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LA TEMPESTA
NOTA BIBLIOGRAFICA
ОглавлениеSe bene non si sappia precisamente la data in cui fu scritta la Tempesta, pure il Malone—che è fra i più attendibili—la fa risalire al 1612, dandole così il penultimo posto nella serie delle produzioni shekspiriane. Ma se bene il Chalmers e il Drake spostino di un anno questa data—l'uno facendola risalire al 1611 e al 1613 l'altro—è oramai certo che fu una delle ultime opere teatrali scritte da Guglielmo Shakespeare. Da dove abbia tolto l'idea di questa divina fantasia lirica, non si può stabilire con precisione. Il Warton cita un romanzo italiano—Aurelio e Isabella—che fu popolarissimo in Inghilterra verso il 1588 e nel quale per fino il personaggio principale di Aurelio o meglio Orelio, come apparve nella versione inglese, poteva aver suggerito la figura di Ariel. Ma quello che si può stabilire con precisione è da dove il poeta abbia tratto la parte descrittiva della sua commedia. In quello scorcio del secolo XVI si pubblicarono in Inghilterra molte relazioni di viaggi, che erano avidamente lette dal popolo. Fra questi il naufragio di Henry May alle Isole Bermude (1598) il Reporte of the laste voyage of Capiteine Frobisher (1577) la History of travayle of John Barbot (1577) e la True relation of the travailes of William Davies barber and surgeon. Questa è del 1614, ma probabilmente correva già manoscritta fra i lettori inglesi avidi di avventure marinaresche. In tutti questi volumi si ritrovano particolari descrittivi che coincidono con quelli della Tempesta. Così nel viaggio del Frobisher è fatta parola di Sycorax, una povera selvaggia che egli trovò in un'isola e che ritenne essere una strega; e in quello del barbiere-chirurgo Davies si parla di Setebos che era una divinità adorata dai Patagoni. Inoltre tutti quei viaggiatori asserivano che le Bermude erano isole abitate da diavoli, da spiriti e da streghe e questa loro asserzione trovò tanto credito che la credenza se ne propagò fino agli ultimi anni delle guerre civili.
Quello che Guglielmo Shakespeare non potè togliere da nessun volume fu la festevolezza, la grazia e la poesia magnifica di questo lavoro che ottenne subito un grandissimo favore. Tanto grande che il Fletcher si affrettò ad imitarlo con un suo The sea voyage e lo imitò Sir John Sucling coi Gobelins, e per fino il Milton ne trasse non poche ispirazioni per The mask at Ludlow Castle. Del resto, una conferma del grande trionfo che dovette riportare questo lavoro si ha anche in una velenosa annotazione che il Ben Jonson fece alla sua Bartholomew Fair. «Se non vi è nella sua fiera un mostro servo» egli dice «chi può aiutarla? L'autore ha in odio di mostrare la natura spaventosa, nelle sue commedie come colui che inventa Racconti, Tempeste e simili scempiaggini del genere.» Ma i lettori contemporanei si troveranno più d'accordo col Warburton il quale osserva che «La Tempesta e il Sogno di una notte di mezza estate sono i più nobili sforzi di quella sublime e miracolosa immaginazione particolare allo Shakespeare, che si libra oltre i limiti della natura senza perderne il senso o—più propriamente—trascina la natura fuori di quei confini che ella stessa si era stabiliti».