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IV.

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Il giorno appresso continuarono le feste nel parco del duca.

Enrica, mentre la mattina era nella serra, avea ricevuto una lettera, gettata nel grembo di lei da un fanciullo, che s'era poi dato a correre come un capriolo.

Sulle prime Enrica fu tentata di buttar via quella lettera senza aprirla: ma un forte presentimento la vinse.

La lettera era di Roberto Jannacone; egli le annunziava il suo ritorno; le dava convegno nel luogo più inaccesso del parco.

In quel luogo eravi un altissimo precipizio formato da due pareti rocciose, o in fondo di esse gorgogliava il mare.

Era stato gettato un ponte da una parete all'altra; un piccolo ponte di ferro leggero con bassa spalliera.

Molti e molti, a non dir presso che tutti, aveano paura di passar da quel ponte e preferivano di pigliar i viottoli più lunghi per arrivar dove voleano, anzi che andar da un luogo sul quale v'erano tante superstizioni.

Come luogo di convegno era scelto benissimo; nessuno avrebbe disturbato i due nel loro colloquio.

A Enrica, nel legger quella lettera, che conteneva espressioni di tanto amore, ed era nel tempo stesso sì imperiosa, avvampò il volto di sdegno.

Costui la credea proprio cosa sua; non nutriva ormai il menomo dubbio su' suoi diritti.

Ciò irritava la superbia di lei.

Parlò con Cristina e deliberò di andare al convegno; risoluta a ingannarlo, a perderlo, se occorresse, a far tutto, pur ch'egli rinunziasse a lei. L'altro vi si recava invece con l'animo che, magari il mondo dovesse perire, egli non avrebbe rinunziato ad essa.

Mentre le feste continuavano nel parco, Enrica e Roberto si trovarono presso il ponte, che era chiamato dell'Inferno: attorno a loro erano boschetti di alberi.

Si rivedevano dopo molti mesi.

Roberto era cresciuto di forza e di bellezza: aveva acquistato una certa eleganza.

Appena scorse Enrica, le mosse incontro tutto baldanzoso e soddisfatto.

Ma fu sorpreso di trovar Enrica in tale stato di abbattimento, d'aspetto sì cagionevole: sì fredda e altera.

Le parole d'entusiasmo gli si gelarono sul labbro.

Enrica si reggeva appena in piedi.

Senza quel convegno, ella si sarebbe già coricata.

—È questa l'accoglienza che mi fai,—disse il figlio di Cicillo Jannacone,—dopo una separazione sì lunga…. Non ti ricordi ciò che mi dicesti nel momento della mia partenza?…

—Mi resta poco da vivere, Roberto,—incominciò, dissimulando, Enrica.—Io non posso più esser la moglie d'alcuno: sono gravemente ammalata. Mi ami tu?

—E me lo domandi? non v'è amore più forte, più tenero, più appassionato del mio. In tutti questi mesi non ho cessato di pensare a te un solo istante: il mio cuore ha sempre palpitato a' ricordi della nostra affezione.

—E bene: io ti domando una gran prova di amore.

—E io sarò felice di dartela, io che non voglio ormai più separarmi da te, o che spero ottenere tu mi segua ne' miei viaggi…. Fra poco io sarò ricco, già sono stimato, e ho un grado di cui ognuno può tenersi onorato…. Non sono più soltanto il misero figliuolo d'un contadino del duca…. Ma hai parlato al duca, a tuo padre, del nostro matrimonio?

Enrica si mordeva le labbra.

—Ho detto che aspetto da te una gran prova d'amore.

—Potevi rispondermi se hai parlato al duca del nostro matrimonio…. Tu comprendi la mia impazienza…. Quanto a darti prove d'amore, allorchè tu sii mia moglie in faccia al mondo, tu sai già non ve n'ha alcuna che mi potesse sembrar troppo grande…. Hai parlato, dunque, a tuo padre?

—Mio padre è tornato soltanto ieri….

—E tu avresti già dovuto parlargliene.

Enrica tremava, non sappiamo se di rabbia, di commozione, di sofferenza.

—Stanotte io ero entrato nel parco per l'impazienza di riveder questi luoghi, di farmi udire da te, di mostrarti ch'io non poteva occuparmi, se non di te…. Ho corso rischio di essere ucciso come un ladro… e tu sei così indifferente…. Ma non hai coraggio di parlare a tuo padre? Gli parlerò io stesso….

—Oh, impossibile!—esclamò Enrica inorridita.—Vi sarebbe fra te e lui una scena tremenda: come potrebbe egli perdonare a te suo servitore….—Enrica fece spiccare la parola,—-di aver abusato d'ogni sua generosità verso la tua famiglia, di aver osato ciò che hai osato?…

Roberto si sentiva, come schiaffeggiato da quelle parole.

Ma era anch'egli d'animo altero.

—Bisognava pensarci prima!—rispose risoluto.—Che tu non credessi io fossi uno di questi vagheggini imbecilli, che voialtre donne del bel mondo burlate a piacer vostro e cuoprite di ridicolo…. Enrica, io sono pronto a dare per te tutto il mio sangue, a goccia a goccia; sono pronto, se occorre, a seppellirmi vivo, a entrare in una tomba con te, per sfuggire ogni contrarietà… ma cederti ad altri, rinunziare al mio diritto… mai. Sai ch'io t'ho conquistata…. Tu mi costi umiliazioni, oltraggi, ingiurie d'ogni maniera, prima del nostro amore; dopo, ansie crudeli, notti insonni, il sacrificio di tutto me stesso a un solo scopo…. Tu sei la mia idea fissa… sei la sola cosa che desidero, che amo, che voglio possedere; ogni ostacolo che mi si opponga, se non potrò sormontarlo, lo spezzerò….

La sua veemenza faceva paura.

Protese un braccio per stringer la vita di Enrica….

Essa schivò quella carezza.

—Non ti riconosco!—mormorò Roberto pallidissimo.—A bordo, nelle mie notti insonni, vedevo spesso uno spettro, un cadavere, con una gran ferita, tutto sangue… Enrica,—disse Roberto angosciato e come fuori di sè,—tu vuoi la mia rovina: sento che qualche cosa di terribile si prepara.

Enrica provava un'interna soddisfazione di quelle parole; sembrava che esse corrispondessero a certi suoi perfidi disegni.

—No; essa riprese, simulando molta mansuetudine,—non bisogna andar a questi eccessi. Dobbiamo ragionar più freddamente. Che amore è il tuo, se non può sopportar un piccolo indugio? Parlando a mio padre, in momento inopportuno, io posso guastar tutto e in modo irrimediabile…. Che ne parli tu, non v'è, ripeto, neppur da pensarci. Egli potrebbe chiuder me in un convento: e chi sa in qual parte d'Europa seppellirmi per tutta la mia vita, chi sa dove, senza che tu sapessi più nulla di me: e contro di te che non potrebbe fare? Il duca non ti concederebbe mai l'onore di un duello: ti vorrebbe trattar di certo come un malfattore… e, se ben pensi, la tua condotta giustificherebbe… forse… a sua severità.

Roberto sentiva la febbre: le tempie gli martellavano: il sangue gli bolliva come lava nelle vene.

Pure egli ebbe ancora la forza di contenersi.

—Enrica,—disse, rattenendo la sua indignazione,—io ti trovo molto cambiata…. Io mi aspettavo un'accoglienza entusiastica, da innamorati: io avevo avuto la debolezza—la parola gli sfuggì—di credere alle tue promesse: ora mi vedo dinanzi una donna che pare si vergogni di me, arrossisca della nostra passione, abbia distrutto nel cuor suo le memorie del nostro amore….

—T'inganni,—riprese la giovane.—Già vedi come io soffro: e tu con queste violenze accresci il mio martirio.

—Violenze?—interruppe Roberto, che credeva esser riuscito, con sforzo sovrumano, a serbare la calma.—No, io non sono violento: no, io sono innamorato, appassionato, io ti adoro sino alla frenesia: io non posso più separarmi, più staccarmi da te: io debbo passar tutta tutta la mia vita a' tuoi piedi, obbedendoti come uno schiavo, indovinando ogni tuo cenno, ogni tuo desiderio, ogni tuo ordine; io posso, se vuoi, inalzarmi nell'onore, ne' gradi, migliorarmi con lo studio: sento che avrò la volontà, la forza, per piacer a te, di giungere molto in alto: ma se tu credi altrimenti, se la mia vita dev'esser tutta assorta in un amore sensuale, in un amore di fuoco per te, se io debbo essere il docile strumento d'ogni tuo capriccio, il tuo ludibrio; il trastullo d'ogni tua fantasia, io son pronto anche a questa esistenza, che ad altri potrà parer vile: io ti sacrificherò, se occorra, l'onore, la dignità: io lascerò si dicano di me i maggiori vilipendii: che tu mi hai comprato, che mi satolli come una bestia che ti dà piacere: tutto sopporterò: rinunzierò a' beni maggiori, all'amicizia, alla stima: solo il mio istinto, il mio cuore, i miei sensi, non consentiranno mai… ch'io ti ceda ad altri, che mi separi da te… No, no! Maledizione! guai a chi s'interponesse fra noi!

E Roberto singhiozzava come un fanciullo.

Avrebbe destato commozione in chiunque veder piangere in tal modo quell'uomo sì forte, sì prestante, sì altero.

Enrica stropicciava le foglie rosee, che cadevano da' fiori di un albero sul suo abito bianco.

Essa le distruggeva indifferente, come distruggeva le rosee illusioni di Roberto.

—Ritorno—continuava Roberto—dopo un lungo viaggio: cerco parlarti: tu ti presenti come una padrona, come una signora dinanzi al suo servo, non come una sposa innanzi all'uomo che ha davanti a Dio su di lei il massimo tra i diritti…. Poichè il padrone qui sono io!—disse Roberto in uno de' suoi impeti selvaggi,—e accerchiandole il collo, la accostò a sè, con una stretta di ferro, di quelle che Enrica già conosceva, e la baciò lungamente, da vero padrone di lei, sulle labbra.

Essa tremava: era divenuta in volto bianca come il suo abito: quel bacio di fuoco l'avea subito richiamata ad altre sensazioni e altre idee: ma incontanente il suo orgoglio le attuti.

—Dianzi ho cercato abbracciarti…—insisteva Roberto,—, e tu mi hai sfuggito, e vuoi ch'io sia calmo!

La scena andava troppo in lungo.

Enrica cominciava ad esser inquieta: non sapea più come tener a bada quell'innamorato sì pieno di foga.

Giungevano fino a loro i suoni e le grida di coloro che pigliavan parte alla festa nel parco: ma verso quel punto, com'abbiamo detto, nessuno mai si avvicinava.

A' loro piedi s'inabissava il precipizio, mugghiava il mare.

Enrica avea preparato un tranello, degno del suo animo raffinatamente perverso, e ora trepidava un poco sulla riuscita di esso.

Ella avea detto, con diabolica perfidia, al suo corteggiatore, il conte di Squirace, che, a una cert'ora, ella sarebbe stata presso il ponte che traversava il precipizio.

—Oh!—avea esclamato il bellimbusto, e avea fatto intendere che ve l'avrebbe presto raggiunta.

Il vanaglorioso credeva ad un convegno d'amore. Enrica gli aveva insinuato:

—Se, per caso, io parlassi con altra persona, non vi mostrate: nascondetevi in uno de' boschetti: però, se vi accorgeste che io avessi bisogno di aiuto, accorrete a difendermi….

Vedrà il lettore qual era il terribile disegno di Enrica e di quali risoluzioni ella avesse l'animo capace.

In fatti, il conte si avvicinava, tutto baldanzoso: uno scudiscio in mano: una gardenia all'occhiello.

Udì la voce di Roberto, e si nascose, com'Enrica gli aveva indicato.

Roberto si era inginocchiato dinanzi alla giovane e le diceva:

—Un'altra cosa mi ha colpito: il trovarti così accasciata, così disfatta. Qual è il motivo?… Che cosa ha logorato una parte della tua floridezza?

Enrica mostrava che quelle osservazioni la annoiassero.

—Ma tu sei sempre bella, anche così,—aggiunse l'innamorato, che l'attirava a sè, le premea la vita, i ginocchi: e lo invadeva un fremito al sentire, sotto l'abito leggerissimo indossato da Enrica, non ostante il pallore e la stanchezza del volto, molto più della sua floridezza ch'egli non avrebbe pensato.

—Però vorrei sapere il motivo perchè sei sì affranta e sì debole…—continuava.

Enrica cercava allontanarlo da sè: e finalmente gli disse, tanto per guadagnar tempo, e perchè realmente ciò voleva, in estremo, alla disperata, se altro partito non riuscisse:

La Principessa

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