Читать книгу Contatto Per La Felicità - Serna Moisés De La Juan - Страница 7
CAPITOLO 1. PRIMO GIORNO
ОглавлениеArrivai in città, all’inizio senza conoscerne realmente il motivo, ma ero sicuro di avere qualcosa da fare lì, perché fino ad allora ogni volta che andavo in un posto era per aiutare qualcuno, anche se questa persona non era consapevole che io ero il canale utilizzato.
Alloggiai in un motel della periferia e presi la prima linea di autobus che vidi per percorrere le strade di quella città sconosciuta. All’inizio quando senti parlare di un posto nuovo, ti informi dei luoghi più significativi e turistici che si possono visitare, ma la cosa più importante per me era conoscere i luoghi religiosi e gli ospedali, dove poter compiere la mia missione.
Con una cartina in mano, guardavo le strade, per memorizzare quali fossero le fermate che mi interessavano su quella linea, così ogni volta che ci fermavamo per far scendere o salire i passeggeri, facevo un segno sulla cartina e cercavo gli edifici vicini che mi interessavano.
Avevo imparato che quando si ha poco tempo, bisogna sfruttarlo al meglio per compiere la propria missione. E così feci, cercai quei luoghi dove si riunivano le persone di fede, per non doverle cercare casa per casa.
Arrivai all’ultima fermata dell’autobus e scesi, era davvero lungo il viaggio del ritorno, ma prima di prendere l’autobus per tornare al motel decisi di camminare un po’ e conoscere la gente, perché nonostante vivessi in un grande paese con una propria idiosincrasia, ogni città ha il suo stile e dentro di essa, ogni zona ha la sua identità.
Si trattava di un quartiere popolare in linea con i grandi edifici che come alveari davano rifugio a migliaia di persone. Gli scarsi spazi verdi che lo circondavano e la mancanza di attrezzature per il tempo libero, davano l’idea che i suoi abitanti erano troppo occupati nella loro costante evoluzione del lavoro per perdere tempo seduti in un parco a leggere il giornale.
Camminai un po’ e notai i veicoli, erano piuttosto vecchi e nonostante il loro aspetto trascurato venivano utilizzati ogni giorno. Sicuramente venivano usati per trasportare intere famiglie, lasciando tutti a lavoro o a scuola prima di finire all’interno di alcuni edifici adibiti esclusivamente a parcheggi.
Intere torri venivano usate quotidianamente da migliaia di lavoratori che sapevano che per strada non avrebbero trovato un posto libero per parcheggiare.
Continuai a camminare, mi accorsi e rimasi sorpreso che non c’era quasi nessuna traccia di sporco per le strade, cosa che avevo già notato nei quartieri popolari di altre città. Più la popolazione è umile, più si prendono cura delle aree comuni, come se sapessero che nessuno verrà a sistemare ciò di cui non si prendono cura.
Continuai e trovai una piccola chiesa in mezzo a un campo aperto, era un piccolo edificio all’ombra di due grandi case. Entrai, ma mentre mi avvicinavo vidi che c’era un cartello sulla porta, che annunciava il giorno e l’ora della funzione, specificando che rimaneva chiusa per il resto del tempo.
Mentre scendevo le scale davanti alla chiesa, pronto per tornare al motel, una vecchia signora che passava di lì, con indosso un vestito floreale piuttosto appariscente, mi salutò dicendo,
«Giovane, è presto per la messa, perché mancano ancora due ore.»
«Sì, signora, è che sono nuovo della città e mi sono avvicinato per vedere se fosse aperta e visitarla.»
«Da molto tempo non si apre al di fuori dell’orario delle celebrazioni. Prima, quando ero bambina, la casa del Signore era sempre aperta in qualsiasi momento, si poteva passare e pregare, stare un po’ in silenzio e poi andare per la propria strada, ma ora è diverso, tutti hanno troppa fretta per rendersi conto che c’è una chiesa. Mi sembra che anche il sacerdote abbia fretta ed è per questo che non ha nemmeno il tempo di aprire prima dell’orario.»
La ringraziai per l’informazione e, visto che la signora mi era simpatica, le chiesi cordialmente,
«Posso farle un regalo?»
«Non sono vecchia come sembro, a quale donna non piace ricevere un regalo, anche se non so quale sia il motivo,» mi rispose sorpresa.
«Non ho alcun motivo per condividere la mia giornata, voglio solo che sia felice.»
«Ah, allora sì.»
Detto questo, e senza aspettare ancora, le misi la mano destra sulla fronte e dopo pochi secondi, la tolsi e le dissi,
«Questo è tutto, spero che abbiate una splendida giornata.»
Sembravo assorta, con uno strano sorriso di felicità, come quello di una bambina quando è tra le braccia di sua madre, mi ci volle un po’ per reagire ma ormai l’uomo se n’era già andato.
In fretta, ma senza correre, come potei, ritornai dal parrucchiere dove avevo lasciato solo pochi minuti prima una conversazione importante con le mie amiche, con le quali avevo condiviso buona parte della mattinata. Ma i miei obblighi verso mio nipote, al quale dovevo preparare il pranzo, mi avevano indotto a lasciare quel momento di svago e tornare a casa. Arrivando alla porta del parrucchiere la aprii ed entrando salutai tutti e una di loro vedendomi mi chiese,
«Cosa hai dimenticato? Pensavamo che già fossi tra i fornelli.»
Ancora prima di risponderle aggiunse,
«Ehi, piccola, sei rossa in viso, qualcuno ti ha fatto un complimento per strada e sei venuta per condividerlo con noi? » E tutte iniziarono a ridere.
«Ancora meglio,» dissi, e subito tutte rimasero in silenzio.
«Meglio di un complimento alla nostra età? Dicci, perché ci interessa» commentò la prima.
«Ho conosciuto un uomo…»
«Allora presentamelo,» disse un’altra, interrompendomi dal fondo, e tutte risero di nuovo.
«Seriamente, ragazze, questo aveva uno sguardo speciale.»
«Vai avanti, continua piccola» ripeté la donna sullo sfondo e tutte risero di nuovo.
«E poi con la sua mano mi ha toccato e ho sentito un calore…»
«Ehi ragazza! C’è gente perbene davanti a te, stai diventando tutta rossa» disse la prima, interrompendomi e tutte risero di nuovo.
Mi sentivo molto a mio agio senza sapere il perché, ma a quanto pare la mia gioia contagiava le altre, perché nonostante fossimo donne avanti con gli anni, normalmente quel luogo ci serviva per discutere di ciò che ci interessava, dei problemi dei giovani, della mancanza di lavoro, di quanto fosse cara la vita…
Invece, ora stavamo ridendo a crepapelle, senza pensare a nessuna delle ansie che dovevamo affrontare quotidianamente.
Me ne andai con la sensazione di essermi divertita e di sentirmi molto bene, le mie amiche mentre mi salutavano mi dicevano che quando avrei avuto un altro giorno come questo non avrei dovuto esitare a tornare di nuovo e di chiedergli il numero di telefono, c’erano diverse candidate disposte a farsi toccare.
Camminavo per la strada come se fossi su una nuvola, ricordando e ridendo delle battute che erano state fatte dalle mie amiche, era una sensazione meravigliosa che mi avvolgeva.
A cinquant’anni, non ricordo un momento così piacevole come questo, nonostante abbia vissuto dei bei momenti, il giorno del mio matrimonio, quando ebbi mia figlia o quando questa ebbe mio nipote.
Forse quelle tre erano le più straordinarie, ma tutte e tre erano gioie da condividere con gli altri, ma ora era diverso, sentivo una felicità interiore ed ero capace di trasmetterla, come se avessi una fontana alla quale si era rotta il rubinetto e la felicità sgorgava dentro di me.
Arrivai al portone di casa mia, aprii un cancelletto di ferro, questa era una misura di sicurezza che la comunità aveva adottato per impedire alle persone dedite ai furtarelli di entrare, o almeno per rendere le cose un po’ più difficili. Comunque, ogni settimana, qualcuno si lamentava che era stato derubato, anche se era un quartiere povero.
In realtà, nelle case avevamo l’essenziale per vivere, senza alcun tipo di lusso, nonostante entrassero e rubassero quello che trovavano, potevano prendere un tostapane o una radio.
Mentre stavo prendendo l’ascensore,mi imbattei in uno di quei ragazzi difficili da trattare, un rifugiato come li chiamavo io, che trascorreva la vita lontano dagli altri per non far loro del male, perché sembravano molto scontrosi e maleducati.
Normalmente, in un altro momento mi sarei intimidita e avrei lasciato che salisse da solo per poi prendere l’ascensore appena libero, ma stavo troppo bene per avere paura, così quando l’ascensore scese, gli aprii la porta per farlo entrare. Dalla reazione e dall’espressione del suo viso egli rimase sorpreso.
«Le buone maniere sono per gli altri» dissi con un sorriso.
L’uomo mettendo una mano sulla testa tenne la porta e disse,
«Per favore, entrate prima voi.»
Lo ringraziai e passai, seguita da questi, una volta dentro, mi chiese,
«Dove andate oggi?»
«Beh, vado a trovare mio nipote, che sono sicura sarà arrabbiato perché non ha il suo cibo pronto, sapete, con i bambini.» «Non ancora,» mi rispose l’uomo con un leggero sorriso.
«Non si preoccupi, troverà chi l’amerà e vedrà quanto sarà felice quando avrà dei figli,» dissi con un ampio sorriso.
«Voi credete? A dire il vero, lo spero, ma a causa delle mie dimensioni le persone tendono a pensare che non sono facile da trattare e quasi scappano da me.»
Ciò mi sorprese, credevo che fosse lui a mantenere una certa distanza dagli altri e invece aveva un carattere affabile e simpatico, disposto a dialogare con chi gli dedicava qualche minuto.
«Se posso darti un consiglio, dovresti cambiare il tuo modo di vestire, mi piace di più il blu o il bianco per te,» gli dissi facendogli l’occhiolino.
L’ascensore arrivò al mio piano, uscii non senza salutare quel vicino con cui non avevo mai scambiato una sola parola e ora mi sembrava tanto simpatico. Aprii la porta e sentii mia figlia rimproverare mio nipote e lamentarsi del mio ritardo.
«Sono qui, calmati, mi prenderò cura di tutto,» dissi ad alta voce per farle capire che l’avevo sentita.
«Ma hai visto che ore sono? — mi rispose nervosa —. Hai idea di quanto sia tardi? Se non hai intenzione di occuparti del bambino, dimmelo e vedrò come posso lasciarlo a scuola. Sai che devo andare al lavoro e non posso occuparmi di tutto.»
«Beh, ho fatto un po’ tardi con le mie amiche, tutto qui,» dissi con un tono conciliante.
«Certo che sei oziosa come sempre, ma una di noi deve lavorare,» mi rimproverò.
«Ultimamente ho pensato di cercare un lavoro,» dissi pensierosa sapendo che ciò avrebbe potuto risolvere in qualche modo la delicata situazione finanziaria della casa.
Quel mio commento fece ammutolire mia figlia, perché sperava che mi scusassi o protestassi per le tante faccende che avevo in casa, che alla fine ci facevano litigare per ore.
Da parte mia le rinfacciai il fatto di essermi sacrificata quando ero giovane, affinché andasse avanti, dandole gli studi che altri non ebbero.
Da parte sua, mi accusò di essere egoista, ricordandomi che pagava le bollette con il suo lavoro, il che le impediva di frequentare il figlio quanto voleva senza avere la possibilità di pagare qualcuno con chi lasciarlo.
Ma qualcosa era cambiato nella nostra discussione, lei era rimasta in silenzio, pensosa, e dopo un attimo mi disse,
«Va bene, non preoccuparti, farò una cosa veloce e troveremo una soluzione. A proposito, dimentica l’idea di lavorare, non hai né l’età né la necessità, finché io sono in questa casa voglio che tu stia tranquilla.»
Ciò mi sorprese, mi rimproverava sempre di quanto fosse costoso mantenermi con tutte le spese che avevo mensilmente e invece ora sembrava scusarsi.
«Non preoccuparti, figlia mia, ora mi cambio e poi vado a cucinare, a proposito, dov’è il mio re?» Chiesi, mentre cercavo con lo sguardo mio nipote.
Mi guardò divertito e si nascose sperando di spaventarmi all’improvviso, ma io lo conoscevo bene e sapevo dove si nascondeva, così mi girai e lo trovai accovacciato dietro una porta e gli dissi,
«Ti ho trovato.»
E po’scappò verso sua madre, ridendo. Mi sembrava incredibile, non provavo da molto tempo la sensazione di vivere di nuovo con la mia famiglia. Nonostante d’anni vivessimo nello stesso tetto, non era lo stesso di adesso.
«Vuoi dell’aglio?» Sentii mia figlia che me lo domandava.
«Pochissimo, sai che non mi sento molto bene» risposi mentre mi stavo cambiando.
Quando tornai in sala da pranzo, aveva già servito il cibo e mia figlia mi disse,
«Sai a cosa stavo pensando? Questo weekend libero, se vuoi possiamo andare io e mio figlio da qualche parte, e ti lasciamo il giorno libero e fare quello che vuoi.»
«Preferirei passare del tempo con voi, da un po’ che non usciamo come una famiglia da qualche parte, anche solo andare a giocare al parco.»
Deve essere piaciuto a mia figlia, perché si avvicinò a me e mi diede un delicato bacio sulla testa.
«Voglio andare a vedere le anatre» disse mio nipote brevemente.
«Ma devi sapere — gli risposi —. Che le anatre sono molto intelligenti e sanno chi mangia tutto e chi no, vuoi che sappiano che mangi poco?»
«No, oggi mangerò tutto,» disse con un grande sorriso.
Era meraviglioso perché per la prima volta dopo tanto tempo, noi tre eravamo seduti a tavola per mangiare, quando normalmente mia figlia mangiava in piedi o prendeva qualcosa da mangiare in uno snack bar e lo faceva mentre andava al lavoro.
Ma oggi, anche rubando parte del suo tempo prezioso, si era seduta e mio nipote, con il quale doveva sempre lottare per farlo mangiare, mangiava tutto quello che sua madre gli dava e senza nemmeno protestare. Una volta finito di mangiare, andai a lavarmi e mia figlia andò a lavorare.
Ero già in ritardo, anche se non mi interessava, perché mi era piaciuto molto come la mattina si era conclusa, anche se all’inizio ero piuttosto furiosa, perché quando arrivai mio figlio era solo in casa quando mia madre doveva stare con lui.
Quando glielo chiesi, mi disse che era venuto con uno dei suoi piccoli amici, un nostro vicino di casa, e che sua madre li aveva portati entrambi; sebbene mi andasse bene, visto che era a casa sua, non mi piaceva molto, perché se qualcuno è responsabile di un compito, deve compierlo, e di più quando si tratta di mio figlio.
Ma stranamente tutto quel cattivo umore era svanito quando aveva aperto la porta, come se fosse entrata una boccata d’aria fresca e mi aveva fatto dimenticare tutte le mie preoccupazioni.
Anche se di solito lasciavo mio figlio a fare i compiti, oggi avevo appena avuto il tempo di salutarlo e scappare al lavoro. Per fortuna era vicino a dove vivevo, così dovetti camminare un po’ più velocemente per recuperare il tempo che avevo speso per preparare il pranzo.
Uscii di casa per andare a lavorare, al supermercato del quartiere, e quando arrivai lì incontrai il direttore che mi disse,
«Salve, signorina, vedo che oggi è raggiante, sono contento, questo è l’atteggiamento che voglio dai miei dipendenti.»
Raggiante? Non sapevo molto bene a cosa si riferisse, probabilmente avrebbe voluto che facessi gli straordinari, ed è per questo che mi aveva fatto un tale complimento. Non gli diedi molta importanza, mi misi la divisa da lavoro e iniziai mettendomi alla cassa.
«Beh, si può dire che è una bella giornata di oggi,» disse un uomo anziano che vedevo ogni giorno comprare la stessa cosa.
«Sapete, oggi vi consiglio un’offerta che abbiamo, se siete interessato potete aggiungerla alla vostra dieta.»
«Come sapete che sono a dieta?» Chiese l’uomo sorpreso.
«Io sono molto attenta, e voi vi tenete piuttosto bene, quindi fate qualcosa.»
«Oh, grazie, l’avete notato, ma non si tratta solo di cibo, percorro circa otto chilometri ogni giorno, potete crederci alla mia età?»
«Se me lo permettete, vi consiglio alcuni integratori che contengono ferro. È bene sostituire i sali minerali che si perdono,» risposi con un sorriso.
«Sapete, sono molto contento che vi state occupando di me, finché verrò mi assicurerò che lo facciate. E in confidenza, se pensate che abbia bisogno di qualcos’altro, non esitate a dirmelo, perché nonostante il detto “Più vecchio è più saggio”, la verità è che la mia testa è troppo piccola e a volte non riesco a vedere tutto.»
«Perché vi prendete così tanto cura di voi stessi?» Chiesi al quanto stranita.
«Sapete, l’altro giorno ad una festa ho conosciuto una donna, ma ho avuto paura di chiederle di ballare. Anche lei sembra un po’ riservata, e voglio avere un bell’aspetto per questo venerdì.»
«Avete un’altra festa?» Chiesi sorpresa.
«Sì, ogni venerdì alle otto al centro sociale, potete venire se volete, di sicuro vi divertirete.»
«Grazie mille, ma non ho un partner,» risposi con rammarico.
«Sarei felice di esserlo — mi disse l’uomo, strizzandomi l’occhio —. Anche se, a dire il vero, sono già interessato a un’altra.»
«Glielo dirà?» domandai a bassa voce.
«Non lo so, è solo che mi vergogno un po’,» rispose imbarazzato.
«Provi con dei fiori, che aiutano sempre, e se non li accetta, perderà solo un po’ del suo orgoglio.»
«Questo è tutto quello che mi era rimasto, signorina, il tempo me lo ha portato via, e qualcosa d’altro,» rispose con tono misterioso.
«Ascoltatemi, dei fiori, anche se è solo uno, ma non una rosa rossa,» dissi facendo l’occhiolino.
«Ah, no! Perché?» Chiese sorpreso.
«Non faccia il birbantello, sapete cosa significa.»
Ed entrambi facemmo quella risata nervosa di complicità che due amici hanno quando affrontano questioni personali e l’uomo felice se ne andò in direzione del negozio di fiori, come mi disse lui stesso, per preparare il suo colpo di venerdì prossimo.
Rimasi sola per un po’ mentre nessun cliente arrivava, sorpresa da quello che era successo.
Normalmente, avevo l’abitudine di non parlare con i clienti, perché era molto stressante per me dover comporre e pensare alla risposta che avrei dovuto dare.
L’unica cosa che usavo dire al cliente era il costo totale dell’acquisto, e lo facevo velocemente, dato che di solito c’erano uno o due clienti in attesa.
Ma ora, invece, era come se il tempo non avesse importanza, come se la cosa veramente importante fosse dedicare un po’ di tempo a quest’uomo che camminava sempre a testa bassa, invece, era entrato allegro e con un grande sorriso.
«Vediamo se è vero quello che il mio capo mi ha detto che ha avuto una buona giornata,» pensai tra me e me.
Il cliente successivo arrivò, era una delle donne più difficili da trattare, perché si lamenta di tutto. Ricordo ancora la discussione di ieri, perché alcuni yogurt avevano la data di scadenza di oggi. Si lamentava e sosteneva che con così poco tempo non sarebbe stata in grado di mangiarli tutti e che avrebbe dovuto buttarne via più della metà, così mi chiese una riduzione di almeno la metà del loro prezzo.
Il giorno prima, era perché mi ero confusa dandole il resto di un centesimo. Si arrabbiò molto dicendo che, se i prodotti erano già costosi, non potevo permettermi di non darle il resto.
Ma stranamente non mi sentivo spaventata o imbarazzata dalla sua presenza come in altre occasioni. Era una di quelle persone difficili da dimenticare e che avresti voluto non avere il piacere di incontrare, di quelle persone che, se le vedi per strada, preferisci cambiare marciapiede per non trovartela davanti. Aveva appena iniziato a indicare quando mi chiese,
«Ehi, quale profumo indossate oggi?»
Sorpresa, glielo dissi e lei mi parlò di nuovo dicendo,
«Ne comprerò una boccetta, sapete mi piace mettermi il profumo, ma in piccolissime quantità, preferisco che il mio odore si mescoli al profumo.»
«In questo modo la conosceranno dal suo odore» dissi con un sorriso forzato.
«Infatti, non mi piacciono quelle persone che per mancanza di igiene nascondono il loro odore dietro un litro di acqua di colonia.»
«Inoltre, dicono che sia afrodisiaco, intendo l’odore personale,» precisò.
«Sì, anch’io l’ho sentito dire, ma dicono che gli uomini siano piuttosto visivi, ecco perché indosso sempre abiti di taglia inferiore alla mia.»
Entrambe ridemmo piacevolmente a quel commento, forse quella donna sconosciuta l’avevo giudicata male o forse con troppa leggerezza.
Ora che la conoscevo un po’ meglio, sembrava una persona simpatica, e naturalmente una brutta giornata può averla chiunque persino lei, il che spiegherebbe gli scontri che abbiamo avuto in passato, niente che si debba ricordare.
Mi salutò con un sorriso e dopo un attimo di silenzio ascoltai attraverso gli altoparlanti che ero richiesta presso il servizio clienti. Ciò mi sconvolse, perché normalmente quando si ha bisogno di qualcosa da una cassiera si manda una ragazza ad avvertire ed evitare così il clamore che comporta l’uso degli altoparlanti.
Quando arrivai c’era il direttore con un enorme sorriso che mi disse,
«Ascolta, abbiamo parlato tra di noi e abbiamo deciso che tu sarai la dipendente della settimana.»
«In tutti gli anni in cui sono stata qui, non lo sono mai stata» dissi sorpresa.
«Bene, guarda dove sei oggi» disse, ammiccando.
«Ma questo significa…»
«Sì, infatti, raccogli le tue cose, perché hai il resto della giornata libera.»
Mi sembrava un sogno che si avverava, avevo sempre invidiato la fortuna di alcuni di potersi permettere la giornata libera grazie all’essere il dipendente della settimana, ma fino a quel momento non era mai toccato a me.
Mi sentivo fortunata, toccata dalla provvidenza, capace di fare qualsiasi cosa, di realizzare i miei sogni e desideri.
Uscii dopo aver abbracciato i miei colleghi e persino un cliente che incrociai lungo il mio tragitto e regalai a tutti un bel sorriso. Andai in un negozio per bambini, perché volevo che la mia felicità fosse condivisa con i miei, e anche se il denaro non era abbastanza, volevo fare una sorpresa a mio figlio, così andai a comprargli un giocattolo.
Prima di entrare nel negozio, vidi una persona che vendeva i biglietti della lotteria. Ero sempre stata sospettosa di quei giochi che prendono lo stipendio e con esso anche le illusioni, perché gli anni passano senza vincere, né tu né nessun membro della tua famiglia, nonostante le chiacchiere dicano di aver udito di gente che ha vinto ma che nessuno conosce mai di persona.
Comprai un numero e lasciai il resto al venditore, che mi deliziò con una poesia come ringraziamento, questa nonostante fosse breve era molto bella e così glielo dissi.
Poi entrai nel negozio e dopo aver osservato a lungo decisi per un cubo di Ruben, anche se sapevo che mio figlio era più orientato verso i pupazzi di wrestling, ma pensai che fosse un buon passatempo e che lo avrebbe aiutato a concentrarsi sulle attività più complesse.
Beh, a dire la verità, non mi aspettavo che lo risolvesse, perché quando ero più giovane l’avevo provato diverse volte e non ci ero mai riuscita.
Chiesi all’impiegato di confezionarmelo come regalo e una volta pagato tornai a casa emozionata. Trovai mia madre seduta su una poltrona a guardare la TV e a lavorare a maglia una sciarpa, anche se non ne avevamo bisogno, perché avevamo già una collezione, ma lavorare a maglia le piaceva e la rilassava.
Dopo averla salutata, andai nella stanza di mio figlio, dove aveva trascorso il pomeriggio. Sebbene non ci fosse nessuno a sorvegliarlo, sapeva che la sera prima di cena gli avrei chiesto quali compiti gli erano stati dati a scuola e che avrei verificato se avesse fatto bene. Così divise il suo tempo come voleva tra lo studio e il riposo, se voleva poteva studiare e poi trascorrere il pomeriggio a giocare.
Quando arrivai stava colorando un album, guardandomi entrare fu sorpreso e guardò un orologio nel caso in cui fosse stato tardi senza rendersene conto e disse,
«Mamma, cosa fai qui a quest’ora? Stai bene?»
«Perfettamente, sono venuta solo per vederti prima, per sapere come stai,» risposi con un sorriso.
«Bene, grazie, ma vai via se no ti diranno qualcosa a lavoro,» disse in fretta.
Ero orgogliosa di scoprire di avere un figlio così responsabile.
«Senti, oggi non lavoro, mi hanno dato il pomeriggio libero, quindi se vuoi possiamo uscire per un momento al parco.»
«Devo fare ancora i compiti,» disse tristemente.
«Non ti preoccupare, ti aiuterò a finirli se mi accompagnerai.»
Lasciò rapidamente la matita colorata e si gettò intorno al mio collo con un grande sorriso e mi disse,
«Ti voglio bene mamma.»
Mi emozionai di nuovo, la verità era tutto ciò che una madre poteva desiderare, vedere mio figlio felice e dirmi quelle cose belle.
«Senti — gli chiesi —. Dato che ti sei comportato bene, ti ho portato una cosa.»
«Che cosa?» Chiese eccitato.
«Apri la confezione e vedrai,» dissi mentre gli davo il regalo.
Lo fece così in fretta e trovò un cubo a sei facce, ognuno di un colore diverso e guardandolo chiese,
«E a che serve?»
Mi sentii in difficoltà, perché sebbene avessi cercato di risolverlo, non sapevo quali fossero le istruzioni o come si risolvesse, quindi se mi avessi chiesto di fare una dimostrazione, non potevo farla.
«Beh… questo… — dissi prendendo il mio tempo per cercare le parole giuste —. Ogni lato del cubo deve avere tutte le facce dello stesso colore.»
Mio figlio lo guardò di nuovo e dopo un attimo disse,
«Mamma, già ce li ha, guarda tutte le facce gialle sono qui e da questa parte quelle rosse.»
«Sì, certo — dissi ridendo per la scoperta di mio figlio —. Aspetta un momento.»
Presi il cubo, mescolai i pezzi, glielo restituii, e gli dissi,
«Adesso devi sistemarlo.»
Lo prese tra le sue piccole mani cercando di indovinare come si muovevano quei pezzi e si rese conto che poteva fare solo movimenti orizzontali o verticali di una fila o colonna. Dopo averci provato più volte e in preda alla disperazione gli dissi,
«Per facilitarti il lavoro, puoi spostare più colonne o righe contemporaneamente.»
Mi guardò con la faccia di non essere troppo convinto e ricominciò a girare i pezzi. Sapevo che avrebbe trascorso una buona parte del pomeriggio, quindi gli dissi,
«Bene, metti da parte che dobbiamo andare, dirò alla nonna se anche lei vuole scendere.»
Andai in soggiorno e prima di dire qualcosa a mia madre, mio figlio mi chiamò e mi disse,
«Mamma, mamma, guarda.»
Rimasi meravigliata, perché erano passati solo pochi secondi da quando l’avevo lasciato, mi voltai e vidi con mia sorpresa che nelle sue mani aveva il cubo sistemato e un grande sorriso. Lo presi per guardarlo da tutti i lati e dopo aver verificato che tutti i colori fossero ben posizionati dissi,
«Perfetto, figliolo.» E lo baciai sulla guancia come ricompensa. Ora prendi la giacca che non voglio che ti raffreddi.»
«Esci anche tu?» Mi chiese mia madre ascoltando quello che avevo detto a suo nipote.
«Sì, andiamo al parco per un momento, mi hanno dato il pomeriggio libero.»
«Che cosa hai fatto questa volta?»
«Niente, mamma, sono solo l’impiegata della settimana.»
«Davvero? — Mi chiese, alzandosi e aprendo le braccia per abbracciarmi —. Sono così orgogliosa di te» mi disse stringendomi in un abbraccio.
Mi sentivo strana, litigavamo sempre e adesso mi sembrava che avesse un gran cuore, le sorrisi e le chiesi,
«Vuoi scendere?»
«No grazie, è troppo tardi per me, non vorrei prendere freddo.»
«Okay, riposa, non ci vorrà più di mezz’ora.»
«Sarò qui, voglio anche cogliere l’occasione per preparare la cena, vedrai cosa sto preparando, sarà molto speciale, la mia piccola è l’impiegata della settimana.»
Io e mio figlio uscimmo in strada, lì giocammo con una palla, più per correre e divertirci un po’, che per interesse sportivo verso il calcio.
Mi sedetti per un attimo mentre egli calciava contro un muro, quando arrivò una ragazza e si sedette accanto a me.
«È suo figlio?» Chiese con un’espressione preoccupata.
«Sì, lo è. Perché?» Chiesi, sorpresa dal suo atteggiamento.
«Non lo so, le dà molti problemi?» Chiese di nuovo.
«No, beh, alla sua età,» risposi con un sorriso.
«E all’inizio?» Chiese di nuovo irrequieta.
«Beh, è sempre stato molto calmo ha avuto delle piccole difficoltà nell’addormentarsi le prime settimane dopo la sua nascita, altre madri dicono che è costato loro di più dopo aver avuto i loro figli.»
«Sono incinta,» disse la ragazzina alla quale non le avrei dato più di quattordici anni.
«Congratulazioni,» dissi abbracciandola.
Ella non ricambiò, sembrava un po’ imbarazzata e le chiesi,
«Ti senti bene?»
«Non so come dirlo ai miei genitori» disse spaventata.
«Tu lo vuoi?» Le chiesi guardandola negli occhi.
«Lui? Certamente,» disse con un ampio sorriso.
«Intendo tuo figlio,» puntualizzai.
«Non lo so, tu lo sapevi se lo volevi?» mi restituì la domanda.
«La mia situazione era diversa, ero già sposata e ci provavo da due anni, fu una benedizione per noi.»
«Quanto è fortunata, non so come reagirà, temo che mi abbandonerà per questo.»
«Non pensare così, inoltre, gli uomini sono come sono, non hanno bisogno di motivi per lasciarti. Guardami, tutto andava bene tra noi, il nostro bambino stava crescendo sano e un giorno uscì dicendo che avrebbe cercato lavoro e non è più tornato.»
«Potrebbe essergli successo qualcosa,» disse la ragazzina impaurita.
«Nessun problema, te lo assicuro, mi telefonò poche settimane dopo dicendo che era andato in un’altra città per ricostruire la sua vita, poiché desiderava ardentemente la sua libertà come scapolo e voleva recuperarla.»
«E ti ha lasciato con il bambino?» Chiese preoccupata.
«Sì e grazie a mia madre che si prende cura di lui quando sono al lavoro possiamo andare avanti» risposi con un sorriso.
«Non so se i miei genitori mi aiuteranno se lo tengo,» disse preoccupata.
«I genitori di solito sono piuttosto testardi e insistono per imporre il loro modo di pensare, ma alla fine sei tu quella che deve vivere la propria vita e se decidi di crescerlo dovranno accettarlo, anche se costa loro,» dissi mettendole una mano sulla spalla.
«A proposito, è facile dire che è vero che la vita ti cambia?»
«Cioè?» chiesi a quella domanda incompleta che mi aveva quasi sussurrato.
«È vero che dopo non senti più niente?»
«No, chi te l’ha detto?» Chiesi sorpresa.
«Non lo so, a scuola dicono che in tutto questo, la cosa in basso cambia e quindi non si sente nulla.»
«Ma no, si sente lo stesso» dissi in tono rassicurante.
«E il tuo seno non cade?» Mi chiese di nuovo imbarazzata.
«È una questione di età, vedrai quando avrai vent’anni o trent’anni, che tu lo voglia o meno indosserai un reggiseno se vuoi tenerlo su.»
«Ma dicono che l’allattamento al seno lo fa cadere prima.»
«Non c’è niente di sbagliato, credimi, come dico a tutti, e sottolineo tutti, prima o poi il seno non è più florido, dipende da ogni singola persona, alcune donne perché hanno allattato, altre indossato reggiseni troppo stretti o semplicemente per il passare del tempo.»
«E fa tanto male come si vede nei film?» Chiese spaventata.
«Il momento del parto?» Chiesi per essere sicura del suo dubbio.
«Sì,» mi rispose annuendo con la testa.
«Beh, fa molto male, ma ci sono gli esercizi pre-parto che ti insegnano a dilatare e a respirare mentre lo fai, quindi è solo una questione di sforzo e molta spinta.»
«Ma fa male?» Insistette sulla sua domanda.
«Fa molto male, ma poi te lo dimentichi,» dissi amorevolmente.
«Come te lo dimentichi?» Chiese sorpresa.
«Sì certo, il mio ginecologo mi ha spiegato che prima che iniziano le contrazioni il cervello ha un meccanismo per cancellare quei ricordi dolorosi, se non fosse così nessuna avrebbe più di un figlio, a causa dei brutti ricordi che vive in quel momento e invece non è così.»
«Beh, non so nemmeno se voglio avere il mio primo figlio, quindi non prendo in considerazione di averne un altro,» disse pensierosa.
«Non avere fretta, tutto arriverà se lo volete tu e il tuo ragazzo,» dissi con un sorriso sincero.
«Ma… se lui mi abbandona? Cosa farò? E se i miei genitori non sono d’accordo e mi rifiutano? Come farò a vivere?» Chiese spaventata.
«Per prima cosa devi dirlo ai tuoi genitori, i quali comprenderanno la situazione e ti daranno il loro sostegno poiché è un loro dovere in quanto genitori.
Quindi parla con il tuo ragazzo, che sarà sicuramente entusiasta di sapere che avrai un figlio suo. Ma poiché devi sempre rispettare la sua libertà, se decide di lasciarti, non preoccuparti, sarà segno che non ti merita» dissi con molta calma.
«Non so, se lo dici tu, che ci sei passata, per me va bene, anche se ciò che mi preoccupa di più è che si nota così tanto che non posso nasconderlo con abiti larghi.»
«Non c’è bisogno di nasconderlo, non è qualcosa di cui vergognarsi, è una grande benedizione che hai ricevuto, essere in grado di partecipare al miracolo della creazione,» dissi con gioia visto che le mie parole avevano avuto un effetto su quella ragazza che se ne andava tranquillamente.
Lungo la strada e dopo aver lasciato nel parco quella bella donna con il suo bambino che giocava a palla, continuavo a ripetermi tutto quello che mi aveva detto, soprattutto quella parte sul fatto che si trattava di un contributo al compito della creazione, non l’avevo mai vista così prima d’ora.
Quella donna senza conoscermi aveva risolto molti dei miei dubbi sulla gravidanza e gli effetti sul mio corpo, sebbene guardandomi mi vedevo ancora troppo piatta per poter avere un figlio.
Abituata a vedere donne ben formate con seni grandi che allattano bambini enormi, dove potrebbe stare dentro di me un bambino come quello? Non ho le condizioni per averne uno.
Nonostante quello che mi aveva appena detto la signora, andai nel panico, ma l’ascoltai, tornai a casa, andai direttamente in cucina dove mia madre stava preparando la cena e le dissi,
«Mamma, ho buone e cattive notizie, quale vuoi per prima?»
Lei che mi aveva già sentito parlare in quel modo non mi prestò molta attenzione e dopo un momento di silenzio che sembrò un’eternità le dissi,
«Sono incinta.»
Ascoltò e lasciò cadere quello che aveva in mano, facendo un gran rumore con un piatto. Mi spaventai, perché pensavo che mia madre potesse picchiarmi o rimproverarmi e per paura feci un passo indietro, ma invece si avvicinò a me con un grande sorriso, mi abbracciò e mi disse,
«Figlia mia, sei già diventata una donna, perché non mi sono resa conto che sei cresciuta così in fretta?»
Continuavo a sentirmi insicura riguardo alla situazione, perché non capivo se avesse accolto positivamente la notizia o perché era dispiaciuta per la mia situazione, così le chiesi,
«Non ce l’hai con me?»
«No, per niente, figlia mia,» disse baciandomi la fronte.
Le diedi un grande abbraccio, sentendomi ora più tranquilla, ma ancora spaventata da ciò che il futuro mi riservava, non sapevo nemmeno se il mio ragazzo avrebbe accettato quello che avevo dentro, ma ora ero sicura di avere il sostegno di mia madre.
«Lascia che sia io a dirlo a tuo padre stasera durante la cena,» disse con voce soave.
«È necessario?» Le chiesi guardandola negli occhi.
«Non preoccuparti, sarò delicata quando glielo dirò,» rispose, ammiccando.
Ero molto più tranquilla dopo averlo detto a mia madre, anche se non ero stata troppo sottile nel farlo, ma avevo preferito non fare un giro di parole per l’importanza dell’argomento.
Andai nella mia stanza, mi spogliai per cambiarmi e ne approfittai per guardarmi davanti allo specchio; mi guardai lateralmente e non vidi nulla, misi la mano sopra il ventre, cercando di capire dove sarebbe stato quel piccolo essere, ma non sentii nulla.
Presi un cuscino e lo misi sulla pancia, poi mi misi una camicetta e mi guardai di nuovo allo specchio, non mi piaceva quella silhouette, mi faceva sembrare grassa ed ero sicura che avrei preso peso.
Io che stavo sempre attenta nel mangiare, evitando grassi e pane per non ingrassare, ora il mio fisico stava per cambiare in maniera mostruosa senza poter far nulla.
Sono sicura che quando la pancia aumenterà non potrò più praticare lo sport che mi piace, correre per il parco o fare un’ora di cyclette; e quando i medici mi diranno di stare a riposo assoluto, aumenterò di peso, e mi annoierò tanto.
Ora mi ricordo di non aver detto a mia madre chi fosse il padre, lei aveva dato per scontato che io avessi un compagno stabile e che fosse suo, anche se non volevo contraddirla, a un certo punto dovrò dirglielo.
Era strano, mi sentivo in colpa per avere dentro di me qualcosa per cui nessuno mi aveva preparato, e trovare l’affettuosa approvazione di mia madre mi aveva fatto sentire tranquilla. Finii di cambiarmi, andai ad apparecchiare la tavola e quando finii arrivò mio padre dicendo,
«Salve a tutta la famiglia, dovete sapere che oggi sono un uomo fortunato.»
«Perché dici così?» Chiese mia madre, sorpresa per la sua allegria.
«Dovreste vedere il tizio della lotteria, è felice, mi ha garantito che oggi si sente fiducioso, e questo potrebbe essere un segnale che sta per consegnare un premio, così ho acquistato due biglietti.
«Perché due?» Chiesi con un sorriso.
«Uno per tua madre e l’altro per la casa.»
«Per la casa?» Chiesi meravigliata.
«Spende tanto quanto tua madre, con tutte le bollette che dobbiamo pagare» disse facendo l’occhiolino a mia madre.
«Bene, bene, siediti, non sarà che tu abbia ragione e vinca alla lotteria» disse mia madre quando si girò e mi sorrise.
Avevo capito cosa intendeva dire, mia madre stava facilitando la situazione per dirglielo, ero abbastanza tranquilla durante la cena, anche se mio padre non si era nemmeno reso conto quando ad un certo punto disse,
«Figlia, oggi sei raggiante, ti è successo qualcosa?»
«No papà, a dire il vero, quando stavo camminando nel parco mentre tornavo da scuola mi sono seduta un attimo e c’era una signora con suo figlio, e non so perché ma mi ha trasmesso tanta gioia.»
«Sarebbe bello trovare persone così ogni giorno» disse mio padre.
Proseguimmo con la cena, parlando di argomenti banali, questa sembrava essere giunta al termine e mia madre non gliel’aveva ancora detto, così feci un cenno con la testa per dirglielo e lei mi rispose scuotendo la testa. Mio padre, che se ne accorse, chiese con tono sospettoso,
«Devi dirmi qualcosa?»
«Beh, è una cosa che riguarda la mamma,» risposi, guardandola.
«Mia?» Disse, sorpresa dalla mia risposta.
«Beh, voglio dire, è una cosa mia, ma te lo dirà la mamma,» dissi, rettificando.
«Ah…sì…— disse lei, esitando —. Va bene, come te lo dico.»
«Senza giri di parole, per favore, è tardi e sono un po’ stanco, e anche se sono contento della lotteria, vorrei poter riposare guardando un film prima di andare a letto.»
«Non preoccuparti, non ho intenzione di rubarti troppo del tuo tempo, solo che penso che tu abbia già vinto la lotteria,» disse mia madre velocemente, senza farsi capire.
«Che cosa vuoi dire? Se non si è ancora giocato, l’estrazione non avverrà prima delle nove,»replicò mio padre sorpreso.
«No, è un’altra lotteria,» disse mia madre a bassa voce.
«Quale altra lotteria?… non mi dirai… che sei incinta.»
Mia madre fu sorpresa dalle parole di suo marito e rapidamente disse,
«No, non io, è la figliola.»
«La…figliola…» disse sorpreso.
Io non dissi nulla, gli sorrisi solamente. Sembrava confuso o piuttosto spaventato, un po’ perplesso, poi si alzò dal tavolo e girò per la stanza e dopo un momento tornò e chiese a mia madre,
«E lei lo sa già?»
«Certo papà, sono stata io a dirlo alla mamma» dissi sorridendo.
«Ah, ovviamente in che altro modo,» disse, sconvolto. «Ma… come?… Non è meglio non dirmelo.»
«Calmati, già sapevi che prima o poi sarebbe accaduto, è una donna,» disse mia madre, sostenendomi.
«Già… beh… sì… ma avevo pensato che sarebbe successo diversamente, che avrebbe trovato un ragazzo, si sarebbe sposata e avrebbe messo su famiglia, proprio come abbiamo fatto noi.»
«Ho qualcuno che mi ama,» risposi, credendo che lo avrebbe reso felice.
Ma per un attimo non si sentiva nulla, era una situazione strana, perché tutti sembravano felici per un motivo o un altro, e quella che pensavo sarebbe stata fonte di rabbia in casa non andava oltre un iniziale spavento o poco più.
Ora i miei genitori stavano pensando a come affrontare la nuova situazione, senza preoccuparsi di cosa avrebbero detto i vicini o la società.
Prima di parlare con quella donna nel parco, pensavo che avere un figlio fosse una tragedia, che facesse molto male e che segnasse la tua vita, limitandola e rendendoti quasi schiavo di tuo figlio, senza tempo per te stessa.
Ma quella donna mi aveva parlato degli aspetti positivi dell’essere madre e sembrava molto felice con suo figlio.
Adesso quello che più temevo era che il padre della creatura mi abbandonasse appena appresa la notizia, anche se ricordando le parole di quella donna al parco avevo capito che l’uomo che fugge lo fa prima o poi e non ha bisogno di scuse.
La verità è che ora mi sentivo stranamente tranquilla, perché vedevo le due persone a me più care, i miei genitori, che stavano immaginando quello che io pensavo sarebbe stato un imbarazzo per loro; anche mio padre, che era di pensiero più conservatore, non mi aveva affatto rimproverato.
Mentre stavo ancora pensando mio padre disse,
«Ho bisogno di un abbraccio di famiglia.»
Noi tre ci abbracciammo intensamente e mi sentii più forte nella mia situazione, forse non gli piaceva l’idea o gli serviva più tempo per assimilarla, forse non pensavano a quello che mi sarebbe successo in futuro, ma mi accettarono e mi sostennero con quel gesto, che era proprio quello che volevo di più.
«Beh, vorremmo vedere il tuo ragazzo, dobbiamo parlare da uomo a uomo,» disse mio padre dopo pochi minuti dall’abbraccio.
«Va bene… ma non so se vuole incontrarvi,» dissi con esitazione.
«Perché no?» Chiese mia madre stupita.
«Beh, lui è piuttosto moderno, e pensa che conoscere i genitori sia per quando vuoi fidanzarti, e nel frattempo non è necessario.»
«Non gliel’hai ancora detto?» Chiese mia madre, ascoltando le mie scuse.
«No, volevo vedere la vostra reazione, prima di affrontare il mio ragazzo» risposi nervosamente.
«È importante che lui lo sappia,» disse mio padre con voce rassicurante.
«Va bene, datemi qualche minuto per chiamarlo,» risposi mentre andavo in camera mia.
Da lì chiamai il ragazzo con cui uscivo solo da un paio d’anni, ma pensavo che fosse l’amore della mia vita, lo sentivo e glielo avevo detto molte volte.
«Ciao, tesoro, come stai?»
«Bene, piccola, dimmi, di cosa hai bisogno?»
«Volevo solo sentire la tua voce, dimmi, quando ci vedremo questa settimana?»
«Sono molto occupato, sai, sono con i colleghi qui in officina, stiamo preparando una nuova moto per vedere se riusciamo a vincere le gare locali per qualificarci.»
«Va bene, ma vorrei dirti una cosa.»
«Beh, dimmi, sono tutto tuo.»
«Di persona, è importante.»
«Non lo so, piccola, guarda, se vuoi, ho un po’ di tempo adesso, ma voglio che sia qualcosa di veloce, così non mi diranno nulla.»
«Va bene, lascia che lo dica ai miei genitori e tra un momento sono lì.»
«Ti aspetto qui tesoro.»
«A presto amore.»
Riattaccai, e uscii dalla mia stanza per dirlo ai miei genitori, che furono d’accordo e felici per il mio coraggio, non so se fosse così o semplicemente il bisogno di condividere qualcosa di bello con la persona che amavo.
Uscii di corsa verso il pianerottolo e trovai una vicina di casa con il suo cagnolino, era una signora triste che difficilmente poteva essere vista per strada, poiché preferiva uscire la sera per portare a spasso il cane, e non manteneva molti contatti con gli altri vicini.
«Buon pomeriggio,» le dissi con un sorriso mentre le tenevo la porta dell’ascensore.
«Brava ragazza, dove vai di fretta?» mi chiese mentre entrava.
«A vedere il mio fidanzato» le risposi con un sorriso.
«Gioventù, beata gioventù, ricordo ancora quando mio marito se ne andava a lavorare e io rimanevo a casa a preparare il pranzo, aspettandolo per dargli un bel bacio al suo ritorno.»
«Siete stati insieme per molti anni?» Chiesi sorpresa nell’apprendere che aveva avuto un marito.
«Quasi venti anni, prima che avesse l’incidente.»
«Un incidente, mi dispiace» dissi con rammarico.
«Sì, da allora non fu più lo stesso e poi, a poco a poco, lo stavo perdendo.»
Non capivo cosa volesse dire, ma preferivo non approfondire, sapendo che era qualcosa di doloroso, in quel momento il cane cominciò ad abbaiare e siccome era un piccolo spazio rimbombò nella cabina.
«Stai zitto, bello zitto» disse la proprietaria al suo cane.
«Ma cos’ha?» Chiesi meravigliata.
«È molto sensibile, percepisce rapidamente le donne in gravidanza.»
Ciò mi lasciò perplessa, non avevo mai sentito niente del genere. Sapevo che c’erano cani che lavoravano in dogana per rilevare l’odore di bombe o droghe, o nell’esercito per rintracciare persone gravemente ferite o sepolte sotto le macerie di un terremoto, ma questo mai. Devo essere diventata rossa, perché la donna anziana mi disse,
«Non preoccuparti, è una benedizione, non vedevamo l’ora che ci arrivasse da così tanto tempo e non è mai arrivato. Se ne avessi avuto almeno uno, sicuramente la mia vita sarebbe stata molto diversa.»
Mi rattristai, perché è vero che molte coppie, per una ragione o per l’altra, anche desiderandolo non hanno figli, al contrario, io senza desiderarlo avrei tenuto un nuovo essere tra le mie braccia, ciò che all’inizio mi sembrava triste mi rallegrò profondamente nel vedere come per gli altri era qualcosa di positivo e desiderato.
«Beh, dimmi, ragazza, gli hai già dato un nome?»
«No signora, ho appena scoperto di essere incinta e ancora non so se sia un maschio o una femmina.»
Non ci avevo pensato, per paura del giudizio degli altri, dei miei genitori e del mio fidanzato, non avevo avuto il tempo di pensare al bambino, che sarebbe stata la cosa più importante della mia vita nei prossimi nove mesi e negli anni successivi.
«Non lo so, sembra una bambina, una bella bambina,» disse l’anziana donna.
«Come fa a saperlo?» Chiesi sbalordita dalla sua affermazione.
«Alla mia età si sanno molte cose, lo si vede dal tuo viso,» rispose con un occhiolino.
Non sapevo come quella donna che avevo visto molte volte, ma solo una o due volte nella mia vita le avevo parlato, ora potesse sapere così tanto di me, forse come diceva lei si leggeva sul mio viso e solo chi sapeva leggerlo lo sapeva. Arrivammo giù e l’anziana signora uscì e salutando mi disse,
«Abbi cura di lui, poiché hai ricevuto una benedizione, dagli tutto l’amore che puoi, te lo restituirà per dieci.»
Detto questo, andai con il cane al parco, la verità è che mi sentivo bene, quella ragazzina mi aveva dato una grande gioia, perché sembrava così pulita e innocente.
È così che avrei voluto essere quando mi sono sposata, ma quelli erano tempi difficili di crisi economica senza alcun lusso e penso sia stato questo che ci ha costretti a non avere figli.
Mio marito ed io parlavamo sempre della stessa cosa, di quanto sarebbe stato costoso mantenere un bambino in un momento così difficile, parlavamo delle spese che avremmo dovuto sostenere e di quanto poco avremmo potuto vederlo, dato che entrambi lavoravamo.
Penso sia per questo che non li abbiamo avuti, nessuno di noi due era disposto a rinunciare a una parte della propria vita per avere un po’ di tempo e dedicarlo alla cura di un nuovo membro della famiglia.
A quel tempo non avevo un cane, non avevo modo di prendermi cura di lui, perché mi alzavo molto presto, anche prima di mio marito, gli preparavo i vestiti e gli preparavo la colazione, facevamo colazione insieme e poi lui andava a lavorare in fabbrica e io andavo in parrucchieria.
La quantità di capelli che tagliavo, i bigodini che toglievo e le ciocche che coloravo, durante tutta la giornata, mi rendevano felice, perché lì c’erano le mie amiche con le quali conversavo, e quando c’era una cliente felice ero fortunata perché rendeva le ore meno faticose.
È così che imparai a riconoscere i segreti delle persone dai loro volti, dal momento che esso dopo tutto è un riflesso di ciò che siamo, di ciò che vogliamo e anche di ciò che nascondiamo.
Tante ore ad ascoltare le clienti, a guardare i loro volti allo specchio per vedere se stavo facendo un taglio perfetto, per indovinare facilmente se più tardi avrebbero avuto una buona o cattiva giornata non appena entravano dalla porta.
Poi la mia sensibilità aumentò e potevo già sapere senza che mi dicessero qualcosa, se avevano litigato con il marito o con il figlio, se avevano un nuovo amore o se erano state lasciate.
Tanto che tra le colleghe mi conoscevano come la piccola strega ed ero io che mi prendevo cura di alcune clienti, che, pur avendo dei bei capelli, volevano che mi occupassi di loro e quindi ne approfittavano per raccontarmi le loro storie.
Poi a poco a poco acquisii quell’abilità anche per strada, anche se non ho mai chiesto alla gente se quello che vedevo in loro fosse vero.
Nonostante ciò, mi fece molto piacere scoprire che funzionava ancora, perché ero riuscita a scoprire di questa ragazzina che avevo incontrato in ascensore e che poi mi ha confermato.
A dire la verità, all’inizio non potevo aspettarmi che potesse esserlo qualcuno così giovane, ma l’avevo visto così chiaramente, sono sinceramente felice per lei.
Con la gioia nel mio corpo continuai a camminare con il mio cane, concentrata sui miei pensieri, quando finì di correre un po’ e fare i suoi bisogni lo legai di nuovo e salimmo fino all’appartamento. Questo, nonostante fosse piccolo, era abbastanza grande, anche se a volte avevo voglia di trasferirmi e lasciare quel posto, pensavo fosse più per vigliaccheria che per necessità.
Sapevo che in qualsiasi altro posto sarei stata meglio di dove mi trovavo, ma sapevo anche che mi sarebbe mancato così tanto che non avrei voluto vivere lontano da lì.
Era la casa che avevamo quando ci sposammo, l’unica in cui abbiamo vissuto da quando lasciai la casa dei miei genitori, e desideravo sempre viaggiare e conoscere il mondo prima di sposarmi, studiare e avere un buon lavoro erano i miei obiettivi nella vita, ma le circostanze dominavano ed erano molto diverse da come volevo che fossero.
Un giorno un brav’uomo mi si avvicinò all’uscita della messa, mi disse che mi stava osservando e che voleva incontrare i miei genitori. Che, sebbene sembrasse insolito, non mi preoccupava, quindi glielo presentai, dopo essersi presentato, disse che era interessato a me e chiese il permesso di parlarmi.
Fu una grande gioia per me, perché anche se avevo fantasticato molto e flirtato con un altro ragazzo, nessun uomo mi aveva mai considerata come una donna da sposare.
I miei genitori, inizialmente sospettosi di vederlo troppo giovane, gli chiesero dei suoi studi e della sua famiglia. Lui, come poté, uscì da quella bolgia e lo fece abbastanza bene, dato che gli fu dato il permesso di vedermi.
Per una relazione erano anni difficili, non come ora che per vedersi basta uscire, dovevamo essere accompagnati da un parente o amico, in modo da non rimanere da soli e comportarci bene.
Ma dopo esserci visti in due o tre occasioni, trovammo un modo per incontrarci da soli, fu quando lui portò un membro della sua famiglia e io un’amica come accompagnatori e subito andarono d’accordo, tanto che un giorno gli dicemmo,
«Se volete, vi diamo del tempo per stare da soli mentre noi andiamo.»
E fu così che riuscimmo ad avere i nostri primi momenti da soli, a proposito, la mia amica e suo marito sono felicemente sposati, anche se non li sento da molto tempo, perché si sono trasferiti in un’altra città, ma l’ultima volta che li abbiamo visti, avevano avuto due bellissimi bambini.
Andai in cucina per cenare, la verità è che non avevo quasi mai fame, nonostante ciò ogni giorno dovevo sforzarmi, perché in più di un’occasione ero stata ricoverata a causa dell’anemia.
Cenai guardando la TV, poi accesi un po’ la radio, che, anche se non l’ascoltavo molto, perché non ero interessata a quello che diceva, mi faceva solo compagnia.
Anche se non potevo parlare e rispondere al presentatore radiofonico come se fosse presente, era bello sentire una voce umana in quella casa.
Molti furono gli anni che condividemmo lì dentro e anche la sofferenza, alcuni amiche mi dicevano che era come un mausoleo, poiché lo tenevo come quando mio marito era in vita, ma quello che non loro non sapevano è che io in qualche modo lo aspettavo ancora.
Dopo l’incidente stradale e la successiva riabilitazione, mio marito fu colpito da una commozione cerebrale, di tanto in tanto aveva dei vuoti di memoria, come dicono i medici, e non ricordava il passato, ma la cosa più grave fu quando i vuoti iniziarono nel presente, dimenticando dove si trovava o con chi era.
Fu molto difficile, perché era una lotta quotidiana perché si ricordasse di me, rinnovare il nostro amore, con qualcuno che a malapena mi riconosceva.
Soffrii molto in silenzio, ringraziando Dio per la fortuna di averlo al mio fianco nonostante la sua malattia, ma un giorno non tornò. Un fine settimana quando stavamo per mangiare uscì dalla porta e io non seppi nulla di lui, poche ore dopo chiamai i suoi amici e nessuno seppe dove potesse essere e preoccupata chiamai la polizia, gli ospedali e tutti i che mi vennero in mente ma nessuno aveva sue notizie.
Un giorno senza di lui, poi una settimana, un mese, un anno e da allora la mia vita è stata così, aspettando che tornasse, sperando che dicesse «tesoro, sono a casa.»
Con il tempo mi abituai a stare da sola, fino a quando un’amica mi regalò un cucciolo, era così piccolo e tanto carino che non potei rifiutare e così mi presi cura di lui come il bambino che non avevamo mai avuto desiderando che mio marito lo vedesse se mai fosse tornato.
La verità è che non mi sentivo triste, quella fase della mia vita era già passata, ora ero abbastanza calma, piena di vitalità, non so perché quella ragazza mi aveva riempito di amore, penso che fosse quello, quello che lei stessa provava per suo figlio era ciò che mi aveva trasmesso.
Spensi la radio e andai a riposare con un gran sorriso sul viso, la verità è che era la migliore fine della giornata che avessi avuto da molti anni e con quel sorriso mi addormentai.