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PREFAZIONE.

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Già il titolo del volume spiega che di ciascuna delle novelle qui raccolte è protagonista una donna o una fanciulla, dell'aristocrazia, della borghesia ricca, delle classi medie, del popolo. Ma non dice, il titolo, che il libro è molto indulgente, e devo dirlo io. Quando non sian buone e ingenue, queste mie donne, sono colpevoli per colpa degli altri, come avvien quasi sempre nella vita; perchè io credo che la responsabilità della donna si sia esagerata sempre, e in questi ultimi tempi sia stata portata alle stelle da alcuni scrittori, i quali voglion vedere nella donna La Nemica, per antonomasia, con iniziali maiuscole.

Di maiuscolo, a mio credere, non v'è il più delle volte che l'asinità dell'uomo; epperò il mio libro è indulgente, e raffigura la donna come una creatura di grazia, che gli uomini possono condurre a perdizione più presto e più sovente di quel che la donna non conduca a perdizione gli uomini; e dà alla donna una responsabilità ben piccola dei malanni che può commettere, e a cui gli uomini la incitano per il loro interesse egoistico, o l'incoraggiano storditamente con l'esempio.

E se vogliamo a una semplice raccolta di novelle dare un senso riposto e un significato che sconfini dalla letteratura, diciamo che il libro è antifemminista. Antifemminista, perchè annulla quasi la responsabilità della donna, strumento duttile di gioia o di dolore nelle mani dell'uomo savio o malvagio o sciocco. Ma sia detto questo incidentalmente, perchè voglio tenermi lontano da discussioni, le quali sono inutili e uggiose, e desidero piuttosto chiarire, con la brevità che è necessaria, il concetto al quale mi sono ispirato, e non in questo libro soltanto, per vedere e giudicare la vita femminile.

In verità, la donna, che è da alcuni considerata come una creatura malefica, «instrumentum diaboli», non diventa pericolosa se non quando è mal conosciuta e mal trattata; e io conservo l'illusione che, salvo casi patologici i quali non ci riguardano e sono oggetto di studii speciali, la donna sia capace di molto bene, purchè l'uomo che le è al fianco sappia incuorarla.

Creatura delicata per la sua impressionabilità viva e profonda, non appena l'uomo sopraggiunge nella sua vita, ella gli si volge per interrogarlo. Senonchè, il più delle volte egli non risponde, perchè non sa; o risponde il falso, ora dipingendole la vita come un chiostro in cui ella sarà avvinta per adorare il suo padrone e signore, ora facendole credere che la vita è una cosa leggera, arguta, piacevole, tutta spumante di capricci e di soddisfazioni. Comunque la donna agisca poi, l'uomo è il solo responsabile delle azioni di lei. Molti uomini i quali si lagnano dell'infedeltà della donna, non si lagnano, chi ben veda, che di se stessi, come i genitori i quali lamentano la mala riuscita dei figli, danno una cattiva idea dell'ambiente in cui li allevarono e dell'educazione che hanno loro impartita.

La donna è fatalmente infedele all'uomo che non la comprende, non la cura, non la educa, perchè la donna ha in sè un fermento di ribellione istintiva, che solo un'attenzione assidua e generosa può distruggere. Direi per ciò che nel campo sentimentale non è tradito se non l'uomo che vuol esserlo. Perchè la donna non chiede di meglio che di essere fedele, anche per la naturale sua inclinazione, la quale la consiglia a tenersi lontana dalle ansie, dai pericoli, dalle fatiche dell'inganno. Non chiede di meglio, ma essendo per natura sua oscuramente e infantilmente vendicativa, le asprezze e le volgarità, le offese e le negligenze dell'uomo cadono in un terreno che produrrà i frutti più tossici non appena l'occasione se ne presenti.

Contrariamente a quel che si pensa in generale, l'adulterio femminile non è già la rivelazione d'un «punctum minoris resistentiae» della donna, ma d'un «punctum minoris resistentiae» dell'uomo a cui ella appartiene; o piuttosto l'effetto delle deficienze del marito che delle deficienze della moglie.

È raro l'uomo il quale dia all'amore tutta l'importanza a cui questo sentimento ha diritto: siamo in tempi gravi, il rispetto umano ci obbliga a sogghignare di ciò che noi chiamiamo sentimentalismi, e per far più presto, molti uomini giungono al matrimonio dopo una lunga esperienza della donna da trivio, la sola esperienza rapida e poco dispendiosa che la fretta degli affari conceda. Alla vigilia di legarsi per tutta la vita a una donna, non hanno della donna che un concetto fisico e dell'amore un sorridente disdegno.

Ed è doloroso che di questa ignoranza oggi si faccia pompa come di squisita saviezza e ci si avvicini al matrimonio come ad una vettura di piazza, trascinata da un cavallino qualunque, che è la donna, il quale correrà certamente per il solo fatto che c'è un cocchiere. Qualche volta il cavallino s'impenna, rovescia cocchiere e carrozza....

E allora l'uomo ricorre al codice o al colpo di rivoltella, perchè ha ragione lui, e il cavallino doveva correre.

Eppure, di ben poco si nutre la scienza dell'amore: di bontà e di apparenze gentili. Gli uomini non sanno che bene spesso tutto dipende da una parola. Alle parole la donna dà gran peso: un uomo avveduto con una frase opportuna, con una piccola garbata parola può vincere l'irritazione della sua compagna. La donna ha sete di parole buone e affettuose e le preferisce talora a un regalo; in generale gli uomini ignorano questa ingenua virtù femminile che si accosta per essere accarezzata con una frase; e in una discussione non sanno aver pazienza, trascuran l'arte di tacere, trattano la donna come un avversario temibile armato di terribili argomentazioni alle quali altre bisogna opporne senza pietà per debellarlo. Se sapessero indulgere alla mancanza di logica, che sovente è la caratteristica delle argomentazioni femminili, e, non volendo stravincere, se sapessero spiare il momento per quella parola buona e tenera, che la donna desidera sempre, le discussioni terminerebbero presto senza lasciare strascichi, senza giungere a violenze, che si possono perdonare, ma che non si dimenticano più.

Ho detto che la donna è una creatura delicata; prima di me un classico, il Michelet, l'ha definita «un être malade». Per quella sua delicatezza, ella non tollera la volgarità, e l'uomo è sopra tutto e prima di tutto una creatura contesta di volgarità.

Egli parla dei suoi amori con cruda spavalderia; e la donna per abitudine e per prudenza non ne parla mai in alcun modo. Egli si vanta delle sue conquiste o, quando è discreto, le lascia indovinare. Ci son degli uomini, — e mi dispiace dirlo, son la maggioranza, — i quali preferiscono al possedere una donna il comprometterla. La donna ha l'abitudine del silenzio e del segreto in tutto quello che si riferisce all'amore; — l'uomo è, per quel che si riferisce all'amore, assai loquace.

Il suo linguaggio del resto, è in generale, largo e sbracato: un vocabolario da taverna non è affatto eccezionale in bocca a un uomo che parla con altri uomini familiarmente, ma è lontano dalle abitudini mentali della donna, la quale non se ne servirà se non il giorno in cui avrà disceso tutta la scala della perdizione.

È dunque assai facile, per questa diversità di costume, di vita, d'abitudine, che l'uomo offenda la naturale suscettibilità della donna, credendo che perchè egli l'ha avuta, tutto gli sia permesso; e molte ferite son fatte nei primi tempi d'intimità piuttosto con le parole che con le azioni.

Una donna veramente appassionata può prestarsi a tutti i capricci e i desiderii dell'uomo che ama e che ha scelto; ma difficilmente perdona all'uomo che le rammenti con parole volgari le voluttà segrete a cui egli ha saputo persuaderla in nome della passione. Ella ben comprende che la soglia dell'alcova non dev'essere profanata, che l'amore perde il suo fascino quando lo si descriva troppo, che l'uomo ha l'obbligo della discrezione anche di fronte alla donna da lui posseduta, se non vuole abituarla alla fredda impudicizia, la quale toglie ogni attrattiva e ogni merito alla voluttà.

L'uomo che non tien conto di queste sottili accortezze e di questi pudori tenaci, arrischia di vedersi tradito presto; l'allieva della sua depravazione verbosa, avvezza a non arrossir più dei vocaboli che offendono peggio degli atti e che non hanno scusa, sarà assai mal preparata a difendersi dagli assalti che una donna giovane e bella deve sostenere.

*

Noi usiamo essere severi con la donna che cade; sia essa fanciulla libera di sè, sia legata già a un uomo col vincolo del matrimonio.

Fingiamo d'ignorare quali battaglie deve affrontare una donna per conservarsi onesta; dimentichiamo quali tentazioni la circondino, in alto e in basso della scala sociale, e quali avvedute insidie spiino la sua debolezza, la sua impressionabilità, il suo bisogno d'amore e di protezione. «Le donne sono deboli, — ha detto Pitagora, — perchè non sono sostenute che dal cuore.»

E male sostenute, possiamo aggiungere, e mal difese dal cuore che consiglia loro la pietà. Il più gran numero di donne non cadono già per un traviamento dei sensi, contro i quali hanno freni più forti dei nostri, perchè non illanguiditi dall'abitudine del piacere; ma per un consiglio di pietà. Esse non sanno resistere allo spettacolo dell'uomo che soffre per averle, nè sanno distinguere il vero innamorato capace di esser loro vicino non solo nell'ora del godimento ma pur nell'ora del pericolo, dal seduttore professionale che recita con sapiente ipocrisia una sua vecchia commedia, e ha già deciso d'abbandonarle non appena le avrà avute.

Le tentazioni sono innumerevoli intorno alla donna, fatte di lusinghe e di adulazioni, d'insistenza e d'audacia; ora esaltata, ora intimorita, ora impietosita, deve combattere una battaglia diuturna per difendersi, e passa ogni giorno attraverso un'atmosfera di desiderio e di libidine, che le soffia in faccia il suo alito bruciante.

Se resiste, l'uomo non gliene dà merito; è una insensibile, una frigida, non ha nervi. Se cede, tutti la condannano; è una sensuale, una depravata, una incosciente.

Caratteristica mi è sempre parsa la frase di Giorgio Byron: «Un passo di là dal decoro è per la donna un passo verso il precipizio.» Questo medesimo Giorgio Byron confessa nel suo giornale d'avere sedotte almeno cinquanta donne, d'averle persuase a far con lui il passo di là dal decoro verso il precipizio. Ciò non gli impedì di scrivere la sua sentenza generale per le donne che hanno ascoltato lui, per le donne che ascolteranno gli altri.

È molto maschile questa disinvoltura, e Giorgio Byron, il quale fu cavalleresco per l'indipendenza dei popoli, si dimenticò spesso di essere cavalleresco per le donne che non avevano saputo resistergli. Fu, insomma, un uomo, ampiamente, e diede ragione ad Helvetius, il quale scriveva essere la donna come una tavola imbandita, che si guarda con occhio cupido prima del pranzo e annoiato dopo pranzo.

Noi vogliamo che la donna sia onesta; ma ciascuno di noi ha lavorato più volte e con entusiastico accanimento a debellare o a mettere in pericolo quella onestà che sbarrava il cammino ai nostri desiderii. Sempre pronti a dettar norme di ben vivere e a creare eccezioni per il nostro piacere, non teniamo poi conto alcuno delle lotte che la donna ha dovuto sostenere per osservar quelle norme e per respingere quelle eccezioni. L'onestà ci pare una cosa facile ed ovvia, quantunque abbiam passato molto tempo della nostra vita a studiare agguati e a tendere lacciuoli per farvi incappare la donna che voleva essere onesta.

Una certa equità nel giudicare la donna caduta è necessaria.

Alla nostra onestà di uomini, la quale consiste, poco su poco giù, nel non violare il codice, non si oppongono tanti accorgimenti nemici quanti vengono preparati alla onestà femminile, che è di natura ben più difficile.

Un cassiere mal pagato che maneggia ogni giorno centinaia di migliaia di lire, è assai meno meritevole di stima che una donna maltrattata dal marito, la quale non cede alle lusinghe dei corteggiatori. Il primo può anche avere innanzi agli occhi la visione del carcere, sufficiente a trattenerlo da un'appropriazione indebita; l'altra non ha che la visione d'una felicità luminosa e infinita, che ogni giorno il corteggiatore le descrive.

In basso la donna è insidiata dalla povertà. Nulla mi par così pietoso nel mondo come lo spettacolo d'una fanciulla povera; a lei negate non soltanto le soddisfazioni della vanità, pur forte in ogni cuore di donna, ma gli agi, le comodità, le cure, che al suo corpo gentile e fragile sarebbero necessari. E intorno le stanno uomini, i quali pongono tutto lo sforzo dell'ingegno e dell'eloquenza nel dimostrarle che se cederà ai loro desiderii e si toglierà dal cammino diritto, potrà adornarsi e curare la sua persona e la sua eleganza, ed essere invidiata, e vivere in un perpetuo gaudio. Il lavoro l'intristisce, il timore del domani la sciupa, i cattivi alimenti e la cattiva abitazione la fan deperire. E lavora. Lavora fin che trovi un uomo della sua condizione che voglia sposarla. Egli la sposa, ma non la toglie alla fatica quotidiana perchè non può; e un giorno s'ubbriaca e la batte.

Più su, le tentazioni che serrano tutt'intorno la donna non sono meno terribili. Se in basso la mancanza degli agi può tradirla, in alto sono gli agi che la insidiano, è il suo fascino medesimo che fa pullulare i desiderosi, è talvolta la mancanza dei figli, è la maggior coltura che le dà maggiori bisogni sentimentali, è la vita stessa con le sue convenienze, i suoi divertimenti, le visite, i teatri, le feste, che le moltiplica intorno le seduzioni, è la trascurataggine del marito, che non sa difenderla e proteggerla, e si fa vivo il giorno in cui l'accusa e la giudica....

La nostra povera onestà maschile, la quale, ripeto, è sufficientemente solida quando non incappi nel codice, ignora questa via crucis di tentazioni. Noi non siamo tutti i giorni pregati e supplicati di rubare o di apporre firme false a una cambiale, come una donna giovane e bella è tutti i giorni supplicata di darsi all'uno e di mancar fede all'altro. E se fossimo con tanta insistenza pregati di commettere il male, non so quanti di noi non lo commetterebbero, salvochè non avessimo gli occhi sempre intenti al codice.

Come possiamo essere severi con la donna caduta, se teniam conto di tutte le trappole che furon poste attraverso alla sua strada? Dobbiamo noi farla responsabile delle adulazioni che han trovato la via del suo cuore, delle minacce che l'hanno impaurita, delle insistenze che l'hanno avvinta, delle abili finzioni che l'hanno illusa?

I veri responsabili, gli uomini, scompaiono nell'ombra.

Quando tornate a casa di tarda notte e v'imbattete in una donna da trivio che vi sorride e vi chiama, non pensate mai che un giorno ella fu vergine, che deve aver amato, che si è data a qualcuno, il quale l'ha abbandonata poi sul lastrico, e non vi chiedete dov'è questo «qualcuno» mentre la donna segue la sua via d'abiezione e di morte?... Quel «qualcuno» può essere il medesimo uomo, il quale vi ha testè accolto nella sua casa ospitale, dove tutto sorrideva e tutto era bello.... Non vogliamo condannarlo? Ma bisognerebbe essere ingiusti fino alla bestialità per condannare in sua vece la donna, che vent'anni addietro gli ha creduto ed è rotolata giù per la scala del vizio fino alla prostituzione.

*

Che la donna sia irresponsabile socialmente parlando, è dimostrato da un fatto a tutti noto: non sente l'amicizia. È rarissimo il caso che vi fa incontrare due donne le quali siano legate da una amicizia disinteressata e sincera.

La donna odia la donna. Somiglia in questo alla gallina. In un pollaio, guai alla gallina che si ferisce e perde sangue! Tutte le altre le si precipitano addosso, e a colpi di becco e di zampe la fanno a brani. È la loro solidarietà, il loro sentimento d'amicizia.

La donna non è diversa; odia la sua compagna segretamente fin che l'odio non possa manifestarsi ed erompere con gioia selvaggia. E quando mai sarà il giorno in cui l'odio avrà questa soddisfazione? Quando, naturalmente, la donna sia caduta e in pericolo.

In occasione di due processi celebri, Steinheil e Tarnowsky, io mi son piaciuto a interrogar molte donne sulla sorte che avrebbero riservata alle imputate. E ricordiamo che le imputate eran dipinte come donne affascinanti, quale per bellezza, quale per grazia femminile. Nessuna delle signore che io interrogai espresse un pensiero d'indulgenza, nessuna avrebbe accordato le attenuanti; tutte augurarono la pena di morte, e qualcuna, — piccola gallina feroce, — si rammaricò che la morte non si potesse dare con lunga e squisita tortura.

La donna odia la donna, e non ha dunque il ristoro di quel sentimento che è tra gli uomini assai forte. Gli esempii classici dell'amicizia sono nella letteratura attinti alla vita maschile, da Patroclo e Achille a Damone e Pizia. Non si ricordano coppie di amiche le quali sian passate attraverso i secoli con l'aureola del sentimento nobilissimo.

Sappiamo che cosa sono le amicizie femminili di collegio, traviamenti della pubertà inquieta; più avanti la lotta per la vita, quell'implacato spirito di gelosia che è così acceso tra le donne, schiera le une contro le altre. Esse rinunziano alla terribil forza della solidarietà sociale e sessuale con una incoscienza maravigliosa, per procedere sole nella loro via; rinunziano all'amicizia per l'amore.

Dall'amore, cioè dall'uomo, la donna si aspetta tutto, gioia, tutela, famiglia, aiuto morale e materiale, soddisfazione alle piccole vanità e ai mille desiderii che da fanciulla è andata maturando. Per ciò la sposa è superba e invidiata; per ciò, spietate nel loro odio, le une sorridono delle altre, che abbian vista andar fallita una promessa o una speranza di fidanzamento.

Ma comunque l'uomo si presenti, sotto le spoglie d'un marito o quale un amante, egli sarà la guida e il maestro. La fanciulla è stata educata in un collegio, nel quale le hanno insegnato molte cose inutili o sciocche o contrarie al vero; poi dalla madre, che ha continuato quella educazione lontana da ogni soffio vitale, quella educazione che in certi casi può riassumersi nella raccomandazione di abbassar gli occhi quanto più è possibile, e di vedere e capire quanto meno è possibile. Fortunatamente l'una e l'altra educazione s'accordano anche in un punto, in un solo punto che abbia valore sociale e potenza di difesa: nell'insegnare e sviluppare il pudore della fanciulla. È questo il solo presidio di molte donne.

La bella candida oca è consegnata dall'amore, dunque, nelle mani dell'uomo, il quale dovrebbe plasmarla e avviarla alle prove dell'esistenza, perchè egli è forte, ed essa debole.

*

Egli è forte.

Tra le menzogne convenzionali della nostra società, una sopra tutte mi sembra patente: quella che riguarda la forza morale dell'uomo.

Chiunque abbia vissuto con qualche intensità e abbia avuto maniera d'osservare uomini di diverse classi sociali, sa che l'uomo forte è un esemplare tutt'altro che comune. Quando non ondeggino tra una timidezza e un'audacia irragionevoli, passando come tutti i deboli da un abbattimento eccessivo a un'insensata e inopportuna arditezza, gli uomini al cospetto delle avversità trovano difficilmente l'energia per fronteggiare gli ostacoli e gli avvedimenti per superarli.

La bella serenità risoluta, indice della vera forza morale, è rara; più rara l'intelligenza pacata che giova a preparare tutto un piano di difesa e ad attuarlo con sagacia.

In verità quella prima menzogna della forza maschile non è se non la conseguenza d'un'altra menzogna: l'ipotesi della lotta per la vita.

Mentre ovunque si parla di lotta e di lotte, molte esistenze crescono, fioriscono e si spengono senza conoscer da vicino nè la lotta, nè le lotte, molte esistenze si svolgono con un meccanismo sicuro, e giungono pacificamente alla loro meta.

Considerate, ad esempio, l'enorme numero di professioni regolate da leggi di gerarchia e di anzianità, la professione degli impieghi, la professione delle armi, le altre innumerevoli in cui basta uno spirito mediocre per avere una mediocre agiatezza; aggiungete da una parte il rispettabile numero dei ricchi, e dall'altra le organizzazioni che han tolto la combattività all'individuo, lo hanno ridotto a gregario e lo fanno obbedire a una disciplina bassa e stupida; non dimenticate tutti quelli che non tendono ad alte vette, non pensano a grandi mutamenti, non conducono vita intensa di piaceri e di commozioni, e tutti quelli i quali non abbiano una personalità tanto spiccata da crearsi intorno ostacoli e nemici.... E poi dite quanti davvero lottano nella vita, quanti ne conoscono le ore torbide, le ingiustizie amare, i giorni pànici, gli istanti delle grandi risoluzioni.... Quanti?... Io ho dovuto sorridere più d'una volta, vedendomi innanzi qualche piccolo uomo, che mi parlava di lotte sostenute, di guerre e di patèmi, come avesse dovuto respingere da solo un intero esercito. E sapevo benissimo che tutta la sua attività era rivolta ad ottenere la croce di cavaliere della Corona d'Italia. Avuta la quale, non si sarebbe più udito parlare dell'atleta.

Molti son foggiati a questa maniera. A sentirli, si scambierebbero per cacciatori di tigri; poi la citazione d'un giudice conciliatore o l'obbligo di testimoniare in un processo li fa sbiancar di terrore.

La mancanza di lotta fa la mancanza di forza. La vita degli uomini comuni ha questi due segni: pace e debolezza; e fin che la pace dura, i deboli e i forti si somigliano, e si può lasciare che quelli menino vanto delle virtù di questi, augurando ai primi di non imbattersi mai nei secondi.

La lotta è rara, e perciò la forza è rara; il caratterisma principale della vita è la mediocrità delle gioie e dei dolori, la volgarità del meccanismo. Pochi uomini hanno il diritto di parlar delle lotte della vita come le avessero viste da vicino, ma tutti ne parlano con gravità sapiente, cosicchè a un giovane credulo la vita dovrebbe apparire come una mischia furiosa in cui migliaia sono i caduti, pochi i vincitori.

Manca invece alla grande maggioranza il maestro, il dolore; quel dolore che noi fuggiamo per istinto e che è fonte d'esperienza, che nei cuori ben fatti consiglia pietà e simpatia invece che odio e sfiducia.

La vita dei più si svolge senza dolore. Messi al riparo da ogni colpo perchè non hanno grandi ambizioni, non mirano in alto, non risvegliano inimicizie, non si presentano con una personalità temibile, gli uomini comuni procedono per una marcia regolare in terreno piano, e nel loro bilancio morale l'attivo e il passivo hanno proporzioni sufficientemente eque.

È dunque ingiusto guardar la vita e parlarne con espressione di corruccio.

Singolarmente avversa e dura per taluni pochi, è onesta per la grande maggioranza alla quale non chiede sforzi eccessivi, e dà un profitto adeguato allo sforzo. Non tutti quelli che declamano contro la vita, hanno lo scrupolo di coscienza di chiedersi che cosa han fatto per meritare meglio di quanto hanno avuto.

Se si conviene, — e bisogna convenire, — che per tre quarti dell'umanità la lotta e il dolore non sono se non imagini retoriche, si deve pur convenire che l'uomo è un debole, il quale mangia, beve, procrea, e fa correre la voce che l'uomo è forte. Quando parla di energie e di battaglie, sembra uno di quei guerrieri giapponesi d'or sono cinquant'anni, che si coprivano il volto con mostruose maschere; volevano incutere paura, e cadevano a centinaia sotto i proiettili degli uomini senza maschera.

*

L'infinita quantità di donne insignificanti che s'incontrano in tutti i paesi è pullulata dall'insipienza dell'uomo, il quale non s'è avvisto che la sua donna non aveva carattere e non ne aveva egli stesso tanto da foggiar quello della donna che gli apparteneva. L'ha lasciata poltrire e disfarsi nello stagno della sua impersonalità.

E non intendo con questo rilievo pronunziare alcun anatema, bensì notare appena una necessità sociale; la massa è naturalmente sfornita di qualità d'ordine superiore, e maschi e femmine si confondono in una folla grigia che occupa molto spazio e forma l'opinione pubblica.

Ma di certo, se in quella folla che passa e s'avvia alla morte come al coronamento d'una vita tutta animale, noi ci facessimo a ricercar qualche tipo che avrebbe potuto salire alla classe intellettualmente più alta e moralmente più sensibile, staccandosi in qualche maniera dalla massa grigia, lo troveremmo con maggior facilità tra le donne che tra gli uomini.

L'impressionabilità femminile non è che il germe; s'atrofizza e muore se non gelosamente custodito e pazientemente sviluppato; dà frutti copiosi, mortali o salutari, se l'uomo accorto lo coltiva. E qualche altra virtù è nella donna, che può formarne la personalità; come lo spirito di sacrificio, che gli uomini apprezzano solo egoisticamente, e la tendenza ad affezionarsi a idee, cose e persone, della quale gli uomini approfittano per tramutar la devozione in servitù.

Perchè un'anima femminile si apra con fiducia e prenda quella forma che diciamo carattere, dev'essere trattata con dignità. La donna ha bisogno di sentire bensì che chi le sta al fianco è più forte di lei, ma che non ha nulla da temerne; e lo comprenderà quando vedrà che l'uomo, il quale rivolge tutta la sua forza morale contro le avversità del destino, è sereno con lei e indulgente, e se la corregge non la umilia, e se può vincerla in logica e in fermezza e in coraggio, non ne ride e non ne mena vanto. La donna ha bisogno, in altri termini, di sentire che è diversa dal suo compagno, ma non inferiore. La scienza dice che questo non è vero, che l'inferiorità della donna è manifesta; ma socialmente è necessario che non si abusi di queste verità scientifiche, perchè l'alcova non è il laboratorio, e la famiglia non è una società d'antropologia: e la scienza facile in mano degli imbecilli è assai più dannosa dell'ignoranza.

Fra tanti orgogli che si son voluti riconoscere alla donna, uno è stato negletto; l'orgoglio d'essere stimata. Nulla meglio avvilisce una donna e alla lunga ce la rende nemica, che il tenerla lontana da ogni nostro pensiero, l'ascoltarla con distrazione, il tacerle cose le quali si potrebbero narrarle senza danno, l'appartarla e il richiuderla in una cerchia d'indifferenza sdegnosa, il farle sentire ch'ella è, sopra tutto, uno strumento pel nostro piacere.

*

Ma io mi avvedo che se mi abbandonassi a notar qui le riflessioni che ho potuto raccogliere in una vita d'esperienza, scriverei un proemio sproporzionato al libro e alla sua indole. Non dimenticherò che questa raccolta di novelle appartiene, vuole appartenere semplicemente alla letteratura, e quanto sono andato esponendo, lungi dall'avere un'intenzione polemica, non ha che il fine di spiegare a qual concetto mi sono attenuto, creando questa collezione di tipi femminili.

Che se mi si opponesse essere il mio concetto, indulgente e generoso verso la donna, il frutto d'un'esperienza tutta personale, che non prova nulla, potrei anche concedere; quantunque e la filosofia e l'arte e le opinioni non siano mai altro che il frutto d'esperienze personali. E per ciò il mondo è divertente, e nulla è definitivo e assoluto.

Per conto mio, potrò mutare d'idea sulla donna il giorno in cui ne avrò trovata una capace di condurre a perdizione me; allora dirò anch'io ch'ella non è se non una creatura malefica, «instrumentum diaboli», La Nemica con le iniziali maiuscole....

Ma mi sembra tardi....

Febbraio 1911.

L. Z.

Donne e fanciulle

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