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CAPITOLO DUE

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Caitlin chiuse dietro di sè la porta del fienile e strizzò gli occhi dinnanzi ad un mondo ricoperto di neve. La luce bianca del sole la abbagliò completamente. Si coprì gli occhi con le mani, avvertendo un dolore che non aveva mai avuto: gli occhi la stavano assolutamente uccidendo.

Caled si precipitò da lei, mentre stava finendo di coprirsi le braccia e il collo con un materiale sottile e trasparente. Aveva quasi l'aspetto della plastica saran, ma sembrava dissolversi nella sua pelle, una volta entrata in contatto. Perciò, lei non era in grado di affermare che ci fosse.

“Che cos'è?”

“Protezione per la pelle,” rispose, guardando in basso, mentre l'avvolgeva di nuovo e attentamente intorno alle braccia e alle spalle. E' quello che ci permette di uscire alla luce del giorno. Altrimenti, la nostra pelle brucerebbe.” Lui la guardò. “A te non serve—ancora.”

“Come lo sai?” gli chiese.

“Credimi,” lui disse, sorridente. “Lo sapresti.”

Introdusse una mano nella sua tasca ed estrasse un piccolo contenitore di gocce per gli occhi, lo inclinò e si mise diverse gocce in ciascun occhio. Si voltò e la guardò.

Doveva essere chiaro che gli occhi le facevano male, perchè lui posò gentilmente la sua mano sulla fronte di lei. “Stà giù,”le disse.

Lei lo fece.

“Apri gli occhi,” disse.

Non appena lei lo fece, lui si avvicinò e le mise una goccia in ciascun occhio.

Le pungeva da morire; chiuse gli occhi e abbassò la testa.

“Ow,” lei disse, strizzandosi gli occhi. “Se sei arrabbiato con me, dimmelo e basta.”

Lui sorrise. “Mi dispiace. All'inizio brucia, ma ti ci abituerai. La tua sensibilità svanirà nell'arco di pochi secondi.”

Lei sbattè le palpebre e strizzò gli occhi. Alla fine, guardò in alto, e non sentì più nulla. Lui aveva ragione: tutto il dolore era sparito.

“La maggioranza di noi non si avventura alla luce del giorno, se non è necessario. Siamo più deboli durante le ore del giorno. Ma, talvolta, dobbiamo.”

La guardò.

“Questa sua scuola,” le chiese. “E' lontana?”

“Solo una piccola passeggiata,” rispose, prendendogli il braccio e guidandolo attraverso il prato innevato. “Oakville High. Era anche la mia scuola fino a qualche settimana fa. Uno dei miei amici deve sapere dove lui si trova.”

*

Oakville High era esattamente come Caitlin ricordava. Era surreale esserci tornata. Guardandola, le sembrò come se fosse ritornata alla vita normale, dopo un breve periodo di vacanza. Credette anche, per un breve istante, che gli eventi delle scorse settimane, fossero stati solo il frutto di un folle sogno. Si lasciò trasportare dall'idea che tutto fosse tornato alla normalità, proprio come era sempre stato. Le diede una piacevole sensazione.

Ma, nell'istante in cui tornò a guardare Caleb accanto a lei, seppe che nulla era normale. Se c'era qualcosa di surreale, era proprio tornare lì con Caleb al suo fianco. Sarebbe entrata nella sua vecchia scuola con questo splendido uomo accanto, alto oltre 1.80cm, dalle spalle ampie e larghe, tutto vestito di nero, gli alti colletti del suo cappotto nero di pelle che gli fasciavano il collo, coperto dai suoi lunghi capelli. Sembrava esser venuto fuori dalla copertina di una di quelle popolari riviste per adolescenti.

Caitlin immaginò quale sarebbe stata la reazione delle altre ragazze, vedendola con lui. Lei sorrise al pensiero. Non era mai stata molto popolare, e certamente nessun ragazzo le aveva prestato molta attenzione. Non era impopolare—aveva pochi buoni amici—ma difficilmente si era trovata al centro dell'attenzione dei gruppi più popolari. Pensava di essere una via di mezzo. Anche così, ricordò di quanto alcune delle ragazze più popolari la disprezzassero, loro che sembravano agire sempre insieme, camminando nei corridoi con i loro nasi all'insù, ignorando chiunque non considerassero perfetto quanto loro. Ora, forse, avrebbero prestato attenzione.

Caitlin e Caleb salirono le scale e entrarono dalle ampie porte doppie all'interno della scuola. Caitlin dette uno sguardo all'enorme orologio: erano le 8:30. Perfetto. La prima lezione stava per terminare ed i corridoi si sarebbero riempiti in un istante. Questo li avrebbe fatti passare più inosservati. Lei non doveva preoccuparsi della sicurezza, o di passare per i corridoi.

In quel preciso istante, la campanella suonò e, in pochi secondi, i corridoi iniziarono a riempirsi.

Il lato posiìtivo di Oakville era che fosse un mondo a parte dall'orribile liceo di New York City. Qui, anche quando i corridoi pullulavano di studenti, c'era abbastanza spazio per agire. Grandi finestre occupavano tutte le pareti, lasciando entrare la luce ed il cielo, e si potevano vedere gli alberi ovunque si andasse. Le bastava quasi per sentirne la mancanza. Quasi.

Ne aveva avuto abbastanza della scuola. Le mancacano pochi mesi al diploma, ma sentiva di aver imparato di più in quelle poche settimane, di quanto avrebbe potuto fare seduta in classe per ancora pochi mesi fino ad ottenere un diploma ufficiale. Amava apprendere, ma era davvero felice di non doverci più ritornare.

Entrando nel corridoio, Caitlin cercò volti familiari. Riuscì a vedere per lo più studenti del secondo e del terzo anno, e non riuscì a scorgere nessuno della sua classe del terzo anno. Ma, mentre passavano davanti agli studenti, lei fu sorpresa di vedere la reazioni sui volti delle altre ragazze: ogni singola ragazza era letteralmente incantata da Caleb. Nessuna di loro cercò di nasconderlo, o fu in grado di distogliere lo sguardo. Era incredibile. Era come se lei stesse attraversando il corridoio con Justin Bieber.

Caitlin si voltò e vide che tutte le ragazze si erano fermate, e continuavano a guardare. Molte sussurravano tra loro.

Rivolse lo sguardo verso Caleb, chiedendosi se se ne fosse accorto. Se così fosse stato, non ne aveva mostrato alcun segno, e di certo sembrava non interessargli.

“Caitlin?” disse una voce scioccata.

Caitlin si voltò e vide Luisa lì, una delle ragazze con cui aveva fatto amicizia prima di andar via.

“Oh mio Dio!” Luisa esordì con entusiasmo, allargando le braccia per un abbraccio. Prima che Caitlin potesse reagire, Luisa l'abbracciò. L'amica ricambiò. Era bello vedere un volto familiare.

“Che cosa ti è successo?” Luisa le chiese; parlava con un tono frettolosamente concitato, come suo solito, ed emerse il suo lieve accento ispanico, visto che si era trasferita da Porto Rico solo pochi anni prima. “Sono così confusa! Credevo ti fossi trasferita!? Ti ho inviato degli sms e delle e-mail, ma non mi hai mai risposto –”

“Mi spiace tanto,” disse Caitlin. “Ho perso il telefono e non c'erano computer dove mi trovavo, e–”

Luisa non stava prestando ascolto. Aveva solo notato Caleb, e stava lì a guardarlo, quasi ipnotizzata. La bocca letteralmente spalancata.

“Chi è il tuo amico?” chiese infine, quasi sussurrando. Caitlin sorrise: non l'aveva mai vista così sconvolta prima.

“Luisa, questo è Caleb,” Caitlin disse.

“E' un piacere,” Caleb disse, sorridendo, protendendo la mano.

Luisa si limitò a continuare a guardarlo. Lentamente sollevò la mano, stupita, mostrandosi ovviamente troppo scioccata per proferire parola. Lei volse lo sguardo verso Caitlin, senza comprendere come lei avesse potuto acchiappare un ragazzo simile. Guardò Caitlin in maniera diversa, quasi come se non la riconoscesse più.

“Um…” Luisa cominciò, con gli occhi spalancati, “…um…come…dove…come…come vi siete incontrati?”

Per un secondo, Caitlin giocherellò con l'idea di come risponderle. Immaginò di raccontare tutto a Luisa, e sorrise all'idea. Ma non avrebbe funzionato.

“Ci siamo incontrati…dopo un concerto,” Caitlin rispose.

Almeno era parzialmente vero.

“Oh mio Dio, quale concerto? In città? I Black Eyed Peas!?” chiese lei con entusiasmo. “Sono così gelosa! Farei di tutto per vederli!”

Caitlin sorrise all'idea di Caleb ad un concerto rock. Anche se non ce lo vedeva per nulla in un contesto del genere.

“Um….non esattamente,” disse Caitlin. “Luisa, ascolta, mi spiace interromperti, ma non ho molto tempo. Devo sapere dove si trova Sam. L'hai visto?”

“Naturalmente. Tutti l'hanno visto. E' tornato la settimana scorsa. Sembrava strano. Gli ho chiesto dove tu fossi, e quali fossero i suoi progetti, ma non ha voluto dirmelo. Probabilmente si sta precipitando verso quel fienile vuoto che ama.”

“Non è così,” Caitlin le rispose. “Ci siamo appena stati.”

“Davvero? Mi dispiace. Non lo so. E' in seconda, sai? Non ci incrociamo spesso. Hai provato ad inviargli un'e-mail? E' sempre su Facebook.”

“Non avevo il mio telefono—” Caitlin esordì.

“Prendi il mio,” Luisa intervenne, e prima che potesse terminare, il suo telefono era già tra le mani di Caitlin.

“Facebook è già aperto. Fai il log in e inviagli un messaggio.”

Naturalmente, Caitlin pensò. Perchè non ci ho pensato?

Caitlin eseguì il log in, digitò il nome di Sam nel box di ricerca, trovò il suo profilo e digitò un messaggio. Esitò, chiedendosi esattamente che cosa scrivere. Ma poi digitò: “Sam. Sono io. Sono al fienile. Incontriamoci là. Al più presto possibile.”

Cliccò su invia e restituì il telefono a Luisa.

Caitlin sentì un trambusto, e si voltò.

Un gruppo di ragazze del terzo anno, tra le più popolari, stava dirigendosi nel corridoio, proprio verso di loro. Sussurravano. E tutte guardavano direttamente Caleb.

Per la prima volta, Caitlin divenne provò una nuova emozione dentro di sè. La gelosia. Poteva vedere chiaramente negli occhi di quelle ragazze, che non le avevano mai prestato attenzione prima d'ora, quanto avrebbero voluto portarle via Caleb in un istante. Queste ragazze avevano conquistato qualunque ragazzo nella scuola, qualunque ragazzo desiderassero. Non importava se fosse già sentimentalmente impegnato o no. Bisognava solo sperare che non mettessero gli occhi addosso sul tuo ragazzo.

E ora tutte non distoglievano lo sguardo da Caleb.

Caitlin sperò, pregò che Caleb si rivelasse immune dai loro poteri. Che gli sarebbe ancora piaciuta. Ma mentre formulava tale pensiero, non riusciva a capire perchè avrebbe dovuto. In fondo, lei era così ordinaria. Perchè avrebbe dovuto restare legato a lei, quando ragazze come queste avrebbero fatto di tutto pur di averlo?

Caitlin pregò silenziosamente che le ragazze continuassero a camminare. Solo per questa volta.

Ma, naturalmente, non lo fecero. Il cuore le batteva all'impazzata, mentre il gruppo si voltò, dirigendosi verso di loro.

“Ciao Caitlin,” una delle ragazze le disse, in un finto tono gentile.

Tiffany. Alta, con lunghi e lisci capelli biondi, occhi blu e molto magra. Vestita elegantemente dalla testa ai piedi con abiti alla moda. “Chi è il tuo amico?”

Caitlin non sapeva che cosa rispondere. Tiffany e le sue amiche non avevano mai rivolto la parola a Caitlin. Non avevano mai rivolto lo sguardo verso di lei così a lungo. Era scioccata ad accorgersi che sapessero persino della sua esistenza e che conoscessero il suo nome. E ora stavano iniziando una conversazione con lei. Volevano Caleb. Così tanto da umiliarsi a rivolgerle la parola.

Questo non presagiva nulla di buono.

Caleb doveva aver avvertito il disagio di Caitlin, perchè si avvicinò a lei e pose un braccio intono alla sua spalla.

Caitlin non si era mai sentita tanto grata per un gesto in tutta la sua vita.

Senza una nuova sicurezza, Caitlin trovò la forza di parlare. “Caleb,” lei rispose.

“Allora, che cosa state facendo qui ragazzi?”chiese un'altra ragazza. Era una replica di Tiffany, ma era bruna. “Credevo che tu fossi partita o una cosa simile.”

“Beh, sono tornata,” rispose Caitlin.

“Dunque, anche tu sei nuovo qui?” Tiffany chiese a Caleb. “Sei al terzo anno?”

Caleb sorrise. “Sì, sono nuovo,” rispose in maniera criptica.

Gli occhi di Tiffany s'illuminarono, visto che interpretò che fosse nuovo nella loro scuola. “Grandioso,” disse. “C'è una festa questa sera, se ti va di venire. E' a casa mia. E' solo per pochi amici stretti, ma vorremmo averti. E..um... anche te, immagino,” disse Tiffany, rivolgendo lo sguardo a Caitlin.

Cailin sentì la rabbia crescere dentro di sè.

“Apprezzo l'invito, signore,” Caleb disse, “ma sono spiacente di informarvi che io e Caitlin abbiamo un importante impegno questa sera.”

Caitlin sentì il cuore gonfiarsi.

Vittoria.

Mentre guardava l'espressione del loro volto mutare, come se le tessere del domino fossero crollate tutte insieme, non si era mai sentita così vendicata.

Le ragazze sollevarono il naso e, in modo provocante, se ne andarono.

Caitlin, Caleb e Luisa restarono lì, da soli. Caitlin tirò un sospiro di sollievo.

“Oh mio Dio!” Luisa esclamò. “Quelle ragazze non l'hanno mai data vinta a nessuno prima d'ora. Molto meno per quanto riguarda un invito.”

“Lo so,” Caitlin disse, ancora sbigottita.

“Caitlin!” Luisa disse improvvisamente, avvicinandosi e prendendole il braccio, “Mi sono appena ricordata. Susan. Lei ha detto qualcosa su Sam. La scorsa settimana. Che stava frequentando i Coleman. Mi dispiace tanto, mi è appena tornato in mente. Forse può aiutare.”

I Colemans. Certo. Ecco dove sarebbe andato.

“E poi,” Luisa continuò eccitata, “ci vediamo tutti dai Frank stasera. Devi venire! Ci manchi tanto. E naturalmente, porta Caleb. Sarà una festa magnifica. Metà classe ci verrà. Devi esserci.”

“Ecco… non lo so –”

La campanellà suonò.

“Devo andare! Sono così contenta che tu sia tornata. Ti voglio bene. Chiamami. A presto!” Luisa disse, salutando Caleb, e si voltò per precipitarsi in fondo al corridoio.

Caitlin si concesse d'immaginarsi tornare alla vita normale. Uscire con tutti i suoi amici, andare alle feste, frequentare una scuola normale, diplomarsi. Le piaceva come la faceva sentire. Per un istante, provò davvero a scacciare completamente dalla mente tutti gli eventi della scorsa settimana. Immaginò che nulla di male fosse accaduto.

Ma poi guardò davanti a sè e vide Caleb, e la realtà tornò bruscamente a palesarsi. La sua vita era cambiata. Definitivamente. E nulla sarebbe più tornato come prima. Doveva solo accettarlo.

Senza contare che aveva ucciso delle persone e la polizia le stava dando la caccia.

O che sarebbe stata solo questione di tempo perchè la catturassero, da qualche parte. O il fatto che un'intera razza di vampiri la stava cercando per ucciderla. O che la spada che stava cercando avrebbe potuto salvare la vita a molte persone.

La vita era cambiata in maniera definitiva, e non sarebbe più tornata com'era. Lei doveva semplicemente accettare la sua nuova realtà.

Caitlin poggiò la testa sul braccio di Caleb, e lo condusse all'entrata. I Coleman. Sapeva dove vivevano e che aveva senso, Sam sarebbe andato lì. Se non si fosse trovato a scuola, allora sarebbe stato lì probabilmente. Ecco dove avrebbero dovuto andare dopo.

Mentre uscivano a respirare aria fresca, lei si meravigliò di quanto fosse bello camminare fuori dalla scuola ancora una volta—e stavolta per sempre.

*

Caitlin e Caleb s'incamminarono verso la proprietà dei Coleman; la neve che ricopriva l'erba scricchiolava sotto i loro piedi. La casa stessa non era altro che un modesto ranch che si affacciava sul lato della strada di campagna. Ma alle spalle, alla fine della proprietà, c'era un fienile. Caitlin vide tutti i camioncini e pickup malconci parcheggiati a caso nel prato, e riusciva a vedere le impronte nel ghiaccio e nella neve, e sapeva che doveva esserci stato un gran viavai intorno a quel fienile .

Questo facevano i ragazzi ad Oakville – s'incontravano nei loro fienili. Oakville era tanto campagna quanto periferia, e dava loro la possibilità di giocare in una struttura abbastanza distante dalla casa dei genitori, così che non sapessero o che non importasse loro che cosa stessero facendo. Era certamente molto meglio che radunarsi in cantina. I genitori non sentivano una sola parola. E si disponeva di un'entrata personale. E di un'uscita.

Caitlin prese un lungo respiro, prima di entrare nel fienile, e aprì la pesante porta di legno.

La prima cosa a colpirla fu l'odore. Erba. Delle nuvole aleggiavano nell'aria.

Quello, mescolato all'odore della birra stantia. Ce n'era troppo.

Poi la colpì—più di ogni altra cosa—l'odore di un animale. I suoi sensi non erano mai stati così spiccati prima. Lo shock derivato dalla presenza dell'animale colpì i suoi sensi, proprio come se avesse appena sniffato dell'ammoniaca.

Lei guardò alla sua destra e mise a fuoco. Lì, all'angolo, c'era un grosso Rottweiler. Quest'ultimo si sedette lentamente, con lo sguardo fisso su di lei e ringhiò. Esplose in un ringhio basso e gutturale. Era Butch. Lei si ricordò di lui ora. L'odioso Rottweiler dei Coleman. Come se i Coleman avessero bisogno di un animale aggressivo da aggiungere alla loro immagine confusionaria.

Dai Coleman c'era sempre da aspettarsi delle catastrofi. Tre fratelli—17, 15, e 13 anni— ad un certo punto, Sam aveva fatto amicizia con il secondogenito, Gabe. Uno era peggio dell'altro. Il padre li aveva abbandonati molto tempo prima, nessun aveva idea di dove fosse andato, e la madre non c'era mai. Erano praticamente cresciuti da soli. Nonostante la loro età, erano sempre ubriachi o drogati, e passavano più tempo fuori dalla scuola che dentro.

A Caitlin non piaceva l'idea che Sam li frequentasse. Non avrebbe portato a nulla di buono.

Si sentì una musica di sottofondo. I Pink Floyd. Wish You Were Here.

Figuriamoci, Caitlin pensò.

Era buio, specie per chi, come lei, proveniva da un giorno tanto luminoso, e le occorsero diversi secondi perchè gli occhi le tornassero a posto.

Eccolo. Sam. Seduto nel mezzo di un logoro divano, circondato da una dozzina di ragazzi. Gabe da un lato e Brock dall'altro.

Sam era curvo su un bong. Aveva appena finito di inalare; lo mise giù e si poggiò allo schienale, succhiando l'aria e trattenendo il fiato troppo a lungo. Alla fine rilasciò il fumo.

Gabe gli diede un colpetto, e Sam guardò in alto. Stordito, posò lo sguardo su Caitlin. I suoi occhi erano iniettati di sangue.

Caitlin ebbe una fitta di dolore allo stomaco. Era più che delusa. Credeva che fosse tutta colpa sua. Ripensò all'ultima volta che si erano visti, a New York, quando avevano litigato. Le sue parole dure. “E allora vai!” gli aveva gridato. Perchè doveva essere sempre così dura? Perchè non poteva avere la possibilità di rimediare?

Ora era troppo tardi. Se lei avesse scelto delle parole diverse, forse le cose ora sarebbero state differenti.

Provò anche un'ondata di rabbia. Rabbia verso i Coleman, rabbia verso tutti i ragazzi in quel fienile, che se ne stavano seduti su quel divano e su sedie logore, su balle di fieno, tutti lì a bere, fumare e a non fare niente della propria vita. Erano liberi di non fare nulla della propria vita. Ma non erano liberi di trascinare anche Sam con loro. Lui era migliore di loro. Non aveva mai avuto una guida. Non aveva mai potuto contare su una figura paterna, non aveva mai ricevuto una forma di gentilezza da parte della loro madre. Era un figlio meraviglioso, e lei sapeva che avrebbe potuto essere il primo della classe ora, se avesse avuto una casa anche solo semi-stabile.

Ma ad un certo punto, era troppo tardi. Lui aveva appena smesso di preoccuparsi.

Fece diversi passi verso di lui. “Sam?” chiese.

Il ragazzo si limitò a fissarla, senza dire una sola parola.

Era difficile stabilire che cosa ci fosse in quello sguardo. Era causato dalle droghe? Stava fingendo che non gli importasse? O semplicemente non gli importava?

Il suo sguardo apatico le fece più male di ogni altra cosa. Lei credeva che sarebbe stato felice di vederla, alzandosi e abbracciandola. Ma non questo. Sembrava che proprio non gli importasse. Come se lei fosse una perfetta estranea. Si stava comportando in quel modo solo per compiacere gli amici? Oppure lei aveva rovinato tutto per sempre stavolta?

Trascorsero diversi secondi, e infine, il ragazzo rivolse altrove il suo sguardo, passando il bong ad uno degli amici. Continuò a guardare gli altri amici, ignorandola.

“Sam!” disse lei, alzando la voce, con il volto corrugato dalla rabbia. “Sto parlando con te!”

Lei ascoltò le risatine dei suoi amici sfigati, e sentì la rabbia salirle ad ondate nel suo corpo. Stava cominciando a provare qualcos'altro. Istinto animale. La rabbia dentro di lei stava raggiungendo dei livelli talmente alti, che difficilmente sarebbe riuscita a controllarla e iniziò a temere che presto sarebbe esplosa. Non era più umana. Stava diventando animale.

Questi ragazzi erano grossi, ma la forza che le stava aumentando nelle vene le suggerì che avrebbe potuto sbarazzarsi di ognuno di loro in un istante. Stava faticando a contenere la sua rabbia, e sperò di essere abbastanza forte da riuscirci.

Al contempo, il Rottweiler riprese a ringhiare, e si avvicinò a lei lentamente. Sembrava come se avvertisse l'arrivo di qualcosa.

Lei sentì una mano gentile posarsi sulla sua spalla. Caleb. Lui era sempre lì. Doveva aver sentito la rabbia crescerle dentro, l'istinto animale tra di loro. Stava cercando di calmarla, dicendole di controllarsi, di non esplodere. La sua presenza la rassicurò. Ma non era semplice.

Sam alla fine si voltò e la guardò. C'era disprezzo nei suoi occhi. Era ancora fuori di sè. Era ovvio.

“Che cosa vuoi?” le chiese di scatto.

“Perchè non sei a scuola?” fu la prima cosa che lei si sentì pronunciare. Non era proprio certa di averlo detto, specialmente data l'enorme portata delle cose che avrebbe voluto chiedergli. Ma l'istinto materno era emerso. Ed era stato quello che le era venuto fuori.

Altre risatine. La rabbia emerse.

“Che cosa te ne importa?” le disse. “Mi hai detto di andarmene.”

“Mi dispiace,” lei disse. “Non intendevo questo.”

Era contenta di aver avuto una possibilità di dirlo.

Ma non bastò a scuoterlo. Lui se ne stava semplicemete a guardarla.

“Sam, ho bisogno di parlarti. In privato,” gli disse.

Voleva che lui lasciasse quell'ambiente e uscisse all'aria fresca, da soli, dove avrebbero potuto parlare veramente. Lei non voleva soltanto sapere del loro padre; voleva anche solo parlare con lui, proprio come avevano sempre fatto. E voleva avere la possibilità di dirgli della mamma. Gentilmente.

Ma non sarebbe successo. Lei riuscì a rendersene conto ora. Le cose si stavano capovolgendo. La ragazza sentì che la forza in quel fienile sovraffollato era davvero troppo oscura. Troppo violenta. Sentiva che stava perdendo il controllo. Nonostante la mano di Caleb, non riusciva a fermare quello che sentiva montarle dentro, qualunque cosa fosse.

“Sto bene qui” Sam disse.

Lei poteva sentire le altre risatine dei ragazzi.

“Perchè non ti rilassi?” uno dei giovani le disse. “Mi sembri molto nervosa. Vieni a sederti. Fatti un tiro.”

Le porse il bong.

Lei si voltò a guardarlo.

“Perchè non t'infili quel bong su per il culo?” lei disse, digrignando i denti.

Un coro di incitamento giunse dal gruppo dei ragazzi. “Oh, TACI!” gridò uno di loro.

Il ragazzo che le aveva offerto il tiro, un ragazzo grosso e muscoloso, e che lei sapeva aveva giocato nella squadra di football, divenne rosso acceso.

“Che cosa mi hai detto, puttana?” le chiese, fermo in piedi.

Lei guardò in alto. Era molto più alto di quanto ricordasse, almeno 1.98cm. Riusciva a sentire la stretta di Caleb sulla sua spalla intensificarsi e non capiva a che cosa fosse dovuto, se perchè lui stesse cercando disperatamente di calmarla o perchè non era tranquillo.

La tensione nella stanza crebbe drammaticamente.

Il Rottweiler strisciò più vicino. Ora distava soltanto pochi metri. E ringhiava fortissimo.

“Jimbo, calmo,” Sam disse al ragazzone.

Quello era il Sam protettivo. Non importava il motivo, ma era protettivo con lei. “E' una rompipalle, ma non intendeva risponderti in quel modo. E' pur sempre mia sorella. Rilassati.”

“Volevo invece,” Caitlin gridò, mostrandosi più arrabbiata che mai. “Voi ragazzi credete di essere così fighi? Trascinando con voi mio fratello minore? Siete solo un branco di perdenti. Non andrete da nessuna parte. Volete solo incasinarvi la vita, fate pure, ma non ci porterete Sam!”

Jimbo sembrò persino più arrabbiato, se possibile. Si avvicinò di qualche passo verso di lei, con fare minaccioso.

“Ecco, Signorina Maestra. Signorina Mammina. Ecco che ci dice che cosa fare!”

Un coro di risate.

“Perchè tu e il tuo amico frocetto non venite qui a picchiarmi!”

Jimbo si fece più vicino e, con l'enorme palmo della sua mano, spinse Caitlin sulla spalla.

Grosso errore.

La rabbia esplose in Caitlin, al di là di ogni possibilità di controllo. Nell'attimo in cui il dito di Jimbo la toccò, a gran velocità gli prese il polso e lo girò al contrario. Si sentì un forte crack, nel momento in cui il polso si rompeva.

Lei sollevò il polso alto dietro la sua schiena e lo spinse con la faccia a terra.

In meno di un secondo, era sul pavimento, con la faccia a terra, senza alcuna speranza. Lei gli saltò sopra, mettendogli il piede dietro al collo, tenendolo stretto, impedendogli di muoversi dal pavimento.

Jimbo gridò per il dolore.

“Gesù Cristo, il mio polso, il mio polso! Schifosa puttana! Mi ha rotto il polso!”

Sam si alzò, così come tutti gli altri, guardando la scena, scioccato. Sembrava davvero scioccato. Come aveva fatto la sua piccola sorella a stendere in quel modo un ragazzo così grosso, e in modo così rapido, proprio non ne aveva idea.

“Le mie scuse,” Caitlin ringhiò a Jimbo. Era scioccata dal suono della sua stessa voce. Sembrava gutturale. Proprio come il verso di un animale.

“Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace!” gridò Jim, singhiozzante.

Caitlin voleva solo lasciarlo andare, che tutto finisse, ma una parte di lei non era d'accordo. La rabbia l'aveva sopraffatta così troppo all'improvviso, troppo violentemente. Non poteva proprio lasciarlo andare. Ancora continuava a sentire la rabbia percorrerle il corpo, esplodendo sempre di più. Lei voleva uccidere quel ragazzo. Andava ben oltre la razionalità, ma lo voleva davvero.

“Caitlin!?” Sam gridò. Lei poteva sentire la paura nella sua voce. “Ti prego!”

Ma Caitlin non riusciva a fermarsi. Avrebbe davvero ucciso il ragazzo.

In quel momento, sentì un ringhio, e con la coda dell'occhio vide il cane. Fece un balzo a mezz'aria, i suoi denti puntavano dritto alla sua gola.

Caitlin reagì istintivamente. Lasciò andare Jimbo, e con un movimento, catturò il cane sospeso a mezz'aria. Finì sotto di lui, gli afferrò lo stomaco, e lo scaraventò a terra.

Volò per aria, a circa 3 - 6 metri, con una forza tale da finire nella stanza, oltre la parete di legno del fienile. Il muro si sfasciò rumorosamente, mentre il cane guaì e volò dall'altra parte.

Tutti nella stanza guardavano Caitlin. Non riuscivano a spiegarsi a che cosa avessero assistito. Era stato chiaramente un atto di forza e velocità sovrumane, e non c'era alcuna spiegazione possibile. Se ne stettero tutti lì a guardare, con la bocca spalancata.

Caitlin fu sopraffatta dall'emozione. Rabbia. Tristezza. Non aveva idea di che cosa provasse, e non si fidava più di se stessa. Non riusciva a parlare. Doveva andare via di lì. Sapeva che Sam non l'avrebbe seguita. Lui era una persona diversa adesso.

E anche lei.

Amata

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