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CAPITOLO SETTE

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Kate si allenò fino ad essere sicura di non potersi sobbarcare ulteriori morti. Fece pratica con lame e bastoni, scoccò frecce e lanciò coltelli. Corse e saltò, si nascose e uccise dall’ombra. Per tutto il tempo la sua mente era rivolta al cerchio di alberi e alla spada che vi si trovava al centro.

Poteva ancora sentire il dolore delle sue ferite. Siobhan aveva ricoperto i graffi delle spine e il taglio più profondo con erbe per aiutarne la guarigione, ma non avevano fatto nulla per fermare il dolore che ne scaturiva a ogni passo.

“Devi imparare a superare il dolore,” disse Siobhan. “Non permettere a niente di distrarti dai tuoi obiettivi.”

“Conosco il dolore,” disse Kate. La Casa degli Indesiderati le aveva insegnato parecchio al riguardo, almeno. C’erano stati momenti in cui era parso che quella fosse l’unica lezione che avessero da offrire.

“Allora devi imparare a usarlo,” disse Siobhan. “Non avrai mai i poteri di quelli come me, ma se puoi toccare una mente, puoi distrarla, puoi calmarla.”

Siobhan convocò allora le forme evanescenti di animali: orsi e gatti selvatici maculati, lupi e falchi. Colpivano Kate con velocità inumana, gli artigli letali come lame, i loro sensi tali da poterla trovare anche quando si nascondeva. L’unico modo di respingerli era gettare dei pensieri contro di essi, l’unico modo per nascondersi da loro e calmarli portandoli al sonno.

Ovviamente Siobhan non le insegnò questo con pazienza, ma facendola uccidere più e più volte fino a che Kate ebbe imparato quello di cui aveva bisogno.

E imparò. Lentamente, con il costante dolore del fallimento, imparò le abilità che le servivano nel modo in cui aveva imparato a nascondersi e a combattere. Imparò a deviare i falchi con lampi di pensiero, e a rendere la sua mente così immobile da apparire ai lupi come qualcosa di inanimato. Imparò anche ad ammansire gli orsi, cullandoli fino a farli addormentare con l’equivalente mentale di una ninna-nanna.

Per tutto il tempo Siobhan la guardò, sedendosi sui rami vicini o seguendola mentre Kate correva. Non sembrava avere mai la velocità di Kate, ma era sempre lì quando Kate aveva finito, apparendo da dietro un albero o da dentro i bui recessi di un cespuglio.

“Vorresti provare ancora il cerchio?” chiese Siobhan, mentre il sole si levava alto in cielo.

Kate aggrottò la fronte. Lo voleva più di ogni altra cosa, ma poteva anche sentire la paura che veniva a lei insieme a quel pensiero. Paura di ciò che sarebbe potuto accadere. Paura di ulteriore dolore.

“Pensi che sia pronta?” chiese Kate.

Siobhan allargò le braccia. “Chi può dirlo?” ribatté “Tu pensi di essere pronta? Nel cerchio trovi quello che ci porti tu stessa. Ricordatelo quando sarai là dentro.”

Da qualche parte in quel discorso c’era una decisione già presa, senza che Kate se ne fosse resa conto. Avrebbe riprovato il cerchio, a quanto pareva. Le ferite ancora in via di guarigione le facevano male al solo pensiero. Lo stesso attraversò la foresta insieme a Siobhan, cercando di concentrarsi.

“Ogni tua paura ti rallenta,” disse Siobhan. “Sei su un sentiero di violenza, e per percorrerlo non devi guardare né a destra né a sinistra. Non devi esitare, né per paura, né per dolore, né per debolezza. Ci sono quelli che se ne stanno seduti per anni diventando un tutt’uno con gli elementi, o che si tormentano alla ricerca della parola perfetta con cui influenzarli. Sul tuo sentiero, devi agire.”

Raggiunsero il limitare del cerchio, e Kate si fermò a pensare. Era vuoto se non per la spada, ma Kate sapeva quanto rapidamente le cose potessero cambiare. Scivolò tra le spine, senza disturbare le piante e muovendosi silenziosamente all’interno del cerchio. Vi entrò di soppiatto con tutta la discrezione che aveva imparato.

Il suo doppio la stava aspettando quando fu all’interno, la spada in mano, gli occhi fissi su Kate.

“Pensavi semplicemente di sgattaiolare dentro e prenderla?” chiese la sua copia. “Avevi paura di lottare ancora contro di me, ragazzina?”

Kate avanzò, la sua arma pronta in mano. Non disse nulla, perché parlare non le era servito a niente l’ultima volta. Ad ogni modo non era brava a parlare. Sofia era più brava. Probabilmente, se fosse stata lì, avrebbe già convinto il suo doppio a porgerle la spada.

“Pensi che non parlare ti faccia bene?” le chiese la sua immagine. “Che non ti renda più debole? Meno inutile?”

Kate mise la sua arma in posizione, colpendo in alto e in basso e continuando a muoversi.

“Ti sei allenata,” disse il doppio mentre parava. Colpì di rimando contro Kate, ma lei riuscì a deviare il fendente. “Ma non ti basterà.”

Continuò ad attaccare e Kate cedette terreno. Dovette farlo, perché la sua immagine era esattamente veloce e forte come prima.

“Non importa quanto ti alleni, o quanto diventi veloce,” disse la sua avversaria. “Avrò sempre gli stessi vantaggi e nessuna delle tue debolezze. Non sarò una ragazzina spaventata che scappa dal dolore.”

Tirò un colpo verso Kate e lei riuscì appena a schivarlo, restando con una ferita che le disegnava una striscia che bruciava come il fuoco lungo le costole. Kate fece un salto indietro, disegnando un ampio arco con la sua spada da allenamento nel tentativo di tenere a bada il suo doppio.

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