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I MOSTRI MARINI

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Vi chiedo scusa sin da ora se talvolta nella mia traduzione ho dovuto fare consistenti arrangiamenti oppure ho dovuto trascurare alcuni dettagli: vuoi perché io stesso certe cose non sono riuscito a comprenderle, vuoi perché taluni concetti di per sé non sono facilmente afferrabili da un ascoltatore umano. Il fatto è che ho raccolto questa storia alla fonte, cioè proprio laggiù nel profondo dell’oceano, dove si è svolta.

E’ bene quindi che vi spieghi in anticipo come ho utilizzato alcune parole, e come vadano interpretate.

Quando parlo di “tentacolati” mi riferisco ad una di quelle specie di calamari giganti che abitano le zone più profonde degli abissi marini. Un tentacolo, oltre ad una loro parte anatomica, è anche l’unità di lunghezza da loro adoperata: corrisponde al tentacolo più lungo di un adulto di medie dimensioni.

Persino le parole mamma, figli, maschi e femmine hanno un significato molto relativo per una specie di cui si conosce biologicamente e zoologicamente così poco, e di cui ogni nuovo esemplare del quale veniamo in possesso contribuisce a migliorare la nostra conoscenza. Giorni e settimane significano ancora meno, là dove una luce che filtra può considerarsi solo come un evento miracoloso (o catastrofico).

Nel loro linguaggio, la parola “pesce” indica qualunque essere che è o è stato vivo, ed in quanto tale può costituire nutrimento; perciò organismi in genere, ed in particolare animali. Gli “scorzoni” sono invece tutto ciò che è costituito da materiale molto duro e non commestibile. Così vengono chiamati, tra l'altro, gli oggetti pesanti e generalmente metallici che precipitano dalle alte quote: si tratta per lo più di relitti di imbarcazioni di ogni tipo, cavi, tubature o simili.

Quanto alla “Valle delle punte”, per finire, non so dirvi esattamente dove si trovi, ma penso che sia non molto distante da dove, nell’agosto 2002, si è verificato un famoso disastro aereo in cui, nel tentativo fallito di un ammaraggio di fortuna, morirono quasi duecento persone i cui corpi non sono stati ancora recuperati, e forse mai lo saranno.

I fratelli Dirko e Dalko erano due giovani esemplari maschi tentacolati, nel pieno delle loro forze e del loro vigore, ed anzi si poteva dire che fossero straordinariamente più robusti dei loro coetanei consimili.

Erano coraggiosi più di chiunque altro; anche troppo, pensava la loro mamma. Non sembravano preoccuparsi eccessivamente né del calore, né della luce o del rumore che salendo di quota diventano fastidiosi per i più, e per alcuni addirittura insopportabili. Dirko e Dalko muovevano i loro lunghi, forti ed eleganti tentacoli in lungo ed in largo per le distese oceaniche, talvolta assentandosi per giorni e settimane intere, ma sempre facendo ritorno dalla loro amata mamma.

“Dovete stare attenti! Il mare è diventato molto più pericoloso oggigiorno di quanto non lo fosse quando ero fanciulla. Proprio poco fa è caduto un affare come non se ne erano mai visti, lungo forse più di dieci tentacoli, con delle enormi pinne laterali. Doveva essere un pesce ferocissimo quando era in vita. Con una scorza durissima che nessuno è ancora riuscito neppure a scalfire. Molto diverso anche da quel buffo scorzone acuminato che giace da anni sul fondo della valle delle punte.”

Non aveva neanche finito di parlare che i due giovani avevano già raccolto quella che era sembrata loro una sfida, e avevano cominciato a perlustrare i fondali alla ricerca del mostro. Non fu difficile trovarlo. Le sue enormi pinne emanavano ancora calore. I tentacoli dei due fratelli non riuscirono né a scalfirlo né a spostarlo di un millimetro, così come non ci riuscivano numerosi altri tentacolati, tuttora presenti sul posto, che stavano coordinando i propri movimenti e le proprie energie in uno sforzo di gruppo.

“Se fosse stato un pesce, avremmo avuto una scorta di cibo enorme”. Era quello che pensavano tutti. “Almeno sui classici scorzoni qualche pesce lo si trova sempre; ma qui, anche se ce ne fossero all’interno, non riusciremmo mai a tirarli fuori.”

Ma come dice un noto proverbio sottomarino, il banco si muove sempre in gruppo. E così a quell’evento ne seguirono altri non meno strani e preoccupanti, tutti molto ravvicinati sia nello spazio che nel tempo.

Non trascorse più di un giorno che cominciò a percepirsi un tremito. Era lo stesso tipo di rumore che da anni si erano abituati (e rassegnati) a sopportare, ma sempre isolatamente e per pochi istanti. Questo nuovo, continuo ed ininterrotto, era però ben altra faccenda. Disturbava loro il sonno e la veglia; faceva scappare le prede. Non riuscivano neanche più ad accoppiarsi. Presto erano tutti così nervosi ed agitati, che per un nonnulla scoppiavano risse e litigi. Decisero perciò di riunire il consiglio di zona (era tantissimo che non si faceva più). La proposta che stava avendo maggior seguito era quella di emigrare tutti in un’altra regione abissale, con i rischi che ciò avrebbe comportato.

Erano ancora riuniti in questa loro assemblea, quando una fastidiosa luce cominciò a calarsi dall’alto. Dapprima si intravvide appena; poi, mano a mano che scendeva, diventava sempre più abbagliante e fastidiosa. A partire dai più anziani cominciarono a disperdersi e a cercare rifugio. Il presidente, prima di allontanarsi, proclamò che il consiglio avrebbe ripreso la riunione dopo pochi minuti più in là, ai confini con la valle delle punte. Era una scelta non del tutto priva di pericoli ed incognite, perché quel territorio costituiva motivo di continue scaramucce con un’altra tribù di tentacolati.

Dirko e Dalko, insieme ad un’altra mezza dozzina di giovani, non digerirono questa decisione.

“Questo territorio è nostro, e lo difenderemo a qualunque costo. Nessuno si è mai permesso di disturbare le nostre riunioni, e tantomeno di contrastare il nostro predominio tra questi confini. Dovranno vedersela con noi.”

Un drappello di tentacolati li seguì mentre salivano verso quella luce. Alcuni cercarono di intorbidare l’acqua con la sabbia, oltre che con tutto l’inchiostro che avevano in corpo. Altri, che avevano notato come i raggi luminosi fossero indirizzati verso il basso, cercarono di raggiungere l’obiettivo dall'alto, con una manovra aggirante. Quella lampada, ed il sottile cavo che la sorreggeva, furono aggrediti da una schiera di forti tentacoli impazziti dall’odio; chi tirava da una parte, chi dall’altra, con la rabbia e la forza in genere riservata ai pesci più feroci e pericolosi. In quello scuotimento la luce cominciò prima a vacillare e poi ad attenuarsi, finché, portata a fracassarsi contro una parete rocciosa, si spense completamente lasciando precipitare alcuni suoi frammenti verso il fondale nuovamente oscuro.

La lotta non fu del tutto indolore. Qualcuno nella foga ci rimise qualche pezzo di tentacolo; altri, a contatto con la sorgente luminosa, si procurarono ferite ed arrossamenti, in alcuni casi anche molto dolorosi.

Quei valorosi giovani furono da allora in poi trattati per quello che effettivamente si erano dimostrati: degli eroi coraggiosi. Ebbero pieno riconoscimento da tutti, anche dai più anziani, i quali li incaricarono della difesa del territorio per quanto fosse nelle loro capacità. Raccomandarono loro la massima prudenza perché ritenevano che il pericolo non poteva certamente dirsi passato. I più, anzi, supponevano che la situazione sarebbe presto peggiorata, dopo quanto accaduto.

Così mentre i più anziani, cercando di allacciare relazioni pacifiche coi vicini, si preoccupavano di spianare la strada ad una eventuale emigrazione, i giovani eroi si incaricarono della sorveglianza, organizzando turni di ronda ed attrezzandosi contro un nuovo possibile attacco. Furono predisposti ripari di emergenza e raccolte scorte di sassi e altri frammenti di scorzoni, considerati i mezzi più validi per contrastare eventuali altri pericoli provenienti dall'alto.

Il ricordo di quella luce dall'alto era ancora vivo in tutta la comunità (da allora il brusio di sottofondo non era cessato neanche per un istante) e la scorta di pietre non era ancora stata ultimata, quando sopravvenne un altro pericolo. Era una grossa palla con tanti occhi, che scendeva dall'alto non verticalmente come un sasso, ma con ampie volute e giri irregolari, come un pesce già sazio ancora in cerca di cibo. Era di colore giallo, il che più della sua flebile luce intermittente e fluorescente aveva messo in allarme i giovani di guardia e tutti gli altri, rapidamente distolti dalle loro attività per fronteggiare la nuova emergenza. Tra quel giallo gli occhi liquidi lasciavano intravedere altri piccoli pesci fluttuanti: nulla però che facesse pensare ad un'indole aggressiva.

"Vacci piano. Sembra abbastanza robusto e tranquillo. Forse non ha intenzioni cattive, e si allontanerà con la corrente così come è venuto." Dalko era sempre stato per natura il più prudente tra i due fratelli, ed aveva sempre mostrato un particolare interesse nell'osservare sia i pesci che gli scorzoni in cui gli capitava di imbattersi nelle sue passeggiate oceaniche. Dirko era invece più aggressivo: e data la sua mole non aveva paura di nulla.

Quel mostro giallo si fermò davanti a loro. Da dentro ai suoi occhi altri occhi sembravano fissarli. Dalko, osservato, lo studiava a sua volta con curiosità ed un poco di apprensione. Dirko invece era pronto a scattare, come un duellante sul punto di metter mano all'arma, e percepiva nell'intruso il suo stesso atteggiamento.

"Stai calmo, Dirko, non ti innervosire". Gli altri tentacolati osservavano un po' più distanti, non sapendo cosa fare e cosa aspettarsi.

"Se non se ne va da solo e in fretta lo convincerò io in un modo o nell'altro". Le dimensioni dell'intruso erano maggiori delle sue; ma Dirko aveva con sé la tranquillità di tanti amici pronti a venire in suo sostegno se necessario. Fu così che, quando la sfera gialla fece un ulteriore movimento lento e guardingo verso il fondale della comunità, Dirko le si avventò contro senza esitazione.

Si creò una situazione incredibile. Una massa di tentacoli si accanì contro quella sfera liscia, ricoprendone buona parte; ma ogni sforzo sembrava vano. Forse semplicemente non riuscivano a fare presa, o a trovare un punto debole nel nemico; il quale apparentemente sembrava inerme, immobile, senza armi di offesa né di difesa a parte l'impenetrabilità del suo guscio. Gli altri tentacolati non resistettero molto da spettatori a quel vano e disperato scalciare del loro capo. A poco a poco si unirono alla lotta, finché del giallo della sfera, diventata ormai un ammasso di polpa e tentacoli in movimento, non si distingueva più nulla.

La situazione non era mutata con l'aumento del numero dei combattenti; ma l'intricato ammasso in lotta cominciò, prima lentamente e poi con più decisione, a perdere quota dirigendosi verso il fondale, forse per una deliberata strategia o semplicemente per effetto della gravità.

La discesa era ormai evidente, quando la situazione prese una svolta imprevedibile. Uno, due sibili, e due nuove appendici sferiche si svilupparono dal corpo giallo, modificandone improvvisamente l'assetto. Tendevano verso l'alto, e spingevano con sé l'intricata massa avviluppata a sollevarsi; nel frattempo continuavano ad espandersi ingrossandosi. Queste protuberanze, che la pressione dei tentacoli deformava con una certa facilità, illusero il plotone di guardie di aver trovato il punto debole del mostro, rinvigorendo i loro sforzi. Però il mostro giallo continuava a sollevarsi, inarrestabile, finché la pressione e la temperatura cominciarono a farsi fastidiose per gli abitanti dell'abisso. Uno alla volta mollarono la presa, anche perché ormai l'estraneo poteva dirsi uscito dal loro territorio.

Gli ultimi a lasciare il nemico furono i due fratelli; ma Dalko si tratteneva solo per non lasciare da solo il fratello. "Vieni via, che qui finisce male. Non ci siamo mai spinti così in alto ed in acque così calde. Potrebbe essere pericoloso." Ma Dirko, che per una volta avrebbe voluto dar retta ai saggi consigli di Dalko, non riusciva a muoversi. I due palloni erano cresciuti a dismisura, e benché deformabili ed apparentemente morbidi come polpa di pesce, cominciavano a comprimerlo con forza, bloccando tutti i suoi movimenti.

"Non riesco a muovermi, non riesco. Aiutami!" Anche la sua voce era strozzata, quasi soffocata in quella morsa.

Ormai l'ascesa era veloce. Dalko cercò disperatamente e in tutti i modi di aiutare il fratello a liberarsi, finché ne ebbe le forze. Poi perse conoscenza, e quando la riprese si ritrovò adagiato sul fondo del mare, malconcio e circondato dai suoi giovani compagni.

Di suo fratello, purtroppo, nessuno seppe più niente.

Questo pressappoco avvenne quando la sonda iperbarica "Mistar", dopo un precedente fallito tentativo di esplorazione televisiva, si calò verso il fondale nel luogo della sciagura. I tre uomini di equipaggio ne ritornarono sconvolti, salvati dal perfetto funzionamento del sistema di emergenza a palloni ad aria compressa.

Il loro incredibile racconto fu solo in parte supportato dalle riprese televisive delle telecamere di bordo, messe fuori uso quasi subito dalla colluttazione; ma quel gigantesco ammasso molliccio e fortunatamente senza vita che riportarono in superficie sbalordì il mondo intero.

Il recupero delle salme del disastro aereo si palesò impraticabile, visti i rischi, le incognite ed i costi connessi: enormi, sebbene difficilmente quantificabili. Tuttavia l'interesse scientifico suscitato dal ritrovamento riaprì il dibattito sulla necessità di una nuova missione esplorativa, per cui le unità di salvataggio stazionarono nella zona del relitto per quasi un altro mese prima di rientrare alla base.

Adesso della vicenda non se ne parla quasi più, se non negli ambienti accademici interessati all'oceanografia; ma se ne tornerà a parlare presto, visto che una nuova esplorazione di quei fondali è stata inclusa nel programma elettorale di uno dei candidati in corsa per la Casa Bianca.

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