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MARIO E VITTORIO.

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Vittorio faceva la seconda e Mario la prima classe delle scuole tecniche. Erano tutt'e due intelligenti, ma Vittorio tranquillo, studioso, diligente, e Mario invece irrequieto, non avea voglia di studiare e non stava mai attento. Avea dovuto perdere un anno per la sua condotta, e perchè in scuola si burlava non solo dei compagni, ma dei professori.

Maria era impaziente d'aver notizie dei suoi fratelli, e ad una cert'ora s'avviò colle ragazze alla scuola, ma quando entrò nell'atrio, s'accorse che gli esami non erano ancora terminati. Vi trovò molti babbi e molte mamme, anch'essi impazienti di aver notizie dei loro figli, e alcuni ragazzi che uscivano a due a due, a gruppi, chiacchierando assieme e gesticolando, alcuni saltando dalla gioia, altri, incerti, fermati ad attendere che uscissero i professori, nella speranza di saper qualche cosa sull'esito dei loro esami.

Quelli che vedevano da lungi i genitori si univano a loro e quasi tutti erano contenti d'aver terminato le scuole per quell'anno, e della prospettiva di due o tre mesi di vacanza.

Finalmente uscì Vittorio e s'avvicinò alle sorelle colla faccia contenta, sicuro dell'esame che avea fatto.

—È andato bene?—disse Maria.

—Il professore m'ha domandato una cosa facile e m'ha detto: bravo!

Come sono contento!—S'alzò in punta dei piedi e diede un bacio a

Maria.

Mario uscì correndo e saltando, si mise a giocare alla palla coi libri, e fermatosi davanti alla turba dei suoi fratelli disse:

—Non mi chiedete nulla?

—Dalla tua allegria si direbbe che è andato bene.

—Credo di sì, io non sapevo molto di quello che m'hanno domandato, sono andato avanti diritto senza interrompermi, e pare siano rimasti contenti.

Intanto Maria vide uscire il professore di Mario che conosceva bene, per avergli raccomandato spesso il fratello, gli si avvicinò e gli chiese notizie dell'esame.

—Può dire d'esserne uscito per miracolo, e se non lo salvavo io….

—Ne fece qualcuna delle sue?—chiese Maria.

—Guardi!—rispose il professore, e levò di tasca un pezzo di carta che mostrò a Maria, dicendo:—Questo è il professore che assisteva all'esame, se l'avesse veduto, pensi che classificazione gli avrebbe data!

Era una buffa caricatura che faceva ridere anche non avendone voglia.

Mario rideva e diceva:

—Era troppo bello con quel naso a punta e con quella barbetta; non ho saputo resistere alla tentazione di disegnarlo.

—Pensi,—soggiunse il professore,—che egli m'ha chiesto che cosa facesse colla matita il signorino. Io m'avvicinai, vidi di che si trattava e prendendogli la carta risposi: È uno sgorbio, e dissi a Mario che quella non era l'ora di disegnare; l'ho salvato per miracolo.

—Grazie,—disse Maria al professore, poi rivoltasi a Mario lo rimproverò.

Non poteva perderlo quel brutto vizio di mettere tutti in caricatura?

E Mario rideva e diceva:

—Era troppo bello; era troppo bello.

E il professore salutando Maria, le susurrò a bassa voce:

—Che cosa vuole! è un capo ameno che mi diverte, non sono capace d'essere severo con quel ragazzo, però ha troppa smania di burlarsi di tutti, o finirà coll'aver qualche dispiacere.

Ma Mario non sentiva nulla e tutto felice di aver terminato per quell'anno la scuola, diceva ai suoi libri: Miei cari amici, ora vi vado a mettere al sicuro, e finchè durano le vacanze non turberò il vostro riposo. E andava avanti correndo, urtando la gente come se fosse il padrone della città.

Piccoli eroi: Libro per i ragazzi

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