Читать книгу Sovrana, Rivale, Esiliata - Морган Райс, Morgan Rice - Страница 10
CAPITOLO UNO
ОглавлениеIrrien amava la gioia della battaglia, l’emozione data dalla consapevolezza che lui era più forte del suo avversario. Ma vedere ciò che restava dopo la sua conquista era ancora meglio.
Avanzava tra le rovine di Delo osservando i saccheggi, udendo le grida dei deboli mentre i suoi uomini uccidevano e rubavano, stupravano e picchiavano. File di nuovi schiavi camminavano incatenati verso il porto, mentre in una delle piazze era già sorto un mercato di beni trafugati e paesani catturati. Si sforzò di ignorare il dolore alla spalla mentre camminava. I suoi uomini non potevano vederlo debole.
Così tanta parte della città era distrutta ormai, ma ad Irrien non importava. Ciò che era rotto poteva essere ricostruito con tutti gli schiavi al lavoro sotto i colpi di frusta. Poteva essere ricostruito nella forma che lui voleva.
Ovviamente c’erano altri che avevano le loro richieste. Al momento lo seguivano come squali dietro una scia di sangue: guerrieri, sacerdoti e altri ancora. C’erano i rappresentanti delle altre Pietre di Cadipolvere che discutevano sui ruoli che i loro capi avrebbero potuto ricoprire nel saccheggio. C’erano mercanti intenzionati ad offrire le tariffe più vantaggiose per trasportare i beni rubati da Irrien nella terra della polvere eterna.
Per lo più Irrien li ignorava, ma loro continuavano a presentarsi.
“Prima Pietra,” disse una figura. Indossava la tunica di un sacerdote, completa di una cintura di piccole ossa oltre a simboli sacri intrecciati alla sua barba con un filo d’argento. Un amuleto fatto con pietre insanguinate indicava che si trattava di uno dei pezzi grossi del suo ordine.
“Cos’è che vuoi, santità?” chiese Irrien. Si strofinò con noncuranza la spalla mentre parlava, sperando che nessuno ne intuisse il motivo.
Il sacerdote allargò le braccia: aveva le mani ricoperte di tatuaggi rappresentanti rune che danzavano a ogni movimento delle sue dita.
“Non si tratta di quello che voglio, ma di ciò che gli dei richiedono. Ci hanno dato la vittoria. È il momento di ringraziarli con un sacrificio.”
“Stai dicendo che la vittoria non è stata il risultato della mia forza?” chiese Irrien. Lasciò che la minaccia trapelasse dalla sua voce. Usava i sacerdoti quando gli faceva comodo, ma non avrebbe permesso che lo controllassero.
“Anche il più forte deve riconoscere il favore degli dei.”
“Ci penserò,” disse Irrien, che aveva dato la sua risposta a ormai troppe cose quel giorno. Richieste di attenzione, richieste di risorse, un’intera sfilata di persone che volevano prendersi pezzi di quello che lui aveva conquistato. Era la maledizione di un governatore, ma anche un simbolo del suo potere. Ogni uomo forte che veniva ad implorarlo del suo favore era un riconoscimento del fatto che nessuno poteva semplicemente prendersi quello che voleva.
Ripresero a camminare verso il castello, e Irrien si trovò a progettare, calcolare dove fossero necessarie le riparazioni e dove si potessero mettere i monumenti al suo potere. A Cadipolvere una statua sarebbe stata distrutta o rubata prima di essere completata. Qui invece sarebbe potuta restare come promemoria della sua vittoria per il resto dei tempi. Quando fosse guarito ci sarebbero state un sacco di cose da fare.
Guardò oltre le difese del castello mentre lui e gli altri vi arrivavano. Era forte, tanto forte da poter resistere contro il mondo intero se avesse voluto. Se qualcuno non avesse aperto i cancelli per la sua gente, avrebbe sicuramente potuto trattenere fuori il suo esercito fino a che l’inevitabile conflitto di Cadipolvere non l’avesse sopraffatto.
Schioccò le dita verso un servitore. “Voglio che tutte le gallerie sotto a questo posto vengano riempite. Non mi interessa quanti schiavi moriranno così facendo. Poi iniziate su quelle in città. Non voglio che passi un solo ratto dove la gente potrebbe sgattaiolare senza farsi vedere da nessuno.”
“Sì, Prima Pietra.”
Proseguì entrando nel castello. Già i servitori stavano portando dentro gli stendardi di Cadipolvere. Ma ce n’erano altri che non sembravano aver recepito il messaggio. Tre dei suoi uomini stavano strappando arazzi, tirando pietre contro le statue e infilandosi il bottino del loro saccheggio nelle borse che avevano alle cinture.
Irrien avanzò e li vide guardarsi attorno con la riverenza che amava far sorgere nei suoi uomini.
“Cosa state facendo qui?” chiese.
“Continuiamo a saccheggiare la città, Prima Pietra,” rispose uno di loro. Era più giovane degli altri due. Irrien capì che si era unito all’esercito dell’invasione solo per la promessa di avventura che questo forniva. Molti avevano agito così.
“E i tuoi comandanti ti hanno detto di continuare a saccheggiare all’interno del castello?” chiese Irrien. “È qui che ti hanno ordinato di stare?”
Le loro espressioni dicevano tutto ciò che aveva bisogno di sapere. Aveva ordinato ai suoi uomini di essere sistematici riguardo al saccheggio della città, ma questo era tutt’altro che sistematico. Richiedeva ai suoi guerrieri disciplina, e questa era tutt’altro che disciplina.
“Pensavate di poter semplicemente prendere quello che volevate?” chiese Irrien.
“È così che fa Cadipolvere!” protestò uno degli uomini.
“Sì,” confermò Irrien. “Il forte prende dal debole. È per questo che io ho preso questo castello. Ora voi state cercando di prenderlo a me. Pensate forse che io sia debole?”
Non aveva più la sua grossa spada, e la spalla ferita gli faceva ancora così male che anche se l’avesse avuta non gli sarebbe servita, quindi tirò fuori al suo posto un lungo coltello. Il primo colpo prese il più giovane dei tre alla base della mascella, trapassandogli la testa e uscendo dal cranio.
Si girò, sbattendo il secondo dei tre contro un muro mentre quello tentava di prendere le sue armi. Parò un colpo di spada del terzo e gli tagliò la gola senza il minimo sforzo spingendolo via mentre cadeva.
Quello che aveva sbattuto contro il muro si stava riprendendo adesso, le mani sollevate in aria.
“Vi prego, Pietra Irrien. È stato un errore. Non abbiamo pensato.”
Irrien gli si avvicinò e lo pugnalò senza dire una parola, colpendolo più volte. Lo tenne in piedi in modo che non potesse cadere troppo presto, ignorando il modo in cui la sua ferita gli doleva per lo sforzo dei colpi. Non era una semplice uccisione, ma una dimostrazione.
Quando alla fine lasciò che l’uomo collassasse a terra, Irrien si girò verso gli altri e allargò le braccia, rendendo ovvio un invito alla sfida.
“C’è qualcuno qui che pensa che sia tanto debole da potermi semplicemente chiedere delle cose? C’è qualcuno che pensa di potermele portare via, le mie cose?”
Rimasero tutti in silenzio, ovviamente. Irrien lasciò che lo seguissero mentre avanzava verso la sala del trono.
La sua sala del trono.
Dove anche adesso il suo premio lo stava aspettando.
*
Stefania si ritrasse impaurita mentre Irrien entrava nella stanza, e si odiò per questo. Stava in ginocchio vicino allo stesso trono che aveva occupato fino a poco tempo prima, con catene dorate che la tenevano al posto. Aveva tirato cercando di liberarsi quando la stanza era vuota, ma non c’era stato alcun cedimento.
Irrien avanzò verso di lei e Stefania si sforzò di spingere via la paura. L’aveva picchiata, l’aveva incatenata, ma lei non aveva altra scelta. Poteva decidere di lasciarsi annientare o poteva rigirare la cosa a proprio vantaggio. Doveva esserci un modo per farlo, anche in quelle condizioni.
Essere incatenata accanto al trono di Irrien aveva i suoi vantaggi dopotutto. Significava che lui programmava di tenerla. Significava che i suoi uomini l’avevano lasciata in pace, anche se avevano trascinato via le sue damigelle e servitrici per il loro personale piacere. Significava che lei era sempre al centro delle cose, anche se non aveva alcun controllo su di esse.
Non ancora.
Stefania guardò Irrien mentre si sedeva, ne studiò ogni lineamento, giudicandolo nel modo in cui un cacciatore valuta il terreno sul quale vive la propria preda. Era ovvio che la voleva, altrimenti perché l’avrebbe tenuta lì invece di mandarla in una qualche fossa di schiavi? Stefania poteva lavorarci. Lui poteva pensare che lei gli appartenesse, ma presto avrebbe fatto qualsiasi cosa lei gli avesse suggerito.
Avrebbe fatto la parte del giochetto difficile, e si sarebbe ripresa ciò per cui aveva lavorato.
Aspettò, ascoltando mentre Irrien iniziava a trattare gli affari della città. Per lo più erano questioni banali. Quanto avevano preso. Quanto c’era ancora da prendere. Di quante guardie avevano bisogno per tenere al sicuro le mura, e come controllare il flusso di cibo.
“Abbiamo un’offerta da parte di un mercante per dare rifornimenti ai nostri eserciti,” disse uno dei cortigiani. “Si chiama Grathir.”
Stefania sbuffò e Irrien si voltò a guardarla.
“Hai qualcosa da dire, schiava?”
Stefania inghiottì il desiderio di ribattere a quelle parole. “Solo che Grathir è noto per fornire beni inferiori allo standard. Il suo precedente partner d’affari però è in procinto di assumere la sua attività. Se sosterrete lui, potrete ottenere le scorte di cui avete bisogno.”
Irrien la fissò con sguardo calmo e posato. “E perché me lo stai dicendo?”
Stefania sapeva che era la sua occasione, ma doveva giocarsela con attenzione. “Voglio dimostrarti che ti posso essere utile.”
Irrien non rispose, ma voltò la sua attenzione agli uomini presenti. “Lo terrò in considerazione. Cosa c’è poi?”
Poi, a quanto pareva, c’erano petizioni da parte dei rappresentanti degli altri sovrani di Cadipolvere.
“La Seconda Pietra vorrebbe sapere quando tornerete a Cadipolvere,” disse uno dei rappresentanti. “Ci sono questioni che richiedono la presenza delle Cinque Pietre insieme.”
“La Quarta Pietra Vexa richiede più spazio per il suo contingente di navi.”
“La Terza Pietra Kas manda le sue congratulazioni per la nostra vittoria condivisa.”
Stefania scorse con la mente i nomi delle altre Pietre di Cadipolvere. Ulren l’Astuto, Kas Barba Biforcuta, Vexa – l’unica Pietra donna – Borion il Dandy. Nomi secondari se paragonati a Irrien, eppure teoricamente tutti al suo stesso livello. Solo il fatto che non fossero lì presenti conferiva a Irrien assoluto potere.
Insieme ai nomi, la memoria di Stefania recuperò interessi, debolezze e desideri. Ulren stava invecchiando all’ombra di Irrien e avrebbe avuto il seggio della Prima Pietra se il grande condottiero non se lo fosse preso. Kas era cauto, un mercante che calcolava ogni moneta prima di agire. Vexa teneva una casa al di fuori della città, dove si diceva che i suoi servitori fossero tutti senza lingua in modo che non potessero riportare quello che vedevano. Borion era il più debole, e probabilmente avrebbe perso il posto contro il prossimo sfidante.
Mentre pensava alla situazione a Cadipolvere, Stefania posò delicatamente le dita sul braccio di Irrien. Si mosse delicatamente, quasi solo sfiorandolo. Aveva imparato le abilità della seduzione molto tempo fa, poi aveva speso tempo a perfezionarle su una scia di utili amanti. Aveva fatto invaghire anche Tano, no? Quanto più difficile poteva essere Irrien?
Sentì il momento in cui lui si irrigidì.
“Cosa stai facendo?” le chiese.
“Sembra che tu sia nervoso per tutte queste chiacchiere,” disse Stefania. “Pensavo di poter aiutare. Magari potrei aiutarti a rilassarti… in altri modi?”
La chiave era di non spingere troppo. Di dare un accenno di offerta, ma mai di chiedere le cose direttamente. Stefania mostrò il suo aspetto più innocente, guardò Irrien negli occhi… e poi lanciò un grido quando lui le sferrò con noncuranza uno schiaffo.
La rabbia avvampò in lei per quel gesto. L’orgoglio di Stefania le disse che avrebbe trovato un modo di farla pagare a Irrien per quel colpo: si sarebbe vendicata.
“Ah, ecco la vera Stefania,” disse Irrien. “Pensi che mi lasci prendere in giro dalla tua finta apparenza di umile schiava? Pensi che sia tanto stupido da credere che tu possa essere distrutta con un solo giro di botte?”
La paura scorse ancora in Stefania. Poteva ancora ricordare il fischio della frusta mentre Irrien la colpiva. La sua schiena ancora bruciava per il ricordo delle sferzate. C’era stato un tempo in cui aveva goduto di punire gli schiavi che lo meritavano. Ora il pensiero le portava solo dolore.
Ma lo stesso avrebbe usato anche il dolore se avesse dovuto.
“No, ma sono sicura che hai in programma dell’altro,” disse Stefania. Questa volta non cercò neanche di mostrare innocenza. “Ti divertirai a tentare di spezzarmi, tanto quanto io mi divertirò a giocare con te mentre lo fai. Non è metà del divertimento?”
Irrien la colpì di nuovo. Stefania allora gli fece vedere il suo atteggiamento di sfida. Era ovviamente quello che voleva. Avrebbe fatto tutto quello che doveva per legare Irrien a sé. Una volta fatto questo, non avrebbe avuto importanza quello che lei avrebbe dovuto soffrire per arrivarci.
“Pensi di essere speciale, vero?” le disse Irrien. “Sei solo una schiava.”
“Una schiava che tieni incatenata al tuo trono,” puntualizzò Stefania con la sua voce più sensuale. “Una schiava che ovviamente progetti di portare nel tuo letto. Una schiava che potrebbe essere molto di più. Una compagna. Conosco Delo come nessun altro. Perché non lo ammetti?”
Irrien allora si alzò in piedi.
“Hai ragione. Ho fatto un errore.”
Allungò un braccio, prese le catene e le staccò dal trono. Stefania per un momento provò un senso di trionfo mentre lui la faceva alzare da terra. Anche se adesso era crudele con lei, anche se l’avesse trascinata in camera sua e l’avesse gettata lì per farla sua, sarebbe comunque stato un progresso.
Ma non fu lì che la gettò. La spinse sul marmo freddo e lei ne sentì la durezza sotto alle ginocchia mentre scivolava e andava a fermarsi davanti a una delle figure lì presenti.
Lo shock la colpì più del dolore. Come poteva Irrien fare una cosa del genere? Non era stata tutto quello che avrebbe mai potuto desiderare? Stefania alzò lo sguardo e vide un uomo con una veste nera che la guardava con ovvio sdegno.
“Ho fatto l’errore di pensare che valesse la pena spendere un po’ di tempo per te,” disse Irrien. “Vuoi un sacrificio, sacerdote? Prendila. Toglile il bambino e offrilo agli dei in mio nome. Non ho intenzione di avere piccoli mocciosi che gironzolano pretendendo questo trono. Quando hai finito, getta quel che resta di lei a qualsiasi bestia se la mangi.”
Stefania fissò il sacerdote, poi guardò nuovamente verso Irrien, quasi incapace di formare le parole. Non poteva essere vero. Non poteva. Non l’avrebbe permesso.
“Per favore,” disse. “Questa è una follia. Posso fare per te molto più di questo!”
Ma non sembrava importare loro. Il panico divampò in lei, insieme al pensiero scioccato che questo stesse veramente accadendo. Avevano davvero intenzione di farlo.
No, no, non potevano!
Stefania gridò mentre il sacerdote la afferrava per le braccia. Un altro le prese le gambe e la portarono via mentre si dimenava tra loro. Irrien e gli altri seguirono il gruppetto, ma in quel momento a Stefania non interessava. Aveva solo un pensiero in mente: stavano per uccidere il suo bambino.