Читать книгу Non Sono Come Tu Mi Vuoi - Victory Storm - Страница 4
Prologo
Оглавление«Sei impazzita!?», sbottò Stefan con gli occhi sgranati, mentre mi aprivo il cappotto.
«Questo è il mio regalo di San Valentino», sussurrai con voce languida, lasciando scivolare a terra l’indumento e mostrandomi a lui.
«Tu sei pazza, Eliza!», farfugliò eccitato mentre il suo sguardo scorreva voracemente sul mio completo intimo leopardato, sulle autoreggenti ed infine sulle mie scarpe con un tacco assassino e dello stesso colore delle mutandine. Solo l’agitazione per quella follia mi aveva impedito di tremare di freddo o di indossare qualcosa di più caldo e coprente.
«Rivestiti. Subito», si agitò all’istante quando avanzai verso di lui, ma io lo ignorai.
«Non sei venuto alla mia cena speciale di San Valentino, così ho pensato di venire io da te», gli sussurrai all’orecchio, facendo aderire il mio corpo al suo e godendomi il rigonfiamento nei suoi pantaloni, che premeva contro di me.
«Eliza, sto lavorando. Te l’ho già spiegato. Dopo due anni che lavoro qui, finalmente ho ricevuto la promozione che desideravo da tanto tempo e ho questo bell’ufficio tutto per me…»
«Mi fa piacere», mormorai fremente di desiderio, iniziando a sbottonargli la camicia.
«Se ci dovessero scoprire…»
«Non ti preoccupare. Non c’è nessuno. Ho controllato.»
«Non posso rischiare di farmi licenziare. Amo troppo questo lavoro.»
«Lo so benissimo», sibilai irritata. Io invece odiavo il suo lavoro. Mi piaceva vederlo in giacca e cravatta dietro a una bella scrivania, ma non sopportavo la quantità di ore che dedicava a quell’impiego. Ore sottratte alla sottoscritta che aveva già messo da parte le tre serate di palestra a settimana e lo studio. Dopo quella promozione, passare del tempo con Stefan era diventato sempre più difficile.
Stavamo insieme da sei mesi e mi divertivo con lui perché, anche se era più grande di me di tre anni, era sempre così timido e insicuro da farmi intenerire oppure spingermi a fare una follia, come quella di uscire in pieno febbraio con solo l’intimo e un cappotto per andare a fargli quell’improvvisata sul lavoro.
Era la prima volta che andavo a trovarlo in ufficio ed ero emozionata.
«Vestiti, ti prego. E aspettami a casa mia», mi supplicò Stefan cercando di infilarmi il cappotto, mentre io continuavo a spogliarlo e a marchiargli il petto asciutto e poco muscoloso con una scia di baci rossi, grazie al mio nuovo rossetto da femme fatale .
«Stefan, lasciati andare una volta tanto, no?», sbottai snervata dalla sua mania di riportare sempre la situazione sotto controllo.
«Se dovessero beccarci, io…», cercò di convincermi, ma io lo zittii con un bacio lunghissimo.
Stefan continuò a rimanere teso, così gli infilai la lingua in bocca e lasciai le dita scorrere tra i suoi bellissimi capelli biondo cenere scuro, che si abbinavano armoniosamente ai suoi occhi color nocciola con riflessi dorati e verdi.
Anche se Stefan non era l’uomo perfetto, per me era fantastico così com’era, con la sua statura da giocatore di basket, il suo corpo scolpito ma sempre asciutto e magro, il suo viso meraviglioso, sempre sbarbato e curato, i suoi modi un po’ nervosi e insicuri ma anche protettivi e affettuosi, il suo senso del dovere, i suoi complessi per via dell’altezza e della magrezza. Infine, trovavo divertente ed eccitante il fatto che io avessi avuto più esperienze sessuali di lui, anche se avevo solo diciannove anni e lui ventidue.
Ero innamorata di lui.
Quello era il mio primo San Valentino con un ragazzo e avevo voluto fare qualcosa sopra le righe, ma soprattutto avevo deciso che quella sera gli avrei confessato di amarlo.
«Non mi hai detto se ti piaccio», gli chiesi quando finalmente lo sentii più sciolto.
«Certo che mi piaci, Eliza», soffiò disperato Stefan, baciandomi con ardore e stringendomi a sé.
Lo adoravo quando usava quel tono quasi lamentoso e sofferente che mi faceva sempre capire di averla avuta vinta.
«È a me che non piace questo spettacolo a luci rosse!», tuonò una voce alle nostre spalle, facendoci urlare dalla paura.
Mi voltai. A un paio di metri da noi c’era un uomo con i capelli brizzolati e la bocca incurvata in una smorfia di disgusto che ci fissava.
«Signor Chapman, io…», balbettò Stefan impallidendo visibilmente, mentre io correvo a coprirmi con il cappotto.
«Signor Stefan Clarke, le consiglio vivamente di tacere, prendere quella ragazzina priva di pudore e uscire subito di qua. Ah, non dimentichi di portarsi via anche tutti i suoi effetti personali, perché da domani non le sarà più permesso mettere piede qui dentro», gli ordinò il suo capo prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.
«Io non volevo farti licenziare», cercai di dire spezzando quel silenzio tombale che riempiva la stanza.
«Invece lo sapevi. Ti avevo avvertita, ma tu sei sempre la solita testa calda pronta a fare qualche follia, vero? Solo adesso mi rendo conto che dopotutto sei solo una liceale, un’adolescente, una ragazzina incapace di rapportarsi con il mondo degli adulti», mi rispose con voce grave Stefan, iniziando a radunare le sue cose dentro un sacchetto.
«Io ti chiedo scusa… davvero.» Mi sentivo terribilmente in colpa.
«Vattene, Eliza. Ho bisogno di restare solo.»
«Ok, ma poi mi chiami, vero?»
«Non lo so», sospirò amareggiato, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
«Io… io ti amo», provai a confessare, ma Stefan non fece nemmeno il gesto di avermi sentita.
Con il cuore a pezzi e l’umiliazione scottante di essere stata colta in flagrante dal signor Chapman, me ne andai.
Ero solo una ragazza, ma sapevo riconoscere quando una storia finiva e io ero appena arrivata al capolinea con l’unico uomo a cui avevo detto il fatidico Ti amo .
Dentro di me, giurai che se avessi perso per sempre Stefan, sarei cambiata e sarei diventata un’adulta seria e con la testa sulle spalle.