelle persone ci sembravano abbastanza innocenti, lontane dalle grandi città piene del fumo delle fabbriche, a cui eravamo abituati, ma loro pensavano qualcosa del genere di noi, quando restavamo stupiti dai dettagli che loro contemplavano tutti i giorni.

Ci piaceva così tanto quello che vedevamo che alcuni miei colleghi, per non dimenticarlo, si dedicarono a imprimerlo nei loro quaderni da disegno, riempiendoli con schizzi più o meno riusciti degli edifici più significativi e importanti. Altri, al contrario, sembravano essere più bravi a scrivere e si fermavano in ogni strada cercando di raccontare in alcuni paragrafi che meraviglia stavamo percependo. C’erano solo un paio di colleghi che erano riusciti a portare le macchine fotografiche.

Non so come fossero passati attraverso la dogana, dato che ci avevano dato istruzioni specifiche prima di partire sul non portare nessuna tecnologia dal nostro paese, ma suppongo che il cognome dei genitori di quei compagni avesse più peso di qualsiasi altra regola scritta.

Di tanto in tanto ci chiedevano di fermarci per scattare alcune foto in cui appariva l’intero gruppo e sul retro l’edificio in questione.

Forse nel viaggiare ero più inesperto di tutti gli altri, dato che avevo portato solo un piccolo taccuino, in cui volevo raccogliere ogni giorno ciò che era più degno di nota senza riuscire a catturare in quelle poche righe l’ammirazione che suscitava in me quella città ad ogni passo.

Uno degli aspetti che mi è sembrarono più curiosi a causa del contrasto con quello che conoscevo, era il modo in cui le donne si vestivano. Le donne più grandi indossavano un fazzoletto nero sopra la testa e vestivano dello stesso colore. Le ragazze lo facevano con colori discreti e sciarpe molto appariscenti.

Abituato a vedere quelle del mio paese truccate, con ampie gonne a ruota, con maniche corte che lasciavano vedere le braccia e indossando il fazzoletto solo come accessorio decorativo.

Inoltre, sembrava che ci fosse una chiara differenziazione tra i sessi su ciò che poteva o non poteva essere fatto, quindi gli uomini si pavoneggiavano per strada con i loro abiti come se stessero partecipando ai migliori galà, mentre la maggior parte di loro quando non era al lavoro indossava una semplice camicia a causa del caldo incessante, ma per noi era un atteggiamento un po’ strano, gli uomini sembravano essere quelli che comandavano nella società, mentre le donne nascoste cercavano di passare inosservate, come se non avessero avuto nulla da dimostrare o per cui contribuire.

Mi sembrava abbastanza sorprendente, era come se tutti fossero rimasti bloccati nel tempo, per quanto riguardava il modo di vestirsi intendo, non penso che fosse qualcosa di religioso, come con i Quaccheri, una comunità che si era isolata dal mondo, mantenendo la propria cultura senza voler progredire, la prova di ciò era l’abbigliamento che usavano non molto lontano da quello che vedevamo ora.

Beh, quelle erano le mie impressioni a quel tempo, alla fine avrei capito la cultura che stavo vedendo, e tutto era frutto della mia inesperienza, perché come indicato dai colleghi che avevano viaggiato in Europa altre volte, a seconda del paese in cui si era c’erano costumi e modi di vestire totalmente diversi.

Anche i comportamenti di uomini e donne erano abbastanza diversi a seconda del paese in cui ci si trovava, quindi mi raccontarono dell’esuberanza della donna francese che esibiva le sue qualità senza decoro, così da non dover aspettare che fosse l’uomo a cercarla, ma era lei a scegliere quello che sembrava più galante.

Anche in altri luoghi con cui condividevamo una cultura e una lingua comuni, sembravano ancora mantenere tradizioni abbastanza particolari, così a differenza di quanto accadeva nel nostro paese da tempo, le donne non erano ancora riuscite ad avere un livello sufficiente di indipendenza economica e politica, e questo accadeva in Inghilterra, dove erano avvenuti i primi movimenti per ottenere il suffragio universale, ossia che le donne avessero il diritto di votare per scegliere i loro rappresentanti legali e con questo venne loro riconosciuta una serie di diritti che la equiparavano all’uomo, ma, rimuovendo l’aspetto politico, c’erano ancora molte che non lavoravano se non nei settori minori e nelle proprie case.

Quei confronti non cessavano di stupirmi, sarà che questa parte del mondo si stava evolvendo più lentamente di quanto pensassi.

Almeno nel mio paese è stato fatto uno sforzo importante per condividere la cultura con gli altri, una volta integrati nella società tutti gli immigrati che negli ultimi decenni erano venuti da tutti i paesi d’Europa, rifugiati politici, richiedenti asilo o semplicemente parenti, che così si sono incontrati di nuovo.

Molti erano arrivati fuggendo da un sistema politico che non li convinceva, altri cercavano migliori condizioni di vita e opportunità di lavoro e tutti erano stati accolti senza distinzioni di sesso, razza o religione.

In poco tempo avevano assimilato la cultura del paese senza perdere la propria, tanto che per strada era difficile distinguerli, tanto nelle scuole quanto nei posti di lavoro.

Forse ciò che spiccava di più era il colore della loro pelle o alcuni dettagli del viso, ma poiché c’erano già così tanti che erano stati da generazioni e generazioni in questo paese, non era indicativo di nulla.

Ciò che avevano mantenuto come segno di identità erano i loro rituali e cerimonie, al momento di sposarsi o per dire addio ai loro cari quando morivano, ad alcuni dei quali avevo partecipato in più di un’occasione, le prime volte per curiosità e altre per amicizia.

Il Misterioso Tesoro Di Roma

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