Читать книгу La colpa è sua - Alek's Books - Страница 9

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“Se continui così rimarrai solo per tutta la vita! Guarda che non ti tirerà per sempre”, scherzò Emma, anche se dal tono percepii preoccupazione sincera. Ci risiamo, pensai, un’ulteriore discussione su come spreco la mia vita, pensando solo a trovarmi un compagno per una notte, senza permettere che le cose si sviluppino in un’altra direzione e che bla bla bla.

Ci eravamo trovati per la festa della donna nella nostra pizzeria italiana preferita, ‘Da Toni’, che negli anni era diventata un punto d’incontro fisso. Potessero parlare quei muri! Quante lacrime, quante risate. Minimo c’andavamo due volte a settimana. Ogni tanto mi ci fermavo anche solo per bermi qualcosa con Phil.

La portavo fuori a cena ogni anno l'8 marzo, sempre con un mazzo di mimose gigantesco comprato all'ultimo minuto. Emma non voleva più uscire con le sue amiche, perché queste si erano comportate come delle disperate. L’unica volta che erano riuscite a convincerla, l’avevano portata prima ad una cena a base di pizza ed alcolici, per poi finire la serata con uno spogliarello. Loro erano la dimostrazione che anche le donne potevano essere delle assatanate di sesso, agendo come se non avessero mai visto un uomo nudo nella loro vita. Da lì aveva deciso che mi sarei dovuto tenere libero quel giorno, fino alla mia morte, festeggiando insieme a lei la festa della donna per ciò che era: il giorno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora soggette in molte parti del mondo.

“Ma parlate solo di me ultimamente? Che ci devo fare? Io voglio innamorarmi!”

Nessuna bugia. Volevo sentire quell'elettricità che vedevo trasparire dagli occhi suoi quando parlava di o con Phil. Dovevo trattenere ogni volta gli attacchi di invidia che si erano fatti più frequenti negli ultimi anni, mentre li guardavo toccarsi o baciarsi. Era quasi da ammalarsi da quanto innamorati fossero.

“Non tutti hanno la fortuna che avete voi due. E poi, non so se te l’ho già detto: SONO GAY! L’ambiente gay non è un posto così romantico come pensate sempre tutti. Pensi che tutte quelle ore in palestra siano dedicate all’amore?”

“Che c’entra? Se voglio fare la seria, non significa mica che devo essere cessa. Dovresti solo provare a dedicare qualche ora in più alle tue prede, prima di lasciare l’appartamento sulle punte dei piedi.”

La femminista non aveva torto del tutto. È che non me la sentivo di dormire in due in un letto dopo un incontro puramente sessuale. Non si tromba con uno per poi chiedergli un appuntamento per una cena. Almeno non doveva andare così, secondo me. Fosse stato per me, avrei preferito uscire prima a cena, poi conoscersi, poi finire a letto. Solo che fino ad allora le situazioni avevano sempre invertito i miei programmi. Sempre!

“Cerca di tenere sotto controllo quel cervelletto con le palle che ti spegne l’altro cervello e porta le tue prede a cena prima di fartelo ciucciare!”

Feci la faccia da serio, trattenendo un sorriso compiaciuto. Ma alla fine cedetti. Lei sapeva che ero molto ricercato dai ragazzini. A distanza di qualche mese avrei compiuto trent’anni e c’ero arrivato senza essere caduto a pezzi, come mi ero immaginato a vent’anni. Avevo un fisico attraente, torturato quattro volte la settimana da ore e ore di palestra, mi alimentavo in modo sano come avevo imparato dai miei. E poi non avevo mai acceso una sigaretta in vita mia, né bevevo alcolici, se non in occasioni rarissime. E avevo un bel sorriso. Attrarre nel mio incanto i giovincelli era il mio punto forte. Ero convinto che quelli della mia età fossero già stati bruciati da esperienze passate, a tal punto che pensassero all’amore nello stesso modo depresso in cui ci pensavo io. I ragazzini, invece, erano ancora abbastanza innocenti ed inclini a credere alle favole del “per sempre”. Solo che non avevo fatto i conti con l’avanzare degli anni. I tempi erano cambiati da quando ero stato io quello ad avere vent’anni. Adesso erano molto più svegli e spesso figli di genitori a loro volta ragazzini, quando l’indicatore sul test di gravidanza aveva dato un risultato positivo. Positivo per modo di dire, ovviamente. Già così avanti, erano spesso i ragazzini ad essere più esperti a letto di me, bruciati dal mondo dai cambiamenti alla velocità della luce e da siti porno alla xtube.com.

“Senti Emma. Sai che vorrei avere qualcuno al mio fianco con il quale condividere tutto, ma per il momento la situazione è questa e cerco di vivermela bene. I miei trent’anni me li voglio godere. Chi sa quando la mia prostata si deciderà ad andare in pensione.” Mi venne da sorridere al giramento di occhi di Emma. “Pensi che non abbia voglia di un Phil tutto per me? Quando incontrerò uno come lui cercherò di pensarci su, mentre me lo ciuccia”, ghignai.

“Non cambierai mai”, disse rassegnata, scuotendo la testa. “Finocchio e maschilista. È davvero troppo per me", rise. "Andiamo che è tardi. Devo ancora lavare i capelli e mettermi la maschera. Domani mi devo svegliare presto, perché il mio collega non ha voglia di cambiare turno.”

Di solito avrei lasciato ad Emma il venerdì, considerato anche che era la festa della donna. Ma avevo appena preso qualche pezzo mancante per il mio piccolo giardinetto dietro casa e mi aspettava un weekend di lavoro.

Pagammo e lasciammo la pizzeria dopo aver salutato Toni.

Sono sicuro che, se per una forza divina fossi diventato etero, Emma sarebbe stata la donna della mia vita. È bella, intelligente, mi fa ridere e, cosa più importante di tutte, ride alle mie battute.

Ci salutammo con un abbraccio e un bacio prima che Emma salisse sul taxi che stava già aspettando. Seguii la macchina con lo sguardo fino a quando sparì nel buio. Io, invece, come spesso accadeva, tornavo a casa a piedi. Era inutile ammazzarsi in palestra, se poi si finiva da Toni, pensando di poter vincere la guerra contro le sue specialità culinarie. Qualche chilometro a passo spedito era il minimo.

Quando arriverà il mio Phil?, mi chiesi, mentre camminavo lungo la strada. Adoro ancora oggi le passeggiate di notte. La città sembra riposarsi dalle fatiche giornaliere e dal caos, dallo stress della gente e dalle urla. È rilassante. Hai tempo per riordinare i pensieri. Provavo ad immaginarmi come sarebbe stato arrivare a casa, il mio ragazzo ad aspettarmi, seduto in boxer sul divano. Allora ero talmente abituato a stare per conto mio, che mi avrebbe quasi dato fastidio condividere il mio regno con qualcuno. Per questo sceglievo le mie scappatelle in questo modo: o hai una casa tua, altrimenti saluti e amici come prima.

Sono troppo orgoglioso della mia casa, comprata con l’aiuto dei miei qualche anno fa. Situata in un quartiere tranquillo nella periferia di New York, è semplicemente perfetta per me. Due piani: sotto cucina, salotto e toilette da giorno, sopra invece camera da letto grande, una piccola cabina armadio, un grande bagno con vasca e doccia e tutto ciò che serve per rilassarsi dopo una giornata di lavoro pesante, o dopo essersi spaccati in due in palestra. Però, occhio, il fiore all’occhiello è il mio piccolo giardino che dà sul lato posteriore della casa. Se prima era stato usato soltanto per tenerci il bidone dell’immondizia, con un po’ di fatica e qualche soldo, l’avevo trasformato in un’oasi del relax.

Più ci ragionavo, più questa casa grande mi faceva sentire solo. Ripensando all’amore tra Emma e Phil l’idea di avere qualcuno ad aspettarmi, pronto a stringermi tra le braccia guardando la TV, non mi dispiaceva affatto. Certo, ci sarebbe stato bisogno di abituarmi ad avere qualcuno tra i piedi, ma l’avrei fatto con piacere.

Se solo quello giusto si fosse fatto vivo. Esisteva? Fare compromessi non era mai stato un problema per me. A casa mia si viveva di compromessi. I miei mi avevano insegnato che per avere qualcosa, bisognava dare qualcosa. E se l’amore, quello vero, quello fiabesco, mi avesse ridotto ad un essere incapace di vivere senza la presenza dell’altro, fare dei compromessi sarebbe stato facile come respirare.

Ciò che mi preoccupava di più era il tempo. Il fatto che passasse senza tregua. Anche per me. Compiere trent’anni, ritrovarmi con un lavoro che amavo, pochi amici ma veri e una casa propria, era più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Solo una cosa, quella più naturale, quella più desiderata, sembrava non voler arrivare. La persona che secondo alcuni doveva esserci per ognuno di noi, aveva delle grosse difficoltà a trovarmi. Forse è meglio smettere di cercare, mi dissi da solo. Alla fine è così anche quando perdi qualcosa a casa, no? Appena non la cerchi più, ti trova.

La colpa è sua

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