Читать книгу Storie Misteriose - Mª Del Mar Agulló - Страница 5

Una notte da dimenticare

Оглавление

Durante una notte buia, quando tutto sembrava possibile, Juan e Marta decisero di fare una passeggiata. Quella notte era Halloween, ma entrambi credevano che tutte le storie di paura che si raccontavano su quel giorno fossero una bugia, così uscirono senza indugio

Juan era alto, magro e piuttosto bello; Marta era un po' più bassa, magra e determinata. Il pomeriggio precedente avevano litigato, come al solito, loro le chiamavano "lotte d'amore". Quindi la passeggiata era più una riconciliazione che altro.

Nel bollettino meteo avevano detto che la notte dei morti sarebbe stata una notte tranquilla in cui splendeva una splendida luna piena.

Attraversarono a piedi il parco Mateo Gasteiz, lungo Viale Colorado, ma non uscirono parole dalla loro bocca. All'improvviso, Juan vide nel riflesso di una vetrina un'ombra dietro di loro:

«Penso che dovremmo andare a casa, o se vuoi andiamo in qualche posto più frequentato, perché qui tranne per le due persone che abbiamo incrociato, non c'è nessuno» disse Juan molto sicuro di sé.

«Non avrai paura?»

«Io? No, sto solo dicendo che … Ho un po' freddo … E…»

«E cosa? Guarda, ho accettato di accompagnarti perché volevo dirti qualcosa, solo che non riesco a trovare le parole appropriate per dirtelo. Juan, io ti amo, ma …»

Prima che Marta potesse finire la frase, un fulmine cadde proprio accanto a loro, seguito da una pioggia intensa che li inzuppò in pochi secondi. Corsero velocemente verso una casa enorme, che era piuttosto una villa, disabitata. Lì si ripararono dalla pioggia.

«Hai visto che avevo ragione? Dovevamo andare a casa. Uffa! Che freddo! È molto ventoso, a parte la pioggia.» Marta guardò Juan con un'espressione incredula, mentre lui continuava a parlarle del tempo. «Cosa mi stavi dicendo prima che accadesse questo?» terminò Juan.

«Niente. Andiamo a cercare qualche coperta, o qualche torcia elettrica, perché non vedo nulla.» Marta non osava dire a Juan quello che voleva davvero.

«Marta, qui da secoli non ci vive nessuno, come troveremo qualcosa? Mi ricordo che quando ero piccolo mia nonna mi portava qui, era un museo.»

«Un museo? Credevo che gli Esteban vivessero qui e che quando si trasferirono la casa restò disabitata.»

«E invece no. Vedrai, la casa fu costruita da un Esteban, e passò di generazione in generazione al figlio minore o alla figlia minore, fino alla tragedia. Non si sono trasferiti, li hanno uccisi.»

«Sì, sì, sì» Marta pensava che la storia di Juan fosse ridicola. «Non penserai che io ci creda?»

«É la verità, se vuoi non crederci» disse Juan incazzato.

« E poi hanno fatto un museo?» Marta chiese beffardamente.

«Sì, perché non c'era nessun museo qui, e dato che questa casa era grande e nessuno ci viveva …»

«E l'hanno chiuso?»

«Sì, perché all'inizio funzionava, ma poi …»

«Poi? la gente ha cominciato a morire … Ha, ha, ha» Marta scherzava sulla storia di Juan.

«Sì, è successo questo.»

«E devo crederti?»

«Mio nonno è morto!» disse Juan, gridando, e se ne andò per girare per la casa.

Marta lo seguì, ma senza dire nulla. Ora il viso di Marta sembrava credere alla sinistra storia di Juan, mentre quello di lui, sembrava essere stato immerso in un mare di sale, anche se ogni tanto scendeva qualche lacrima.

La casa era in rovina, ma trovarono una stanza che sembrava abitata.

«Qui dormiva il figlio maggiore dell'ultimo Esteban.»

«Juan, mi dispiace di aver riso di te prima, è che …»

«Shhh» Juan mise il dito indice sulle labbra di Marta e indicò uno specchio. L'immagine era terrificante, si vedeva riflesso un uomo di mezza età, che doveva essere il vecchio abitante della stanza. Ma era impossibile, lì c'erano solo loro due, e anche quell'uomo era morto molto tempo prima, oppure no.

«Dobbiamo indagare.» Marta, curiosa come sempre, cominciò a guardare in ogni cassetto e in ogni angolo, fino a quando non vide qualcosa di diverso. «La porta è chiusa.»

«E cosa?»

«L'avevamo lasciata semichiusa.»

Senza pensarci un attimo, andò alla porta e cercò di aprirla, ma non ci riuscì.

«Siamo chiusi dentro. Tutto questo è per colpa tua.»

«Non ti arrabbiare Marta. Non ho niente a che vedere con queste cose.»

«Sì, perché tu sai tutto. Non hai idea di quanto mi hai fatto soffrire. Discutiamo sempre, tu stai sempre con i tuoi amici e mai con me. E ieri? Che cosa facevi con Miss Denti Perfetti? È che non mi ami più?»

«Va bene, se vuoi risponderò a tutto, ma stai calma perché ti stai sbagliando. Sì, discutiamo, e allora? Tutti discutono! È normale in una coppia. La cosa dei miei amici è l'opposto, sono sempre con te, e non so perché ti lamenti che non passo più tempo con te, quando ho quasi perso i miei amici per causa tua. E con Paula sono andato solo per prepararti una festa a sorpresa per il tuo compleanno. E ora per favore, proviamo a uscire da qui.»

Marta adesso era quella che aveva le lacrime agli occhi, aveva parlato troppo negli ultimi minuti, o almeno così le sembrava. Cercarono altre uscite come porte o finestre posteriori, ma non c'erano altre porte e le finestre avevano le inferriate.

Dopo molte ricerche trovarono un vecchio pianoforte molto grande. E dietro di esso quella che sembrava una porta.

«Penso che abbiamo trovato un'uscita» disse Marta un po' più felice ora.

«Non ricordo che questa porta fosse nel museo.»

La aprirono, ma quello che trovarono era terribile. C'erano dei cadaveri!

«Che cos'è questo?» Marta iniziò a vomitare.

«Marta questi sono i corpi delle persone uccise nel museo, non li hanno mai trovati.»

«Ma chi le ha uccise? Ho paura. Credo che non siamo soli.»

«Prima in strada ho visto un'ombra.»

«Non dirmelo, voglio andarmene, per fortuna che ho te.»

«Avrai sempre me.»

«Ti amo.»

«Ed io amo te. Ma questo non è il momento delle dichiarazioni d'amore, dobbiamo salvare le nostre vite.»

Dopo quel momento, un pezzo di tetto precipitò su di loro, a causa del peso dell'acqua caduta per la pioggia, che non smetteva di fare rumore.

«Marta, stai bene?»

Era priva di conoscenza, svenuta senza una ragione apparente.

Juan esaminò alcuni documenti trovati nella stanza del pianoforte in cerca di soluzioni, ogni volta era più disperato. Tra così tante carte, qualcosa cadde a terra. Un piccolo oggetto che sembrava una chiave.

Juan si fece coraggio e tornò nella nuova stanza, non si vedeva nulla. Prese una delle candele che erano sul vecchio piano, poiché nella stanza sinistra non c'era luce elettrica. L'accese, entrò e in mezzo a tanti cadaveri trovò una piccola scatola. Aveva una serratura molto speciale, non esitò un attimo e indovinò, la chiave che aveva appena trovato si incastrava perfettamente nella scatolina. La delusione arrivò quando aprendola non trovò nulla in essa. Pensò che quella scatola doveva essere importante, quindi cercò uno scomparto segreto e lo trovò. Ma tutto ciò che vide fu una foto consumata dal tempo, si distingueva un'intera famiglia, dovevano essere gli Esteban, pensò Juan.

Marta si alzò e vide il suo ragazzo, ma accanto a lui c'era qualcun altro, un fantasma.

«Non può essere. Io non credo ai fantasmi.»

«Come hai detto, tesoro?»

«Corri! C'è qualcuno dietro di te.»

«Non dire cazzate, qui ci siamo solo io e te.»

All'improvviso una mano si posò su Juan, era spettrale, ma non si poteva attraversarla, come Juan o Marta avrebbero immaginato.

Juan corse da Marta, lei era la sua priorità.

«Corri! Andiamocene!»

Marta cadde lungo il percorso che portava all'ingresso.

«Juan, vai e salvati.»

«No! Ora capisco, è Orberto Esteban, è il figlio maggiore degli Esteban, dell'ultima generazione, lui li ha uccisi! E il suo spirito ha ucciso i visitatori del museo.»

«Perché?» disse Marta mentre si rialzava aiutata da Juan. «I fantasmi non vogliono riposare?»

«Sì, ma anche lui è morto qui, si è suicidato, non ha mai potuto andarsene. Quando ha ucciso i suoi genitori e i suoi fratelli si è pentito e la sua anima vaga per la casa.»

«E le persone del museo?»

Juan si fermò di colpo, la sua faccia era bianca.

«Erano lontani parenti», disse Juan, pensando che suo nonno aveva antenati comuni con gli Esteban. «La missione di Orberto era quella di uccidere la sua famiglia e tutti quelli che avevano a che fare con essa.»

«Ciao,» disse una strana voce.

«Puoi parlare?» Marta non si capacitava del proprio stupore.

«Tu, ragazzina, chi sei? E tu, bambino, la tua anima mi appartiene.»

«Fantasma, non sono una ragazzina, e lascerai in pace il mio ragazzo.»

«Se vuoi che uccida anche te, ok, lo farò.»

«Lasciaci in pace, non siamo della famiglia Esteban, tu hai ucciso mio nonno e io ti ucciderò.»

«Non uccido le persone tanto per uccidere, uccido solo quelli che vogliono rubare la mia casa e loro sono il mio sangue.»

«Ma se non hai sangue!»

Era abbastanza tardi, e a casa di Juan bussarono ripetutamente alla porta. Erano i genitori di Marta, che erano preoccupati.

Lili, la madre di Marta, disse:

«Mi ha detto che non sarebbero stati via a lungo e sono le due del mattino, non so dove possono essersi cacciati.»

«Sono sicuro che stanno bene, se volete andiamo a cercarli, per ogni evenienza» disse Leon, il padre di Juan.

Li cercarono per molte strade, ma nessuna traccia. Leon notò che non c'era la luna, che gli riportò alla mente brutti ricordi, poiché anche la notte in cui suo padre morì non c'era la luna, in quelle notti sembrava che qualcuno la rubasse.

All'improvviso, Mar, la madre di Juan, udì qualcosa. Veniva dalla casa abbandonata, il che attirò la sua attenzione, perché nessuno viveva lì.

«Penso che siano lì» disse Mar.

«Andiamo a vedere» disse con voce decisa Jorge, il padre di Marta.

La porta era bloccata. Ma fecero rumore e i loro rispettivi figli li udirono.

«Mamma! Papà! Siamo in trappola! Un fantasma vuole ucciderci.»

« Figlia mia stai tranquilla, state bene?» chiese Lili preoccupata.

Crearono un tale trambusto tutti insieme, che alcuni vicini avvertirono la polizia per la confusione, altri si avvicinarono al posto per vedere cosa stava succedendo, e tra tutta la folla lì riunita, non si sa come, aprirono la porta.

Prima che la porta si aprisse qualcosa accadde dentro la casa.

«Ragazzo, dammi quella foto,» ordinò il giovane, «Io vivo lì, come l'hai avuta? Non la vedevo da quando … Ho ucciso la mia famiglia. La mocciosa della mia sorellina dovette nasconderla.»

«Così tu vivi qui» Juan strappò la foto in molti pezzi, facendo sì che il fantasma di Orberto si disintegrasse lasciando un mucchio di sabbia e cenere. Solo un secondo dopo la porta della casa si aprì.

I giovani raccontarono la storia passo dopo passo, saltando la loro discussione e la riconciliazione, naturalmente. I corpi trovati in quella stanza furono sepolti nel cimitero municipale.

La polizia non credette mai che ci fosse davvero un fantasma. Riguardo a loro, continuarono con le loro vite come prima.

Storie Misteriose

Подняться наверх