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ОглавлениеArrivarono le vacanze di Natale e io non avevo alcuna fretta di tornare a casa. Dovevo dimostrare ai miei di essermi talmente abituato alla mia indipendenza da non poterne fare a meno.
Nel frattempo, il marito di Adelina era andato a Sanremo per lavoro. Non voleva partire e, se ricordo bene, aveva già rifiutato di andarci. Ma poi lei l’aveva convinto: «Devi andare. Hai bisogno di staccare. E poi so che in fondo vuoi farlo».
«Okay, ci penserò. Ci penserò sul serio» aveva risposto il marito.
Così, io e lei rimanemmo da soli. Mi comprai dell’acqua di colonia e lei… mi trattò come aveva sempre fatto. Ma una sera, quando vide la mia valigia e si rese conto che mi preparavo a partire, mi parlò in un modo speciale, di un argomento altrettanto speciale.
Non so, forse il vino le aveva dato troppo alla testa, e io dovrei ringraziarlo per averla spinta ad aprirsi in quel modo con me. Non esitai ad approfittare del suo umore loquace e scoprii che lavoro faceva.
«Sono una lottatrice professionista. Ho vinto decine di incontri consecutivi nella categoria donne».
Lei! Una lottatrice? Una sorta di pugile! Be’, sì… in effetti aveva braccia e gambe forti. Eppure… eppure se mi avesse detto che ballava in un nightclub davanti a un mucchio di uomini, l’avrei presa molto meglio. Quella fu la prima rivelazione della serata e, come avrei poi scoperto, neppure la più scioccante.
«Non competo più ora… alleno soltanto. Ma se mi avessi vista dieci anni fa…»
«Eri ancora a scuola allora, no?»
«Tu eri a scuola, io vincevo il titolo. Avevo ventitré anni».
Era più grande di quanto pensassi! Non avrei mai detto che avesse più di venticinque, trent’anni. Non che questo cambiasse qualcosa! Che differenza faceva?
«Mi hai fatto tornare alla mente quegli anni, e mi sono ricordata che oggi è il nostro anniversario…»
«Di matrimonio?»
«No» disse, nascondendo a stento un sorriso. «È stato prima che incontrassi l’uomo che tu conosci come mio marito».
«Non è lui tuo marito?»
Credevo stesse per dirmi che erano delle spie sotto copertura e che lei in realtà era assolutamente libera, ma…
«No, no. Lo è. È successo esattamente sette anni fa. Le mie amiche mi portarono fuori. Per farci due risate, dissero. Cose del genere non le vedi da dove vengo io».
«Cose di che tipo?»
Ero già curioso.
«Locali del genere».
«Che locali?»
«Posti dove gli uomini si vestono da donna e cantano».
Mi rispose come se dovessi reagire dicendo: “E allora? Noi siamo abituati ad andare in posti del genere nel weekend”.
«Quando lo vidi per la prima volta, era sul palco che cantava la canzone "Quando nasce un amore" di Anna Oxa, e io ero seduta a un tavolo in quarta fila. Mi sentivo come se fossi ubriaca. Non bevo quasi mai, ma era evidente che stessi vivendo una sorta di ebbrezza magica. Sorridevo e non riuscivo a calmarmi. Non è che lui mi facesse ridere, è che mi dava gioia… E quando casualmente posò lo sguardo su di me, del tutto per caso e solo per qualche secondo, io mi nascosi sotto al tavolo. Un’energia così sfrenata diretta tutta su di me!».
«E com’è finita?» Ero ansioso di saperlo. Onestamente, riuscivo a stento a trattenermi dal ridere: come altro poteva finire quella buffa storia se non con un epilogo?
«È finita che cominciai a tornare in quel posto ogni venerdì. Era il culmine della mia settimana, il momento più felice. Un luogo dov’ero me stessa e, per tutti gli altri, una spettatrice che guardava dalla panchina. Ma all’improvviso lui cominciò a farmi sentire coinvolta in quello che succedeva: prese a guardarmi negli occhi sempre più a lungo. Te lo immagini! A fissare me! Negli occhi! E questo nonostante gli schiamazzi del resto del pubblico. La gente applaudiva, urlava, cantava a sua volta, invece io mi muovevo a stento, godendomi il momento in silenzio. Mi sedevo sempre allo stesso posto, il pubblico cambiava e nessuno poteva capire con esattezza a chi fosse rivolto lo sguardo di chi si esibiva. Se qualcuno si fosse girato a guardare, avrebbe visto una persona qualunque, non me».
Io invece ero sicuro che avrebbero guardato lei. Se nel pubblico ci fossero stati degli uomini, ovviamente.
«E poi smisi di andarci. E feci bene! Saltai due o tre venerdì» continuò. «Fu un’eternità. Ne soffrii, per usare un eufemismo. Credevo che mi sarebbe passata in un paio di giorni e invece non fu così. Mi ripetevo quello che mi avevano insegnato da piccola: ricorda, la felicità di una donna sta nell’essere protetta e accudita, non nell’inseguire. Ero sicura che se fossi tornata in quel locale, lui avrebbe creduto che gli stessi andando dietro, che lo stessi inseguendo. Così decisi di reprimere ciò che provavo. Mi dissi che era meglio conservare dei ricordi piacevoli, immacolati: uno sguardo attento, sicuro e… dolce, diretto verso di me…»