Читать книгу Il Dono Del Reietto - Mario Micolucci - Страница 11
Оглавлениеrg.191.FFF.F1E.8:08/04/11522 (Dharta Misathon)
Il bastone magico.
Djeek prese il bastone fra le mani, non sembrava né di legno né di ossa né di metallo, probabilmente era di pietra, di una strana pietra nera, levigata e lucida: infatti, era più pesante di quanto la sua forma esile facesse intuire. Aveva un disegno lineare e privo decorazioni tranne che per una grossa gemma incastonata sulla testa attraverso quattro piccoli fermi dalla forma che il goblin associava ai denti del Verme Primordiale.
La gemma era nera, ma Djeek ricordava di averla vista brillare di una luce verde. Questo era avvenuto quando l'umano che aveva ucciso il mostro della palude si era immobilizzato assomigliando a una statua. Si era imbattuto altre volte negli uomini: spesso tra il bottino delle razzie, venivano riportati alcuni di essi. Arrivavano nudi e legati con robuste corde alle cavalcature ferine degli incursori. Erano tutti più alti e poderosi di qualsiasi goblin, però non erano molto resistenti. Venivano messi a lavorare, ma morivano subito o di fame o di malattia o, addirittura, di fatica: non a caso era un insulto diffuso dire "sei fragile come un umano". La loro carne non era un granché, Djeek la trovava pessima: essa veniva data ai groppalupi cavalcati dai razziatori oppure ai piccoli goblin; gli adulti si guardavano dal mangiarla, perché temevano di assimilarne la vulnerabilità. L'uomo a cui apparteneva il bastone era, però, strano. Un goblin qualsiasi non avrebbe notato alcuna differenza con gli altri, ma Djeek, acuto osservatore, aveva scorto delle anomalie: gli strani occhi, come fessure, il colorito più giallognolo e la statura piuttosto minuta.
Ricordava quanto fosse potente il bastone, ma aveva constatato che non lo fosse abbastanza per sopraffare i mostri per antonomasia, i mostri che bastava nominare per raggelare il cuore anche dei più temerari: gli elfi. Ne aveva sentito parlare nei racconti del terrore che si scambiavano al vivaio: erano i più grandi tra loro a raccontarli ai più piccoli per vederli tremare di paura. Ora, lui li aveva visti e, miracolosamente, era ancora vivo: avrebbe voluto raccontarlo agli altri, ma chi gli avrebbe creduto?
Erano terrificanti: alti almeno quanto un umano, dai lineamenti delicati, esili eppure così agili ed energici; avevano la carnagione pallida e grigiastra e i capelli del ripugnante colore dell'argento. Longilinei, affilati e lucenti, gli elfi sembravano delle spade micidiali. La cosa peggiore fu la tempesta che, nel vederli, si era scatenata dentro di lui: aveva sentito un odio ancestrale pervaderlo, un odio che bruciava dentro e che faceva più male dei pugni di Hork. Gli si erano drizzati tutti peli sulla testa e sulla schiena; non riusciva a fare a meno di mostrare le zanne e, a ogni pesante respiro, la bava gli colava copiosamente dalla bocca, mentre il cuore tamburava furiosamente. Aveva dovuto ricorrere a tutto il suo autocontrollo per domare l'orrore e rimanere fermo; il suo corpo avrebbe voluto muoversi d'istinto, non sapeva se per scagliarsi contro di loro o per fuggire.
Stentava a credere che loro, i goblin, potessero in qualche modo discendere dagli elfi. Guardò la sua immagine riflessa sull'acquitrino. Era piuttosto esile, proprio come loro, sì, ma per il resto non c'era nulla di più differente: a partire dalla pelle verdognola e butterata, i lineamenti marcati, i peli radi e ispidi, le zanne, le gambe arcuate, i palmi delle mani e le piante dei piedi forniti di cuscinetti e le unghie come artigli smussati. Gli elfi grigi erano completamente inodori, i goblin, invece, avevano il fiero odore dei lupi.
Come tutti i cuccioli, Djeek, non aveva mai assistito ufficialmente al Rito della Nascita, tuttavia la curiosità e l'interesse lo avevano portato, nell'occasione, a nascondersi in un angolo del vivaio lontano dallo schiamazzo dei suoi compagni. Da lì, aveva potuto udire in maniera fievole, ma piuttosto comprensibile il rullare tamburi, le urla tribali e soprattutto le parole. Durante il Rito, gli sciamani rievocavano l'origine della loro razza, esso prevedeva il sacrificio di un elfo. Purtroppo, negli ultimi anni il confinamento nella Grande Palude li poneva in territori distanti da quelli in cui questi vivevano. Pertanto, veniva usato un fantoccio con addosso qualche accessorio elfico rimediato nei saccheggi. Djeek aveva persino memorizzato le parole del Rituale: esse formulavano una cantilena antitetica a qualsiasi forma di poesia. Cominciò a recitarlo, mentre ripuliva il bastone dalla melma e dalle alghe:
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E il Mondo moriva
Idron il Placido, Idron dell'Acqua
Idron l'Inarrestabile piangeva per la sorte degli elfi degli abissi
e grandi tsunami affogavano i viventi in gorghi profondi
Petra l'Affidabile, Petra della Terra
Petra l'Inamovibile tremava per la sorte degli elfi delle profondità
e terribili terremoti inghiottivano i viventi in crepacci bui
Tempèra l'Algida, Tempèra del Gelo e del Fuoco
Tempèra il Furente ruggiva per la sorte degli elfi di brina e di fiamma
e spaventose eruzioni incenerivano i viventi e conseguenti glaciazioni assideravano i superstiti
Spiral il Libero, Spiral dell'Aria
Spiral l'Inafferrabile si straziava per la sorte degli elfi delle nuvole
e inarrestabili uragani risucchiavano i viventi in cieli tempestosi
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Xantis moriva
Energon l'Arbitro, Energon del Magicka, dall'alto della Luna Clessidra taceva e osservava
I Quattro si servivano dell'energia del suo Mondo per plasmare gli elementi
tuttavia Egli la centellinava e scandiva lo scorrere del tempo di cui era padrone
si dichiarava neutrale ma la sua Arena li aveva incanalati verso la condanna
I Quattro erano prossimi ad abbandonare la Tenzone
Energon del Tempo avrebbe regnato anche sulle loro opere
I Dharta suoi figli erano al sicuro nella Clessidra Celeste
non combattevano ma scrivevano e ogni cosa annotavano
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E l'Arena degli Dei moriva
Tron il Supremo non era appagato
Egli voleva dichiarare un vincitore
Nessuno dei Quattro aveva prevalso
Tutti avevano perso
Un cambiamento e una perturbazione dell'equilibrio necessitavano
E Tron inviò Corrupto dell'Evoluzione
"Va e fa che la Guerra continui e che ci sia un vincitore
tuttavia dei Quattro nessuno devi avvantaggiare"
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E il tutto stava per appartenere a Energon
La Nebulosa Marcia brillò fiera sulla Volta Celeste
Corrupto aprì un varco e da esso emerse il suo Emissario
Il Verme Primordiale era potente quanto un Primo Nato ma presto si sarebbe assopito
Corrupto voleva disporre di servitori indigeni e l'Emissario lo ascoltò
Cercò il magicka nell'impenetrabile Torre di Cenere ne trovò la fonte
Segui le tracce e alcuni Elfi Grigi fuori da essa stanò
in una caverna di lupi si rifugiarono ma con tutta la grotta li divorò
La Guerra degli Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto preparava il suo intervento
Nel ventre del Verme per decenni gli elfi furono deturpati
Soffrivano, si dimenavano, cercavano la morte ma non la trovavano
Sprizzavano lampi bluastri di magicka ma il Verme lo assorbiva e lo plasmava
Decomponevano tra spasmi, urla disperate e loro energia in odio mutava
Per decenni furono digeriti e con essi i lupi della grotta, la terra, il fango
Alla fine l'Emissario terminò il suo compito e dal suo ventre noi goblin fummo generati
Destinati a degenerare nella vecchiaia come i lupi mortali vivevamo
Feroci, astuti, letali e prolifici come i lupi ci diffondevamo
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto si apprestava a regnare su Xantis
Noi goblin ci moltiplicammo a milioni
Tutti i popoli stremati sottomettemmo
Sacrifici a Corrupto in tutta Xantis elevammo
Ciò non piacque a Energon della Razionalità
Egli arrestò lo scorrere del tempo e a Tron rivolse la sua protesta
“Ho accolto i Quattro in Magicka, il mio Mondo, per farne l'Arena
Per ere Ti sei appagato del loro scontro, tutto i miei servi hanno registrato
Nessuno dei Quattro ha ancora vinto e Corrupto non è della Contesa”
La Guerra degli Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
Ma Limpa giunse a perseguitarci
Tron divertito dai nuovi risvolti decise di allargare la Contesa
In antitesi a Corrupto inviò Limpa della Conservazione
E il Diamante risplendette nella Volta Celeste
Ella aprì un varco da cui scaturì il suo Emissario
Il Cigno di Cristallo solcò i cieli con una scia di polvere splendente
Tutti gli elfi da essa investiti provarono sollievo e gioia: il loro aspetto mutò
Crebbero in statura e in purezza, i capelli divennero rilucenti come i diamanti
Gli Elfi di Cristallo ci mossero guerra e cruenti furono gli scontri
La Guerra i Quattro era finita
Nessuno aveva prevalso
Ma una nuova Contesa si era aperta
Tanti Nuovi Dei giunsero e vi presero parte
Nuove razze furono generate e tante altre guerre furono combattute
Fiumi di sangue furono versati e molto magicka fu dissipato
Il rito originale continuava, ma da tempo immemore, la parte finale era stata omessa dalla tribù, forse perché contemplava il graduale declino della loro razza e soprattutto perché, ormai, tutti ritenevano falsa e fastidiosa l'ultima strofa. Non era possibile che i deboli umani, giunti in epoche più recenti, fossero stati generati direttamente da Tron in persona.
Djeek amava recitare il Rito, perché lo portava a fantasticare, ma fantasticare poteva essere letale per un goblin... Infatti, se prima era tardi, dopo le sue elucubrazioni, lo era molto di più. Dove avrebbe trovato il coraggio di presentarsi a Hork con il sacco vuoto? Il tempo che gli restava non sarebbe bastato neanche se i ratti della Grantana fossero usciti, come per magia, tutti allo scoperto. Fu esattamente allora che proprio la fantasia gli fece balenare un'idea bizzarra.