Читать книгу Per Sempre e Oltre - Sophie Love, Софи Лав - Страница 6

CAPITOLO UNO

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“Papà?” ripeté Emily.

Fissò l’uomo che si trovava sul suo portico, un uomo che ormai riconosceva appena. I capelli grigi, quando un tempo erano stati neri. L’ombra di una barbetta sul mento. Grinze e rughe che gli segnavano il viso. Ma non poteva sbagliarsi. Era suo padre.

Perse le parole. Non riusciva a respirare.

Le pieghe agli angoli degli occhi di Roy si fecero più profonde quando sorrise. “Emily Jane,” rispose.

Fu allora che Emily seppe che era vero. Che lui era vero. Che era suo padre.

Salì i gradini più velocemente che poteva e si buttò tra le sue braccia. Si era immaginata quel momento così tante volte, chiedendosi come si sarebbe comportata se lui fosse mai tornato da lei. Nelle sue fantasie manteneva il controllo di sé, faceva la distaccata, si dimostrava superiore e non gli faceva percepire il dolore che le aveva causato la sua scomparsa, né il profondo sollievo che provava nel sapere che stava bene. Ma ovviamente la realtà era completamente diversa. Invece di dimostrarsi fredda gli avvolse le braccia attorno al collo e lo strinse come fosse stata ancora una bambina.

Lui era caldo, solido. Lo sentiva respirare forte – ogni espansione dei polmoni tradiva le sue emozioni. Emily si mise a piangere quasi subito. In risposta, sentì le lacrime di lui bagnarle le guance e il collo.

“Sei tornato,” riuscì a dire, con la voce rotta, giovane e vulnerabile come si sentiva lei.

“Sono tornato,” rispose Roy tra profondi singhiozzi. “Mi…”

Ma si bloccò. Emily istintivamente capì che la sola parola che poteva concludere la frase era “dispiace”, ma che suo padre non era ancora pronto a gestire il torrente di emozioni che un’affermazione del genere avrebbe scatenato. Non era pronta neanche lei. Ancora non se la sentiva di affrontare tanto dolore. Voleva solo vivere quel momento. Goderselo.

Perse la cognizione del tempo mentre si abbracciavano, ma sentì un improvviso cambiamento nel modo in cui suo padre la stringeva; i suoi muscoli si tesero come se d’un tratto si sentisse a disagio. Lei si scostò e si guardò alle spalle per vedere dove Roy teneva gli occhi puntati: su Chantelle.

Era sulla porta aperta della locanda, con aria disorientata come se stesse cercando di comprendere la strana scena che aveva davanti. Emily riusciva a leggere bene tutte le domande che aveva negli occhi. Chi è quest’uomo? Perché Emily piange? Perché lui è qui? Che succede?

“Chantelle, tesoro,” disse Emily allungando un braccio. “Vieni qui.”

Emily vide nell’esitazione di Chantelle una timidezza insolita.

“Non c’è niente di cui aver paura,” aggiunse.

Chantelle fece qualche passo verso Emily. “Perché mi guarda così?” disse in un sospiro che Roy sentì perfettamente.

Emily guardò il padre. Aveva gli occhi umidi colmi di confusione. Si asciugò le ciglia.

“Hai una figlia?” balbettò alla fine, con voce grossa di emozione.

“Sì,” disse Emily andando da Chantelle e tirandosela sul fianco, in un mezzo abbraccio. “Be’, è figlia di Daniel. Ma la cresco come farebbe una madre.”

Chantelle si aggrappò a Emily. “Mi porta via?” le chiese.

“Oh, no, no, tesoro!” esclamò Emily. “Lui è mio padre. Tuo nonno.” Allora voltò lo sguardo per incontrare gli occhi di suo padre. “Nonno Roy?” suggerì.

Lui annuì immediatamente. Sembrava rapito dalla bambina – gli occhi celesti brillavano di curiosità.

“Le somiglia tantissimo,” disse.

Emily capì immediatamente quel che voleva dire. Che Chantelle somigliava a Charlotte. Per forza aveva pensato che fosse figlia di Emily; talvolta anche lei faticava a credere che non fossero le caratteristiche genetiche di Charlotte quelle che si potevano leggere su Chantelle.

“Lo vedo anch’io,” confessò.

“Assomiglio a chi?” chiese Chantelle.

Emily pensò che la risposta fosse troppo per la bambina. Voleva chiudere subito la questione. Anche se si sentiva un agnellino indifeso sapeva che doveva farsi avanti e prendere il comando.

“A qualcuno che molto tempo fa conoscevamo, tutto qui,” disse. “Vieni; nonno Roy deve conoscere papà.”

D’un tratto Chantelle si illuminò. “Lo chiamo io.” Disse raggiante tornando dentro saltellando.

Emily sospirò. Capiva perché suo padre fosse così scioccato da Chantelle, ma qualcuno che la fissasse così – come fosse un fantasma – era l’ultima cosa di cui aveva bisogno la bambina.

“Sicura che non sia tua figlia biologica?” chiese Roy nell’istante in cui Chantelle fu sparita.

Emily fece di no con la testa. “Lo so, è folle. È anche sensibile come lei. E gentile. Divertente. Creativa. Non vedo l’ora che tu la conosca.” Allora le si bloccò la voce, dall’improvviso timore che Roy non sarebbe rimasto, che fosse solo una visita rapidissima. Forse lei non doveva neanche sapere che lui sarebbe venuto. Forse aveva pianificato di evitarla del tutto, di entrare e uscire prima che lei avesse modo di accorgersi che era tornato, come con i suoi viaggetti segreti sulla vecchia auto di cui Trevor era stato testimone dalla finestra. Si massaggiò dietro l’orecchio a disagio. “Cioè, se hai tempo.”

“Ho tempo.” annuì Roy, e gli apparve un piccolo sorriso sulle labbra.

Proprio allora tornò Chantelle, trascinandosi dietro Daniel. Lui si fermò sulla soglia e osservò Roy.

“Nonno Roy?” disse sollevando le sopracciglia, evidentemente ripetendo il nome che Chantelle gli aveva innocentemente detto.

Emily vide lo sguardo che si scambiarono e si ricordò di quanto Daniel le aveva detto su quell’estate in cui era un ragazzino e aveva bisogno di un amico, e di come Roy fosse stato lì per lui, lo avesse aiutato a tornare sui binari. In quel momento Emily comprese che il ritorno di Roy a Sunset Harbor aveva per Daniel quasi lo stesso significato che aveva per lei.

Roy porse a Daniel la mano. Ma, con sorpresa di Emily, Daniel la prese per poi stringerlo in un caldo abbraccio. Emily provò una strana fitta al petto, un’emozione particolare che stava tra la gioia e il dolore.

“Credo che Daniel tu lo conosca già,” disse Emily, ancora con voce rotta.

“Sì,” rispose Roy mentre Daniel lo lasciava, prendendolo invece per le spalle. Sembrava sopraffatto dall’emozione, sul sottile confine tra le lacrime di gioia e la risata di sollievo.

“Ci sposiamo,” aggiunse Emily, in modo un po’ sciocco.

“Lo so,” disse Roy con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “Ho letto l’email che mi hai mandato. Sono contentissimo.”

“Entri?” chiese Daniel a Roy, piano.

“Se posso,” rispose Roy, come temendo di poter non essere riaccettato nella vita di Emily.

“Ma certo!” esclamò Emily. Gli strinse forte la mano nel tentativo di comunicargli che andava tutto bene, che lì era voluto, accettato, che il suo ritorno per lei era un’occasione gioiosa.

Il viso di Roy assunse le linee del sollievo. Si rilassò visibilmente, come se un ostacolo che aveva avuto paura di affrontare fosse stato superato.

Oltrepassando la soglia, Emily improvvisamente capì che la casa che suo padre aveva abbandonato più di vent’anni prima non somigliava per niente a quella di un tempo. Era subentrata lei, l’aveva cambiata completamente, l’aveva trasformata da una casa di famiglia a una locanda. Si sarebbe arrabbiato?

“Abbiamo fatto qualche cambiamento,” disse rapidamente.

“Emily Jane,” rispose suo padre con voce gentile e ferma, “Lo so che vivi qui. Che adesso è una locanda. Va bene. Sono contento per te.”

Emily annuì, ma si sentiva ancora ansiosa all’idea di farlo entrare. Chantelle aprì la fila, e uno alla volta entrarono nell’atrio della reception, Roy ultimo della coda, con passo più lento e rigido di quanto Emily ricordasse.

Si fermò nell’atrio e si guardò intorno a bocca aperta dalla sorpresa e dalla meraviglia. Quando vide la scrivania della reception sgranò gli occhi.

“È…?”

“La stessa che hai venduto a Rico?” disse Emily. “Sì.”

La locanda in origine era una pensione, prima che i proprietari la abbandonassero. La storia di Roy nella casa rispecchiava quella di Emily al contrario. Lui aveva voluto che diventasse una casa per una famiglia, un rifugio per le vacanze estive. Emily l’aveva ritrasformata in una pensione, in un’attività.

“Non ci credo che l’abbia tenuta per tutti questi anni,” disse sorpreso, continuando a fissare la scrivania. Poi portò lo sguardo su Emily. “Ti ricordi il giorno in cui gliel’ho venduta?”

Emily scosse la testa silenziosamente.

“Non volevi proprio che la vendessi,” disse con una risatina. “Avevi messo una Barbie in ogni cassetto. Avevi detto che era l’ospedale delle bambole.”

“Credo di ricordarmelo, in effetti,” rispose Emily con un po’ di malinconia.

“Rico è stato gentilissimo,” aggiunse Roy. “Ti ha aiutata a ‘trasferire’ le tue ‘pazienti’ in un altro posto. Credo che tu abbia scelto la credenza sotto al lavandino.” Si fece anche lui un po’ pensieroso, e distolse l’attenzione dalla reception per tornare al rinnovo dei locali. “È davvero incredibile. Hai fatto un lavoro fantastico.”

L’orgoglio che gli sentiva nella voce le diede una scossa al cuore. Quel momento era molto più di quanto si aspettasse. Era perfetto.

“Vuoi fare un giro?” chiese.

Roy annuì. Emily lo condusse prima in cucina. Lì sentirono abbaiare i cani dalla lavanderia.

“Non so di che cosa occuparmi prima,” esclamò Roy osservando la cucina rimessa completamente a nuovo, con gli elettrodomestici e le decorazioni retrò. “Della meravigliosa ristrutturazione o del fatto che hai dei cani!”

“Lei è Mogsy e lui è Rain, il suo cucciolo!” annunciò Chantelle aprendo la porta della lavanderia per permettere ai due di correre in cucina.

Si precipitarono da Roy, annusandolo e cercando di leccargli le guance. Roy rise – le sottili rughe che aveva sul viso si fecero più pronunciate – e li grattò entrambi dietro alle orecchie.

“Di solito non lasciamo che corrano per la cucina,” spiegò Emily. “Ma dato che è un’occasione speciale…”

Le si spezzò la voce quando tornò la fitta di malinconia che aveva provato prima. Essere lì con suo padre non avrebbe dovuto essere “speciale”; era così perché lui se n’era andato.

Dalla sua posizione accovacciata lui alzò lo sguardo su di lei, con espressione colma di rimorso.

Tutto in una volta Emily provò una forte rabbia. Una parte di lei seppellita in profondità stava cominciando a risalire.

“Andiamo in sala da pranzo,” disse, di fretta, volendo evitare che emergesse.

Andarono nella stanza col grande tavolo di quercia. Roy notò subito che il pesante drappo che un tempo era appeso sulla porta della sala da ballo non c’era più.

“Hai trovato la sala da ballo,” disse.

Il commento irritò Emily ulteriormente. Non stavano mica giocando a nascondino. Sentì il calore salirle alle guance.

“L’ho trovata. L’ho ristrutturata. Presto mi ci sposerò,” disse mentre percorrevano il corridoio dal basso soffitto e uscivano nell’immensa sala.

Sentì la stizza trasparirle dalla voce e fece un respiro profondo per calmarsi.

“Be’, è bellissima,” disse Roy, ignaro della crescente rabbia della figlia o ancora restio ad affrontarla. “Mi sorprende che le vetrate colorate siano in condizioni così buone dopo tutto questo tempo.”

“Le ha restaurate George, l’amico di Daniel,” spiegò Emily.

“George?” disse Roy sollevando le sopracciglia. “Mi ricordo quando era alto così.” Si portò la mano all’altezza della vita.

Emily si accorse che Sunset Harbor era una città più di suo padre che sua, che conosceva la gente del posto meglio di lei, che negli anni in cui aveva vissuto lì aveva piantato più radici di quante potesse mai sperare di piantarne lei. Una gelosia tutta nuova si fece strada strisciando nel complesso misto di sentimenti che stava già cercando di tenere a debita distanza. Fece del suo meglio per mantenere in viso un’espressione neutra.

Dopo salirono al piano superiore, ed Emily mostrò a Roy la camera padronale, la stanza che una volta era sua e di Patricia e poi, presumibilmente, sua e di Antonia, quando la donna veniva a fargli visita, prima di diventare alla fine sua e di Daniel.

“Questa è fantastica,” esclamò Roy. “I colori sono freschissimi.”

A lui piacevano molto di più i colori scuri, quelle tonalità cremisi e blu che lei aveva usato per le camere degli ospiti. Il bianco brillante e il celeste chiaro andavano molto più incontro ai colori di sua madre, ed Emily, guardando camera sua, si accorse per la prima volta che i suoi gusti erano un misto perfetto di quelli di entrambi. Il debole di Roy per le antichità – il letto enorme, il mobile della toeletta, l’ottomana – e la pulizia di Patricia nei colori bianchi. A Emily parve di guardare la sua stanza con occhi nuovi.

“Camera mia è accanto,” disse Chantelle.

Emily fu sollevata dalla distrazione. Condusse Roy fuori dalla stanza fin dentro quella di Chantelle, dove lui ammirò il delizioso mobilio inciso con immagini di animali che Emily aveva comprato alla bambina. Chantelle danzava per la stanza, esibendo con orgoglio lo scaffale con i libri, il guardaroba pieno di vestiti, la pila di adorabili giocattoli, il muro con le sue opere d’arte.

“Chantelle, hai una camera proprio carina,” disse Roy con gentilezza, ricordando a Emily quel dolce modo di fare che aveva con i bambini, la delicatezza con cui le parlava quando era ancora nella sua vita.

Chantelle sorrise di soddisfazione.

“Hai deciso di non metterla nella stanza che condividevate tu e Charlotte?” disse. “La stanza dei giochi con il mezzanino?”

Emily provò una piccola fitta di dolore al petto nel sentirlo fare riferimento alla stanza che aveva da bambina. Lui l’aveva chiusa a chiave dopo la morte di Charlotte, costringendo Emily a cambiare stanza. Quello era stato il primo segnale, capì in quel momento Emily, che suo padre non avrebbe processato la morte di Charlotte, che invece sarebbe stata lo stimolo ad abbandonarla.

“Quella è la suite matrimoniale,” spiegò Daniel prendendo il comando, dato che Emily rimaneva muta. “Il mezzanino attira clienti. E poi volevamo Chantelle vicino.”

L’emozione cominciava a essere troppa per Emily. Non aveva idea che fosse possibile provare così tante cose complesse e in conflitto tra di loro in una volta sola. Improvvisamente le venne in mente che una volta terminato il giro della casa, una volta che si fossero andati a sedere nel soggiorno faccia a faccia, avrebbe scatenato un’esplosione di rabbia contro suo padre.

D’un tratto sentì la mano del padre sul braccio, lì a fermarla, a rassicurarla. Lei guardò nei suoi occhi azzurri, ci vide dentro il dolore e il rimorso, insieme a un totale sollievo. Senza parole le stava dicendo che andava tutto bene, che comprendeva la sua rabbia. Non c’era bisogno che continuasse a nasconderla.

Si trascinarono per il resto del piano, dando un’occhiata a un paio di stanze per gli ospiti in modo che Roy potesse farsi un’idea dell’arredamento. Si fermò un attimo davanti alla porta del suo studio. L’ultima volta che era stato lì aveva vent’anni di meno, i capelli neri invece che grigi, il corpo più magro e più agile invece della leggera pancia che adesso gli appesantiva la vita.

“È rimasto uguale,” disse Emily. “Qui non ho cambiato niente.”

Lui annuì, ma non disse una parola. Emily si chiese se non stesse pensando alle miriadi di documenti che aveva chiuso a chiave nella scrivania, a quelli che adesso lei aveva letto. Alle lettere e ai segreti che lei aveva scoperto. Emily sapeva che non c’era modo di sapere cosa stesse pensando Roy. In quel momento per lei era un mistero – come era sempre stato.

Andarono al secondo piano e Roy si soffermò per un po’ davanti alle scale per il belvedere. Stava pensando alla sera di Capodanno? Emily se lo chiedeva. A quella sera in cui le aveva detto di non aver paura, di aprire gli occhi per guardare i fuochi d’artificio? Oppure si era dimenticato tutte quelle cose, come era successo anche a lei?

Chantelle correva di qua e di là, mostrandogli tutte le stanze degli ospiti vuote. Sembrava entusiasta che lui fosse lì, e orgogliosissima di mostrargli casa sua. Emily avrebbe voluto prenderla alla leggera come chiaramente faceva la bambina, ma aveva così tanto per la testa da sentirsi sull’orlo dell’ansia.

“Sono davvero colpito del lavoro che hai fatto,” disse Roy. “Non dev’essere stato facile far installare tutti i bagni.”

“Non lo è stato infatti,” rispose Emily. “E abbiamo avuto solo ventiquattr’ore di tempo, più o meno. Ma è una lunga storia.”

“Ho il tempo di sentirla.” Roy sorrise.

Emily non sapeva neanche come rispondere. Il tempo non era una cosa che poteva prendere per dovuta, con lui. Non poteva fidarsi dei suoi slanci di sentimentalismo.

“Andiamo nel soggiorno,” disse rigidamente. “Beviamo qualcosa?” Poi, accorgendosi di aver offerto dell’alcol a un alcolista, aggiunse rapidamente, “Magari un caffè.”

A ogni passo che faceva per scendere le scale, Emily sentiva la rabbia farsi ancora più forte. Odiava quella sensazione. Voleva che il momento della loro riunione fosse pieno di gioia, ma come poteva esserlo per davvero se covava tutto quel risentimento? Suo padre doveva conoscere il dolore che le aveva fatto patire.

Raggiunsero il corridoio del piano di sotto. Daniel andò in cucina per fare il caffè mentre Chantelle mostrava a Roy il soggiorno. Lui trasalì quando vide il lavoro di rinnovo, il modo in cui Emily aveva mischiato stili nuovi con stili vecchi, in cui aveva incorporato l’arte moderna e la vetreria Kandinsky.

“Quello è il mio vecchio pianoforte?” chiese.

Emily annuì. “L’ho fatto sistemare. Il ragazzo che ci ha lavorato, Owen, a volte viene qui a suonarlo. Suonerà al nostro matrimonio, a dire il vero.”

Per la prima volta, Emily provò un senso di trionfo. Dato che non viveva a Sunset Harbor da molto, Owen suo padre non l’aveva conosciuto prima di lei, né lo conosceva da più tempo di lei, né meglio di lei. C’erano persone lì che erano solo di Emily, che non erano macchiate dalla sgradevolezza di quel passato condiviso.

“Owen mi aiuta con il canto,” disse Chantelle.

“Oh, canti?” fece Roy. “Mi fai sentire qualcosa?”

“Magari dopo,” si intromise Emily. “Chantelle mi ha promesso che oggi avrebbe messo in ordine tutti i suoi giocattoli.”

“Non posso farlo dopo?” si lagnò Chantelle.

Chiaramente voleva stare ancora un po’ con nonno Roy, ed Emily non poteva fargliene una colpa. In superficie era un gigante gentile, un tipo alla Babbo Natale. Ma Emily non poteva tenersi stampato in viso un sorriso finto per sempre solo per il bene di Chantelle. Era ora che lei e suo padre affrontassero una conversazione tra adulti.

Emily fece di no con la testa. “Perché non lo fai adesso così da avere tutto il giorno per giocare con nonno Roy? Che ne dici?”

Chantelle cedette e lasciò la stanza sbattendo un po’ i piedi.

“Hai aperto il bar,” notò Roy guardando la rivendita clandestina ormai brillante. Pareva impressionato dal modo in cui Emily aveva mantenuto l’atmosfera del posto come aveva fatto lui, come un omaggio ai tempi andati. “Lo sai che è tutto originale.”

Annuì. “Lo immaginavo. Eccetto le bottiglie di liquori.”

Senza Chantelle a smorzare la situazione, tra loro nacque della tensione. Emily indicò il sofà.

“Ci sediamo?”

Roy annuì e si accomodò. Il viso aveva perso ogni colore, come se avesse percepito che era venuta l’ora di regolare i conti.

Però, prima che Emily ne avesse modo, Daniel comparve con un vassoio con caffè, crema, zucchero e tazze. Lo sistemò sul tavolino. Crebbe il silenzio mentre versava la bevanda.

Roy si schiarì la voce. “Emily Jane, se hai delle domande, puoi pormele.”

La capacità di Emily di mantenersi cortese e cordiale si ruppe. “Perché mi hai lasciata?” scoppiò.

Daniel sollevò di scatto la testa dalla sorpresa. Sgranò gli occhi. Probabilmente prima non si era accorto che la gioia che Emily aveva provato alla vista di Roy le aveva fatto emergere anche la rabbia che aveva covato per tutto il giro della casa. Allora si alzò.

“È meglio che vi lasci un po’ soli,” disse cortesemente.

Emily alzò lo sguardo su di lui. Era così in imbarazzo lì in piedi, come se avesse invaso improvvisamente una questione privata, ed Emily si sentì un po’ in colpa per aver inacidito la conversazione così velocemente in sua presenza, senza dargli la possibilità di trovare un modo un po’ più gentile di andarsene.

“Grazie,” gli disse mentre Daniel si precipitava fuori dalla stanza.

Tornò a guardare suo padre. Roy sembrava ferito dal suo evidente dolore, ma respirava con calma e la guardava con occhi gentili.

“Ero distrutto, Emily Jane,” cominciò. “Dopo la perdita di Charlotte ero un uomo distrutto. Bevevo. Avevo delle relazioni. Mi ero alienato i miei amici di New York finché non sono più riuscito a sopportare di stare lì. Io e tua madre ci siamo lasciati, anche se c’era da aspettarselo. Sono venuto qui per ricostruire la mia vita.”

“Solo che non l’hai fatto,” rispose con veemenza Emily. “Sei scappato. Mi hai lasciata.”

Sentiva le lacrime pungerle gli occhi. Anche gli occhi di suo padre si stavano facendo rossi e annebbiati. Abbassò lo sguardo, con vergogna.

“Stavo ignorando le cose,” disse con tristezza. “Pensavo di poter fingere che andasse tutto bene. Anche se erano passati anni dalla morte di Charlotte, non mi ero mai permesso di provare qualcosa. Non sono mai andato in camera vostra – ti ho trasferita in un’altra stanza, se ti ricordi.”

Emily annuì. Ricordava come fosse ieri quando suo padre aveva bloccato l’accesso a parti della casa, proibendole certe zone durante i soggiorni estivi – il belvedere, il secondo piano, i garage, il suo studio, il seminterrato – finché lei quasi non si era dimenticata tutto quanto: la loro esistenza o quel che contenevano. Si ricordava il suo comportamento sempre più eccentrico, la sua ossessione di collezionare antichità che a lei pareva non tanto un hobby quanto una compulsione, il suo accumulare tutto. Ma più di tutto si ricordava la diminuzione dei contatti, il fatto di trascorrere sempre meno tempo con lui nel Maine finché non ebbe compiuto quindici anni e, un’estate, lui non tornò più per venirla a prendere. Quella era stata l’ultima volta che l’aveva visto.

Emily voleva essere comprensiva nei confronti delle azioni del padre. Ma anche se una parte di lei capiva che si era trattato di un uomo distrutto che un giorno era crollato, al tormento che le sue azioni le avevano procurato non potevano essere date spiegazioni.

“Perché non sei venuto a dirmi addio?” disse Emily – le lacrime le scendevano per le guance in fiumi. “Come hai potuto andartene così?”

Anche Roy sembrava farsi sopraffare dall’emozione. Emily si accorse che gli tremavano le mani. Le labbra gli fremettero quando parlò. “Mi dispiace tanto. Quella decisione mi ha perseguitato.”

“Ha perseguitato te?” esclamò Emily. “Io non sapevo se eri vivo o morto! Mi hai lasciata lì a chiedermelo, senza risposta. Hai idea di come una cosa del genere riduca una persona? Tutta la mia vita era in pausa a causa tua! Perché tu sei stato troppo codardo da dirmi addio!”

Roy prese le sue parole come ripetuti pugni in viso. Aveva un’espressione così dolente che sembrava che davvero lo avesse colpito fisicamente.

“È stato imperdonabile,” disse, con appena più di un sospiro. “Quindi non cercherò di giustificarmi.”

Emily sentì il cuore battere furiosamente in petto. Era accecata dalla rabbia. Tutte le emozioni degli anni passati le esplosero fuori con la forza di uno tsunami.

“Hai almeno pensato a quanto mi avrebbe fatto soffrire?” esclamò con la voce che si alzava ulteriormente di tonalità e di volume.

Roy pareva colto dall’ansia, aveva tutto il corpo teso, la faccia contorta dal rimorso. Emily era contenta di vederlo così. Voleva che soffrisse quanto aveva sofferto lei.

“All’inizio no,” confessò. “Perché non pensavo lucidamente. Non riuscivo a pensare a niente e a nessuno tranne che a me stesso, al mio dolore. Pensavo che senza di me saresti stata meglio.”

Allora crollò, sobbalzando dai singhiozzi e tremando dall’emozione. Vederlo così fu un’accoltellata al cuore. Emily non voleva vedere suo padre crollare e andare in pezzi sotto i suoi occhi, ma lui doveva sapere. Non sarebbero andati avanti, non avrebbero riparato nulla senza tirare fuori tutto quanto.

“Quindi hai pensato che andandotene mi avresti fatto un favore?” disse brusca Emily incrociando le braccia sul petto con fare protettivo. “Ti rendi conto di quanto sia folle?”

Roy piangeva amaramente col volto coperto dalle mani. “Sì. Ero fuori di me all’epoca. Lo sono rimasto per moltissimo tempo. Quando mi sono accorto del danno che avevo fatto era passato troppo tempo. Non sapevo come tornare al passato, come riparare il dolore.”

“Non ci hai neanche provato,” lo accusò Emily.

“Sì che ci ho provato,” disse Roy – il tono lagnoso che aveva seccava Emily ancora di più. “Tantissime volte. Sono tornato nella casa in diverse occasioni, ma ogni volta il senso di colpa per quello che avevo fatto mi soffocava. C’erano troppi ricordi. Troppi fantasmi.”

“Non dirlo,” rimbeccò Emily mentre con la mente andava subito alle immagini di Charlotte nella casa. “Non ti azzardare a dirlo.”

“Scusami,” ripeté Roy trasalendo dall’ansia.

Abbassò lo sguardo sul grembo, dove teneva le mani tremanti.

Sulla tavola di fronte a loro, le tazze piene di caffè si stavano raffreddando.

Emily fece un lungo e profondo respiro. Sapeva che suo padre aveva sofferto di depressione – aveva trovato la prescrizione dei medicinali tra i suoi averi – e che non era in sé, che il dolore lo costringeva a comportarsi in modo imperdonabile. Non avrebbe dovuto fargliene una colpa, eppure non poteva farne a meno. L’aveva delusa moltissimo. L’aveva lasciata sola col suo dolore. Con sua madre. C’era così tanta rabbia a ribollirle nel cuore, anche se sapeva che non c’erano colpe.

“Cosa posso fare per sistemare le cose con te, Emily Jane?” disse Roy con le mani giunte in preghiera. “Come posso anche solo cominciare a sistemare il danno che ho causato?”

“Comincia col riempire i vuoti,” rispose Emily. “Dimmi cos’è successo. Dove sei stato. Che cos’hai fatto per tutti questi anni.”

Roy sbatté le palpebre, come sorpreso dalle domande di Emily.

“È stato il non sapere a uccidermi,” spiegò Emily con tristezza. “Se avessi saputo che stavi bene da qualche parte, avrei potuto gestire la cosa. Non hai idea di quanti scenari mi sono immaginata, di quante vite diverse ho immaginato che stessi vivendo. Ho trascorso gli anni non riuscendo a dormire. Era come se la mia testa non riuscisse a smettere di evocare opzioni finché non avessi trovato quella giusta, anche se non c’era modo di arrivarci. Era una missione impossibile e futile, ma non riuscivo a smettere. Perciò è così che puoi aiutarmi. Comincia col dirmi la verità, col dirmi quello che per tutti questi anni non ho saputo. Dove sei stato?”

Finalmente le lacrime di Roy si calmarono. Tirò su col naso, si asciugò gli occhi con la manica. Poi si schiarì la voce.

“Ho vissuto tra la Grecia e l’Inghilterra. Mi sono fatto una casa a Falmouth, in Cornovaglia, sulla costa inglese. È un posto bellissimo. Scogliere e un panorama meraviglioso. C’è una fantastica scena artistica.”

Giustissimo, pensò Emily ricordandosi la sua ossessione per i dipinti di Tori, ricordando che ne aveva appeso uno raffigurante il faro nella casa di New York dove viveva con Patricia, e che Emily si era arrabbiata quando aveva capito quanto fosse stato sfrontato e irrispettoso da parte sua quel gesto.

“Come hai fatto a permettertelo?” lo sfidò Emily. “La polizia ha detto che non c’è stata attività sui tuoi conti bancari. È stata una delle ragioni che mi hanno fatto pensare che fossi morto.”

Roy trasalì al sentire quella parola. Emily capì quanto male si sentisse di fronte al dolore che le aveva fatto passare. Ma doveva sentirlo. E lei doveva dirlo. Era l’unico modo che avevano per sperare di andare avanti.

“Non ho venduto nessuna delle mie antichità, se è quello che pensavi,” cominciò. “Le ho lasciate tutte per te.”

“Dovrei ringraziarti?” gli chiese amaramente Emily. “Non è che un diamante può risolvere anni di abbandono.”

Roy annuì tristemente, incassando le sue parole rabbiose. Emily cominciò ad accettare che la stava mettendo al corrente, che non cercava più di giustificare le sue azioni ma che invece ascoltava il dolore che le avevano causato.

“Hai ragione,” disse piano. “Non volevo sottintendere che potesse essere così.”

Emily serrò la mascella. “Bene; allora va’ avanti,” disse. “Dimmi cos’è successo dopo che te ne sei andato. Come ti sei mantenuto.”

“All’inizio vivevo un giorno alla volta,” spiegò Roy. “Tiravo su i soldi facendo tutto quello che potevo. Lavori strani. Sistemavo auto e biciclette. Riparazioni. Ho imparato a fabbricare e sistemare orologi. Lo faccio ancora. Sono un orologiaio. Faccio orologi elaborati con chiavi nascoste e compartimenti segreti.”

“Ovviamente,” disse, con amarezza, Emily.

A Roy tornò un’espressione di vergogna.

“E l’amore?” chiese Emily. “Ti sei sistemato?”

“Vivo da solo,” rispose triste Roy. “Da quando me ne sono andato. Non volevo causare dolore a nessun altro. Non riuscivo a sopportare di avere gente intorno.”

Per la prima volta Emily cominciò a provare compassione per suo padre – se lo immaginava solo, a vivere come un eremita. Iniziò ad avere la sensazione di aver lasciato uscire tutto il dolore che doveva, di averlo incolpato abbastanza da essere finalmente in grado di stare a sentire la sua versione. Si sentì ripulire da un’ondata catartica.

“È per questo che non uso la tecnologia moderna,” proseguì Roy. “In città c’è una cabina telefonica che uso per telefonare, molto raramente. L’ufficio postale del posto mi informa se qualcuno ha risposto al mio annuncio come orologiaio. Quando mi sento abbastanza forte vado alla biblioteca a controllare le email per vedere se mi hai scritto.”

Emily si bloccò, accigliata. La cosa la sorprese. “Davvero?”

Roy annuì. “Ti ho lasciato degli indizi, Emily Jane. Ogni volta che tornavo in casa lasciavo una nuova briciola di pane perché tu la trovassi. L’indirizzo email è stato il passo più grande che ho fatto, perché sapevo che non appena lo avessi trovato si sarebbe aperta una linea diretta tra te e me. Ma l’ansia dell’attesa era insopportabile. Quindi mi sono limitato a pochi controlli l’anno. Quando ho ricevuto la tua email ho preso subito un volo per tornare qui.”

Emily capì allora che era quella la ragione per quei mesi in più di ansia che le aveva fatto patire dopo che era venuta a sapere che era ancora vivo e l’aveva contattato. Non la stava ignorando né evitando – semplicemente non aveva visto l’email.

“È vero?” gli chiese con voce forzata mentre le lacrime le riempivano gli occhi. “Sei davvero venuto qui non appena hai visto che ti avevo scritto?”

“Sì,” rispose Roy con la voce che era appena un sospiro. Anche le sue, di lacrime, avevano ripreso a scorrere. “Ho sperato, desiderato, sognato che mi scrivessi. Ho pensato che un giorno saresti tornata qui, quando fossi stata pronta. Ma sapevo anche che saresti stata arrabbiata con me. Volevo che l’iniziativa fosse tua. Volevo che fossi tu a metterti in contatto con me perché non volevo intromettermi nella tua vita. Pensavo che se fossi andata avanti senza di me sarebbe stato meglio lasciare le cose così.”

“Oh, papà,” gemette Emily.

Qualcosa, alla fine, uscì dal profondo di Emily. Qualcosa nell’ultima e finale ammissione spezza cuore venuta da suo padre era ciò che aveva sempre avuto bisogno di sapere. Che stava aspettando che lei facesse il primo passo. Non la stava evitando, non si stava nascondendo; le aveva lasciato degli indizi in fede che una volta che lei avesse messo insieme tutti i pezzi avrebbe deciso autonomamente se poteva perdonarlo per poi lasciarlo entrare nella sua vita.

Emily si alzò in piedi e corse al sofà che aveva di fronte, buttandogli le braccia al collo. Singhiozzò contro la sua spalla, dei singhiozzi profondi che le scossero tutto il corpo. Roy si aggrappò a lei, tremando anche lui dallo sfogo di dolore.

“Mi dispiace così tanto,” disse soffocando, con la voce smorzata dai capelli di Emily. “Mi dispiace tanto, tantissimo.”

Rimasero così a lungo, tenendosi l’uno con l’altra, lasciando andare ogni lacrima dovuta, facendo uscire il dolore fino all’ultima goccia. Alla fine il pianto cessò. Tutto si fece silenzio.

“Hai altre domande?” disse alla fine con calma Roy. “Non ti terrò segreto più niente. Non ti nasconderò nulla.”

Emily era esausta, svuotata da tutte le emozioni. Il petto di suo padre si sollevava e abbassava a ogni suo profondo respiro. Era così stanca che le pareva di potersi addormentare proprio lì, tra le sue braccia. Però, allo stesso tempo, aveva ancora un milione di domande che le vorticavano nella mente – ma una era più importante delle altre.

“La notte in cui è morta Charlotte…” cominciò. “La mamma mi ha detto delle cose, ma è solo la sua versione. Cos’è successo?”

L’abbraccio di Roy si strinse. Emily sapeva che gli era difficile riportare alla mente quella notte, ma voleva disperatamente conoscere la verità, o almeno la versione dei fatti di suo padre. Forse sarebbe stata in grado di mettere insieme le tre parti – quella di Patricia, quella di Roy e la sua – e creare qualcosa che avesse un senso.

“Vi ho portate qui per il Ringraziamento e il Natale,” cominciò Roy. “Le cose con tua madre non andavano bene, quindi lei è rimasta a casa. Ma poi avete preso tutte e due l’influenza.”

“Credo di ricordarmelo,” disse Emily. Tornò a un ricordo d’infanzia in cui aveva avuto la febbre. “C’era il cane di Toni, Persefone. Sono crollata in corridoio.”

Roy annuiva, ma sembrava imbarazzato. Emily il perché lo sapeva; era stato un momento cruciale nella sua relazione con Toni, il momento in cui aveva avuto tanta faccia tosta da far incrociare la vita della sua amante con quella delle figlie.

“Ti ricordi che tua madre è venuta qui senza avvertire?” chiese Roy.

Emily fece di no con la testa.

“Voleva venire per seguirvi, dato che stavate molto male.”

“Non è una cosa che la mamma farebbe,” disse Emily.

Roy rise. “No, non lo è. Magari era una scusa. Sospettava che avessi una relazione e voleva presentarsi qui per cogliermi in fallo.”

Emily annuì mogia. Questo era più lo stile di sua madre.

“Devi aver rimosso il litigio, perché sono sicuro che abbiamo gridato tanto da farci sentire fin giù al porto.” Si strinse nelle spalle. “Non lo so se è stato questo a svegliare Charlotte. Prendeva delle medicine che la intontivano. Tutte e due le prendevate. Ma lei si è svegliata e immagino che si sia un po’ confusa mentre ci cercava, o solo che si sentisse male. È finita nella dépendance con la piscina. Immagino che il resto tu lo conosca.”

Il resto lo conosceva. Ma quello che non aveva capito era che piccolissimo ruolo avesse avuto lei in ciò che era accaduto. Non era stata colpa sua se non si era svegliata quando l’aveva fatto Charlotte per impedirle di andarsene in giro. Non era stata colpa sua se aveva parlato con tanto entusiasmo della piscina nuova da far venire voglia alla sorellina di andare a vederla. Era malata, confusa, forse anche terrorizzata per via del litigio dei suoi genitori. Non aveva nessuna colpa. Neanche una.

Emily provò un improvviso sollievo. Il peso che non si era neanche accorta di aver portato con sé le si sollevò dalle spalle. Era rimasta aggrappata al senso di colpa per la morte di Charlotte, anche dopo che sua madre le aveva chiarito che la colpa non era sua. Adesso le parve che suo padre le avesse dato il permesso di lasciar andare la colpa.

Si accoccolò contro di lui, mentre una nuova sensazione di pace metteva radici dentro di lei.

Proprio allora la calma venne interrotta da dei colpi alla porta. Daniel fece capolino nella stanza.

“Daniel, vieni,” disse Emily facendogli cenno di entrare. Adesso che lei e suo padre avevano portato tutto alla luce lo voleva lì con sé. Aveva bisogno del suo sostegno.

Lui entrò e si sedette sull’orlo del sofà di fronte a loro. Emily si asciugò le lacrime dalle ciglia, ma rimase aggrappata al padre, appallottolata accanto a lui come una bambina.

“Avete bisogno di qualcosa?” chiese loro dolcemente. “Un fazzoletto? Qualcosa di forte da bere?”

Era proprio ciò che serviva in quel momento per tagliare la pesantezza. Emily scoppiò a ridere con un singhiozzo. Sentiva la pancia di Roy rumoreggiare mentre rideva.

“Un drink andrebbe bene,” disse.

“Anche per me,” rispose Roy. “Il bar è pieno?”

Daniel prese il comando. “Sì. Vieni. È fantastico. Preparo qualcosa da bere.”

Emily esitava. “Papà, è una buona idea?” disse.

“Perché no?” rispose Roy confuso.

Emily abbassò la voce. “Per via del tuo problema con l’alcol.”

Roy era sconvolto. “Quale problema con l’alcol?” Poi impallidì. “Patricia ti ha detto che ero un alcolista?”

“Ma tu eri davvero un alcolista,” rispose Emily. “Me lo ricordo che bevevi. Continuamente.”

“Bevevo pesantemente,” ammise Roy. “Lo facevamo tutti e due, io e tua madre. È uno dei motivi per cui il nostro rapporto era così esplosivo. Ma non ero un alcolista.”

“E gli zabaioni che ti bevevi a colazione sotto Natale?” chiese ricordandosi quanto si fosse irritato suo padre quando lei gli aveva fatto cadere il bicchiere.

“Ma era solo per Natale!” esclamò Roy.

Un altro pezzo del passato di Emily si ridefiniva. Aveva creduto alla versione amara e distorta degli eventi di Patricia, aveva permesso che rimpiazzasse i ricordi che aveva lei di suo padre. Provò rabbia contro sua madre per aver trasformato Roy nel cattivo della loro esperienza più traumatica.

Andarono al bar e si accomodarono al bancone. Daniel si mise al lavoro per preparare i cocktail.

“Per la sera abbiamo un barista,” spiegò a Roy. “Alec. È fantastico. Meglio di me, comunque.”

Versò per ognuno un margarita. Roy bevette un sorso.

“È buonissimo,” disse. Poi, un po’ timidamente, aggiunse, “Devo dire che sei diventato un distinto giovane gentiluomo.”

Emily sentì sollevarsi il cuore. Sorrise, finalmente espirò, con la sensazione che tutto fosse come doveva essere.

“Per questo devo ringraziare te,” rispose Daniel, timidamente, senza guardarlo negli occhi. “Per avermi insegnato cose che mi interessavano. La pesca. La navigazione.”

“Navighi ancora?” chiese Roy.

“Ho una barca la porto. L’ho sistemata grazie a Emily. Usciamo in gita in famiglia. Anche Chantelle la adora. È bravissima a pescare.”

“Anch’io esco ancora spesso in barca,” disse Roy. “Quando non sto lavorando a un orologio trascorro il tempo in barca. O in giardino.”

“Ti ricordi il giorno in cui mi hai insegnato a fare l’orto?” chiese Daniel.

“Certo,” rispose Roy. Sorrise al ricordo. “Non avevo mai visto un trasandato teppistello lavorare così duramente con un trapiantatoio in mano.”

Daniel rise. “Ero assetato di conoscenza,” disse. “Di cogliere l’opportunità. Anche se da fuori sembrava che odiassi il mondo.”

Emily trovò strano vederli ridere e scherzare. C’era tanto dolore in meno tra di loro. Era più spirito di squadra. Daniel era da sempre grato all’uomo che gli aveva dato un’opportunità quando ne aveva avuto bisogno, anche se quello stesso uomo era scomparso senza dire una parola neanche a lui. Forse era solo sorpresa di accorgersi di quanto un tempo fossero stati vicini sapendo anche che quell’estate che avevano trascorso insieme era stata l’estate che lei e suo padre avevano trascorso separatamente.

In quel momento le vibrò il telefono e vide che era un messaggio da parte di Amy sulla visita che avevano programmato per quel pomeriggio. Lei e Jayne avevano della roba urgente di cui occuparsi e avrebbero fatto una sosta, quindi sarebbero arrivate più tardi del previsto. Emily si accorse, con fare colpevole, di essersi completamente dimenticata del loro arrivo. Era stata così presa dal padre che tutto il resto le era uscito di mente.

Le rispose rapidamente e poi riportò l’attenzione su suo padre e su Daniel. Ridevano di nuovo con leggerezza.

“Sono contentissimo che la barca abbia retto,” stava esclamando Daniel. “Chi avrebbe pensato che il tempo sarebbe cambiato così? Una tempesta nel bel mezzo dell’estate.”

“È stato un pessimo tempismo,” rispose Roy. “Considerando che era il tuo primo giro in barca.”

“Be’, avevo il maestro migliore, quindi non ero preoccupato.” Sorrise, con lo sguardo distante, perso nei ricordi. “Grazie per avermi insegnato tutto sulle barche, sull’acqua e sulla navigazione. Adesso non riesco a immaginarmi di vivere senza queste cose.”

Emily osservava Roy sorridere insieme a Daniel. Adesso che aveva lasciato andare la rabbia provava una sensazione soverchiante di pace, di adeguatezza. Avrebbe sempre dovuto essere così. Suo padre che passava il tempo col suo fidanzato, godendosi la reciproca compagnia, non vedendo l’ora di diventare presto parte della stessa famiglia.

Magari era un po’ tardi, ma Emily adesso avrebbe fatto tutto il possibile per godersela.

*

Mentre si faceva sera, Daniel preparò un’altra serie di cocktail. Posò il bicchiere di fronte a Emily proprio quando le vibrò il telefono per una telefonata.

“È Amy,” spiegò. “Devo rispondere.”

“Amy? Delle scuole superiori?” chiese Roy sollevando un sopracciglio.

Emily annuì. “Siamo ancora amiche,” lo informò. “È una delle damigelle. Mi sta aiutando molto a preparare il matrimonio.”

Emily uscì di corsa dal bar per rispondere.

“Em, ci dispiace tantissimo,” cominciò Amy. “La telefonata è durata un’eternità e adesso siamo troppo distrutte per guidare. Ci fermiamo qui per la notte. Non odiarci.”

“Non vi odio,” le disse Emily, segretamente sollevata che le sue amiche non avrebbero interrotto la sua riunione col padre.

“Domani mattina partiamo subito,” aggiunse Amy.

“Amy, davvero, va tutto bene,” disse Emily. “È successo qualcosa qui.”

“Che cosa? C’entra il matrimonio? Daniel? Sheila?” Sembrava preoccupata.

“Niente del genere,” spiegò Emily. Poi fece un respiro profondo. “Amy, c’è mio padre.”

Ci fu un lungo silenzio. “Cosa? Come? Stai bene?”

A questo non sapeva come rispondere, e proprio non voleva starci a pensare troppo su. Non l’aveva ancora assorbita del tutto. Aveva bisogno di tempo per sbrogliare le emozioni e trovare il senso di tutto.

“Sto bene. Ne parliamo quando arrivate.”

Amy non sembrava convinta. “Okay. Ma se hai bisogno di parlare con qualcuno, chiamami subito. A domani.”

Emily riattaccò e tornò al bar, alle risate gioiose di Roy e Daniel. Gli amici di vecchia data erano tornati insieme.

“Be’,” disse Roy bevendo l’ultimo sorso rimasto nel bicchiere. “Credo che sia ora che mi levi dai piedi. Sembra che abbiate degli ospiti di cui occuparvi.”

Emily era terrorizzata al pensiero che Roy se ne andasse. “Ho lo staff, si stanno occupando di tutto loro. Possiamo trascorrere del tempo insieme. Non te ne devi andare per forza.”

Roy notò la sua aria spaventata. “Volevo solo dire che è ora che vada a letto. A dormire.”

“Vuoi dire che resti?” chiese Emily sorpresa. “Qui?”

“Se hai posto…” disse Roy docilmente. “Non intendevo darlo per scontato.”

“Ma certo che puoi rimanere!” esclamò Emily. “Per quanto hai intenzione di rimanere?”

“Fino al matrimonio, se non è un problema. Potrei aiutarvi un po’ con le varie organizzazioni, se vi serve.”

Emily era sconvolta. Non solo suo padre era lì, ma intendeva rimanere per più di una settimana! Era davvero un sogno diventato realtà.

“Sarebbe meraviglioso,” disse.

Salirono di sopra e sistemarono Roy nella stanza che si trovava accanto al suo studio. Emily sapeva che a un certo punto avrebbe voluto entrarci, probabilmente da solo.

“Questa stanza va bene?” chiese.

“Oh, sì. È adorabile,” rispose Roy. “E si trova proprio accanto alla mia scala segreta.”

Emily si accigliò. “Alla tua cosa?”

“Non mi dire che non l’hai trovata,” disse Roy. Aveva un’ombra di malizia nello sguardo, che rivelava il suo problemino di un tempo con la pazzia, quella spirale che aveva trasformato la sua passione giocosa per le mappe dei tesori in casseforti segrete e inaccessibili dalle combinazioni nascoste.

“Vuoi dire la scala per il belvedere?” chiese Emily. “Quella l’ho trovata. Ma è al secondo piano.”

Roy allora applaudì rumorosamente, come se deliziato dalla cosa. “Non l’hai trovata! La scala dei domestici.”

Emily scosse la testa per dire di no. “Ma ho visto i progetti di tutta la casa. Il bar era l’ultimo luogo nascosto che c’era.”

“Una cosa non può essere nascosta se si trova nei progetti!” esclamò Roy.

“Mostracela,” disse Daniel. Pareva elettrizzato, come quando avevano scoperto il bar.

Roy li condusse nel suo studio. “Non vi siete chiesti perché ci fosse lo stipite di un camino su questo muro?” Ci bussò contro, e ne uscì un suono vuoto. “Tutti gli altri stipiti dei camini sono su muri esterni. Questo è su un muro interno.”

“Non mi è neanche passato per la testa,” disse Emily.

“Be’, è qui dietro,” disse Roy. “Ti spiace darmi una mano, Daniel?”

Daniel obbedì subito. Rimossero quella che agli occhi di Emily adesso era una parete finta tappezzata in modo da essere uguale al resto della stanza. Ed eccola lì. Una scala. Semplice, niente di particolarmente bello da vedere, ma era la sua stessa esistenza a entusiasmarli.

“Non ci credo,” disse Emily avanzando. “È per questo che hai scelto di fare lo studio qui?”

“Ovviamente,” rispose Roy. “Le scale erano la scorciatoia della servitù per raggiungere il dormitorio senza essere visti da chi si trovava in casa. Va da qui giù fino al seminterrato, che è il luogo in cui un tempo dormivano i domestici.”

“E questo è l’unico accesso,” affermò Emily, capendo adesso perché non l’avesse trovata prima. Il seminterrato conteneva ancora delle stanze che non aveva esplorato, e lo studio di suo padre era la stanza sulla quale aveva lavorato meno.

Roy annuì. “Sorpresa.”

Emily rise e scosse la testa. “Così tanti segreti.”

Uscirono dallo studio e Roy andò in camera sua. Emily andò a chiudergli la porta, ma lui le si avvicinò per darle il bacio della buonanotte.

Emily si bloccò, sconvolta. Suo padre non le dava un bacio da così tanto tempo, da ben prima che scomparisse dalla sua vita.

“Buonanotte, papà,” disse frettolosamente.

Chiuse la porta e si precipitò in camera sua. Una volta che fu dentro, al sicuro, Daniel la strinse immediatamente in un abbraccio di cui aveva davvero bisogno.

“Come va?” le chiese dolcemente, cullandola delicatamente tra le braccia.

“Non riesco a credere che sia davvero qui,” balbettò lei. “Continuo a pensare che sia un sogno.”

“Di cosa avete parlato?”

“Di tutto. Cioè, so che sto ancora elaborando la cosa, ma è stato catartico. Ho la sensazione che ora possiamo lasciarci tutto il dolore alle spalle e ricominciare da capo.”

“Quindi sono lacrime di felicità quelle che mi bagnano la spalla?” scherzò Daniel.

Emily si fece indietro e rise della macchia scura che Daniel aveva sulla camicia. “Ops, scusa,” disse. Non si era neanche accorta di piangere.

Daniel la baciò con leggerezza. “Non c’è nulla di cui scusarsi. Lo capisco che sarà dura. Se devi piangere o ridere o urlare o altro, io sono qui. Okay?”

Emily annuì, molto grata di avere un uomo tanto meraviglioso nella sua vita. E adesso, con suo padre lì con lei, le pareva che tutto stesse andando davvero a posto. Almeno, dopo così tanti anni trascorsi a vivere una vita insoddisfacente, sentiva che finalmente avrebbe vissuto la vita che meritava.

Al suo matrimonio mancava solo una settimana. E adesso, per la prima volta, con tutte le persone che amava accanto a sé, si sentiva davvero pronta a compiere quel passo.

Adesso era il momento di sposarsi.

Per Sempre e Oltre

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