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VIII.

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— Vuoi esser tu la mia sorella?

— Sì.

— Per tutta la vita?

— Sì! — rispose Ortensia con maggior fermezza.

Mi porgeva, a conferma, la mano. Ma credè non bastasse:

— Sarò buona. Vedrà! Glielo prometto!

A me parve più bella; e mi sovvenne del birocciaio che avevo visto, stanco ed assetato, gettarsi alla sorgiva, innondare di ristoro il petto e riprender l'erta con vigore nuovo. Un benefizio consimile ma più grande, più grande io avrei dal consentimento di Ortensia; e questo non era, no, un'allucinazione, un'aberrazione, una puerilità di mente immiserita e di animo appena ridesto in un rinnovamento precario e ingannevole. No! Non speravo una guida al lume della fede e del vero; non supponevo nemmeno un ritorno alla fiducia in me stesso; ma dalla corrispondenza di un semplice affetto, di un bene umano, mi attendevo ciò che nessuna altra cosa avrebbe potuto darmi: ricupererei pienamente il senso della vita; il mio pensiero si purificherebbe nel pensiero di Ortensia; il mio cuore tornerebbe vigile e buono; l'anima triste si allieterebbe dell'anima lieta. Attendevo, volevo il ristoro di quella inconsapevole dolcezza, di quella spontanea vivacità, di quella ingenuità forse non più ignara del male, ma su cui la conoscenza del male passava come ombra che non agita e non intorbida....

Qua, sorellina, che ti riveda! Riluce ne' tuoi occhi la poesia che un'eterna forza di giovinezza esprime in mille modi, in vite innumerevoli d'intorno a te: i sogni, i tuoi sogni, ti accompagnano a volo, t'avvolgono il capo biondo e tolgono ogni nube alla tua fronte. Li scorgi? Guarda: ti si specchiano dinanzi nella realtà.... Qua che ti riveda nella veste più umile: la gonna bleuastra, il corpettino chiaro con la fascia di seta bianca, e i fiori al petto, mentre con mano impaziente rialzi i capelli sulla fronte e sorridi. A vederti, dilegua ogni ricordo di morte. Parla! Le parole sgorgano limpide dalla tua bocca e cadono con soavità lunga....

— Che uomo! Sempre triste! Su, signor dottore! A raccoglier dei fiori; presto! andiamo!

Va; e che le spine non pungano le tue mani divinamente belle!...

.... Il dolore risparmierebbe quell'anima? Già questo io mi chiedevo. Non era dunque un affetto egoista, il mio, se già mi facevo questa domanda; e un'affezione disinteressata mi pareva tuttavia utile al mondo: per Ortensia non sarebbe inutile avere in me un bene fraterno, quand'anche la fatalità della sventura le fosse indulgente.

Ma io che difendevo Ortensia, io che la conoscevo meglio di tutti, scorgevo meglio di tutti i pericoli dell'indole sua. «Cervellina» la diceva la madre; nè la queta e mansueta Marcella, che troppe volte doveva attender da sola alle faccende domestiche, aveva tutti i torti a lamentar frequenti strappi ai diritti della primogenitura e a chiamarla svogliata. E le altre?

La signora Redegonda — la madre di Guido — chiudeva un occhio, ridendo senza volere, allorchè giudicava Ortensia. — Buona sì; ma non le piaceva star in cucina; non una donnina da casa come Marcella.

E la Fulgosi s'eccitava e agitava a vantar l'educazione inglese, che concede molta libertà alle ragazze, e biasimava Ortensia appunto perchè godendo tanta libertà non era seria come le ragazze inglesi.

Peggio poi la vecchia Melvi. Diceva che Ortensia era «una farfalla, leggera leggera». Lei, la madre di Anna, diceva così, in tono di rimprovero! E pensare che sua figlia, anche quando scherzava chiassosa e pareva abbandonata alla più innocente gaiezza, non diceva parola, non faceva atto che non ubbidisse a un'intenzione o a un'abitudine acquistata per intenzione! Ma Anna non era riprovevole perchè era falsa.

Ortensia invece era spontanea in tutto; schietta e franca anche nei difetti: presto o tardi n'avrebbe danno; l'ammettevo io pure. A diciassette anni, era ancor troppo mutevole e impetuosa: non potevo negarlo. Troppo la sua volontà cedeva alle facoltà spirituali, che nè gli ammonimenti materni nè il nativo buon senso bastavano a disciplinare; era irriflessiva spesso; troppo fiduciosa di sè e degli altri; impaziente.... Concedevo tutto questo. Ma Eugenia notava: — Quando Ortensia ha detto no, è no! Per fortuna — aggiungeva —, a saperla prendere è facile prevenire il no e ottenere il sì.

Dunque Ortensia aveva forza d'animo. Me lo confermavano alcuni ricordi.

Anni innanzi, quando era sui dodici anni, Ortensia s'impauriva ancora ad andar sola, di sera, nell'oscurità. Una sera il padre la derise, per questo, più del solito. Improvvisamente lei s'alzò da tavola; traversò tutta la casa al buio; e tornò pallida, ma vittoriosa.

E da bambina respingeva ogni tentazione di dolci e di frutta che le venivan offerti a patto di rivelare chi delle sue compagne di scuola avesse commesso qualche marachella. Golosa, mangiava quelle buone cose con gli occhi, ma non c'era modo di farla parlare. Ed ora perchè sembrava più ardita e più consapevole di sè, quando, sul serio o per gioco, esclamava d'impeto: — Voglio! —?

Allorchè tant'anima si raccoglierebbe nell'amore o nel dolore, che forza di volontà avrebbe al suo soffrire! Era figlia di Claudio Moser, il quale tutto doveva a una volontà ferrea. Come pure aveva del padre la focosa cordialità, che manifestava spesso puerilmente.

— Tesoro! — quanti erre nell'esclamazione, mentre quasi soffocava il gatto con le carezze. Io le dicevo:

— Una volta o l'altra ti graffia. Sei troppo fidente: credi buoni sino i gatti!

— Ma non vede com'è bello?

E il vitellino alla cascina? Era un lattonzolo fulvo e ispido, che ne ascoltava le più affettuose espressioni con i grandi occhi stupiti e immoti e le gambe anteriori tese e aperte a un imminente sbalzo, se non di riconoscenza, di pazza gioia. Espressioni per il vitellino da fare invidia a un innamorato! Quanto a Sansone, il vecchio e bianco cavallo di Moser, lo abbracciava mentre esso le posava il capo su la spalla e tritava lo zucchero; ed erano abbracci così furiosi che per miracolo quello non se ne liberava con una zampata.

Con tali indizi d'indole affettuosa andavan altri che davano a conoscere non men vive le facoltà spirituali.

— Dopo che la mamma è guarita non provo più nessun bisogno di pregare. Come sarà? Certo non va bene!

Questo era effetto della giovinezza ritornata del tutto lieta; ma chiedeva a me:

— E lei non prova mai il bisogno di pregare? Mai?...

Io sorridevo, tacendo.

— È orribile! — Ortensia esclamava allora, dolente in modo da rivelare uno spirito passionale e profondo.

Che sarebbe di quest'anima all'uso della vita? Tenace nella passione, a chi s'affiderebbe quest'anima? Scemando l'esuberanza della giovinezza, così impulsiva, che mutamento avverrebbe in lei? Ogni indagine mi pareva una preparazione a difenderla un giorno, e nello stesso tempo accresceva l'intima ragione del mio affetto.

Volli sapere i suoi più grandi desideri.

Alla domanda, dondolandosi a pena a pena nella poltrona ad arco, chinò le palpebre su gli occhi, quasi a raccogliere e a precisare una visione.

— Viaggiare! Viaggiar molto! viaggiar sempre!

— Perchè?

— Oh bella! Per vedere il mondo; altri monti; pianure; città; il mare. Oh il mare!

— Calmo....; a lume di luna.... — suggerivo io.

— E in tempesta no? Non l'ho mai visto in tempesta. Dev'essere stupendo!

— Dalla spiaggia....

—.... Le onde bianche, il cielo nero, i lampi.... Brrr! che bellezza!; ma a non esserci, là in mezzo!

— Brava! E poi?

— Un altro desiderio grande grande? Un bel cavallo roano.... Roano o morello? Morello! con una stella bianca nella fronte!; e mi portasse via di galoppo, dove volessi io.... S'intende, più giovane e più focoso di Sansone. Sa che è un bel tipo, Sansone? Cascasse il mondo, lui non si turba! Sola io riesco a farlo inquietare un po', quando non gli lascio ingoiar lo zucchero.... È buono, Sansone; tanto buono!; ma con lui si va poco lontano!

— E poi? altri desideri?

— Mi lasci pensare....

Invece io la prevenni:

— Gioielli?, toilettes?, feste?, teatri?

— Si sa! Quale è la ragazza che non le desideri, queste cose?

— E poi? — io continuavo. — Diventar moglie d'un gran signore; magari d'un principe?

— Uh!, non mi dispiacerebbe.

— Ma io avrei preferito che tu dicessi: moglie d'un grand'uomo; d'un grande artista....

— Non ci ho mai pensato!

— Ah, dunque pensi a diventar moglie d'un principe?

— O di chi, allora? Di Pieruccio Fulgosi?

Fece una risata così significativa che anche a me parve di veder Pieruccio conficcato nell'alto colletto, smorto, con gli occhi imbambolati e i calzoni rimboccati.

— Sei senza pietà con quel povero ragazzo....

Arrossendo, Ortensia dimandò:

— Troppo sgarbata, è vero?

— Ierisera cosa ti disse quando gli voltasti le spalle?

— Eh! la solita storia!; non sa dir altro.

— Cioè?

— Che sono bella.

— E tu?

— Seccatura! Io non so dirgli altro che seccatura! Se lo merita; bamboccio!

— Però non gli dai torto del tutto quando ti dice che sei bella.

— Per me son tutti belli, fuori che lui! È bello per me anche suo padre!

Un'altra risata; e si levò di scatto per andar a guardarsi a una delle specchiere, che stavano alle pareti opposte della sala, quasi per togliersi un dubbio improvviso.

— Pfu! — fece, mentre ripeteva atti soliti: rialzò i capelli sulla fronte, e interponendo la destra al colletto che le stringeva la gola, tentò allargarlo, irosa, alzando gli occhi: bellissimi per il contrasto luminoso delle pupille e dell'iride col bulbo chiaro, che lo sforzo più distingueva.

— Però — riprese —, gli occhi di Marcella son più belli dei miei. Marcella ha gli occhi della mamma. Non sarebbe meglio fossi bruna io e bionda mia sorella? Tanto, a Guido gli sarebbe piaciuta lo stesso, e io mi piacerei di più a me!

Io dissi, tornando in argomento:

— Via!, consolati; chè gli artisti preferiscon le bionde. Ti daremo in moglie a un poeta.

— No, un poeta no. Non lo voglio!

— Perchè?

— Perchè?... Perchè?... non lo so nemmen io il perchè. Un pittore, forse...., un maestro di musica, celebre....

— Perchè preferiresti uno di costoro?

— Ma sa che è un bel tipo anche lei? Vuol sapere il perchè di tutto! Perchè? perchè? perchè?...

Mi canzonava. Fu così travolto in riso il resto della mia indagine.

Ortensia rideva di gusto; e se non ne trovava il motivo fuori di sè, lo trovava in sè medesima, quasi per espressione, e sfogo di giovinezza; saltando, magari, e cantando per ridere delle sue mosse e del suo canto; ma non era mai un riso sciocco. E diceva:

— Lasciatemi ridere, ora che la mamma è guarita!

Poi mi piantava lì, dov'ero, per correre a veder la madre.

.... Quantunque non protesse star molto in piedi, Eugenia aveva ripreso a dirigere le faccende di casa. Più brevi divennero quindi le nostre conversazioni al rezzo; più lunghi i miei colloqui con Ortensia, la quale adesso ardiva sgridarmi non solo se mi vedesse accigliato e col «sorriso brutto», ma anche se non la ubbidivo e trascuravo certe sue giuste pretese. Per diritto e dovere fraterni mi sgridava se m'impolveravo gli abiti e non attendevo abbastanza alla toilette; e spazzolandomi e riacconciandomi la cravatta, borbottava:

— Oh che uomo! oh che uomo!

In faccia al destino

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