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CAPITOLO UNO

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Kate si svegliò il mattino del suo diciassettesimo compleanno con un buco allo stomaco. Avrebbe  voluto tanto sentirsi eccitata; ma sapeva,  e al tempo stesso temeva, che non ci sarebbero stati regali per lei, nessuna colazione speciale per il compleanno, nessuna torta. Non ci sarebbero stati biglietti d’auguri. Sarebbe stata fortunata se qualcuno della sua famiglia se lo fosse ricordato!

Sentì il calore del sole di Santa Monica colpirle le palpebre, aprì e richiuse gli occhi. La sua camera era piena di scatoloni, dopo il trasloco: intorno a lei c'era una grande confusione, cui non aveva ancora posto rimedio. Forse, pensò la ragazza, era dovuto al fatto che non voleva essere lì. Non voleva stare con la sua famiglia—in nessun posto. Perché avrebbe dovuto? Loro la odiavano.

Kate si tirò la coperta fin sopra la testa, impedendo alla luce di filtrare; desiderava ardentemente  di poter restare nel letto, in modo da non affrontare la giornata. Decise infine che la cosa migliore sarebbe stata uscire di casa, quanto più in fretta possibile, e andare dritta a scuola. Almeno, aveva le sue amiche, che conoscevano fin troppo bene la sua vita familiare e l’avrebbero colmata di attenzioni.

Kate si tirò finalmente fuori dal letto, e indossò i suoi jeans comodi e la sua maglietta nera preferiti. Poi, s’infilò le Converse rosse e si pettinò i capelli castano scuro, abbastanza da sistemarli, ma non tanto da acconciarli in un modo particolare. Visto che si trattava di un’occasione speciale, si passò il mascara sulle ciglia, e  coprì le palpebre con dell’ombretto. Fece un passo indietro e si guardò allo specchio. Sua madre avrebbe odiato il suo outfit. Quel pensiero la fece sorridere.

Fuori, nel corridoio, l’odore dei pancake, della pancetta e dello sciroppo d’acero impregnò l’aria. Sua mamma amava fingere di essere la Miglior Madre d’America, con la sua acconciatura da casalinga indaffarata. Era tutto tranne questo. Un’ipocrita. Era tutto finto. Le Migliori Madri d’America dovevano amare i loro figli – non scegliere una figlia da adorare, e far sentire le altre piccole e insignificanti.

Kate già sapeva che i pancake non erano destinati a lei. Ma al padre e alla sorella, Madison, e al fratello, Max, ma non erano per lei. Gli insulti della madre riecheggiavano nella sua mente.

Se solo facessi dello sport, potresti avere anche tu una colazione abbondante. Ma, visto che trascorri tutto il giorno a leggere in casa, dovrai badare alla linea.

Kate si preparò prima di andare in cucina.

La cucina nella nuova casa era decorata con gusto, dotata di tutti gli accessori di grido. Sembrava quasi che qualcuno l’avesse tirata fuori da una rivista. Era tutto ciò di cui sua madre aveva bisogno per mantenere la farsa della famiglia perfetta.

Suo padre era seduto a tavola, con gli occhi ancora rossi per la serata di bevute appena trascorsa. Guardava tristemente nel suo caffè scuro. I pancake erano intatti accanto a lui. Kate intuì che i postumi della sbornia gli impedivano di mangiarli.

Madison, anche lei seduta a tavola, era intenta a truccarsi col suo specchietto alla mano. I capelli neri erano acconciati in leggere onde sulle spalle, e risplendevano alla luce del sole. Stava completando il suo look applicando un luccicante rossetto rosso, che la faceva sembrare una studentessa del college piuttosto che una liceale all’ultimo anno. Chi non le conosceva non avrebbe mai detto che soltanto diciotto mesi separavano le due ragazze. Madison era più donna, mentre Kate si sentiva piuttosto una ragazzina ossuta.

Kate si trascinò in cucina, e afferrò la borsa dal pavimento. Max se ne accorse e le sorrise. Aveva quattordici anni, e finora era la persona più simpatica della famiglia di Kate. Almeno, lui provava a considerarla.

“Ne vuoi uno?” disse, indicando la sua pila di pancake.

Kate sorrise. Sapeva che Max amava i pancake e, probabilmente, aveva dovuto fare appello ad ogni briciola di forza di volontà per non divorarli. La ragazza fu toccata dal gesto.

“Sto bene così, grazie” gli disse.

Proprio in quel momento, sua madre, che stava sorseggiando un succo in piedi accanto alla finestra della cucina, si voltò

“Niente pancake per Kate” lei disse. “Sembra che tu abbia messo su un paio di chili di recente.”

Scrutò Kate dall’alto in basso, senza nemmeno degnarsi di nascondere la repulsione che traspariva dal volto. Kate ricambiò freddamente il suo sguardo.

Max abbassò lo sguardo nel suo piatto. Probabilmente si sentiva in colpa per aver provocato la critica materna nei confronti di Kate.

“Non preoccuparti, mamma” rispose, senza mostrare alcuna emozione. “Conosco le regole.”

Di solito, Kate era attenta a non rispondere alla mamma. Serviva soltanto a peggiorare le cose. Ma qualcosa sembrava diverso quella mattina. Forse, era perché compiva diciassette anni. Si sentiva leggermente più forte. Nel profondo della sua mente, sentiva che stava per accaderle qualcosa di eccitante.

Kate aprì il frigorifero e prese uno yogurt intero. Era l’unica cosa che la madre le lasciava mangiare a colazione al momento.

Afferrò un cucchiaio e cominciò a mangiare lo yogurt, appoggiata all’isola della cucina, non volendo unirsi al resto della famiglia al tavolo della colazione.

Sua madre si avvicinò al tavolo con il bricco di succo d’arancia, e versò un bicchiere per tutti gli altri.

Madison chiuse lo specchietto e guardò sua sorella.

“Vuoi venire a scuola con me e Max?” le chiese, mentre il suo sguardo passava dalle scarpe malconce di Kate, ai jeans stracciati ed alla maglietta che non le donava.

Kate dette un’occhiata a Max. Il fratello si sentiva più in colpa che mai. Max era sempre andato a scuola in bici con lei, ma, ora che si erano trasferiti nella nuova casa e il viaggio si era allungato, aveva iniziato a prendere passaggi da Madison in auto.

A lei non sarebbe dovuto importare – del resto in bici ci voleva un’ora per arrivare alla San Marcos Senior School dalla nuova casa, mentre in auto si impiegavano quindici minuti scarsi – ma le mancava quel senso di solidarietà con il fratello. Andando in bici insieme in qualche modo avevano manifestato silenziosamente la loro disapprovazione per quella sorta di ordine, che regnava nella casa, e in cui Madison era chiaramente al top. Ma ora anche quella tranquilla protesta era stata spezzata.

Nei suoi momenti più paranoici, Kate si chiedeva se sua madre avesse insistito per quella casa vicino a Butterfly Beach solo per separare lei e Max.

“Nessun passaggio” la madre avvertì, sebbene il suo tono con Madison fosse più dolce. “Kate ha bisogno di fare esercizio.”

Kate guardò i quattro al tavolo della colazione, e provò un pizzico d’invidia. La sua famiglia era completamente disfunzionale, ma era ancora tutto ciò che aveva, ed essere separata da tutti loro era doloroso.

“Prenderò la mia bici” Kate rispose con un sospiro.

Madison alzò le spalle. Non era cattiva con Kate, ma non si sarebbe mai esposta per difendere la sorella. Madison era la figlia preferita in casa e viveva comodamente nel posto d’onore. Associarsi troppo a Kate avrebbe potuto danneggiarla.

Aveva visto con i suoi occhi che cosa comportava perdere le grazie della madre e, chiaramente, non avrebbe fatto nulla per mettere la sua posizione a rischio.

Dall’altra parte della stanza, Max guardò Kate negli occhi e mimò scusa con le labbra.

La sorella scosse la testa e mimò con le labbra va bene.

Non era colpa di Max il fatto che fosse sempre colto nel bel mezzo di ogni cosa. Non doveva sentirsi in colpa per l’ingiustizia di sua mamma.

Max indicò la borsa a Kate e sollevò le sopracciglia.

Kate si accigliò e sbriciò dentro lo zaino. All’interno c’era una busta celeste. La ragazza sussultò. Era chiaramente un biglietto. Ne fu commossa. Il fratello aveva messo furtivamente un biglietto d’auguri per lei.

Kate sollevò la testa e lo guardò, mentre le sorrideva impacciato.

Grazie, lei mimò con le labbra.

Il ragazzo annuì e il suo sorriso si allargò.

“Non hai l’allenamento oggi, tesoro?” la mamma chiese a Madison; gli occhi brillavano di orgoglio mentre guardava la sua bella e talentuosa primogenita.

Le due cominciarono a chiacchierare a lungo dell'allenamento da cheerleader, facendo commenti maligni sulle ragazze che stavano facendo precipitare il rendimento della squadra, o su chi era ingrassata di diversi chili recentemente. Erano come due piselli in una pentola, sua madre e Madison. La mamma era stata una brava cheerleader al liceo, ed era stata una grande delusione per lei, quando Kate aveva rinunciato all’attività per dedicarsi alla lettura e alla scrittura.

Proprio in quel momento, il padre si alzò da tavola. Tutti restarono immobili. Era un uomo molto alto e incombeva su tutti loro, formando un’ombra scura nell’altrimenti luminosa e splendente cucina.

“Sono in ritardo per il lavoro” borbottò.

Kate s’irrigidì. Il solo posto dove suo padre avrebbe dovuto andare era il letto, per riprendersi dalla sbornia. Era in uno stato pietoso, con la camicia in disordine e la barba incolta. Forse il suo problema col bere era una delle ragioni per cui la madre era così critica riguardo all’aspetto di Kate; forse, non essendo in grado di rendere presentabile il marito, se la prendeva con la figlia.

Un silenzio pesante calò nella stanza, mentre tutti trattenevano il fiato. Il padre si mosse pesantemente, pescando le chiavi dell’auto dalla ciotola sul banco dell’isola ed urtando maldestramente la valigetta sul pavimento. I suoi movimenti erano scoordinati, e Kate si preoccupò del fatto che guidasse fino al lavoro in quello stato. Si chiese che cosa pensassero di lui i colleghi. Sapevano quanto bevesse la sera? O era bravo a recitare così come lo era sua madre? Quando andava al lavoro, assumeva un’altra personalità, fingendosi un uomo migliore, un padre di famiglia, che meritava rispetto? Aveva ottenuto  diverse promozioni per loro, in modo che potessero permettersi quella bella casa in un quartiere invidiabile. Doveva aver fatto qualcosa di giusto!

Quando la porta si chiuse e si udì il motore dell'auto avviarsi, tutti si rilassarono un poco. Ma non più di tanto. Spesso, era solo l’umore imprevedibile del padre che teneva la mamma sotto controllo. Senza di lui lì, era il capo di tutti e di tutto, particolarmente di Kate.

“Allora” lei disse, rivolgendo gli occhi freddi verso la sua figlia minore. “Ho dato un’occhiata  alle nostre bollette da quando ci siamo trasferiti nella nuova casa, e sembra che il college sia fuori discussione per te, Kate.”

Kate s’immobilizzò. Tutto il corpo le si tramutò in ghiaccio.

“Che cosa?”

“Mi hai sentito” la madre le disse. “Questo quartiere è costoso, e non possiamo permetterci di mandarvi entrambe. Madison avrà la priorità. Tu puoi lavorare già all’ultimo anno di liceo, poi l’anno successivo non ci andrai, per aiutare a pagare l’istruzione di Madison.”

Kate sentì lo yogurt agitarsi nello stomaco. Era così devastata per la notizia, che pensava che avrebbe potuto vomitare in qualunque momento.

“Tu…non puoi farlo” lei balbettò.

Max si accovacciò sulla sedia. Anche Madison parve sentirsi a disagio, sebbene Kate sapesse che lei non avrebbe preso in alcun modo le sue difese.

“Sono tua madre, e finché vivrai sotto il mio tetto, farai quello che ti dirò. Madison entrerà in un grande college e non ti lascerò ostacolare la sua possibilità di eccellere.” L’espressione della donna divenne aggressiva. Aveva le braccia saldamente incrociate sul petto. “Anche congratularti sarebbe una buona idea” lei sogghignò. “Non mi pare di averti sentito dire nulla da quando Madison ha ricevuto la lettera. Non sei nemmeno rimasta per la torta.”

Sua madre aveva dato una festa di congratulazioni per Madison lunedì, quando la lettera era arrivata. Aveva preparato una torta – sebbene a Kate non sarebbe stata concessa una sola fetta— ed aveva persino appeso uno striscione. La festa celebrativa di Madison era stata esattamente la festa di compleanno che Kate non avrebbe avuto.

Il cuore di Kate batteva forte. Una foschia rossa cominciò a formarsi nella sua mente.

Improvvisamente, la bocca cominciò a parlare da sola.

“E io?” gridò. “E che mi dici di buon compleanno? Non sai nemmeno che compio diciassette anni! Perché tutto deve sempre riguardare Madison? Che ne dici di preoccuparti di me, tanto per cambiare?”

Gli occhi di Max e Madison esprimevano paura. Kate non aveva mai lottato per le sue idee prima di allora, ed entrambi furono preoccupati da quello che sarebbe potuto succedere.

Dall’espressione sul volto della mamma, fu chiaro a tutti che aveva completamente dimenticato il compleanno di Kate. Ma non avrebbe ammesso il suo errore – non lo faceva mai.

“Non sono disposta a discutere di questo con te, signorina. Pulirai le case con me per aiutare a pagare l’istruzione di Madison, ed è la fine della storia.” Il tono era privo di emozione e freddo. “Se sentirò ancora una parola da te, ti toglierò da scuola e non prenderai nemmeno il tuo diploma di liceo. Chiaro?” Poi, rivolgendo a Kate uno sguardo di pura repulsione negli occhi, aggiunse: “Ora, non farai tardi per la scuola?”.

Kate restò lì, fumante dalla rabbia. Lacrime le luccicarono negli occhi. Gli altri ragazzi cercavano i regali e davano feste per i loro compleanni. Tutto quello che lei aveva ottenuto era la cancellazione del suo futuro.

Gettò a terra il vasetto dello yogurt e corse via dalla casa. Era maggio e il sole era davvero forte, scottava la sua pelle candida. Afferrò la bicicletta, rimasta dove l’aveva lasciata il giorno prima dopo la scuola, e cominciò a percorrere la strada, pedalando quanto più in fretta possibile, provando a trovare un modo per alleviare la rabbia che le pulsava dentro.

Odiava sua madre. Odiava la sua stupida nuova casa. Odiava la sua famiglia. Era tutto una bugia. La sola cosa che l’aveva fatta andare avanti tutti quegli anni, era sapere che un giorno sarebbe scappata via da quel posto, dalla sua terribile, soffocante madre e dal suo inutile padre ubriacone. Che un giorno sarebbe andata al college. Voleva andare sulla Costa Est, per allontanarsi da tutti loro quanto più possibile. Ora quel sogno era finito.

Prima dell’Alba

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