Читать книгу Ora e per sempre - Sophie Love, Софи Лав - Страница 7

CAPITOLO TRE

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Emily dovette prendere molte metropolitane per raggiungere il parcheggio a lungo termine a Long Island City dove si trovava la sua vecchia, abbandonata e malconcia auto. Erano passati anni da quando l’aveva guidata, perché Ben aveva sempre preso su di sé tutte le responsabilità dell’autista per esibire la sua preziosa Lexus, e mentre Emily attraversava a piedi l’enorme parcheggio pieno di ombre, trascinando la valigia dietro di sé, si chiedeva se fosse ancora in grado di guidare. Era un’altra di quelle cose che si era lasciata scivolare via nel corso della sua relazione.

Già il viaggio per arrivare lì – a quel parcheggio nei sobborghi della città – era sembrato infinito. Mentre si avvicinava alla macchina, mentre i suoi passi riecheggiavano nel parcheggio freddo, si sentiva quasi troppo stanca per andare avanti.

Stava commettendo un errore? si chiese. Sarebbe dovuta tornare indietro?

“Eccola.”

Emily si voltò e vide l’addetto al garage che sorrideva alla sua auto malconcia, sembrava con pietà. Allungò un braccio e le porse le chiavi.

Il pensiero di avere ancora otto ore di viaggio davanti era soverchiante, impossibile. Era già esausta, fisicamente ed emotivamente.

“Ha intenzione di prenderle?” chiese l’uomo alla fine.

Emily sbatté le palpebre, non rendendosi conto di aver avuto la testa da un’altra parte.

Se ne stava lì, in piedi, sapendo che quello era un momento decisivo, per certi versi. Sarebbe crollata, sarebbe tornata di corsa alla sua vecchia vita?

O sarebbe stata abbastanza forte da andare avanti?

Emily alla fine si riscosse dai pensieri inquietanti e si costrinse a essere forte. Almeno per adesso.

Prese le chiavi e si avviò trionfante verso la macchina, cercando di mostrare coraggio e fiducia in se stessa mentre si allontanava, ma segretamente innervosita dall’idea che l’auto non sarebbe neanche partita – e che se anche l’avesse fatto, lei non si sarebbe neanche ricordata come guidare.

Sedette nell’auto fredda, chiuse gli occhi e accese il motore. Se partiva, si disse, era un segno. Se non partiva, poteva tornare indietro.

Odiava ammetterlo con se stessa, ma segretamente sperava che non partisse.

Girò la chiave.

Partì.

*

Fu una bellissima sorpresa e un conforto per Emily vedere che, pure in modo un po’ bizzarro, conosceva ancora le basi della guida. Tutto quello che doveva fare era dare gas e guidare.

Era liberatorio guardare il mondo sfrecciarle accanto, e lentamente si riscosse dal cattivo umore. Accese perfino la radio, ricordandosene.

Con la radio che faceva chiasso, i finestrini giù, Emily stringeva il volante forte tra le mani. Nella mente si vedeva come un’affascinante sirena dei film in bianco e nero degli anni Quaranta, con il vento che le scompigliava la perfetta messa in piega. In realtà, la gelida aria di febbraio le aveva colorato il naso di rosso bacca e le aveva increspato i capelli.

Presto uscì dalla città, e più a nord andava più le strade erano costeggiate da sempreverdi. Si prese il tempo di ammirarne la bellezza mentre le superava. Quanto era stato facile farsi prendere dalla frenesia e dal trambusto della vita di città. Per quanti anni era scivolata in avanti senza fermarsi davvero ad ammirare la bellezza della natura?

Ben presto le strade si allargarono, il numero di corsie aumentò, ed eccola in autostrada. Accelerò, spingendo il suo macinino ad andare più veloce, sentendosi viva e rapita dalla velocità. Tutte quelle persone nelle loro auto che partivano per viaggi da qualche altra parte, e lei, Emily, che alla fine era una di loro. L’eccitazione le batteva dentro mentre faceva correre la macchina in avanti, aumentando la velocità fino a quanto osava.

La fiducia in se stessa si librava a mano a mano che le gomme mangiavano le strade. Quanto superò il confine di stato con il Connecticut, aveva davvero raggiunto l’obiettivo di andarsene. Il lavoro, Ben, si era finalmente liberata di tutto quel bagaglio.

Più a nord andava più faceva freddo, ed Emily alla fine dovette ammettere che era troppo freddo per tenere i finestrini aperti. Li chiuse e si strofinò le mani, desiderando di avere addosso qualcosa di più appropriato per il tempo. Aveva lasciato New York in uno scomodo completo, e in un altro momento di impulsività aveva scagliato la giacca aderente e le scarpe con tacco a spillo fuori dalla finestra. Adesso indossava solo una camicetta e le dita dei piedi nudi sembravano essersi tramutate in blocchi di ghiaccio. L’immagine della star del cinema degli anni Quaranta andò in pezzi quando guardò il suo riflesso sullo specchietto retrovisore. Era un disastro. Ma non le importava. Era libera, e quello era tutto ciò che contava.

Passarono ore, e prima che se ne rendesse conto si era lasciata alle spalle il Connecticut, che era ormai un ricordo passato, solo un luogo che aveva attraversato sulla sua strada verso un futuro migliore. Il paesaggio del Massachusetts era più aperto. Invece del fogliame verde scuro dei sempreverdi, gli alberi ora avevano cambiato le foglie estive e svettavano come scheletri allampanati su ogni lato, rivelando accenni di neve e di ghiaccio sul terreno duro ai loro piedi. Sopra Emily il cielo cominciò a cambiare colore, dall’azzurro al grigio umido, ricordandole che sarebbe stato buio quando avrebbe raggiunto il Maine.

Attraversò Worcester, molte case erano alte, rivestite di pannelli di legno e dipinte di varie tonalità pastello. Emily non poteva fare a meno di pensare alle persone che vivevano lì, di porsi domande sulle loro vite e sulle loro esperienze. Era solo a poche ore da casa ma già tutto le sembrava alieno – tutte le possibilità, tutti i diversi posti dove vivere ed essere e da visitare. Come aveva fatto a trascorrere sette anni vivendo un’unica versione della vita, continuando la vecchia e familiare routine, ripentendo la stessa giornata all’infinito, aspettando, aspettando, aspettando qualcosa di più. Per tutto quel tempo aveva aspettato che Ben crescesse in modo che lei potesse dare inizio al nuovo capitolo della sua vita. Ma per tutto quel tempo, lei stessa aveva avuto il potere di essere la forza motrice della sua storia.

Si trovò ad attraversare un ponte, seguendo la Route 290 che diventava la Route 495. Erano scomparsi gli alberi di cui meravigliarsi, rimpiazzati adesso da rocce scoscese. Lo stomaco si mise a brontolare, ricordandole che l’ora di pranzo era arrivata e passata e che lei non se ne era preoccupata. Pensò di fermarsi a un autogrill ma l’impulso di raggiungere il Maine era troppo grande. Poteva mangiare una volta arrivata là.

Passarono altre ore, e attraversò il confine per il New Hampshire. Il cielo si aprì, le strade erano ampie e numerose, le pianure si distendevano su ogni lato fin dove poteva vedere. Emily non riusciva a fare a meno di pensare solo a quanto grande fosse il mondo, a quante persone contenesse in realtà.

L’ottimismo la portò fino dopo Portsmouth, dove gli aeroplani scendevano in picchiata oltre la sua testa, con i motori che rombavano mentre si avvicinavano alla pista di atterraggio. Accelerò, superò il paese successivo dove le gelate coprivano le banchine su ogni lato dell’autostrada, poi avanti attraverso Portland, dove la strada correva a lato della ferrovia. Emily colse ogni dettaglio, sbalordita dalla grandezza del mondo.

Corse lungo il ponte che portava fuori Portland, desiderando disperatamente di fermare la macchina e godere della vista dell’oceano. Ma il cielo si stava facendo scuro e sapeva di doversi muovere se voleva raggiungere Sunset Harbor prima della mezzanotte. Erano almeno altre tre ore di viaggio da lì, e l’orologio sul cruscotto segnava già le 21. Lo stomaco protestò di nuovo, rimproverandola per aver saltato la cena, oltre che il pranzo.

Tra tutte le cose che non vedeva l’ora di fare una volta arrivata alla casa, la prima era dormire per tutta la notte. La stanchezza cominciava a farsi sentire; il divano di Amy non era stato particolarmente comodo, per non parlare del subbuglio emotivo che l’aveva tormentata tutta la notte. Ma ad aspettare Emily nella casa di Sunset Harbor c’era il bellissimo letto a baldacchino di quercia scura che si trovava nella camera matrimoniale, quello che i suoi genitori avevano condiviso in tempi più felici. Il pensiero di averlo tutto per sé la spronava ad andare avanti.

Sebbene il cielo minacciasse neve, Emily decise di uscire dall’autostrada fino a Sunset Harbor. Suo padre adorava guidare lungo la strada meno frequentata – una serie di ponti che scavalcavano la miriade di fiumi che scorrevano fin nell’oceano in quella parte del Maine.

Lasciò l’autostrada, sollevata almeno di rallentare. Le strade sembravano più pericolose, ma il panorama era stupendo. Emily fissava le stelle che occhieggiavano sull’acqua chiara e scintillante.

Restò sulla Route 1 lungo la costa, aprendo la mente alla bellezza che le offriva. Il cielo passò dal grigio al nero, e l’acqua ne rifletteva l’immagine. Le sembrava di guidare attraverso lo spazio, puntando all’infinito.

Puntando all’inizio del resto della sua vita.

*

Sfinita dal viaggio lunghissimo, sforzandosi di tenere gli occhi infiammati aperti, si riprese quando i fanali illuminarono finalmente un cartello che le diceva che stava entrando a Sunset Harbor. Il cuore le batté più veloce di sollievo e dalla trepidazione.

Oltrepassò il piccolo aeroporto e guidò sul ponte che l’avrebbe condotta a Mount Desert Island, ricordando, con una stretta di nostalgia, di quando si trovava nella macchina di famiglia mentre attraversava questo stesso ponte. Sapeva che si trovava solo a dieci miglia dalla casa, che le ci sarebbero voluti non più di venti minuti per raggiungere la destinazione. Il cuore si mise a martellare dall’agitazione. La stanchezza e la fame sembrarono sparire.

Vide il piccolo cartello di legno che le dava il benvenuto a Sunset Harbor e sorrise a se stessa. Alti alberi costeggiavano entrambi i lati della carreggiata, ed Emily si sentì confortata dal sapere che erano gli stessi che guardava da bambina quando suo padre guidava lungo questa stessa strada.

Pochi minuti dopo attraversò un ponte su cui ricordava di aver passeggiato da bambina in una bellissima sera d’autunno, con le foglie rosse che scricchiolavano sotto le scarpe. L’immagine era così vivida che riusciva anche a vedere le muffole di lana viola che indossava mentre si teneva per mano con suo padre. Non doveva aver avuto più di cinque anni all’epoca, ma il ricordo la colpì tanto chiaramente che sembrava essere stato ieri.

Le vennero in mente altri ricordi a mano a mano che vedeva altre cose – il ristorante che serviva pancake fantastici, il campeggio pieno di scout per tutta l’estate, la stradina a una corsia che portava a Salisbury Cove. Quando raggiunse il cartello per l’Acadia National Park sorrise, sapendo che era a sole due miglia dalla sua destinazione. Sembrava che avrebbe raggiunto la casa al momento opportuno; la neve stava cominciando a cadere adesso e il suo macinino probabilmente non sarebbe resistito a una bufera.

Ed ecco che la macchina si mise a fare uno strano rumore stridulo da sotto al cofano. Emily si morse il labbro dall’ansia. Ben era sempre stato quello pratico dei due, il riparatore della relazione. Le capacità meccaniche di Emily erano miserevoli. Pregò che la macchina reggesse per l’ultimo miglio.

Ma lo stridio peggiorava, e presto fu accompagnato da uno strano ronzio, poi da un click irritante, e alla fine da un rantolo. Emily chiuse forte i pugni attorno al volante e lanciò un’imprecazione sottovoce. La neve cominciò a cadere più veloce e più fitta, e la macchina si mise a lamentarsi anche di più, prima di crepitare e alla fine morire.

Ascoltando il sibilo del motore a terra, Emily sedeva lì impotente, cercando di capire cosa fare. L’orologio le disse che era mezzanotte. Non c’erano altre auto, nessuno fuori a quell’ora di notte. C’era un silenzio di morte e, senza la luce dei fanali, un buio spettacolare; non c’erano lampioni lungo quella strada e le nuvole coprivano le stelle e la luna. Era inquietante, ed Emily pensava che fosse l’ambientazione ideale per un film horror.

Afferrò il telefono come se potesse risolvere il problema, ma vide che non c’era campo. La vista delle cinque barre vuote la fece preoccupare ancora di più, facendola sentire ancora più sola e isolata. Per la prima volta da quando si era lasciata la sua vita alle spalle, Emily cominciò a pensare di aver preso una decisione terribilmente stupida.

Uscì dall’auto e rabbrividì quando l’aria fredda di neve le giunse alla carne. Fece il giro del bagagliaio e diede un’occhiata al motore, non sapendo neanche che cosa cercare esattamente.

Proprio allora sentì il rombo di un furgone. Il cuore le balzò dal sollievo mentre guardava lontano e le parve di distinguere due fanali che avanzavano lentamente lungo la strada verso di lei. Agitò le mani, facendo segno al furgone di fermarsi mentre si avvicinava.

Fortunatamente accostò, fermandosi appena dietro di lei, esalando i gas di scarico nell’aria fredda, le luci penetranti che illuminavano i fiocchi di neve che cadevano.

La portiera del guidatore scricchiolò mentre si apriva, e due piedi avvolti in pesanti stivali scricchiolarono sulla neve. Emily riusciva a vedere solo la silhouette della persona davanti a lei e all’improvviso provò il terrore di essersi imbattuta nell’assassino locale.

“È finita nei guai, eh?” sentì la voce rauca di un anziano.

Emily si massaggiava le braccia, sentendo la pelle d’oca sotto la camicia, cercando di smettere di tremare – ma fu sollevata che si trattasse di un vecchio.

“Sì, non so cosa sia successo,” disse. “Ha cominciato a fare rumori strani e poi si è fermata.”

L’uomo si avvicinò, e il viso fu finalmente illuminato dalle luci del furgone. Era molto vecchio, con ispidi capelli bianchi su una faccia piena di rughe. Gli occhi erano scuri ma scintillarono di curiosità guardando prima Emily e poi la macchina.

“Non sa come sia successo?” chiese, trattenendo una risata. “Glielo dico io cos’è successo. Quella macchina non è altro che un ammasso di ciarpame. Sono stupito che sia riuscita ad arrivare qui, più che altro! Mi pare che non l’abbia mantenuta in gran forma, e che poi l’abbia portata fuori con la neve, mi sbaglio?”

Emily non era dell’umore giusto per farsi prendere in giro, specialmente dato che sapeva che il vecchio aveva ragione.

“A dire il vero, arrivo da New York. La macchina ha retto bene per otto ore,” rispose, fallendo nel tentativo di non suonare secca.

Il vecchio fischiò sotto i baffi. “New York? Be’, non avrei mai… Cosa la porta fin qui?”

Emily non aveva voglia di raccontare la sua storia, così rispose semplicemente, “Sono diretta a Sunset Harbor.”

L’uomo non le fece altre domande. Emily rimase lì in piedi a guardarlo, e le dita le divennero presto insensibili mentre aspettava che le offrisse un qualche tipo di aiuto. Ma lui sembrava più interessato a girare intorno alla sua vecchia macchina arrugginita, a calciare le gomme con la punta degli stivali, a grattare via il colore della carrozzeria con l’unghia del pollice, dicendo “bleah” e scuotendo la testa. Aprì il cofano ed esaminò il motore per un lunghissimo momento, borbottando sottovoce di tanto in tanto.

“Quindi?” disse Emily alla fine, esasperata dalla sua lentezza. “Cos’ha che non va?”

La guardò al di sopra del cofano, quasi sorpreso, come se avesse dimenticato che lei era lì, e si grattò la testa. “È scassata.”

“Questo lo so,” disse Emily, con impazienza. “Ma può fare qualcosa per sistemarla?”

“Oh no,” rispose l’uomo, ridendo sommessamente. “Proprio niente.”

Emily ebbe voglia di urlare. La mancanza di cibo e la stanchezza causata dal lungo viaggio stavano cominciando a farsi sentire, portandola sull’orlo delle lacrime. Tutto quello che voleva era arrivare alla casa per poter dormire.

“Che cosa posso fare?” chiese, disperata.

“Be’, ha due opzioni,” rispose il vecchio. “Raggiungere a piedi il meccanico, che è a un miglio circa da qui, da quella parte.” Indicò la strada da cui Emily era arrivata con un dito tozzo e grinzoso. “Oppure potrei portare lei e la macchina col rimorchio dove stava andando.”

“Lo farebbe?” chiese Emily, sorpresa dalla sua gentilezza, qualcosa a cui non era abituata avendo vissuto a New York così a lungo.

“Certo,” rispose l’uomo. “Non ho intenzione di lasciarla qui fuori a mezzanotte durante una tempesta di neve. Ho sentito che peggiorerà nella prossima ora. Dov’è esattamente che sta andando?”

Emily era sopraffatta dalla gratitudine. “West Street. Numero quindici.”

L’uomo reclinò la testa da un lato con curiosità. “Al quindici di West Street? Quella vecchia casa malconcia?”

“Sì,” rispose Emily. “Appartiene alla mia famiglia. Avevo bisogno di trascorrere un po’ di tempo in tranquillità, sola con me stessa.”

Il vecchio scosse la testa. “Non posso lasciarla là. La casa sta andando a pezzi. Dubito anche che tenga l’acqua fuori. Perché non viene da me? Abitiamo sopra al negozio di alimentari, io e mia moglie, Bertha. Saremmo felici di avere un’ospite.”

“È molto gentile da parte sua,” disse Emily. “Ma voglio davvero stare sola al momento. Quindi se potesse portarmi in West Street lo apprezzerei davvero tanto.”

Il vecchio la osservò per un momento, poi alla fine cedette. “D’accordo, signorina. Se insiste.”

Emily provò sollievo vedendolo tornare nel furgone e spostarlo davanti alla sua macchina. Lo guardò prendere una spessa corda dal furgone e legare i due veicoli.

“Vuole salire con me?” chiese. “Almeno ho il riscaldamento.”

Emily fece un debole sorriso e scosse la testa. “Preferirei…”

“Restare sola,” il vecchio finì la frase con lei. “Capisco. Capisco.”

Emily tornò in auto, chiedendosi che tipo di impressione avesse fatto sul vecchio. Doveva pensare che fosse un po’ pazza, a presentarsi qui impreparata e troppo poco vestita a mezzanotte mentre stava per scatenarsi una bufera di neve, pretendendo di essere portata a una casa abbandonata e malconcia in modo da rimanere completamente sola.

Il furgone davanti a lei prese vita e lei sentì la spinta quando la macchina venne trascinata. Si appoggiò al sedile e osservò fuori dal finestrino mentre si muovevano.

La strada che la accompagnò per le ultime due miglia fiancheggiava il parco nazionale da un lato e l’oceano dall’altro. Attraverso il buio e la coltre di neve che cadeva, Emily riusciva a vedere l’oceano e le onde che si infrangevano sugli scogli. Poi l’oceano sparì dalla vista quando entrarono in città, superarono hotel e motel, agenzie che organizzavano escursioni in barca e campi da golf, aree più urbanizzate, sebbene per Emily fosse difficile vederle urbanizzate in confronto a New York.

Poi svoltarono in West Street e il cuore di Emily barcollò mentre superavano la grande casa d’angolo di mattoni rossi coperta di edera. Sembrava proprio la stessa dell’ultima volta che era stata lì, vent’anni prima. Superò la casa blu, la casa gialla, la casa bianca, e poi si morse il labbro sapendo che la prossima sarebbe stata la sua, la casa in pietra grigia.

Quando apparve davanti a lei, Emily venne invasa da uno schiacciante senso di nostalgia. L’ultima volta che era stata lì aveva quindici anni, il suo corpo scoppiava per via degli ormoni all’idea di una romantica estate. Non ne aveva mai avuta una, ma il ricordo dell’eccitazione data dalla possibilità la colpì come un’ondata.

Il furgone si fermò, e così fece anche la macchina di Emily.

Prima che le ruote avessero smesso di girare, Emily era fuori, senza fiato davanti alla casa che una volta era stata di suo padre. Le tremavano le gambe e non sapeva se fosse per il sollievo di essere finalmente arrivata o per l’emozione di essere tornata lì dopo tanti anni. Ma dove le altre case della strada sembravano identiche, quella di suo padre era l’ombra della sua gloria passata. Le persiane una volta bianche delle finestre ora erano strisciate di sudiciume. Quando una volta erano aperte ora erano tutte chiuse, dando alla casa un’aria molto meno invitante di un tempo. L’erba del vasto prato di fronte dove Emily aveva trascorso gli infiniti giorni estivi leggendo romanzi era incredibilmente ben tenuto, e i piccoli arbusti ai due lati della porta principale erano stati potati. Ma la casa; Emily adesso capiva l’espressione confusa del vecchio quando gli aveva detto che stava andando lì. Sembrava così abbandonata, così non amata, in sfacelo. La rese infelice vedere quanto la bellissima vecchia casa era decaduta negli anni.

“Casa carina,” disse il vecchio avvicinandosi a Emily.

“Grazie,” rispose, quasi in trance, con gli occhi fissi al vecchio edificio. La neve le fluttuava intorno. “E grazie per avermi portata qui tutta intera,” aggiunse.

“Si figuri,” rispose il vecchio. “È davvero sicura di voler passare la notte qui?”

“Sono sicura,” rispose Emily, nonostante stesse davvero cominciando a temere che venire lì fosse stato un grosso errore.

“Lasci che l’aiuti con i bagagli,” disse l’uomo.

“No, no,” rispose Emily. “Sinceramente, ha già fatto abbastanza. Posso fare da sola adesso.” Frugò nella tasca e trovò una banconota spiegazzata. “Ecco, per la benzina.”

L’uomo guardò la banconota e poi lei. “Non la voglio,” disse, sorridendo gentile. “Tenga i soldi. Se vuole davvero sdebitarsi, perché non viene un po’ da me e Bertha durante il suo soggiorno qui per un caffè e una fetta di dolce?”

Emily sentì un grumo in gola mentre nascondeva la banconota nella tasca. La gentilezza di quest’uomo era scioccante dopo l’ostilità di New York.

“Per quanto ha in programma di rimanere, comunque?” aggiunse allungandole un pezzetto di carta con scarabocchiati su un numero di telefono e un indirizzo.

“Solo per il weekend,” rispose Emily, prendendo la carta.

“Be’, se avesse bisogno di qualcosa, faccia una telefonata. O venga alla pompa di benzina dove lavoro. È vicino al negozio di alimentari. Ci troverà facilmente.”

“Grazie,” disse di nuovo Emily, con tutta la sincera gratitudine di cui era capace.

Non appena il chiasso del motore fu svanito nel nulla, la quiete scese di nuovo ed Emily sentì un improvviso senso di pace. La neve cadeva anche più fitta adesso, facendo del mondo un posto silenzioso come il silenzio stesso.

Emily tornò alla macchina e raccolse la sua roba, poi si incamminò sulla via con la pesante valigia in braccio, sentendo l’emozione gonfiarle il petto. Quando raggiunse il portone principale si fermò, esaminando il familiare pomello logoro, ricordando la sua mano che lo girava centinaia di volte. Forse venire qui era stata una buona idea, dopo tutto. Stranamente, non riusciva a fare a meno di sentire che si trovava esattamente nel posto in cui doveva essere.

*

Emily se ne stava in piedi nell’offuscato vestibolo della vecchia casa di suo padre, con la polvere che le vorticava intorno, sperando stupidamente in un po’ di calore ma massaggiandosi le spalle dal freddo. Non sapeva che cosa le fosse saltato in mente. Si era davvero aspettata che quella vecchia casa, trascurata per vent’anni, la accogliesse riscaldata?

Provò l’interruttore e scoprì che non accadeva nulla.

Ma certo, pensò. Quanto stupida poteva essere? Si aspettava che ci fosse la corrente?

Non le era neanche venuto in mente di portare una pila. Si rimproverò. Come al solito era stata troppo avventata e non si era fermata un minuto per organizzare un piano.

Ripose la valigia giù e poi andò avanti, le assi del pavimento che le scricchiolavano sotto i piedi; fece scorrere le dita lungo la tappezzeria a ghirigori proprio come faceva da bambina. Poteva persino vedere le macchie che aveva lasciato negli anni con quello stesso movimento. Superò la scala, una lunga e amplia serie di gradini in legno scuro. Mancava parte del corrimano ma non poteva importargliene di meno. Essere tornata nella casa la faceva sentire molto più che ristorata.

Provò un altro interruttore per abitudine, ma non ebbe fortuna neanche questa volta. Poi raggiunse la porta alla fine del corridoio, che portava in cucina, e la spinse.

Ansimò quando un soffio di aria fredda la colpì. Entrò, il pavimento in marmo della cucina era ghiaccio sotto ai suoi piedi scalzi.

Emily cercò di far scorrere l’acqua dai rubinetti dell’acquaio ma non accadde niente. Si mangiò il labbro dalla costernazione. Niente riscaldamento, niente elettricità, niente acqua. Che altro aveva la casa in serbo per lei?

Camminò nella casa, cercando interruttori o leve che potessero controllare l’acqua, il gas e l’elettricità. Nell’armadietto sotto alle scale trovò un quadro elettrico, ma azionarne gli interruttori non servì a nulla. La caldaia, ricordò, si trovava giù in cantina – ma l’idea di scendere senza un po’ di luce a mostrarle la strada le metteva ansia. Aveva bisogno di una pila o di una candela, ma sapeva che nella casa abbandonata non ci sarebbe stato niente del genere. Eppure controllò i cassetti della cucina, per sicurezza – ma erano pieni solo di posate.

Nel petto cominciò a palpitarle il panico, ed Emily si fermò a riflettere. Riportò la mente al periodo che lei e la sua famiglia avevano trascorso nella casa. Ricordò il modo in cui suo padre usava il gasolio per sprigionare calore nella casa durante i mesi invernali. Faceva impazzire sua madre perché era davvero costoso e lei pensava che scaldare una casa vuota fosse uno spreco di soldi. Ma il padre di Emily insisteva che la casa dovesse essere mantenuta calda per salvaguardarne le tubature.

Emily capì di aver bisogno di trovare del gasolio se voleva scaldare la casa. Ma senza campo sul telefono, non aveva idea di come farlo.

D’un tratto, qualcuno bussò alla porta. Era un bussare pesante, fermo e ponderato, che faceva l’eco lungo i corridoi vuoti.

Emily raggelò, sentendo un’improvvisa trepidazione nel petto. Chi poteva essere, a quell’ora, con quella neve?

Lasciò la cucina e calpestò con passo felpato le assi del pavimento attraverso tutto l’ingresso, così silenziosa a piedi nudi. Posò la mano sulla maniglia, e dopo un secondo di esitazione si ricompose e aprì la porta.

Di fronte a lei, in una giacca di plaid e con i capelli neri lunghi fino alla mascella vivacizzati dai fiocchi di neve, c’era un uomo che Emily non poteva fare a meno di pensare somigliasse a un tagliaboschi, o al cacciatore di Cappuccetto Rosso. Non era il suo tipo, ma c’era sicuramente della bellezza nei suoi occhi freddi e blu, nella barba corta che gli incorniciava il mento ben definito, ed Emily rimase scioccata dalla forza attrattiva che provava nei suoi confronti.

“Posso aiutarla?” chiese.

L’uomo le diede una rapida occhiata, come misurandola. “Sono Daniel,” rispose. Allungò la mano perché gliela stringesse. Lei la prese, notando la sensazione della pelle ruvida delle sue mani. “Lei chi è?”

“Emily,” rispose, improvvisamente consapevole del battito del suo cuore. “Questa casa appartiene a mio padre. Sono venuta qui per il weekend.”

Lo sguardo di Daniel si intensificò. “Il proprietario non viene qui da vent’anni. Ha il permesso di venire qui?”

Il tono era ruvido, leggermente ostile, ed Emily indietreggiò.

“No,” disse goffa, un po’ a disagio che le fosse stata ricordata la più dolorosa esperienza della sua vita – la scomparsa di suo padre – mentre veniva sorpresa dalla scontrosità di Daniel. “Ma ho avuto il beneplacito di andare e venire come mi pare. E a lei poi cosa importa?” Adattò il tono a quello ruvido di lui.

“Sono il custode,” rispose. “Vivo nell’ex rimessa delle carrozze su questo terreno.”

“Lei vive qui?” urlò Emily, e la sua idea di un weekend di pace nella vecchia casa di suo padre le andò in pezzi davanti agli occhi. “Ma volevo restare sola questo weekend.”

“Sì, be’, anch’io,” rispose Daniel. “Non sono abituato alla gente che si presenta senza invito.” Le guardò oltre la spalla son sospetto. “E che danneggia la proprietà.”

Emily incrociò le braccia. “Che cosa le fa pensare che abbia danneggiato la proprietà?”

Daniel alzò un sopracciglio in risposta. “Be’, a meno che non stesse pensando di starsene seduta qui al freddo e al buio per tutto il weekend, immagino che qualche danno lo abbia fatto. Accendere la caldaia. Drenare i tubi. Quella roba là.”

La scontrosità di Emily lasciò il posto all’imbarazzo. Arrossì.

“Non è riuscita ad accendere la caldaia, vero?” disse Daniel. C’era un ironico sorriso sulle labbra che diceva a Emily che era quasi divertito dalla situazione.

“Non ne ho ancora avuto il tempo,” rispose in modo arrogante, cercando di salvare la faccia.

“Vuole che le mostri come si fa?” le chiese, quasi pigramente, come se farlo gli fosse indifferente.

“Lo farebbe?” chiese Emily, un po’ scioccata e confusa che le avesse offerto il suo aiuto.

Lui avanzò di un passo sul tappetino di benvenuto. Fiocchi di neve si alzarono dalla sua giacca, creando una piccola tempesta di neve nell’ingresso.

“Preferirei farlo io, piuttosto che vederla rompere qualcosa,” disse come spiegazione, con un’alzata di spalle.

Emily notò che la neve che cadeva fuori dal portone aperto si era trasformata in una specie di bufera. Per quanto non volesse ammetterlo, era molto più che grata che Daniel si fosse fatto vivo in quel momento. Altrimenti probabilmente sarebbe morta congelata durante la notte.

Chiuse la porta e i due percorsero il corridoio fino alla porta della cantina. Daniel si era preparato. Tirò fuori una pila, illuminando le scale che scendevano. Emily lo seguì dabbasso, un po’ spaventata dal buio e dalle ragnatele mentre scendevano nelle tenebre. Aveva avuto terrore della vecchia cantina da piccola, e raramente si era avventurata laggiù. Il luogo era pieno di vecchi macchinari e aggeggi che facevano funzionare la casa. La loro vista la schiacciò e fece sì che si chiedesse ancora una volta se venire lì fosse stato un errore.

Per fortuna, Daniel accese la caldaia in pochi secondi, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Emily non poté fare a meno di sentirsi un po’ disturbata dal fatto di aver avuto bisogno di un uomo quando la sola ragione per cui era venuta qui era innanzitutto riguadagnarsi la sua indipendenza. Capì che nonostante la forte sensualità di Daniel e l’innegabile attrazione che provava nei suoi confronti, doveva andarsene al più presto. Sarebbe stato difficile intraprendere un viaggio alla scoperta di se stessa con lui lì dentro. Averlo nella sua terra era un problema sufficiente.

Finito con la caldaia, lasciarono entrambi la cantina. Emily fu sollevata di trovarsi fuori da quel luogo umido e ammuffito e di trovarsi di nuovo nella zona principale della casa. Seguì Daniel mentre attraversava l’ingresso fino alla dispensa dietro alla cucina. Si mise subito a lavorare per drenare le tubature.

“Sa come scaldare la casa per tutto l’inverno?” le chiese da sotto il piano di lavoro. “Perché altrimenti congeleranno.”

“Resto solo per il weekend,” rispose Emily.

Daniel si trascinò fuori dal banco e sedette, i capelli increspati alti sulla testa. “Non deve incasinare una casa così vecchia,” disse, scuotendo la testa.

Ma sistemò comunque l’acqua.

“Allora dov’è il caldo?” chiese Emily non appena ebbe finito. Faceva ancora freddissimo, nonostante la caldaia fosse accesa e i tubi ormai sbloccati. Si massaggiò le braccia per agevolare la circolazione.

Daniel rise, pulendosi le mani sporche con un asciugamano. “Non è che comincia a funzionare così, per miracolo, sa. Deve farsi portare il gasolio. Tutto quello che potevo fare era accenderla.”

Emily sospirò di frustrazione. Quindi Daniel non era poi quel cavaliere dall’armatura scintillante che aveva pensato che fosse.

“Ecco,” disse Daniel allungandole un biglietto da visita. “Quello è il numero di Eric. Glielo porterà lui.”

“Grazie,” borbottò. “Ma non credo che arriverà fin qui.”

Pensò al suo telefonino, alle barre vuote, e si ricordò di quanto assolutamente sola fosse.

“C’è un telefono a pagamento alla fine della strada,” disse Daniel. “Ma io non rischierei di andar lì nel bel mezzo di una bufera. E comunque ora saranno chiusi.”

“Certo,” borbottò Emily, sentendosi frustrata e completamente disorientata.

Daniel doveva aver notato che Emily era seccata e che si sentiva avvilita. “Posso accenderle un fuoco,” si offrì, facendo un cenno con la testa in direzione del salotto. Le sopracciglia si sollevarono con un’aria di attesa, quasi timidamente, dandogli improvvisamente l’aspetto di un bambino.

Emily voleva protestare, dirgli di lasciarla sola nella gelida casa perché era il minimo che si meritava, ma qualcosa dentro di lei la fece esitare. Forse era il fatto che avere Daniel in casa la faceva sentire d’un tratto meno sola, meno tagliata fuori dalla civiltà. Non si era aspettata di non avere telefono, nessuna possibilità di comunicare con Amy, e la realtà di trascorrere la sua prima notte da sola nella casa fredda e buia era spaventosa.

Daniel doveva aver colto la sua esitazione, perché uscì a grandi passi dalla stanza prima che lei avesse il tempo di aprire la bocca e dire qualcosa.

Lei lo seguì, silenziosamente grata che fosse stato in gradi di leggerle la solitudine negli occhi e che si fosse offerto di rimanere, anche se in veste di addetto al fuoco. Trovò Daniel nel soggiorno, occupato a costruire un’ordinata pila di frasche, braci e legna nel caminetto. Venne colpita improvvisamente da un ricordo del padre, accucciato davanti al caminetto che con mani esperte accendeva fuochi, con tanta cura e tanto tempo come chi stia creando un’opera d’arte. Lei lo aveva guardato farlo centinaia di volte, e le aveva amate tutte. Trovava il fuoco ipnotico e avrebbe trascorso ore sul tappeto lì davanti, guardando le fiamme arancioni e rosse danzare, seduta per così tanto tempo che il calore le avrebbe pizzicato la faccia.

L’emozione si arrampicò lungo la gola di Emily, minacciando di soffocarla. Pensare a suo padre, vedere così chiaramente il ricordo nella mente, le fece sgorgare dagli occhi lacrime a lungo soppresse. Non voleva piangere davanti a Daniel, non voleva sembrare una donzella patetica e indifesa. Quindi racchiuse di nuovo le emozioni dentro di sé ed entrò decisa nella stanza.

“In realtà un fuoco lo so accendere,” disse a Daniel.

“Ah, davvero?” rispose Daniel, guardandola con un sopracciglio alzato. “Prego.” Le porse i fiammiferi.

Emily li agguantò e ne accese uno, e la piccola fiamma arancione le tremolava tra le dita. La verità era che aveva sempre e solo guardato suo padre accendere il fuoco; lei non ne aveva mai acceso uno. Ma riusciva a vedere nel ricordo in modo così vivido come farlo che si sentiva fiduciosa. Quindi si inginocchiò e preparò il fuoco con i pezzi di frasche che Daniel aveva disposto sul fondo del caminetto. Nel giro di qualche secondo il fuoco si accese, facendo il familiare whomp che suonava confortante e nostalgico per lei come tutto quello che l’immensa casa conteneva. Si sentì molto orgogliosa di sé quando le fiamme cominciarono a crescere. Ma invece di salire per la canna fumaria, il fumo nero si levava a ondate all’interno della stanza.

“CAZZO!” urlò Emily quando lingue di fumo la avvolsero.

Daniel si mise a ridere. “Pensavo che sapesse come accendere un fuoco,” disse aprendo la canna fumaria. Le lingue di fumo vennero immediatamente risucchiate dal camino. “Ta-da,” aggiunse con un largo sorriso.

Mentre il fumo attorno a lei si disperdeva, Emily gli lanciò un’occhiata irritata, troppo orgogliosa per ringraziarlo dell’aiuto di cui aveva avuto così chiaramente bisogno. Ma era un sollievo stare finalmente al caldo. Sentiva ripartire la circolazione, e il calore le tornò alle dita dei piedi e al naso. Le dita rigide le si sciolsero.

Con la luce del fuoco, il soggiorno era illuminato e inondato da una lieve luce arancione. Emily riusciva finalmente a vedere tutto l’antico mobilio di cui suo padre aveva riempito la casa. Diede un’occhiata intorno, agli oggetti squallidi e trascurati. L’alta libreria stava in un angolo, una volta piena zeppa di libri che aveva letto durante le infinite giornate estive, ora ne rimanevano solo pochi. Poi c’era il vecchio pianoforte a coda alla finestra. Nessun dubbio che fosse scordato ormai, ma una volta suo padre suonava le canzoni perché lei le cantasse. Suo padre era stato così orgoglioso della casa, e vederla adesso, con la luce brillante che ne rivelava la decadenza, la turbò.

I due divani erano coperti da lenzuola bianche. Emily pensò di toglierle, ma sapeva che avrebbe creato una nuvola di polvere. Dopo quella di fumo, non era sicura che i suoi polmoni avrebbero potuto permettersela. E comunque, Daniel sembrava piuttosto comodo seduto sul pavimento accanto al caminetto, quindi si sistemò accanto a lui.

“Dunque,” disse Daniel, scaldandosi le mani al fuoco. “Alla fine un po’ di caldo l’abbiamo tirato fuori. Ma non c’è corrente in casa e dubito che lei abbia pensato di mettersi in valigia una lanterna o una candela.”

Emily scosse la testa. Aveva riempito la valigia di cose frivole, niente di utile, niente che davvero aveva bisogno di portarsi qui.

“Papà aveva sempre candele e fiammiferi,” disse. “Era preparato. Credo che mi aspettassi di trovarne una credenza ancora piena, ma dopo vent’anni…”

Si zittì, improvvisamente conscia di aver parlato di suo padre a voce alta. Non era qualcosa che faceva spesso, di solito teneva i sentimenti nei suoi confronti nascosti nel profondo di se stessa. La facilità con cui ne aveva parlato la scioccò.

“Possiamo rimanere qui allora,” disse Daniel dolcemente, accorgendosi che Emily stava provando un’emozione dolorosa del passato. “Vicino al fuoco c’è abbastanza luce per vedere. Vuole del tè?”

Emily si accigliò. “Tè? E come lo vuol fare senza corrente?”

Daniel sorrise come se avesse accettato una specie di sfida. “Guardi e impari.”

Si alzò e scomparve dal grande soggiorno, tornando pochi minuti dopo con un pentolino rotondo che sembrava un calderone.

“Che cos’ha lì?” chiese Emily, curiosa.

“Oh, solo il miglior tè della sua vita,” disse sistemando il calderone sulle fiamme. “Non si sa cosa sia il tè finché non si è bevuto un tè scaldato sul fuoco.”

Emily lo guardava, e il modo in cui la luce del fuoco danzava sui suoi lineamenti li accentuava rendendolo anche più attraente. La concentrazione che dedicava tutta al suo lavoro aggiungeva fascino. Emily non poteva fare a meno di meravigliarsi di fronte al suo senso pratico, alle sue risorse infinite.

“Ecco,” disse porgendole una tazza e riportandola dalle sue fantasticherie alla realtà. Guardò con aria di attesa mentre beveva il suo primo sorso.

“Oh, è davvero buono,” disse Emily, sollevata almeno di levarsi il freddo dalle ossa.

Daniel cominciò a ridere.

“Che c’è?” lo sfidò Emily.

“Non l’avevo ancora vista sorridere, ecco tutto,” rispose.

Emily distolse lo sguardo, sentendosi improvvisamente in imbarazzo. Daniel era l’uomo più diverso da Ben che potesse esistere, eppure l’attrazione che provava nei suoi confronti era potente. Forse in un altro luogo, in un altro momento, si sarebbe abbandonata al desiderio. Era stata solo con Ben per sette anni, dopotutto, e si meritava un po’ di attenzione, un po’ di eccitazione.

Ma quello non era il momento giusto. Non con quello che stava accadendo, con la sua vita che era un casino totale in sconvolgimento, e con i ricordi di suo padre che le vorticavano nella mente. Ovunque guardasse, le sembrava di vedere la sua ombra; seduto sul divano con una giovane Emily raggomitolata al suo fianco, a leggere un libro a voce alta; che irrompeva in casa tutto raggiante per aver trovato un antico pezzo di antiquariato al mercatino delle pulci, per poi trascorrere ore e ore a pulirlo, a riportarlo alla sua gloria passata. Dov’erano tutte queste antichità adesso? Tutte le statuette e le opere d’arte, il vasellame commemorativo e le posate dell’epoca della Guerra Civile? La casa non se n’era rimasta ferma, congelata, come nei suoi ricordi. Il tempo aveva preteso il suo tributo sulla proprietà in un modo che lei non aveva preso in considerazione.

Un’altra ondata di dolore si abbatté su Emily quando si guardò intorno nella stanza polverosa e disordinata che una volta traboccava di vita e risate.

“Come si è ridotto così questo posto?” scattò d’un tratto, incapace di sopprimere il tono accusatorio dalla voce. Si accigliò. “Voglio dire, lei dovrebbe prendersene cura, no?”

Daniel trasalì, come sorpreso dalla sua improvvisa aggressività. Appena un istante prima avevano condiviso un momento dolce e tenero. Secondi dopo lei gli urlava contro. Daniel le diede un’occhiataccia fredda. “Faccio del mio meglio. È una casa grande. E io sono da solo.”

“Scusi,” disse Emily tornando subito sui suoi passi, non volendo essere assolutamente la causa dell’espressione divenuta tetra di Daniel. “Non era mia intenzione attaccarla. Volevo solo…” Guardò la tazza e mescolò le foglie di tè. “Questo posto sembrava uscito da una favola quando ero bambina. Era così maestoso, sa? Così bello.” Alzò lo sguardo e scorse Daniel guardarla attentamente. “È solo che è triste vederlo così.”

“Che cosa si aspettava?” rispose Daniel. “È rimasto abbandonato per vent’anni.”

Emily distolse lo sguardo con tristezza. “Lo so. Probabilmente volevo immaginarlo sospeso nel tempo.”

Sospeso nel tempo, come l’immagine di suo padre che aveva in mente. Aveva ancora quarant’anni, non era invecchiato di un giorno, identico all’ultima volta che l’aveva visto. Ma in qualunque luogo si trovasse, il tempo doveva averlo toccato così come aveva fatto con la casa. La determinazione di Emily di sistemare la casa durante il weekend si fece ancora più forte. Non voleva niente di più che riportarla, anche se solo leggermente, alla sua vecchia gloria. Forse farlo sarebbe stato come riportare suo padre da lei. Poteva farlo in suo onore.

Emily bevve l’ultimo sorso di tè e mise giù la tazza. “Dovrei andare a letto,” disse. “È stata una giornata lunga.”

“Certo,” rispose Daniel, mettendosi in piedi. Si mosse veloce, lasciando la stanza e uscendo sul corridoio fino a raggiungere il portone, lasciando che Emily lo tallonasse. “Mi chiami quando è nei guai, okay?” aggiunse. “Sono nella rimessa che sta laggiù.”

“Non ne avrò bisogno,” disse Emily con sdegno. “Posso fare da sola.”

Daniel aprì la portone, lasciando che la neve ristoratrice entrasse. Si raccolse nella giacca, poi guardò indietro, al di sopra della spalla. “L’orgoglio non la porterà lontano qui, Emily. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto.”

Voleva urlargli qualcosa, litigare, rifiutare la sua affermazione che lei fosse troppo orgogliosa, ma invece gli guardò la schiena mentre lui spariva nella buia neve che vorticava, incapace di parlare, la lingua completamente legata.

Emily chiuse la porta, chiudendo fuori il mondo esterno e la furia della bufera. Ora era completamente sola. La luce si riversava nell’ingresso dal fuoco nel soggiorno, ma non era abbastanza intensa da raggiungere le scale. Guardò su la lunga scala di legno sparire nel buio. A meno che non fosse preparata a dormire su uno dei divani impolverati, avrebbe dovuto trovare il coraggio di avventurarsi di sopra nel buio pesto. Si sentì di nuovo una bambina, impaurita all’idea di scendere nella cantina piena di ombre, inventandosi ogni genere di mostri e cose macabre che la stavano ad aspettare là sotto per prenderla. Solo che ora era una donna adulta di trentacinque anni, troppo spaventata all’idea di salire di sopra perché sapeva che la vista dell’abbandono era peggiore di qualsiasi mostro che la sua mente riuscisse a creare.

Invece Emily tornò nel soggiorno per assorbire l’ultimo calore dal fuoco. C’erano ancora alcuni libri sulla libreria – Il giardino segreto, Cinque bambini e la cosa – dei classici che suo padre le leggeva. Ma il resto? Dov’erano finite le cose di suo padre? Erano scomparse in un luogo sconosciuto così come aveva fatto lui.

Mentre le braci si spegnevano l’oscurità la avvolgeva, in accordo con il suo umore tetro. Non poteva più ignorare la stanchezza; era venuto il momento di salire quei gradini.

Appena lasciò la stanza, sentì uno strano rumore strascicato venire dal portone. Prima il suo pensiero andò a una qualche creatura selvaggia che fiutava carcasse, ma il rumore era troppo preciso, troppo pensato.

Con il cuore martellante, si spostò silenziosamente attraverso l’ingresso e si avvicinò al portone, posandoci contro l’orecchio. Qualunque cosa pensasse di aver sentito, ora non c’era più. Tutto quello che riusciva a sentire era l’ululato del vento. Ma qualcosa la costrinse ad aprire la porta.

La spinse e vide che sistemate davanti alla soglia c’erano delle candele, una lanterna e dei fiammiferi. Daniel doveva essere tornato e doveva averglieli lasciati qui.

Li raccolse, accettando con riluttanza la sua offerta d’aiuto, con l’orgoglio che le pungeva. Ma allo stesso tempo era molto più che grata che ci fosse qualcuno a occuparsi di lei. Aveva pure abbandonato la sua vita per correre in questo posto, ma non era completamente sola.

Emily accese la lanterna e finalmente si sentì abbastanza coraggiosa da salire di sopra. Mentre la fioca luce della lanterna la guidava in cima alle scale, guardò i quadri appesi al muro, pieni di immagini sfuocate dal tempo, avvolte in ragnatele che le riempivano di polvere. Per la maggior parte i quadri erano acquerelli che ritraevano i dintorni – barche a vela sull’oceano, sempreverdi del parco nazionale – ma uno era un ritratto di famiglia. Si fermò, fissando la figura, guardando l’immagine di se stessa da piccola. Si era completamente dimenticata di questo quadro, che aveva confinato da qualche parte nella memoria e l’aveva relegato là per vent’anni.

Sopprimendo un’ondata di sentimenti, continuò a salire i gradini. La vecchia scala scricchiolava rumorosamente sotto di lei ed Emily notò che alcuni gradini erano rotti. Erano sbeccati da anni di passi e la colpì un ricordo di lei che correva su e giù da questi gradini in scarpe rosse.

Nel vestibolo al piano di sopra la luce della lanterna illuminò un lungo corridoio – le numerose porte di quercia scura, e alla fine la finestra che andava dal pavimento al soffitto che ora era chiusa dal compensato. La sua vecchia camera era l’ultima a destra, di fronte al bagno. Non riusciva a sopportare il pensiero di guardare in quella stanza. Troppi ricordi erano contenuti lì, troppi perché potesse liberarli adesso. E non le faceva tanto piacere l’idea di scoprire che genere di bestie avevano preso alloggio nel bagno nel corso degli anni.

Invece Emily incespicò lungo il corridoio, superò la cassettiera contro cui aveva sbattuto le dita dei piedi un sacco di volte, e si infilò nella camera dei suoi genitori.

Alla luce della lanterna, Emily riuscì a vedere quanto fosse impolverato il letto, quanto la biancheria fosse stata rosicchiata dalle tarme negli anni. Il ricordo del bel letto a baldacchino che i suoi avevano condiviso andò in pezzi nella sua mente mentre si confrontava con la realtà. Vent’anni di abbandono avevano devastato la stanza. Le tende erano sporche e spiegazzate, scendevano flosce sulle finestre sprangate. I portacandele da parete erano inspessiti dalla polvere e dalle ragnatele, sembrava che intere generazioni di famiglie di ragni ne avessero fatto la loro casa. Uno strato di spessa polvere stagnava su tutto, incluso il tavolo da toletta alla finestra, il piccolo sgabello su cui sua madre si sedeva molti anni prima quando si spalmava in viso la crema alla lavanda davanti allo specchietto di cortesia.

Emily vide tutto, tutti i ricordi che aveva sepolto negli anni. Non riuscì a trattenere le lacrime. Tutte le emozioni che aveva provato negli ultimi giorni la assalirono, intensificate dai ricordi di suo padre, dallo choc improvviso di quanto le mancava.

Fuori, il suono della bufera si intensificava. Emily ripose la lanterna sul comodino, sollevando una nuvola di polvere, e si preparò per andare a letto. Il calore del fuoco non era arrivato fin lassù e la stanza era di un freddo pungente quando si tolse i vestiti. In valigia trovò la camicetta di seta e capì che non le sarebbe stata molto utile lì; sarebbe stata meglio con una poco signorile calzamaglia e grossi calzini da notte.

Emily scostò la coperta patchwork cremisi e oro tutta impolverata e scivolò nel letto. Fissò il soffitto per un attimo, riflettendo su tutto quello che le era accaduto negli ultimi giorni. Sola, infreddolita e indifesa, soffiò sulla fiamma della lanterna, immergendosi nel buio, e pianse fino ad addormentarsi.

Ora e per sempre

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