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A PAOLO BOURGET
ОглавлениеMio amico e mio Maestro.
Questa che viene a Voi, come un puro e schietto invio di amicizia, è un'anima semplice. Così assolutamente semplice che, avendo portato due nomi, nella vita del secolo e nella vita della Chiesa, la poveretta non può che ricordarne uno solo, alla volta: soffrendo profondamente quando l'altro suo nome, quando l'altra sua vita le si presentano alla memoria, in singolar contrasto col presente. Quest'anima semplice di cui io, con mano umile, ho tentato di fissare la figura nelle pagine, che il mio riconoscente cuore a Voi dedica, non ha per sè che il suo patimento. Non è bella, non è giovane, non è ricca, non è elegante, suor Giovanna della Croce: l'amore dell'uomo, con la sua luce di poesia, è appena appena trascorso, come ombra fuggente, nel suo lontano passato; il dramma della passione, clamoroso o sordo, non ha sconquassato e non ha consumato i suoi migliori anni di esistenza; quanto è possente attrazione, nella compagine fisica di una donna o nella sua coscienza morale, le manca. È una vecchia monaca, suor Giovanna della Croce, sempre più vecchia e più caduca, dal principio alla fine della sua istoria: il suo corpo, già curvo, s'inchina ogni giorno di più, verso la fossa e non vi cade ancora; i suoi neri abiti claustrali, si lacerano e si struggono, senza che ella possa mutarli, rinnovarli; la sua misera anima semplice, si fa sempre più tristemente puerile, come ella è travolta dal destino, lentamente, troppo lentamente. Non ha, dunque, nulla per attirare la gente innamorata della giovinezza, delle belle forme, delle vesti sontuose, nelle parvenze dell'arte letteraria; non ha, dunque, nulla, suor Giovanna della Croce, per la gente singolarmente avida e mai sazia, e mai stanca, delle istorie di amore: nulla, nulla, per coloro che vogliono ritrovare, nelle prose di romanzo, i tumulti supremi delle ore altissime umane. E allora, a chi piacerà mai, la storia di suor Giovanna della Croce? Chi s'interesserà a lei? Chi ne seguirà i dolenti episodii, sino alla fine dolente? Sono io, dunque, troppo audace, con chi legge? Vado, forse, incontro alla sua noia e al suo disgusto? E, ancora, ancora, oso io troppo, mettendo innanzi a Voi questa istoria, innanzi a Voi, creatore, animatore, poeta di figure leggiadre, squisite, affascinanti?
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No, io non temo che suor Giovanna della Croce vi faccia ribrezzo. Qualunque sia il vostro magico libro, chiuso, dopo la lettura, dalle mani di una persona di talento e di cuore, qualunque sia, questo libro, piccola novella o grande romanzo, gioiello minuto e prezioso o fascio di luce spirituale, chi lo ha letto, giunto all'ultima pagina, ha il cuore riboccante di una ammirazione segreta, l'ammirazione che gli viene per l'alto, purissimo sentimento Vostro: la pietà! Voi conoscete tutti gli errori umani, o mio amico e mio Maestro, e nessuno di essi vi lascia indifferente, e ognuno di essi prende da Voi la sua parte d'indulgenza e la sua parte di dolcezza. Tutta la debolezza della creatura umana, e tutta la sua miseria, con tutte le sue perfidie e tutte le sue viltà, vive nelle opere vostre, ma vi nasce, accanto, per medicina, per balsamo, per assoluzione, questa compassione che Dio mise in Voi, come un dono supremo. Tutto l'orrore del male che ci nausea e che ci sgomenta, quest'orrore che gitta al pessimismo e all'ateismo, tante menti fatte per credere e per amare, quest'orrore del Male, voi non lo sfuggite, voi gli andate incontro, voi lo affrontate, e lo combattete con la bella carità di uomo e di poeta, e con la stessa carità, lo vincete. Felice voi, che come artista non foste mai duro e non foste mai crudele! Felice voi che, come artista, non faceste mai versare delle lacrime e trovaste sempre il modo di rasciugarle, con una sublime filosofia morale, ove rifulge tutta la vostra bontà! Questo potere benefico circondi il povero capo di suor Giovanna della Croce e gli dia l'aureola della compassione umana: aleggi intorno alla sua vecchiaia, al suo abbandono e alla sua miseria e dia loro il fascino dei dolori compresi: sollevi, elevi la sua oscura e ignota tristezza: e il poeta avrà fatto opera di poesia, e l'uomo, opera di cuore!
Ma io vado più oltre, nel mio desiderio sentimentale. Io voglio che Voi riconosciate, nella monaca discacciata brutalmente dal suo convento, la sorella minore delle nobilissime e sventurate donne che palpitano e fremono nelle vostre istorie: io voglio che voi troviate, sulla fronte rugata di suor Giovanna della Croce, lo stesso marchio fatale che è sulle bianche fronti delle creature, cui deste un nome e una vita mortale. Quanta distanza materiale, intellettuale, morale, non è vero? Che profonda diversità di condizione, di ambiente, di destino, non è vero? Una pietruzza che rotola nel fango della via e una stella che muore, in una notte di estate, che mai possono avere di somigliante? Ebbene, esse hanno di somigliante una sola cosa, viva e schietta, ed è il dolore: hanno di somigliante questa crisi dell'anima, questa crisi così rude, che lacera tutti i veli dell'artificio sociale, che strappa tutte le leggiere parvenze della vita mondana, che dirada tutte le ipocrisie e che mostra nudo, ferito, sanguinante, il cuore umano della principessa e della sconosciuta operaia. Il grido lacerante per cui pare che si franga tutto l'essere, è sempre il medesimo, esca da belle labbra fragranti di giovinezza e di sorriso, o da una bocca che disformò la fatica e la fame; le lacrime cocenti, hanno lo stesso ardore che corrode, sulle guancie delicatamente rosee e sugli zigomi sporgenti dei volti cavi e pallidi; i singulti che erompono, irrefrenabili, hanno lo stesso suono, scuotano essi le forme eleganti di una donna divinamente bella o le ossa di una creatura divorata dalla povertà e dalla tristezza. Che grande cosa è il dolore, mio amico e mio Maestro, come è solenne ed ampio, come è uniforme e maestoso, come è semplice e pure svariato, come è alto, sempre, e come afferra tutti i cuori, tutte le anime, in un sol soffio tragico e tragicamente le solleva alla medesima altezza! Che grande cosa è il dolore, poichè esso solo è comune a tutti gli esseri umani, poichè esso solo li unisce, li affratella, li salda, in una simpatia universale! Che grande cosa è il dolore, poichè esso solo permette che qualunque distanza sparisca, che ogni diversità morale si cancelli, che ogni ostacolo sociale si abbatta e che due donne piangenti, una nel freddo e nel buio di una strada deserta, l'altra in una stanza ricchissima e deserta, sieno sorelle, assolutamente sorelle, innanzi alla Giustizia e alla Misericordia del Signore!
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E, qui, io volontariamente e austeramente rinunzio a piacere e a sedurre coloro che chieggono, nelle opere d'arte, la bellezza delle linee e dei colori, la grazia della gioventù, il fascino della ricchezza; rinunzio a lusingare coloro che domandano il rinnovellamento di quella eterna storia di amore, che tutti hanno raccontata e che tutti racconteranno ancora: io rinunzio a trascinare coloro che intendono di ritrovare nelle pagine dei libri, ancora una volta, le vittime sublimi e i carnefici implacabili della passione. Nella maturità dei miei anni, le verità, intorno a me, si fanno più limpide e più luminose: io veggo meglio la mia strada: io conosco meglio il mio còmpito. L'inganno della bellezza e della gioventù, la caducità dell'amore, la fallacia della passione mi sono apparse, in tutta la loro evidenza: e si sono distaccate, queste illusioni, dall'albero della mia vita d'arte, come le foglie d'autunno, roteando, lontane, per morire. Ma nuovi germogli nascono sul tronco che ha conosciuto le ridenti primavere e le ebbrezze dell'estate: ma chi ha finito di credere, in qualche cosa, crederà ancora, in qualche cosa di altro! Vi sono anime malinconiche, possenti, eroiche, tristi, fatali, che niuno vede: vi sono cuori straziati ed esaltati dalla vita, di cui niuno si accorge: vi sono ombre, nella via, che sono uomini e sono donne: vi sono fatti umani, sconosciuti, il cui carattere ha profondità non misurabili: vi sono storie, nel mondo, che farebbero fremere di stupore, e di dolore, se tutte si potessero narrare. E non è l'amore, nel suo stretto senso, che mena queste anime, questi cuori, queste donne, questi uomini; non è la passione, nel suo ardente e breve senso, che domina questi fatti. Sono altri sentimenti somiglianti, diversi, multiformi, più forti, meno forti, più saldi, meno saldi: sono altre espressioni, meno calde, più profonde, più lunghe, più tormentose e più pure: sono altre tragedie, più piene di ombra, più inguaribili, più degne di pietà e di perdono. I miei occhi mortali hanno visto questa folla e fra la folla hanno scorto i visi degli eroi solitarii: il mio spirito ha inteso il vincolo di tenerezza, con questi ignoti patimenti: le lacrime della pietà sono sgorgate dal mio cuore: e se le mie mani di lavoratore e di artefice, di altro scrivessero, dovrebbero essere maledette!
Matilde Serao.