Читать книгу Rinaldo ardito: Frammenti inediti pubblicati sul manoscritto originale - Lodovico Ariosto - Страница 5
CANTO I
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I.
Così poteansi ritenere appena
I cavalier di non entrar la ciuffa[11],
E a ciascuno il tardare era gran pena,
Nè può star fermo e si apparecchia e buffa;
Di quei si parla che hanno animo e lena,
Chè a un vil codardo incresce ogni baruffa,
Come chi va alla forca, e che prolunga,
Perchè quanto più può tardi vi giunga.
II.
Artiro e Salomone alla avanguarda,
L'uno Affricante, e l'altro Cristiano,
Stan per ferirsi in punto, e ciascun guarda
Al segno general del capitano;
Or dato il segno, alcun più non ritarda,
E all'inimico va cum[12] l'arme in mano;
Ma prima ch'entri in così orribil guerra,
Feraguto vo' trar dall'aqua in terra.
III.
Ormai tanto che dentro vi è caduto,
Che non dovrebbe aver di ragion sete;
Sapete come cade[13] Feraguto?
Cum quale astuzia cade augello in rete;
Egli avea già nelle aque il cuor perduto,
Nè ad altro pensa che alla strema quiete,
Che essendo armato, e d'armi di gran pondo,
Non potendo nuotar, discese al fondo.
IV.
Nè crediate ch'al fondo già restasse,
Anci[14] di là dal fondo fu tirato,
Che una dama gentil subito il trasse
Fuora delle acque in luoco assai più grato;
Nè già pensò che 'l ciel tanto lo amasse[15],
Vedendosi nelle onde trabuccato;
Ma il cielo il tutto a suo modo dispensa,
E spesso all'uomo avvien quel che non pensa.
V.
Come chi per errore o per disgrazia,
Cui sotto il ceppo ha il col[16] per esser morto,
E fatta gli vien poi subito grazia
Prima che moia o per ragione o torto,
Che attonito rimane e il ciel ringrazia,
E quasi muor di subito conforto:
E così appunto a Feraguto accade,[17]
Vedendosi ritrar dove pria cade[18].
VI.
Fu in una ciambra[19] il cavalier condutto
Che tutta di cristallo era smaltata;
Il palco tutto a specchi era costrutto,
E intorno intorno tutta ad or frissata[20];
Vedendosi il barone ivi ridutto,
Gli fu tal sorte allor non poco grata,
E tutto che suspetto ancora stava,
Pur più ch'in l'umide acque ivi sperava.
VII.
E volto Feraguto alla donzella,
Deh dimmi, dama, disse, se ti agrada,
Chi sei, e come è qua stanza sì bella,
Che in fondo alle acque mi par cosa rada?[21]
A Feraguto allor rispose quella:
Sappi ch'io fui nemica a quella Fada[22]
Che poco anzi occidesti, e d'ogni intorno
Faceva a' circumstanti iniuria e scorno.
VIII.
E quella son che ti donai quel tanto
Lucido, adorno e prezioso scuto
Cum che vinto hai la Fada e ogni suo incanto,
A te di onore e a' circumstanti aiuto;
E de infiniti sol ti puoi dar vanto
Avere un tal triunfo oggi ottenuto,
Di che grato non solo agli uomin sei,
Ma fatto ne hai piacere insino a i Dei.
IX.
La Fada di coloro era nemica,
Che d'altre che di lei fussero amanti;
Anci ogni industria usava, ogni fatica
Per rovinarli; e ben ne ha occisi tanti,
Che indarno è lo espettar, baron, ch'io dica
Quanti ne ha uccisi la malvagia, e quanti
Presi e in pregione morti per disagio,
Vetando loro il cibo, e il stare ad agio.
X.
Onde tanto costei Venere adonta
Che sol di lei cercava aspra vendetta,
E[23] a tale impresa in fin persona pronta
L'amorosa mia don[24] gran tempo espetta;
Ma solo hai vendicato ogni sua onta,
E però ne serai persona eletta,
A Vener grato, e per il tuo valore[25]
Fortunato serai sempre in amore.
XI.
E quantunque infelice per adrieto
Sempre sii stato in l'amoroso laccio,
Nell'avenir serai jucundo e lieto,
Poi che distolte[26] ne hai di tanto impaccio;
E perchè intendi quel che ti è secreto,
Quel che richiesto me hai io non ti taccio:
Sappi che ninfa son nasciuta in l'acque,
E di questo liquor sto corpo nacque.
XII.
Delle Naiade son la più onorata,[27]
(Che così d'acqua son le ninfe dette)[28]
Liquezia ho nome, e a Venere dicata,
Sono delle sue care e più dilette,[29]
E a te fui col bel serto mandata[30]
Per animarti a far le sue vendette;
Questa è mia stanza: e qui poserà tanto
Ch'io torni a rivederlo in l'altro canto.