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​UN NATALE DIVERSO (2009)

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"Signor Maggi, ancora qui a quest'ora, la vigilia di Natale?"

Il mio capo si era affacciato nel mio ufficio. Dall'abbigliamento sembrava in procinto di uscire.

"Si", gli dissi, "ma non sto facendo straordinari. Sto solo aspettando che ci sia meno traffico per andare a casa."

Lui mi guardò nel modo in cui era solito far capire a qualcuno che non la beveva. Dovetti confessare.

"Il fatto è che il Natale è la festa in cui si sta in famiglia … Anzi, è proprio la festa della famiglia, se vogliamo. E la mia situazione familiare in questo momento non è affatto felice. Mia moglie vuole la separazione. Per me sarà un Natale abbastanza difficile, sicuramente il più brutto della mia vita."

"Capisco", mi disse lui comprensivo. "Stasera lo passerà coi tuoi genitori."

"No. Loro non lo sanno ancora, e non voglio rovinargli le feste con queste notizie. Glielo dirò poi con calma, quando lo riterrò opportuno. Per fortuna vivono lontano, in un'altra città."

"Se non ha prospettive migliori può venire a cenare con noi stasera, se vuole. Sarà il benvenuto."

"La ringrazio di cuore, ma penso che non ce ne sia bisogno. Mi ospita un amico, ci terremo compagnia. Lei tutto bene in famiglia, vero?"

"Si. Oggi mia moglie è andata a fare shopping. Ogni anno per Natale le regalo una ricarica di mille euro sulla carta prepagata, da spendere come vuole, e la faccio felice. L'anno scorso ci si è comprata un cappello ed un collo di pelliccia, ed era così contenta dell'acquisto che ha voluto che andassimo alla messa di mezzanotte solo per farlo vedere a tutto il vicinato. Le donne sono fatte così: spesso non è proprio facile capirle. Nessuno sa bene come vadano gestite. Beh, se cambia idea e vuole passarmi a trovare durante le feste, il mio telefono ce l'ha. Mi raccomando, cerchi di trascorrere il Natale il meglio possibile."

Mi strinse la mano ed uscì. Dopo un paio di minuti il rombo della sua Alfetta che usciva dal garage, poi l'ufficio tornò nel silenzio.

La sera della vigilia passò mestamente, le uniche emozioni furono la telefonata di mia figlia e quella coi miei genitori. Con mia figlia anche la cospirazione per fare in modo che i suoi nonni non sapessero che non ero a casa: ero uscito per comprare non so cosa. Alla fine, con mio stupore, mi sembrò che non sospettassero di nulla, non so se perché troppo vecchi e rimbambiti, o perché troppo sensibili e comprensivi.

Per Natale, però, mi aspettava una giornata speciale. Mi svegliai con entusiasmo, sapendo quello che mi attendeva. Quando, pronto per uscire di casa, accesi il cellulare, mia figlia mi chiamò, come se fosse stata lì a spiarmi.

"Ciao papà, sono Chiara. Posso venire a stare con te oggi?"

"Certo, volentieri", le risposi entusiasta. "Io però ho in programma di fare alcuni giri, e sono già quasi in ritardo. Se ti va di venire con me passo a prenderti tra venti minuti: fatti trovare pronta con scarpe da ginnastica e abiti comodi."

"D'accordo. Allora a tra poco."

Naturalmente si fece un po' aspettare, ma per la sua compagnia valeva la pena che facessi un piccolo cambiamento di programma.

"Dove stiamo andando?", mi chiese Chiara.

"Verso le colline. Hai mai sentito parlare del paese di S. Vittorino?"

"Dove abitavi tu da ragazzo, se non sbaglio."

"Esatto. Adesso che tutto quanto ho costruito con tua madre viene messo in discussione, ho sentito l'esigenza di un ritorno al passato, a quello che per me da giovane era importante. A S. Vittorino una volta c'erano una casa di riposo ed un gruppo di volontari che almeno due volte a settimana si organizzava per andare a trovare quei vecchietti, a portar loro un po' di compagnia e di affetto. Fortunati loro, ma soprattutto fortunati noi, che avevamo modo di vivere e conoscere un po' l'amore, il lato migliore di noi stessi. Quei volontari e quei vecchietti ci sono ancora, anche se ovviamente sono altre persone. E l'esigenza di riscoprire il lato migliore di me stesso è ritornata. Potrebbe essere una bella esperienza anche per te, vedrai. Conoscerai gente simpatica, e in gamba."

Chiara rimase impassibile. Trovavo in lei qualcosa di strano, senza riuscire a capire esattamente cosa.

"E poi c'è un altro motivo per cui vado a S. Vittorino, sempre legato alla mia adolescenza. Ma te ne parlerò al ritorno, così avrai modo di capirlo meglio."

Pochi giorni che non vedevo mia figlia, e già mi sembrava cambiata. Più adulta, direi. Sicuramente era lei a risentire di più della mia lontananza da casa.

"E tu come hai passato la Vigilia? Come ti trovi con quell'amico di tua madre?", le chiesi.

"Niente di speciale. Ha un sacco di soldi, e mi riempie di regali. Credo che se dicessi che voglio il motorino lo troverei pronto in garage il giorno dopo. Mi dà un po' fastidio. Mi dà come l'impressione che cerchi sempre di comprare il mio favore."

"Non devi biasimarlo troppo. Ognuno usa i mezzi che ha, e lui ha quelli. E poi dietro questo atteggiamento c'è tua mamma. Non è che voglia parlar male di lei, intendiamoci: ma la conosco bene. Io non credo che lui abbia conquistato tua mamma comprandola, ma che sia lei ad essersi venduta. Sono convinto che se avessi avuto uno stipendio doppio di quello che ho, non mi avrebbe lasciato. Ma purtroppo sono quello che sono."

In fondo, pensai tra me, questa situazione per me un domani avrebbe potuto avere i suoi vantaggi: magari non mi sarei dovuto svenare per gli alimenti, come succede a tanti.

"Si, anch'io ho avuto l'impressione che ci fosse mamma dietro ad alcuni regali. Vuoi una gomma da masticare?", mi chiese.

"Sai che detesto le gomme da masticare. E soprattutto detesto vedere te che le mastichi in continuazione", risposi così d'istinto.

Lei rimise dentro le gomme, anche la sua, senza fiatare. Si, mia figlia era davvero cambiata. Forse avevo dato la risposta sbagliata: magari un domani Chiara per poter masticare liberamente non avrebbe più voluto vedermi. Però rimasi sulla mia posizione, e non dissi nulla.

Arrivammo alla salita di S. Vittorino e trovai parcheggio. Salimmo a piedi fino alla piazza principale, dove si concentravano gli edifici più importanti del paese, tra cui la chiesa principale.

"In genere vado coi ragazzi alla messa delle undici, ma oggi ho fatto molto tardi. E' inutile entrare a quest'ora."

Vicino alla chiesa un gruppo di ragazzi chiacchierava attorno a una chitarra.

"Vieni, ti presento alcuni dei volontari. Loro sono quelli che non credono, o meglio che credono a qualcos'altro."

Chiara fu accolta con simpatia. A prima vista mi parve che si trovasse a suo agio, e che riscuotesse un certo successo. Poi la gente cominciò ad uscire dalla chiesa, ed il nostro gruppo si accrebbe di nuovi elementi, alcuni dei quali vestiti nel modo tipico degli scout. Qualche saluto, poche chiacchiere ed in breve tempo furono composti gli equipaggi delle poche vetture e moto disponibili. Vista l'assenza dei mezzi pubblici per il Natale, qualche macchina avrebbe fatto due volte il percorso fino alla vicina casa di cura per poter accompagnare tutti.

Al nostro arrivo si può dire metaforicamente, come di consueto e per quanto l'età e le loro capacità fisiche lo consentissero, che il personale ed i malati ci corsero incontro a braccia aperte.

La domenica in genere è giorno di visite di amici e parenti, e il nostro arrivo garantiva un minimo di affetto ed attenzione anche agli ospiti meno fortunati, che di fatto sembravano non avere nessuno, fuori della casa di cura, che si interessasse a loro. Inoltre il sostegno puntuale e costante dei volontari consentiva alla direttrice un risparmio economico non banale, garantendo al personale effettivo il rispetto del loro sacro riposo settimanale senza troppi costi aggiuntivi.

Ciononostante mi presi anche stavolta il giusto rimbrotto dalla direttrice:

"Ti sei ricordato della dichiarazione dell'associazione? O vuoi che se arriva la finanza ci faccia chiudere perché trova dei lavoratori in nero?"

Comprendevo perfettamente le sue esigenze, ma con la mia situazione ed i miei problemi mi era completamente uscito di mente.

"Non solo ho dimenticato, ma se verrà la finanza ti accuseranno anche di sfruttamento del lavoro minorile. Ho portato mia figlia. Però adesso ne parlo col capo scout, che è più giovane e giudizioso di me e di certo non si dimenticherà. Dammi giusto il tempo di salutare Lara."

Qualcuno scherzando diceva che Lara era la mia ragazza. Lo era stata, in gioventù; e in particolare adesso, se qualcuno mi avesse chiesto chi ritenessi la mia anima gemella, avrei detto lei. Il primo amore, si sa, non si scorda mai, anche se una brutta malattia te lo porta sulla sedia a rotelle sin da giovane. Non mi sentivo un vigliacco. Non ero stato io a lasciarla, ma la sua famiglia mi ci aveva costretto, per il mio bene. E ora, guardando mia figlia quasi adulta, capivo quanto avessero avuto ragione.

Andai dentro a prendere Lara, appisolata o ipnotizzata insieme ad altre in salone davanti al televisore acceso, e la portai fuori in giardino, al sole vicino ai gelsomini, che era il posto che preferiva.

"Ciao Lara", le dissi. "Ti ricordi di me?"

"Vagamente", mi rispose guardandomi con quei suoi occhioni buoni e sorridenti. Le avevo posto la stessa domanda la settimana prima, e lei candidamente aveva detto no. Ma non me ne ero dispiaciuto.

"Ti tengo un po' compagnia finché non arrivano tua sorella e i tuoi nipoti. E' questione di poco, presto saranno qui."

Cominciai a parlarle, ricordando alcuni episodi ed alcune gite che avevamo vissuto insieme da giovani. Chissà che parlandone non le tornasse in mente qualcosa. Avrei dovuto cercare a casa qualche foto di quei tempi, di noi due insieme; ma trovarle adesso, con la mia attuale situazione familiare, mi sembrava una cosa assai improbabile.

I ragazzi, come al solito, si erano divisi in tre gruppi: uno in cucina ad aiutare per il pranzo, e gli altri due, vista la bella giornata, in giardino, alcuni a sistemare le piante e tutti gli altri ad intrattenere gli ospiti (quasi tutte donne) parlando e a volte suonando. Chiara durante la giornata ebbe modo di partecipare a ciascuno di questi gruppi, cominciando da quello del pranzo: strano a dirsi, per lei che a casa sua non si dedicava mai alla cucina se non per lo strettissimo necessario.

Verso mezzogiorno arrivò la sorella di Lara con la famiglia. Il suo affetto, la sua cordialità e la sua simpatia si erano mantenuti immutati rispetto a quando era ragazza, prima della comparsa della malattia di Lara, e si erano trasmessi anche ai suoi due figli, ormai anch'essi maggiorenni. Ed anche con suo marito, che avevo conosciuto prima del loro fidanzamento, ero in ottimi rapporti. Perciò il loro arrivo fu una gran gioia anche per me, oltre che per Lara.

"Ragazzi, ho una sorpresa per voi. Voglio presentarvi mia figlia, Chiara, che oggi ha deciso di passare il Natale con me."

Andai a prelevarla dalla cucina per le presentazioni. Che strano effetto!

Che strani scherzi può fare la vita! Se vent'anni prima mi avessero predetto quanto stava succedendo, non ci avrei creduto per nessun motivo.

Non nascondo il fatto che sia in quella occasione che altre volte durante la giornata feci un grandissimo sforzo per non scoppiare a piangere davanti a tutti. Più di una volta con una scusa mi appartai per sfogare i miei sentimenti in un angolo del giardino o in bagno, lasciando che le lacrime sgorgassero in silenzio così come venivano, cercando solo di fare in modo che i miei singhiozzi e le mie lacrime non attirassero l'attenzione di nessuno.

Non volevo che mia figlia vedesse piangere suo padre così, come un bambino, e al tempo stesso avrei voluto che lei capisse. Capisse cosa era stata la mia vita: la mia gioia ed il mio dolore da giovane; la mia tristezza per l'attuale situazione sia mia che di Lara. Speravo che intuisse, magari solo lontanamente, quello che è l'amore con le sue diverse facce; la sua forza che ti riempie la vita e ti fa capire quello che puoi e devi fare, contro tutto e contro tutti, e con cui liberi la tua esistenza dalle banalità. Magari qualcosa quel giorno Chiara l'avrebbe intuito: ma mi sembrava così piccola!

Nel tardo pomeriggio, quando io e Chiara ci accomiatammo, eravamo stanchissimi tutti e due, cotti dal sole di una giornata trascorsa quasi completamente all'aperto, e provati dalle emozioni: soprattutto lei, che di certo aveva sperimentato tante sensazioni nuove in un giorno solo.

Avrei voluto conoscerle, le sue emozioni, sentirmi raccontare da lei le nuove esperienze che aveva vissuto: il pranzo "partecipato", in cui spontaneamente ciascuno faceva la sua parte secondo le sue attitudini e capacità, chi in cucina chi a preparare e sparecchiare la tavola e chi aiutando i vecchietti; la gara di allegria e improvvisazione, in cui ogni mezzo era valido per provocare il sorriso e la serenità natalizia negli ospiti ricoverati; le prime esperienze legate alla cura di un giardino e della preparazione dal nulla di un pranzo; tutta quella strana gente solo apparentemente senza pensieri al mondo, tra cui, guarda caso, c'era anche suo papà.

E invece, data la nostra stanchezza, il viaggio di ritorno passò senza che ci dicessimo una sola parola. Un silenzio che non volli rompere neanche per darle quelle spiegazioni che le avevo promesso, e che riguardavano la vecchia storia tra me e Lara. Le dissi soltanto, una volta fermi sotto casa sua:

"Spero che abbia passato una bella giornata".

Lei annuì, ma esitò ad uscire.

"Papà, ti devo confessare una cosa. E' stata anche mamma a spingermi a venire con te oggi, perché pensava che tu avessi un'altra donna e voleva saperlo".

Ecco, lo squallore del mondo quotidiano tornava ad affacciarsi nella mia vita, cercando di rovinarmi il Natale, pensai.

"E tu cosa le dirai?"

"Non lo so esattamente, ci devo pensare. Di certo le dirò che è proprio una stupida." Mi abbracciò a lungo, forte: poi, prima di uscire, cercò di cancellare le lacrime dal suo volto. Figlia mia, resterai sempre la mia bambina, pensai tra me, anche se stai davvero diventando grande.

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