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CAPITOLO TRE

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Il mattino seguente la svegliò squillò fin troppo presto, rimbombando come una sirena da nebbia. Keira si girò e la spense, poi si rese conto che l’altro lato del letto era vuoto. Zach non aveva dormito lì la notte precedente.

Si alzò, strofinandosi via il sonno dagli occhi, e sbirciò in soggiorno. Niente Zach. Quindi, esattamente come aveva predetto, la notte prima non era tornato. Doveva essere rimasto da Ruth.

Accantonando la delusione e la tristezza, si fece una rapida doccia lottando per evitare che l’acqua calda la facesse riaddormentare, e indossò abiti comodi in previsione del lungo viaggio.

Afferrata la borsa, controllò per accertarsi di avere i biglietti e l’itinerario che le aveva dato Heather. Soddisfatta di scoprire che i documenti e il passaporto erano ancora in suo possesso, uscì di casa e saltò sul sedile posteriore del taxi che l’aspettava.

Mentre sfrecciava per le strade di New York di prima mattina, Keira si prese un istante per fare il punto della situazione. Stava succedendo sul serio. Stava davvero per andare all’estero per lavoro, come aveva sempre sognato di fare. Avrebbe voluto solo che Zach avesse scelto di condividere con lei quel momento, piuttosto che tenersi a distanza.

L’aeroporto di Newark era trafficato come l’ora di punta in metropolitana. Una partenza alle 5:00 del mattino era del tutto nomale per molte persone in carriera, e Keira provò un improvviso slancio d’orgoglio a considerarsi una di loro. Imbarcò i bagagli sull’aereo sentendosi come una super star all’aeroporto di Los Angeles, e tenendo la testa alta allo stesso modo. Poi trovò un baretto per la sua dose mattutina e per perdere un po’ di tempo prima che il suo volo fosse pronto alla partenza.

Seduta nel bar affollato, controllò ripetutamente il telefono. Anche se sapeva che Zachary doveva essere ancora addormentato, desiderava disperatamente qualsiasi genere di comunicazione da lui. Sapeva di aver fatto la cosa giusta accettando l’incarico e sperava che alla fine anche lui sarebbe arrivato alla stessa conclusione. O forse la loro relazione era condannata come pensava Bryn. Forse le loro opposte priorità erano davvero un blocco che non potevano superare.

Inviò un messaggio spensierato a Zachary, evitando qualsiasi riferimento al loro litigio, sperando che se si fosse svegliato con qualche parola dolce si sarebbe sentito più ben disposto nei suoi confronti.

Il suo telefono squillò e lei fece un balzo per l’eccitazione, sicura che fosse la risposta di Zach. Invece era Heather, per controllare che fosse andato tutto secondo i piani e che lei fosse pronta a prendere l’aereo. Delusa, Keira le rispose, rassicurandola che stava andando tutto bene.

Proprio in quel momento sentì la chiamata d’imbarco per il suo volo. Bevuta rapidamente l’ultima sorsata di caffè, Keira si diresse verso il cancello, giurando di chiamare Zachary non appena fosse atterrata. Tra New York e l’Irlanda c’era una differenza di cinque ore che avrebbe dovuto tenere a mente durante il suo soggiorno.

A bordo dell’aereo Keira si accomodò nel suo posto, controllando un’ultima volta se c’erano messaggi da Zach. Ma non aveva ricevuto niente, e l’assistente di volo le lanciò un’occhiataccia di disapprovazione vedendola usare il cellulare dopo la richiesta di spegnere tutti i dispositivi elettronici. Sospirando, Keira spense il telefono e lo infilò in tasca.

Esattamente in quel momento, un gruppo chiaramente in partenza verso una festa di addio al celibato salì sull’aereo, chiacchierando allegramente. Keira mugolò. Sarebbe stato un lungo volo. Sette ore, in effetti, fino a Shannon a County Clare. Sarebbe stato buio quando fosse atterrata, ma il suo corpo sarebbe stato convinto che fosse mezzogiorno. Aveva sperato di riuscire a riposarsi durante il volo, ma quel gruppo di uomini chiassosi sarebbe stato gliel’avrebbe impedito.

L’aereo si mise in moto sulla pista. Tentando di isolarsi dal frastuono dell’addio al celibato, si infilò gli auricolari e chiuse gli occhi. Ma non era neanche lontanamente sufficiente per soffocare le loro rumorose battute.

L’aereo prese il volo e Keira si rassegnò al piano B: la caffeina. Fece un cenno allo steward e ordinò un caffè, sapendo che sarebbe stato il primo di molti. Lo sorseggiò, irritata, sul sottofondo dei rumori dell’addio al celibato.

Mentre attraversava i cieli, Keira si prese il tempo di controllare l’itinerario e gli appunti di Heather.

Non ci sono taxi, quindi nel parcheggio ci sarà un’auto a noleggio ad attenderti. Spero che tu sappia guidare con il cambio manuale. E ricordati anche di tenere la SINISTRA.

Il pensiero di dover guidare mentre era tanto assonnata la preoccupò. Era molto tempo che non prendeva la macchina, dato che di solito usava la metropolitana per muoversi ovunque. Il cambio manuale era una sfida in più. E guidare sulla sinistra sarebbe stato persino più complicato. Se voleva avere qualche possibilità di non schiantarsi, avrebbe avuto bisogno di bere molto più caffè!

Alloggerai in un tradizionale pub e Bed & Breakfast irlandese, quindi non aspettarti un trattamento da Hilton Hotel. Sarà un posto molto semplice.

Keira non ne fu turbata. Era una scrittrice squattrinata da quando si era diplomata al college; erano anni che gli hotel erano fuori dal suo budget! Poteva vivere in un tugurio per un mese senza alcun problema. Finché non fosse stata costretta ad andare al bagno in una latrina all’aperto, era certa che sarebbe sopravvissuta agli alloggi più basilari.

Avrai la serata per acclimatarti prima di iniziare a lavorare. Abbiamo preso accordi con una guida turistica perché ti mostri il posto. Incontrerai il sensale, che si occupa di organizzatore degli incontri romantici, e proprietario del festival il mattino seguente. Il festival inizia la sera stessa.

Man mano che leggeva le informazioni, Keira cominciò a sentirsi sempre più emozionata. Il volo le sembrò più rapido di quanto si fosse aspettata, probabilmente grazie all’adrenalina che le pompava nelle vene. Quella, e alle copiose quantità di caffeina.

Atterrò a Shannon di buon umore, scendendo dall’aereo accolta dalla fredda e frizzante aria settembrina. Si aspettava di vedere dolci colline verdi e campi pieni di mucche e pecore, ma invece l’aeroporto di Shannon non offriva un gran panorama. La zona era piuttosto industrializzata, con grandi edifici grigi privi di qualsiasi bellezza architettonica.

L’autonoleggio era altrettanto tetro. Piuttosto di una calda accoglienza irlandese, incontrò un giovane dal volto impassibile che accettò in silenzio la sua ricevuta di pagamento e le tese le chiavi dell’auto senza pronunciare nemmeno una sillaba.

Keira le accettò e trovò la sua auto nel parcheggio. Era assurdamente piccola. Entrò dal lato destro, ricordando l’appunto di Heather sulla guida a sinistra. Le servì un po’ per riprendere familiarità con il concetto del cambio manuale e del pedale della frizione, e poi partì, usando il navigatore satellitare per uscire da Shannon. Le sarebbe servita un’ora circa per raggiungere la sua destinazione, Lisdoonvarna.

Non appena ebbe lasciato la strada principale, si trovò a guidare lungo strette stradine tortuose senza marciapiedi, segnali stradali né lampioni. Keira strinse ansiosamente il volante e dedicò ogni briciolo della sua energia e concentrazione per superare quelle vie che sembravano farsi sempre più piccole.

Dopo circa quindici minuti, iniziò a rilassarsi leggermente. Non c’era molto traffico, e ciò l’aiutò a calmare i nervi perché non doveva aver paura di andare a sbattere contro qualcuno. Anche l’ambiente era molto rilassante, niente per miglia a parte colline e campi punteggiati di pecore. L’erba era del più puro color verde che Keira avesse mai visto in tutta la sua vita. Abbassò il finestrino per annusare l’aria fresca, ma invece fu colpita dall’odore del letame. Risollevò rapidamente il vetro.

Non c’erano segnali stradali a guidarla, quindi fu grata di avere il navigatore satellitare. Ma non c’erano neanche lampioni, che rendeva la guida più difficile, specialmente con tutte quelle curve strette e ripide. La segnaletica sulla strada era cancellata. Inoltre Keira trovava la guida sulla sinistra disorientante. Il viaggio complicato fu ulteriormente aggravato dai vari trattori che dovette superare!

A un certo punto la strada divenne tanto stretta da lasciare lo spazio solo per un’auto. Keira quasi si schiantò nella corsia opposta e dovette frenare di colpo, slittando sul ciglio della strada e strisciando sulle siepi di bordura. Sollevò una mano per scusarsi con l’autista dell’altra auto, che si limitò a sorridere gentilmente come se non fosse successo niente, e indietreggiò un po’ per lasciarle lo spazio per superarlo. Se fosse stata a New York, un simile incidente si sarebbe concluso in molte imprecazioni nella sua direzione. E invece stava già ricevendo un assaggio della famosa ospitalità irlandese.

Con il cuore che le batteva ancora forte per lo shock dell’incidente schivato di poco, riuscì lentamente a superare l’altra auto.

Continuò ad avanzare con cautela, sentendosi più terrorizzata dalle strade di quanto non lo fosse stata in precedenza. Sperava che il graffio contro i cespugli non si vedesse sulla vernice, non era certa di come avrebbe reagito la società se fosse tornata a casa con un salatissimo conto dell’autonoleggio per danni!

Qualsiasi residuo di eccitazione avesse provato prima di quel viaggio infido aveva iniziato a svanire. L’adrenalina e caffè l’aveva sospinta solo fino a un certo punto. Ormai, invece di ammirare la bellezza della natura, vedeva i suoi dintorni come spogli e vagamente tetri. Le uniche creature viventi che notò erano pecore. Le vecchie fattorie di pietra che apparivano di tanto in tanto erano trascurate e fatiscenti. Sulle colline, Keira intravide un castello in rovina nascosto tra alcuni alberi e si chiese come era possibile che un edificio storico fosse stato abbandonato.

Iniziò a prendere mentalmente appunti per il suo articolo, ricordando la prospettiva cinica che Elliot voleva che assumesse. Invece di godersi la bellezza del panorama costiero, si concentrò sulle nuvole grigie. Piuttosto che apprezzare come miracolosa l’ampia vista sull’oceano, decise di rivolgere lo sguardo sulla desolazione delle lontane montagne rocciose. Anche se da una parte era incredibilmente bello, Keira sentiva che sfatare il mito del romanticismo irlandese non sarebbe stato difficile. Le sarebbe bastato sapere dove guardare e come descrivere i dettagli.

Attraversò alcuni piccoli paesini dalle mura di pietra. Uno si chiamava Killinaboy e lei scoppiò a ridere, mandando rapidamente una foto del nome della città a Zach e sperando che l’avrebbe apprezzata.

Fu tanto distratta da quel buffo cartello stradale che Keira quasi non notò il successivo ostacolo in strada, un gregge di pecore! Pigiò il piede sul freno e si fermò appena in tempo, spegnendo l’auto. Le servì molto tempo perché il suo terrore si acquietasse. Avrebbe potuto sterminare un’intera famiglia di pecore!

Prendendosi un momento per calmare i battiti del suo cuore, Keira afferrò il telefono e scattò una foto ai posteriori del gregge di pecore, mandandola a Zach con il commento: il traffico qui è un incubo.

Ovviamente non ricevette alcuna risposta. Frustrata dalla sua totale mancanza di interesse, inviò la stessa foto a Nina e Bryn. Entrambe risposero quasi immediatamente con emoji ridenti e Keira annuì, soddisfatta di sapere che almeno qualcuno nella sua vita trovasse interessanti le sue avventure.

Riavviò il motore e lentamente superò la colonna di pecore. Le bestie la guardarono passare con espressioni scaltre e lei si ritrovò sul punto di domandar loro scusa. Il cielo stava iniziando a scurirsi, rendendo il viaggio ancora più pericoloso. Non era d’aiuto il fatto che le uniche costruzioni che vide erano chiese, con solenni statue della Vergine Maria a pregare sul ciglio della strada.

Alla fine arrivò a Lisdoonvarna e fu piacevolmente colpita da ciò che trovò. Almeno sembrava un posto dove vivevano delle persone! C’erano strade affiancate da più di una casa, che le dava l’aspetto di una cittadina vera e propria… o qualcosa del genere. Tutti gli edifici, le case e i negozi erano piccoli e ameni, molti a pochi passi di distanza dalla strada, ed erano verniciati allegramente con tutti i colori dell’arcobaleno. Keira fu lieta di essere finalmente giunta a quella che sembrava una comunità, invece che singole dimore collegate da strade.

Rallentò l’auto, seguendo i cartelli in strada fino a quando non trovò l’indirizzo che stava cercando, il St. Paddy’s Inn. Il Bed & Breakfast era proprio all’angolo tra due vie, un edificio a tre piani di scuri mattoni rossi. Dall’esterno a Keira sembrò estremamente irlandese.

Lasciò l’auto nel piccolo parcheggio e saltò fuori, afferrando le sue valige dal bagagliaio. Era esausta e pronta a entrare e rilassarsi.

Ma mentre si avvicinava, si rese conto che il riposo non era nel suo futuro. Perché anche da lì riusciva a sentire i suoni di allegre conversazioni e accesi dialoghi. Udiva anche i rumori della musica dal vivo, di violini, pianoforti e fisarmoniche.

Un campanello sopra la porta tintinnò al suo ingresso, e fu accolta da un piccolo e buio pub con una vecchia carta da parati cremisi e numerosi tavolini rotondi di legno. Traboccava di gente, tutti con una birra in mano. La squadrarono come se avessero capito al volo che non era una di loro, e che non era una semplice turista, ma un’americana.

Keira si sentì un po’ travolta dallo shock culturale.

“Che cosa ti porto?” chiese una voce maschile con un pesante accento che Keira riuscì a malapena a comprendere.

Si voltò verso il bar e vide un uomo anziano dietro al bancone. Aveva un volto rugoso e un ciuffo di capelli grigi spuntava dal centro della sua testa altrimenti completamente calva.

“Sono Keira Swanson,” si presentò lei, avvicinandosi. “Della rivista Viatorum.”

“Non riesco a sentirti! Parla ad alta voce!”

Keira alzò la voce sopra la musica folk che stava suonando dal vivo e ripeté il proprio nome. “Ho prenotato una stanza qui,” aggiunse quando l’uomo si limitò a guardarla con espressione impassibile. “Sono una scrittrice dall’America.”

Alla fine l’uomo sembrò capire chi fosse e perché era lì.

“Ma certo!” esclamò, mentre gli si allargava un sorriso sul volto. “Da quella rivista con il buffo nome latino.”

Trasmetteva un che di caloroso, da nonno, e Keira si sentì di nuovo rilassata.

“Proprio quella,” confermò.

“Io sono Orin,” disse lui. “Il St. Paddy è mio. Ci vivo anche. E questa è per te.” Tutta a d’un tratto una pinta di Guinness apparve sul bancone davanti a Keira. “Un tradizionale benvenuto dal St. Paddy.”

Keira fu presa alla sprovvista. “Non sono una gran bevitrice,” rise.

Orin le lanciò un’occhiata. “Lo sei finché rimani qui a County Clare, ragazza mia! Sei qui per lasciarti andare come noialtri. E comunque dobbiamo fare un brindisi per festeggiare il tuo viaggio sicuro. Sia reso grazie alla Vergine Maria.” Si fece il segno della croce sul petto.

Keira aveva un po’ paura ad accettare la Guinness e a dare il primo sorso di quel forte liquido cremoso. Non aveva mai assaggiato una Guinness prima e il sapore non le piacque molto. Dopo un solo goccio fu certa che non sarebbe riuscita a finire la pinta intera.

“Gente,” gridò Orin ai clienti del pub, “questa è la giornalista americana!”

Keira sussultò quando l’intero pub si voltò verso di lei e iniziò ad applaudire e a festeggiarla come se fosse stata una celebrità.

“Siamo così emozionati che tu sia qui!” esclamò una donna con i capelli ricci e crespi, avvicinandosi e mostrando un sorriso con troppi denti per la tranquillità di Keira. Poi con voce più bassa aggiunse: “Forse vuoi ripulirti il baffo di Guinness.”

Sentendosi le guance bollenti per l’imbarazzo, Keira si asciugò rapidamente la schiuma sopra il labbro superiore. Un secondo più tardi un’altra dei clienti del bar si fece avanti, sgomitando via altre persone senza che nessuno sembrasse prendersela. Caracollando rovesciò qualche goccia del drink. “Non vedo l’ora di leggere l’articolo!”

“Oh, grazie,” rispose Keira, scrollando le spalle. Non aveva pensato che la gente del luogo avrebbe voluto leggere che cosa avrebbe scritto su di loro. Forse così sarebbe stato un po’ più complicato mantenere una prospettiva fredda e cinica.

“Quindi perché sei diventata una giornalista?” domandò l’uomo accanto a lei.

“Sono solo una scrittrice,” rispose Keira arrossendo, “non una giornalista.”

“Solo una scrittrice?” esclamò l’uomo, parlando ad alta voce e attirando l’attenzione degli altri attorno a lui. “L’avete sentita? Dice che è solo una scrittrice. Beh, io quasi non so tenere una biro in mano quindi per quel che mi riguarda tu sei un genio.”

Tutti scoppiarono a ridere. Keira bevve nervosamente piccoli sorsi della Guinness. Era molto grata per l’ospitalità irlandese ma era anche uno shock culturale, e si sentì intimorita, pensando ai diversi modi in cui poteva fare a pezzi quel posto nel suo articolo.

“Ti faccio vedere la tua camera,” disse alla fine Orin, non appena ebbe finito metà della sua pinta di Guinness.

Lei lo seguì su per una scalinata stretta e scricchiolante e lungo un corridoio con un logoro tappeto dal forte odore di polvere. Keira camminò in silenzio e assorbendo tutti i dettagli, costruendo frasi taglienti nella mente mentre osservava l’arredamento antiquato. Le pareti erano decorate con fotografie sbiadite e incorniciate delle squadre di calcio locali del passato e Keira sogghignò notando che la maggior parte dei giocatori condivideva lo stesso cognome, O’Sullivan. Scattò discretamente una foto della squadra di calcio in bianco e nero e la mandò a Zach con la dicitura: Il signor O’Sullivan si deve essere dato da fare.

“Eccola qui,” annunciò Orin, aprendo una porta e mostrandole l’interno.

La stanza era tremenda. Anche se era ampia, con un letto matrimoniale e una grande finestra, l’arredamento era agghiacciante. La carta da parati era di uno strano color pesca, macchiata da anni di manate unte. Il letto era coperto da un piumino, che era trapuntato ma non in un gradevole stile campagnolo, piuttosto come un residuato invenduto di un negozio di seconda mano.

“Questa è la stanza con la scrivania,” disse Orin, sorridendo con orgoglio e indicando il piccolo tavolino di legno sotto la finestra. “Così puoi scrivere.”

Keira arrossì. Dentro di sé era disgustata dall’idea di stare in quella stanzetta sudicia per un mese intero, ma riuscì a emettere un grato: “Grazie.” E lei che era stata certa di riuscire a vivere ovunque per un mese!

“Preferisci ambientarti e riposarti un po’ prima di incontrare Shane?” chiese Orin.

Keira si accigliò, confusa. “Chi è Shane?”

“Shane Lawder. La tua guida turistica. Per il festival,” spiegò Orin.

“Certo,” disse Keira, ricordando che tra gli appunti di Heather c’era scritto che avrebbe avuto una guida. “Sì, grazie, mi farebbe piacere incontrare Shane.” Non aveva alcun desiderio di passare neanche un altro minuto nella stanza, quindi lasciò cadere la borsa sul letto e si diresse di nuovo verso la scalina scricchiolante.

“Shane!” gridò Orin, riprendendo la sua posizione dietro il bancone del bar.

Con grande sorpresa di Keira, fu il violinista a rispondere. Abbassò il suo strumento, anche se il gruppo di musicisti con cui si stava esibendo continuò come se non fosse cambiato niente, e si avvicinò.

Sotto la barba incolta, Keira notò che aveva una mascella scolpita. In effetti, se non fosse stato per i capelli, che dovevano assolutamente essere tagliati, e gli abiti trasandati, Shane si sarebbe potuto definire decisamente attraente. Keira si sentì in colpa a fare un pensiero di quel tipo, specialmente dato che le cose con Zach erano tanto incerte in quel momento, ma poi pensò al motto di Bryn: Non c’è niente di male nel guardare.

“Non sembri un Joshua,” commentò Shane stringendole la mano.

“Oh, non te l’hanno detto?” disse Keira. “C’è stato un cambio di piani e sono stata mandata io al suo posto. Mi spiace.”

Shane le lanciò un’occhiata impudente. “Perché ti scusi? Preferisco di gran lunga passare trenta giorni con una bella ragazza come te. Senza offesa per questo Joshua, sono sicuro che sia un bell’uomo, ma non sembra il mio tipo. Sai, per il fatto che è maschio e quella roba lì.”

Keira deglutì. Non si aspettava che gli uomini irlandesi fossero tanto audaci. Ma ricordò a se stessa di Zach e si ripeté mentalmente che stava solo guardando.

Quando Shane si sedette sullo sgabello accanto a lei, Orin mise una Guinness davanti a entrambi. Keira mugugnò dentro di sé. Come avrebbe fatto a sopportare tutto quell’alcol?

Shane prese una lunga sorsata della sua birra e poi aprì alcuni fogli sul bancone.

“Il Festival dell’Amore dura trenta giorni,” spiegò. “La maggior parte delle attività inizia solo la sera, quindi ho preparato un itinerario di posti che possiamo visitare mentre sei qui, così puoi farti un’idea di tutto il paese. Inizieremo con il Burren per gli scenari montuosi, le Scogliere di Moher per vedere l’oceano, poi andremo nella contea vicina, Kerry, per il palazzo monumentale a Killarney, e infine a Dingle.”

“Pensavo che mi avresti semplicemente fatto da guida nel festival,” disse Keira. “Non per tutto il paese!”

“Andrai fuori di testa se non esci un po’ da Lisdoonvarna durante il giorno,” spiegò Shane. “Tutte quelle comitive di persone che vanno e vengono, dopo un po’ diventano decisamente troppo.”

Keira rise silenziosamente tra sé e sé. Le era difficile credere che Lisdoonvarna fosse anche solo vagamente caotica durate il festival quanto New York durante una giornata qualsiasi.

“Si beve molto,” continuò Shane. “Certe feste durano fino alle prime ore del mattino del giorno seguente. Dico certe, ma praticamente quasi tutte.”

Keira ripensò allo scatenato addio al celibato con cui aveva condiviso il viaggio in aereo e si chiese se nel mese successivo sarebbe mai riuscita a dormire.

“Mi sembra perfetto,” commentò, lanciando uno sguardo all’itinerario. “Ma mi servirà un po’ di tempo ogni giorno per scrivere. Non posso solo divertirmi.”

Shane ghignò. “Sei appena arrivata e già pensi al lavoro?”

“Devo farlo,” spiegò lei. “Per me questo articolo è molto importante. Non voglio fare stupidaggini.”

“E rilassarti un po’ è una stupidaggine?”

Keira non aveva voglia di difendere le sue scelte di vita. Le bastava già doverlo fare con Zach e con sua madre.

“Significa solo che mi prenderò un po’ di tempo per scrivere tutti i giorni,” ribadì, con un’aria piuttosto seccata.

L’espressione di Shane rimase una specie di ghigno divertito. Prese una languida sorsata dalla sua pinta. “Sei una di quei tipi tutti seriosi, vero?” ribatté. “Tutta lavoro e niente divertimento.”

Keira gli scoccò un’occhiata fredda. “Non so come tu possa fare supposizioni su di me,” rispose. “Mi conosci da neanche cinque minuti.”

Shane continuò a ghignare. Non replicò, come se la discussione fosse stata già risolta.

Keira si irrigidì. Era attraente, certo, ma se avesse continuato in quella maniera avrebbe finito per infastidirla. Non sapeva se sarebbe riuscita a sopportare trenta giorni di provocazioni e bevute senza avere lo spazio per scrivere.

Forse l’incarico sarebbe stato più difficile del previsto.

*

Alla fine intorno a mezzanotte Keira riuscì a congedarsi. Aveva perso il conto del numero di Guinness che Orin e Shane avevano ingollato, ma per fortuna avevano smesso di cercare di convincerla a unirsi a loro. E ugualmente le girava la testa mentre saliva le scale fino alla sua camera.

Chiuse la porta, ma il rimbombo della musica e della festa al piano di sotto non si affievolì. Keira si sentiva fragile, come un elastico troppo teso. Controllò il telefono, ma non vi trovò nessun messaggio da parte di Zach. Ormai aveva avuto tutto il tempo di leggere i suoi. Che significava che le stava tenendo il muso. Molto maturo, pensò Keira.

Almeno aveva ricevuto le risposte di Nina e Bryn, che le facevano una miriade di domande. Scrisse a Nina, che si sarebbe occupata dell’editing dell’articolo, per dirle che aveva un itinerario molto impegnativo e di non aspettarsi niente da parte sua per un po’. A Bryn mandò una rapida descrizione delle caratteristiche fisiche di Shane e alcune emoji di fiamme.

Ma è un rompiscatole. Uno di quegli uomini arroganti che crede sia adorabile prenderti in giro.

La risposta di Bryn arrivò rapidamente. In effetti È adorabile.

Keira scoppiò a ridere e mise via il cellulare. La musica proveniente dal piano di sotto l’avrebbe tenuta sveglia per qualche ora ancora, quindi tanto valeva passare un po’ di tempo al computer. Lo prese dalla borsa e iniziò a scrivere una mail a Elliot con alcune delle sue idee iniziali per impostare l’articolo. Grazie a tutta quella Guinness, si ritrovò in grado di assumere un tono persino più sarcastico di quanto avesse anticipato.

Se vi siete mai chiesti che odore hanno decadi di birra stantia assorbita in un tappeto, allora il St. Paddy’s Inn a Lisdoonvarna, nel County Clare, è il posto che fa per voi. La mia esotica presenza americana ha già scatenato un torrente di soffocante ospitalità irlandese. Dico soffocante, perché rifiutare le offerte di copiosi quantitativi d’alcool semplicemente non è un’opzione accettabile, e da ciò deriva il summenzionato odore di Guinness stantia che permea ogni centimetro di questo buco buio e poco pulito. In effetti, il locale è tanto saturato dalla Guinness che i tappeti, le tende e la carta da parati sono appiccicosi sotto le dita. Diciamo solo che non sarò sorpresa se l’acqua della mia doccia mattutina (nel minuscolo e antiquato bagno privato) uscirà nera e spumosa…

Proseguì con lo stesso tono sarcastico. Sapeva che era meschino stroncare il Bed & Breakfast e la gente amichevole che aveva incontrato fino a quel momento, ma non riuscì a trattenersi.

Concluse e premette Invio. Elliot rispose quasi immediatamente con una email di elogi.

Continua così, Keira. È perfetto!

Proprio in quel momento le squillò il telefono. Era Bryn. Keira sospirò, capendo che quella notte non sarebbe riuscita più a lavorare. Richiuse il portatile e rispose alla chiamata, infilandosi a letto allo stesso tempo.

“Che succede?” chiese alla sorella.

“Ho appena avuto un appuntamento orribile,” comunicò Bryn. “Quindi ho pensato di chiamarti per farti il terzo grado su quel fusto della tua guida turistica.”

Keira rise. “Beh, ha troppi capelli. E il suo senso della moda fa schifo. Ma con una ripulita non sarebbe niente male.”

“Credo che dovresti provarci con lui,” disse Bryn.

Keira sussultò, sorpresa dall’audacia della sorella, esagerata persino per i suoi standard. “E Zach?” chiese con un risolino.

“E lui che c’entra?” rispose sprezzante Bryn.

Keira mugugnò. “È il mio fidanzato,” ricordò alla sorella. “E anche se Shane si tagliasse i capelli e comprasse un guardaroba tutto nuovo, non riuscirei a passare più di cinque minuti in sua compagnia senza strangolarlo.”

Bryn rise. “Questo renderà le prossime settimane un po’ complicate, no?”

“Già, e anche il fatto che la mia camera sia sopra un pub che non sembra avere un orario di chiusura e un gruppo folk che suona dal vivo ventiquattro su ventiquattro.”

“Sembra fantastico,” replicò Bryn. “Accidenti, Keira, sei così concentrata sul lavoro che non riesci nemmeno a vedere la situazione favolosa in cui ti trovi! Ti sei appena lamentata di una festa che non finisce mai.”

“Mi sembra di parlare con Shane,” rispose Keira. “Se non voglio bere, ballare e divertirmi allora non sono costretta a farlo!”

Lei e Bryn conclusero la loro conversazione, e Keira scoprì che nonostante il rumore proveniente dal piano di sotto, faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Quindi si accomodò sotto le coperte sottili e appoggiò la testa sul cuscino bitorzoluto. Ancora non aveva ricevuto nessuna risposta da parte di Zach ai suoi messaggini divertenti. Provò a chiamarlo, ma il telefono squillò e squillò senza fine.

Andò su Instagram e vide le sue foto al matrimonio di Ruth. Era affascinante nel suo abito elegante, ma aveva un’espressione tanto sola. Sembrava a disagio senza nessuno al suo fianco, e lei si sentì in colpa di non essere lì con lui. Forse sua madre non aveva avuto tutti i torti. Andare ai matrimoni da soli era davvero imbarazzante.

Mentre scivolava nel sonno, Keira iniziò a sognare di essere al matrimonio insieme a Zach. Solo che non era Zach, era Shane, rasato e vestito elegante. Aveva un aspetto ancora più attraente di quanto non avesse creduto.

Keira si svegliò di scatto. La faccenda era già abbastanza complicata senza che lei si facesse venire una cotta per la sua guida!

Allontanò tutti quei pensieri dalla mente e alla fine cadde in un sonno profondo.

Un Amore come il Nostro

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