Читать книгу Brani inediti dei Promessi Sposi. Opere di Alessando Manzoni vol. 2 parte 2 - Alessandro Manzoni, Alessandro Manzoni - Страница 3
LE PRIME ACCOGLIENZE
II
ОглавлениеNon senza il suo perchè il barone Sardagna si lusingava che l'Acerbi avesse avuto notizia dei Promessi Sposi dai «giornali francesi», quasi tutti concordi nel lodare il nuovo romanzo, a cominciar dal Mèmorial catholique, dove ne parlò il conte O'Mahony31, a venire alla Gazette de France. Quest'ultima tornò a discorrerne anche nel '32, quando uscì alla luce la bella traduzione in francese del Montgrand. «Ben mille romanzi ci furon regalati da due anni in qua» (son parole della Gazette) «ed è anche troppo se di tutta questa farraggine resterà un solo volume. Qual povera abbondanza mai! E sarà vero che fra tanti scrittori, pieni d'estro, di fantasia, di perizia nell'arte dello scrivere, non se ne trovi neppur uno che pigli scrupolosamente a investigare la feconda miniera de' nostri fatti domestici? E noi rimarremo così, noi la nazione più letterata del mondo, senza avere il nostro Walter Scott e il nostro Manzoni?» È un giudizio, come notava giustamente l'Eco di Milano, (che lo riportò traducendolo), «da fare insuperbire l'Italia, la quale ha dato i natali al Manzoni, e da convincerla che anche in paese straniero e rivale si rende giustizia ai geni della sua nazione ed ai loro capolavori»32. Proseguiva il giornale francese: «Vedete qua il Manzoni; si è impossessato degli annali del suo paese, e le rozze pietre son divenute diamanti sotto le sue mani… Non altro che col mettere in azione i più reconditi segreti del cuore umano seppe trarre da un fondo semplicissimo le scene sue più drammatiche e più care… I Promessi Sposi ebbero fortuna infinita in Europa; e pure, questo romanzo è tutto quanto appoggiato a un pensiero affatto religioso, anzi, si potrebbe dire, affatto cattolico».
Fino dal 1827 la Revue encyclopèdique, annunziando la comparsa de' Promessi Sposi, aveva scritto: «Une multitude d'aventures et de caractères remplissent le cadre de cet ingénieux roman. Des incidens habilement disposés, une peinture fidèle et animée des moeurs de cette époque, un style toujours approprié aux situations, une grande variété de tons, telles sont les qualités qui ont mérité à ce bel ouvrage le succès éclatant qu'il vient d'obtenir en Italie, et qu'il va sans doute obtenir en France». La Revue promise di riparlare di questa «production littéraire aussi distinguée, et de payer un nouveau tribut d'estime à l'auteur, déjà célèbre en Italie comme écrivain dramatique et comme poète»33. Disgraziatamente ne tornò a parlare per bocca d'uno de' nostri esuli, Francesco Salfi, che raggiunse addirittura il grottesco; pigliando perfino come buona moneta il brano del «dilavato e graffiato autografo» che il Manzoni riporta sul bel principio; brano che è una contrafazione perfetta non solo dello stile e della lingua, ma della stessa ortografia del Secento. Infatti, dopo aver detto, che «le sujet du roman est tiré d'une histoire, peu connue, du chanoine Joseph Ripamonti, et rédigée dans le style prétentieux et ridicule du Secento», soggiunge, che il Manzoni «débute par un fragment du manuscrit de Ripamonti et fait ainsi mieux sentir la nécessité d'en réformer le style, à fin d'en rendre la lecture supportable à ses contemporains». Il Ripamonti che diventa l'autore dell'immaginario «scartafaccio»! È grossa, ma non è la più grossa che il critico sballi. Nei Promessi Sposi trova mancanza di coerenza organica e d'intreccio, bassezza ne' personaggi. «Ce qui rend cette histoire plus repoussante encore» (seguita a scrivere) «c'est l'intervention des fossoyeurs, que l'auteur fait agir et parler trop longuement. Shakespeare s'était permis de nous présenter pour quelques instants ces dignes personnages s'entretenant entre eux. D'après son exemple, M. Manzoni est allé bien avant: il nous apprend leurs occupations, leurs friponneries, leurs bassesses. Ces détails, quelles que soient les beautés qui s'y mêlent, sont trop hideux»34 E così, per la prima volta, nel 1828, la «modestia manzoniana» dovette ricevere da un critico ostile35 la suprema delle lodi per un poeta: quella di sentirsi nominare accanto a Shakespeare.
Il Mamiani in un colloquio che ebbe a Parigi col Sismondi, ragionando della Morale cattolica, l'udì concludere con queste parole: «il vostro Manzoni argomenta bene, ma i vostri preti lavorano male; e poniamo pure che il regolo non sia distorto, la Curia lo storce ella al bisogno e avvezza gli occhi del volgo a falsar le misure. Oltrechè, non è buona quella forma di culto che accarezza le pericolose tendenze d'una stirpe di uomini piuttosto che di combatterle… Ad ogni modo, proseguiva il Sismondi, se nella Morale cattolica si ammira un convincimento profondo, una rara potenza dialettica e certo sentimento finissimo e delicatissimo dell'indole umana e del bene etico, non manca qua e là qualche sforzo di apologista e qualche amplificazione acconcia al proposito36. Invece ne' Promessi Sposi il Manzoni è scrittore stupendo e non superabile. Con che arte ti pone innanzi le istituzioni cattoliche, i frati, le monache, i voti non revocabili, la confessione e che so io? scegliendo i punti più favorevoli di prospettiva e combinando in maniera gli avvenimenti che ogni colpa sia solo degli uomini, e nessuna delle dottrine! Il fatto sta che un altro romanzo non c'è in Europa, il qual goda forse di uguale celebrità. Nè il Manzoni è inventore del genere. Nemmanco è inventore di quei «metodi compendiosi e vivi, o di entrar nel racconto ex abrupto per via di dialoghi brevi e animati, o di abbellirlo e farlo evidente mediante le spesse descrizioni: e queste condurre con maestria veramente pittorica e qual direbbesi del genere fiammingo, non intralasciando particolare nessuno ancorchè minutissimo, qualora aiuti l'intendere bene un carattere, un'azione, una costumanza. Ma ciò ch'è novissimo e farà immortale il vostro Poeta per ogni tempo fu il tessere una epopea così casta e nobile, governata da sì eletta moralità, spirante un aroma sì puro di religione, che ogni madre consegna senza paura nessuna alla sua fanciulla quel libro, e ogni direttor di collegio e di scuola fa il simile agli alunni suoi. Che dirò dell'aver posto con nuovo esempio sul dinanzi della scena due umili popolani, e nell'ultimo sfondo gli uomini e le cose accattate dalla storia? Qual concetto è più cristiano dello sparger di luce la probità rassegnata della plebe lavoratrice e raffrontarla con le colpe, le violenze, gl'inganni che gli ordini superiori civili esercitavano impunemente sugl'inferiori, i quali invece erano e sono il pupillo naturale e perpetuo consegnato all'umanità e sapienza educativa dei primi; e vedersi oggi quel che significa l'aver trasandato le obbigazioni e le cure della indeclinabile tutela»37.
Intorno ai Promessi Sposi il Sismondi espresse il proprio pensiero anche in una lettera che, da Ginevra, scrisse a Camillo Ugoni l'11 settembre del '29. Gli dice: «Je suis enchanté d'apprendre que vous préparez une nouvelle édition de ses oeuvres38: c'est un homme d'un beau talent et d'un noble caractère. J'apprends avec bien de chagrin qu'au lieu de préparer quelque nouvel ouvrage dans le genre du roman historique dont il a fait un prèsent à l'Italie, il écrit au contraire un grand livre contre ce genre d'ouvrages. Il y avait du génie dans ses Promessi Sposi, il y avait en même tems l'exemple du genre de lecture, qui peut, en dépit de la censure, faire l'impression la plus générale et la plus utile sur le public italien». A Fulvia, figlia di Pietro Verri, che fu moglie del colonnello Jacopetti, uno de' prodi di Napoleone, scriveva il 22 luglio del '30: «Si vous voyez quelque fois Manzoni, parlez lui de moi, dites lui mon admiration pour son talent, mon regret si vif, mon regret partagé par toute l'Europe, de ce qu'il ne continue pas à marcher dans la carrière où il est si glorieusement entré. Dites lui que jamais il n'avait servi, que jamais il ne pouvait servir si puissamment la cause à la quelle il me reproche de ne point m'accorder avec lui, que par le portrait du P. Cristoforo. Il y a dans ses Promessi Sposi bien plus qu'un bel ouvrage littéraire, bien plus même qu'un genre nouveau donné à l'Italie, il y a une bonne action. Pourquoi ne pas la répéter quisqu'il le peut? Par des livres sérieux on ne répand les pensées sérieuses que parmi ceux qui les ont déjà: mais lui il les a introduites dans un monde nouveau, qui n'avait jamais réfléchi, qui n'avait jamais mêlé les meilleures émotions du coeur à ses amusements».
Tra i giornali italiani, de' primi a parlare de' Promessi Sposi fu Il Nuovo Ricoglitore, di Milano. «S'è finalmente veduto questo romanzo del Manzoni, che aspettavasi da sì gran tempo; ma le temps ne fait rien à l'affaire, direbbe anche qui opportunamente l'Alceste di Molière: non si badi dunque all'aspettazione, ma vediamone l'argomento, discorriamone la tessitura». Dopo averne esposto «l'argomento» e «la tessitura», prosegue: «Non sarà già qui tutta la storia compresa ne' tre volumi? sento domandarsi da molti. Signori miei, l'è proprio qui tutta intera, salvo certi tratti accessorii, che son parte, ma non essenziale, del romanzo, e son molti, a dir vero: ma non vogliate inferirne però che il romanzo abbia ad essere una seccaggine, un sonnifero, una morte: leggete prima e sentenziate poi, che ne avrete allora acquistato il diritto: ma voi dite che non volete comperare questo diritto a un cotal prezzo; ebbene, udite adunque, non mica una sentenza, ma quattro chiacchiere d'uno che ha già letto. Che le arti abbiano un codice di leggi giustissime, chiarissime, opportunissime, dalle quali uno non può discostarsi senza rendersi ipso facto reo di oltracotata prevaricazione, è questo un teorema così evidente ch'io non so quello che mi direi o farei per sostenerlo; mi pare che per difenderlo terrei di battermi ad occhi chiusi; che poi sempre l'effetto d'un lavoro d'arte risponda alla bontà delle leggi e alla diligenza con cui furono seguitate, gli è questo un fatto rinnovatosi tante volte, che non vuoi essere recato in dubbio: or dalle generali venendo, come l'ordine prescrive, a' particolari, dico che l'arte dello scrivere romanzi ha sue leggi, le quali vi comandano di scegliere a dovere argomento e personaggi, che hanno ad essere o cose famose per le storie, ovvero imprese (se le create) d'un conio di grandezza e di perfezione ideale, che le renda interessanti e cospicue: v'ingiungono le leggi del romanzo d'annodare i fili della favola, e come gli abbiate intricati quanto bisogna a destare interesse e un soave stringicuore in chi legge, avete poi a progredire senza posa verso il disviluppo, e quanto più difilato correrete a quello, tanto maggiore riuscirà il diletto che il vostro romanzo procaccerà; son poi vietati dalle prefate leggi i lunghi episodi, i parlari dell'autore, quand'anche sien posti in bocca de' personaggi, i brani di morale, e siffatte cose, sotto pena che il romanzo cada di mano al lettore addormentato: questo prescrivono le leggi del romanzo, piene d'equità, ma contro a quelle stanno molti fatti dove elle non ebbero alcun potere, e, per tacere d'altri esempi, parlerò adesso dei Promessi Sposi. Il romanzo del Manzoni va contro tutti gli ordinamenti prefati; lascio stare l'oscurità de' personaggi che fanno da protagonisti, e dico degli episodi, che son tanti e sì lunghi, che in essi la storia de' Promessi Sposi si perde, e per poco non diventa una cosa accessoria: che è mai infatti la storia, che sopra ho descritta, rispetto alle tante altre cose che ingrossano questo libro; in cui troviamo trattati di economia pubblica, disquisizioni storiche, tirate di morale, omelie di vescovi, prediche di cappuccini, ecc.? Per le quali cose, che altro dovrebbe accadere, stando alle leggi dell'arte, se non istanchezza infinita nel lettore, sbadigli, sonno; eppure la faccenda cammina diversamente, e ognun può vedere che il romanzo del Manzoni corre rapidamente per tutte le mani ed è letto con avidità. Qual cosa concludano poi tanti leggitori come son giunti in fine, io non lo so, ma per il fatto mio affermo che questa lettura m'ha trattenuto piacevolmente assai, e che m'è doluto quando col libro vidi toccare il termine il mio diletto. Fenomeni! casi strani! Ma vediamo un po' se ne venisse fatto di porre innanzi alcuna ragione ad intendere il caso strano. Non togliamo più a ragionare delle leggi onde si governa il romanzo, nè vogliasi inquisire se il Manzoni le abbia osservate, e se questo sia quindi vero romanzo, o che altro sia; da chi volesse contendere su questo punto io mi spiccerei con dire: amico, se nol vuoi romanzo, sarà storia, sarà trattato, sarà un saggio, qualcosa sarà: e per isfuggire anzi affatto ogni questione di titolo, lo chiamo libro. Ora, in questo libro, l'autore deviando ad ogni tratto dalla storia de' Promessi Sposi, scorre, come sopra io diceva, a ragionare d'altre cose, che hanno bensì una relazione stretta col soggetto principale, ma non era forse mestiere che vi si spendessero tante parole. Pur non ostante, tutte coteste cose, che sembrano scucite, le stanno bene insieme, e non mandano suoni discordi, e non isviano punto l'animo del leggitore. Da qual movente può egli derivar questo? Sarebbe egli mai che la condotta e il legame dell'affetto suppliscono a quella condotta e a quel legame che mancano apparentemente nell'opera? Veggo di vero che essa è tutta intuonata a un modo. L'ingegno sommo e il cuor candido di chi dettò son le corde che risuonano da per tutto, son quelle che mantengono una soave consonanza, che formano una reale unità, una verace condotta; quella condotta appunto e quell'unità che ammiriamo nelle odi di Pindaro, le quali pur toccano tante corde e così disparate da parer cose strambe chi non sentisse che le stanno tutte come a dire entro lo stesso accordo: e appunto d'un sì fatto genere sono le opere del Manzoni; ma non ci discostiamo dai Promessi Sposi. In questo libro l'A. ci dispiega un bel tratto di storia patria con accurata fedeltà, con nitido ordine, con sottile e sana critica. In questo libro abbiamo una viva pittura de' costumi del secolo XVII. In questo libro troviamo rappresentati colle vere loro tinte caratteri d'ogni maniera, d'ogni cognizione, d'ogni stato. Abbiamo dipinte orrende scelleratezze, che son toccate con pennello sì gagliardo da scuotere il cinico più gelato; poi t'imbatti in certe scene gioconde, dove la forza comica è accompagnata ad una morale che ti consola; poi siam trasportati in situazioni pietose, commoventissime. Il pensiero dell'A. scorre leggerissimo sui vari soggetti, nè il seguirlo riesce cosa grave alla nostra mente, poichè o penetri acutissimo, e sul fare di Sterne, fin ne' più profondi recessi del cuore umano, o si levi sublime con alti e luminosi concetti, o rapido voli a raggiungere idee lontanissime e disparate onde farne ingegnoso ed inaspettato confronto, tu travedi sempre la mente dell'A. tutta intesa con costante perseveranza a dei casi veri, interamente, liberamente, e non con altro animo, tranne quello che ne abbia l'umanità giovamento e diletto. Io potrei avvalorare le cose sopraddette, trascrivendo qui dal libro alcuni luoghi, belli in sommo grado e immaginosi. I vari quadri della pestilenza; certi gruppi del sollevamento popolare; i passi drammatici dove fa sì bello spicco quella grande anima di fra Cristoforo; il sogno di Don Rodrigo, che pare uscito dal cervello di Shakespeare, tanto è cosa caldamente immaginata; potrei trascrivere la descrizione dei dintorni di Lecco, che la è felice e magnifica quanto un quadro del Lorenese, e molti altri passi potrei allegare (se la legge della brevità me lo concedesse) per li quali si verrebbe a mostrare quanta energia, quale elevatezza, qual fonte d'affetto e di voluttà squisita si contenga nel libro dei Promessi Sposi, comunque alcuni abbiano affermato, nè io vo' negarlo, ch'e' sappia d'ascetico… Sì, signori, d'ascetico: e ne tornerà per questo meno piacevole la lettura? Ma siamo anime forti, e queste debolezze, che ponno intertenere i pusilli, non entrano punto nei nostri spassi, se non quando le divengono soggetto d'allegro ed ingegnoso motteggio nelle amene brigate. V'intendo, o signori, e capisco che vorrete per conseguente essere anche persone di carattere, n'è vero? In questo caso v'è sicuramente interdetto il gusto di questa lettura. Poichè fra le vostre mani un libro mezzo ascetico potrebbe farvi scadere da quella reputazione di gagliardia… pensava per la soddisfazion vostra a un ripiego… Uditemi; e se vi procacciaste questo libro di cheto e ve lo leggeste segretamente?»39.
Nella Gazzetta di Milano così ne scrisse Francesco Pezzi: «L'autore è chiaro per molti conti. Nepote dal lato materno del gran Beccaria, egli non si ristette al lustro che gli deriva da questa affinità. Giovane ancora, il Manzoni alzò grido di facile ingegno. Più tardo, salì i gioghi di Pindo con fausto successo. Il carme in morte dell'Imbonati sta presso ai Sepolcri del Pindemonte, del Foscolo, del Torti. Gli inni in onor di Maria spirano la soavità della grazia terrestre. In altri lirici componimenti la sua musa si spinse a nobile altezza. Trattosi quindi nel sentiero in cui quel d'Asti raccolse il retaggio della Greca Melpomene, il Manzoni volle trattare argomenti semplici sulle norme della scuola romantica. Delle due tragedie ch'ei scrisse non rimangono nella memoria che alcuni concetti ed isolate bellezze di stile. In fine egli attese alla prosa. Il Manzoni può dirsi il primo che abbia ora compiuto un vacuo fra noi in un ramo di letteratura, nel quale gli stranieri peccano d'abbondanza. Sia storia o romanzo, il suo libro mancava all'Italia. Da lungo tempo non facciam che discutere sul modo di concepire e di scrivere. Il Manzoni frattanto non discuteva, ma concepiva e scriveva. Il nuovo parto della sua mente incatena l'attenzione del leggitore: crediamo con queste parole averlo definito abbastanza. La ragione della voga di quest'opera salta agli occhi immediatamente. Varietà ed importanza di avvenimenti; pittura energica d'usi e di costumanze, di cui non si è perduta la traccia; caratteri vivamente tratteggiati; passioni poste in contrasto, le vie dell'animo ricercate, e tutto ciò senza sforzo, senza l'orpello dell'esagerazioni, senza sussidio di mezzi incomprensibili; ecco l'origine prima da cui deriva quell'allettamento che infondesi alla lettura dei Promessi Sposi. Se a questo s'aggiunga un bel calcolato riparto di tanti episodi, che presi isolatamente parrebbe a prima giunta non potersi unire al soggetto fondamentale, ma che vi si combinano come tanti raggi nel centro d'un disco, e si avrà ragione dell'aura ond'è onorato il lavoro del Manzoni. L'autore non attinse la principal vicenda narratavi a fonte luminosa, in quanto che i veri protagonisti dell'azione non sono illustri per alcun conto. Ma s'egli non comincia a intertenerci che della promessa fede di due amanti poveri e oscuri, mano a mano che va tessendo la loro istoria, da semplice che era, s'avviluppa con grande artificio, collegandosi ad avvenimenti ed a persone di grande importanza; locchè addoppia la sollecitudine del leggitore nel momento in cui crederebbesi che dovesse scemare». Il Pezzi piglia poi a riassumere «le cose esposte, sviluppate e condotte con finissimo accorgimento nel primo e nel secondo volume dell'opera del Manzoni»; promette di parlare «quanto prima del terzo e ultimo»; e di ragionare anche, «colla guida d'onesta critica», della lingua e dello stile usati dall'autore, «non senza provare com'egli, tutto pieno del suo soggetto, siasi mostrato ad un tempo filosofo, moralista, uom di mondo e pittore»40.
Curioso è il giudizio che ne dette il Corriere delle Dame: «Appena uscita l'opera, ognuno si fece a dire: è uscito un Romanzo storico di Manzoni. La celebrità del nome trasse tosto numerosissimi ammiratori all'acquisto, ed alcuni, sempre fermi nel volerlo battezzare Romanzo, lo trovarono, sotto questo aspetto, sterile e poco interessante. Trattasi, dicono quelli, di due paesani (Renzo e Lucia) che s'hanno a sposare e che un feudatario prepotente glielo impedisce con ogni sorta di mezzi; dopo gran traversie si sposano, e lì finisce la dolorosa istoria, poichè tutti gli altri fatti e narrazioni s'hanno a considerare come altrettanti episodi, e formano invece il nerbo del libro. – Io rispondo a questa prima questione che il rinomato autore di tante belle poesie e di ben altri lodati componimenti non comincia dal dire sua propria quest'opera, e quand'anche la si fosse, egli l'ha intitolata: Storia milanese del secolo XVII; perchè dunque la si vuole un Romanzo? Certo che se si fosse inteso di offrirci un romanzo storico sulle tracce di Walter Scott doveasi innalzare fra più nobili subbietti la scelta de' protagonisti, onde l'interesse generalmente eccitato venisse per le avventure di personaggi degni veramente d'istoria. Ma non vediamo noi forse che appunto l'illustre Scozzese, costretto a non smuovere se non storicamente dalle capitali o dai determinati luoghi i suoi personaggi illustri, inganna poi e tradisce il lettore, facendo in un luogo accadere cose avvenute le mille miglia lontane, e ravvicinando epoche distantissime fra loro, e confondendo le costumanze e gli usi tutti propri di diverse età, soltanto per dare in un solo Romanzo storico l'idea completa di varie avventure, di varie costumanze, e per stringere in un'epoca sola i vari periodi di una vita illustre? Meno male sarà dunque che ideali sieno i personaggi e tali da potere esser mandati qua e là ove più brama l'autore, purchè storiche sieno le relazioni de' fatti che contiene il libro. – Meglio sarebbe, lo dicon tutti e lo dico anch'io, che la scelta cadesse sopra un'avventura d'illustri persone, e gli storici episodi corrispondessero a que' tempi, per istruirne il lettore; ma qui sta la difficoltà, e non già la difficoltà di invenzione, ma la difficoltà di rinvenire fatti interessanti, contemporanei ad avventure particolari e specialmente amorose di persone degne di storia. – Risponderà taluno, che è assai comodo formare un romanzo di tal sorta, poichè non è alla fin fine che una cronaca di quel determinato tempo, collegata ad una novella amorosa qualunque ella siasi. – Sia pur facile e comodo l'inventare una novelletta amorosa per condire quell'arida parte storica che vuol narrarsi, non sarà comodo, nè a tutti facile sicuramente far buona scelta dell'epoca che vuoi presentarsi, far che succosamente sieno le cose narrate, e la sana filosofia, la buona morale, la vera politica venga alla mente del lettore mediante la narrazione medesima; non sarà comodo il frugare centinaia di volumi e manoscritti per determinare alcune verità dapprima mal note; non sarà facile di belle e commoventi pitture descrittive adornare l'opera che si offre; nè sarà tanto comodo e facile mantenere le varie persone nel loro vero carattere, e fare che le ammonizioni di un cardinale Federigo Borromeo sembrino da quel medesimo chiarissimo porporato dettate e pronunziate; che le espressioni di un prepotente signore sieno le vere e le sempre udite; che la compassione fraterna di un P. Cristoforo dipinga una rara pietà, ma probabile altronde in persone benemerite a Dio; che i tristi effetti di una forzata monacale reclusione sieno que' tanti mali che vediamo nell'opera del Manzoni vivamente scolpiti; non sarà facile, nè comodo, in fine, far sì che in ogni parte dell'opera rilucente ed esaltata veggasi la virtù, sotto rozzi panni, e in tutt'altri depresso e annichilito il vizio. – Voi dunque, proseguon gli altri, ce lo date per un capo d'opera, per un non plus ultra: ed io, che pur vorrei mi si prestasse la debil penna a que' maggiori elogi che amo tributare ad A. Manzoni, dirò che questo libro è bello, interessante e migliore di tanti altri che menarono in questi ultimi tempi gran rumore: ma non perciò lo veggo privo di qualche pecca, nè tale da dirsi insuperabile. È prima, fra le cose ch'io prenderei a censurare, una prolissità che sfinisce e stucca in più d'un luogo; e basti, per accennarne uno, il dire che la sommossa, accaduta in Milano per la carezza del pane, e il saccheggio che voleasi dare ad una bottega di fornaio, fa muovere il Gran Cancelliere Ferrer per sedare il tumulto, e 14 pagine, belle, lunghe e larghe, come sono, tutte vengono impiegate a descriverci l'andata non più di cento passi della carrozza di Ferrer, circondata dal popolo. – Viene, in secondo luogo, l'inutilità di alcune nozioni che non fanno bella, nè più interessante l'opera, e fra queste quello sciocco e lungo contrasto fra Bortolo e Renzo, il quale di tutto avea bisogno fuorchè di perdersi a cicalare sul nome di bagiano con cui sogliono i Bergamaschi distinguere i Milanesi. – Renzo poi lo trovo talvolta ingenuo fuor di misura, tal altra perspicace oltre la naturale sua condizione, ed atto a riportarmi perfino un'intiera predica del P. Felice; in qualche incontro mancante troppo di un necessario ardimento e facile a confondersi pel più piccolo imbarazzo, ed altrove di una fortezza d'animo che lo innalza all'eroismo, e pronto a pronunciar sentenze ed a filosofare più che non gli convenga; furibondo amante della sua Lucia, talora passa molt'ore e giorni senza pur rammentarla; tratto alla città per quell'amore di cui tutto vive, n'è dimentico e spogliato per seguire que' tumulti che fanno d'ordinario allontanare anche i meno timidi ed i più avvezzi alle popolari sommosse. Illetterato, com'egli è, tiene corrispondenza col mezzo di un amico con Agnese, madre di Lucia, la quale, fra l'altre, accompagna una sua lettera di un soccorso a lui di cinquanta scudi… e come dunque sta in seguito che Renzo non avesse fatto confidenza a nessuno di quel denaro avuto?.. È Renzo perciò l'unico personaggio intorno al quale potrebbero insorgere ben fondate censure, e d'uopo avrebbe d'una lima accurata la parte che lo risguarda. – Ma, insieme strette tutte queste cose, non appariscono che nei fra mezzo a tante bellezze; e le copie di quest'opera furono in meno di due mesi tutte spacciate, e se ne fa ristampa a Torino, a Livorno, e si stanno preparando comiche rappresentazioni, tratte dall'opera medesima, e finalmente si è aperta associazione a dodici tavole litografiche, che i punti più interessanti della storia rappresenteranno, essendo affidata a valenti artisti l'esecuzione dei disegni»41.
La Vespa, un altro de' giornali milanesi d'allora, invece si avventò contro il nuovo romanzo con rabbia feroce; e chi scese in campo a farne strazio fu il suo «compilatore» Felice Romani. «Sepolta per tre anni nel magazzino del Ferrario, esce finalmente alla luce questa vecchia ringiovanita, di cui si dicevano le meraviglie dai pochi che l'aveano veduta e dai molti che l'avean da vedere. Esce finalmente alla luce: e corrono staffette per l'Italia, e galoppano corrieri oltre monti ad annunziare la comparsa della Bella del secolo XVII, abbigliata alla foggia del secolo XIX. Gli amici dell'A. la van portando in trionfo per le vie, per le case, pei caffè: bella! dice un giornalista: bella! ripete un libraio: bella di qua, bella di là, bellissima, arcibellissima, meravigliosa! Ch'io pure possa darti un'occhiata, o veneranda virago, che meni tanto trionfo, e fai girare il cervello di tutti i Narcisi della nostra letteratura! – Ahimè, o lettori, io l'ho veduta… Io non conosco il Manzoni nè per benefici, nè per ingiurie ch'io n'abbia ricevute, nè ho mai potuto e voluto frugare nella sua coscienza per giudicare della sua pietà. Le verità sociali e cristiane son meritorie d'innanzi a Dio e d'innanzi ai Governi: e il mio cuore e la mia voce venera e loda chi le possiede veracemente: ma esse non accrescon dramma di merito sulla bilancia ove si pesano i letterati. Questi van giudicati dagli scritti; ed io plaudo al Manzoni come lirico di vaglia, quando leggo i suoi versi in morte di Carlo Imbonati, qualche squarcio degli Inni sacri e la battaglia di Maclodio; ma cattivo tragico lo chiamo quando esamino il Conte di Carmagnola e l'Adelchi, nè lo reputo miglior romanziere quando svolgo… – Alto là, non è ancor deciso se I Promessi Sposi siano un romanzo, o una storia. – Tanto peggio per l'autore! se siete ancora indecisi sul genere del componimento. Voi date campo ai maledici di poter dire ch'ei non è nè romanzo, nè storia. Ma questo non voglio dir io; e poichè i Promessi Sposi è pur forza che sian qualche cosa, li riguarderò come un romanzo fondato sulla storia. E i più concorrono in siffatta opinione. Non udite voi tutto il giorno gridare a gola aperta: finalmente abbiamo un Walter Scott anche noi! finalmente il Manzoni ha riempiuto un gran vuoto che nella nostra letteratura esisteva. Benigni lettori! lasciatemi dire quattro parole a costoro».
Risparmio queste «quattro parole» ai lettori e seguito a spigolare. «Al Manzoni è piaciuto comporre un romanzo storico, e come tale fu accolto dal pubblico, e il rapido smercio che in poco tempo egli ottenne, prova abbastanza ch'ei fu giudicato eccellente. Più vera sentenza, o lettori, non fu mai proferita, nè più umiliante per certe gloriole letterarie, di quella che ai Romani scrittori gridava il Venosino poeta, cioè che i libri hanno anch'essi il loro destino. E sapete voi da che cosa dipende siffatto destino? Se Orazio non l'ha detto, io ve lo dico: dipende da mille passioncelle che in ogni tempo governarono la repubblica letteraria, dalle mire dei lodatori, dall'influenza dei lodati, e più di tutto dalle stravaganze del secolo. Nè a questo io faccio torto, affibbiandogli qualche stravaganza, poichè i passati aveano anch'essi le loro. Se qualcuno fra i Secentisti avesse osato menare la sferza contro il mal gusto de' suoi tempi e dire a quel Re di Francia che premiava di tant'oro il più detestabile sonetto del nostro Parnaso: Sire, quest'atto di vostra munificenza sarà biasimato da tutti i secoli futuri; costui ne avrebbe riportate le beffe dei suoi contemporanei, e non avrebbe trovato un solo che facesse ragione alla sua giusta censura. Noi, per ventura, viviamo a giorni in cui le stravaganze dei letterati non sono premiate dai Re; e se son mille i bizzarri cervelli che ad esse corrono dietro, pochi non sono i sapienti che fanno argine alla corrente e sono custodi del bello e del vero. Pago del suffragio di questi, io non farò conto della disapprovazione di quelli; ed esaminando liberamente il romanzo storico del Manzoni, mi studierò di provare ch'ei pecca d'invenzione, di condotta, di caratteri, di stile; e che paragonandolo a quelli del Walter Scott, gli è l'istesso che scoprire agli stranieri le nostre miserie… Peggior epoca della storia milanese non poteva egli scegliere per base del suo romanzo: l'epoca della dominazione spagnuola, in cui due nazioni, anche straniere, entravano in guerra per contendersi un piccolo principato. Spento era il valore, morta ogni idea generosa, e la fame e la peste desolavano queste infelici contrade. Ditemi ora, o lettori, qual sarà il soggetto di un romanzo, che si raggira intorno a tal epoca? Quali saranno le imprese dei Milanesi, perchè il romanzo è intitolato Storia Milanese? O, per tacer delle imprese della nazione, quali almeno saranno i fatti di un qualcheduno fra i Milanesi, quali le vicende di lui, o vere, o immaginarie, che si colleghino colle vicende pubbliche, e formino insieme un compiuto e commovente quadro dei tempi? Quali saranno gli eroi? Forse l'ambizioso Governator di Milano promotore della guerra che si accende in Italia? Forse il coraggioso Duca di Nevers, che difende animosamente i diritti della sua casa? Forse il Marchese Spinola, che viene a correggere gli errori del Cordova? Forse gli oppugnatori o i difensori di Casale, di Vercelli e di Torino, Spagnuoli o Francesi che sieno, Alemanni o Italiani, poichè tali sono gli eroi e le vicende di quell'epoca? Nè un solo di cotesti personaggi è l'eroe del romanzo, nè una sola di siffatte vicende forma il soggetto dell'istoria scoperta e rifatta dal Manzoni. Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due poveri lavoratori del contado di Como, sono gli eroi per cui dobbiamo interessarci; se si sposeranno, o no, è l'importante vicenda che tener deve gli animi nostri sospesi… Eccovi, o lettori, tutto il tessuto di questa istoria milanese rifatta: e s'ella è cosa che meriti il nome di storia, giudicatelo voi… Ditemi, per vostra fede, il soggetto è egli interessante? Due contadini, che per prepotenza di un nobile e per dappocaggine di un curato non si possono sposare, sono essi gli eroi da collegare degnamente ad un'epoca storica qualunque ella sia? E questa epoca storica vi par ella bene svolta e presentata nel suo più bel punto di vista? E che cosa avete imparato dalle vicende dei vostri maggiori, per cui possiate gloriarvi, o almeno intenerirvi e piangere con quel generoso sentimento che ispirano le nobili sventure? Gentiluomini scapestrati o sciagurati, popolo avvilito o affamato, peste fomentata per ignavia dei dominatori e per ignoranza dei dominati! Dov'è un sentimento generoso, un nobile affetto, una grande passione? Dov'è un eroe su cui riposino con compiacenza i vostri occhi affaticati dallo schifo spettacolo che avete dinanzi? Dove un grand'uomo, che comparisca qual faro nella notte di quest'epoca tenebrosa? Il solo cardinal Borromeo, personaggio episodico, è l'unica figura che spicca in certo qual modo in questo quadro disgustoso. Ma se l'A. voleva introdurre il cardinal Borromeo, perchè confinarlo in un villaggio ad affaticarsi intorno a cose di sì lieve momento? E un uomo di tanta autorità non poteva essere posto in situazione più degna di lui? E i vizi dei tempi non gli presentavano più vasto campo ove luminose apparissero le sue virtù? È bensì vero che ei divide il suo pane cogli affamati, che si adopera ad allontanare il flagello della peste, che si mostra pieno di cristiana carità: ma tutto ciò è raccontato per incidenza, e in nulla coopera all'andamento dell'azione, alla sostanza del soggetto. E dove pure ciò fosse, il cardinal Borromeo era egli un personaggio da romanzo?».
Il Pezzi nella Gazzetta di Milano pigliò le difese del Manzoni, scrivendo, tra le altre cose: «Il voler nei romanzi restringere l'importanza dei principali personaggi alle sole classi elevate, sarebbe lo stesso che stendere un piede alla catena quando si può esser liberi. Con un tal principio infinità di romanzi bellissimi avrebbero avuto l'ostracismo. Ci ha grandezza d'animo, virtù luminose, importanza in tutte le condizioni. E quanto più l'umiltà di alcune è posta in conflitto colla baldanza d'alcune altre, tanto maggiore è quell'effetto drammatico che debbe essere lo scopo delle opere destinate a commuovere. Che la storia sia combinata colla finzione e questa con quella, in guisa che l'una non possa stare senza dell'altra, il prova l'opera del Manzoni; per riguardo alla quale anzi non esitiamo a dire che la finzione è talmente fusa nella storia, che non si saprebbe scernere l'una dall'altra. Infatti, da questa fusione appunto, a cui l'autore volse i maggiori suoi studi, deriva l'interessamento che desta la lettura d'un romanzo, che, a parer nostro, veste tutti i caratteri della verità. In quanto al modo, nessuno potrà negarlo alle venture dei Promessi Sposi, poichè dal cominciamento allo sviluppo, la condotta, piana e regolare, s'unisce naturalmente a episodi senza incontrare ostacoli. In quanto allo scopo, esso è semplicissimo, perchè morale, nè sapremmo al certo indicarne un migliore. In fine, che l'azione conservi una tal quale unità e che gli episodi siano connessi all'azione in modo di concorrere all'andamento di essa, è provato del pari nell'opera del Manzoni con questo argomento: tolga la Vespa un solo degli episodi importanti dall'opera stessa e ne vedrà l'orditura scompaginata in modo da non potersene raccapezzare il filo. Se la Vespa voleva di botto veramente dar nel segno col pungolo, l'opera presentavale un lato vulnerabile in alcune prolissità, in certe minutezze ed in parecchie locuzioni non lodevoli; le quali cose, quantunque possano riguardarsi come lievi macchie in molta luce, sarebbero da sopprimere, o da emendare»42.
Il Romani, che non era uomo da perdersi ne' panni, non ci si perse, e così prese a ribattere le critiche: «Sapete voi, o lettori, che si è risposto finora? —L'edizione fu esaurita in pochi giorni. – Lo so anch'io. —Moltissimi leggitori, che non furono in tempo di procurarsela, la chiesero a prestito. – Questi furono i più fortunati. —Molti altri, per averne gli esemplari, li pagarono il doppio e il triplo. – E i più sfortunati furono questi. —Per tacere dei Fogli italiani, quelli dell'estero ne fanno gli elogi. – Pesateli bene. —Se ne preparano nuove edizioni, traduzioni, incisioni, pitture, ecc. ecc.– Se ne son fatte per libri peggiori di questo. – L'autore è festeggiato in patria e fuori. – Davvero che ci ho gusto. – Ma lo smercio, le edizioni, le lodi dei giornali, le feste degli amici e le mense reali43, e mille altre vie di farsi largo in letteratura, come provano che il soggetto dei Promessi Sposi sia interessante? – E la pubblica opinione la conti tu per niente, direte voi? – Alle volte molto, alle volte poco, dirò io. Non ho forse udito, in Italia, fischiare ad una tragedia dell'Alfieri ed applaudire a Santa Margherita da Cortona? Preferire al Tasso i Lombardi alla prima crociata? Vilipendere il Chiabrera ed altri sommi poeti ed encomiare le Melodie liriche? Nausearsi delle tragedie dell'Alfieri e dilettarsi perfino di Ser Gianni Caracciolo?44. —Che il soggetto dei Promessi Sposi sia interessante, lo prova la spontanea universal confessione di quanti lo lessero in buona fede, di non averne potuto sospendere la lettura che a malincuore, e con impazienza di riprenderla. – Gli è giusto a cotesti lettori di buona fede ch'io cerco aprir gli occhi, e ch'io grido: Signori miei, non è tutto oro quel che luce: non badate all'apparenza, esaminate la sostanza»45.
Il Romani, benchè scrivesse in fine al terzo de' suoi articoli: «sarà continuato», non proseguì; tanta e così generale fu l'indignazione che si levò contro di lui, da ridurlo al silenzio. Con rabbia feroce aveva dilaniato i Lombardi alla prima crociata del Grossi; questa nuova rabbia contro il romanzo del Manzoni era la seconda di cambio. Gli fu detto basta, e intese.
Chi passò il segno anche più del Romani nel malmenare i Promessi Sposi fu l'ab. Giuseppe Salvagnoli Marchetti di Empoli46; e il «sunto» che ne fece merita d'essere dissepolto. «Bel modo in vero d'istruire le donne! Empir loro la testa di stravaganze, di sciocchezze, di fatti e di passioni fuori del naturale, che invece d'insegnarti il vero e di dilettarti col bello, col buono, ti traggono la mente all'errore e il cuore al disordinamento delle passioni, insomma alla follia. Che utile verrà mai alle donne, se in uno stile bislacco e pieno zeppo di similitudini sconce, e che in nulla tengono al paragone; di metafore ardite e stravaganti; di parole non italiane, e proprie di un cattivo dialetto; di frasi, composte d'idee e di parole fra sè contrarie; che utile, io dico, ne verrà mai alle donne, se, fra tanta sozzurra, tu mostrerai a colori vivissimi un parroco, che tradisce per paura il suo alto ministero; un signorotto, che ruba le fanciulle, e fa uccidere chi gli dice una mezza parola in contrario; un cugino di questo birbo, che a furia di scherni più e più lo aizza al malfare; un zio, che atterrisce un provinciale di cappuccini e lo forza a mandar cento miglia lontano un buon frate, che voleva opporsi al nipote, perchè tanto male non mandasse ad effetto; una signora, fatta monaca per forza, che rompe sfacciatamente i suoi voti, che fa uscire di vita la sua conversa, la quale si è accorta della sua tresca, e che finalmente consegna, perchè ne sia fatto scempio d'iniquità, a quel birbo signorotto un'innocente fanciulla, a lei sotto la fede dell'ospitalità, o sotto la parola d'onore affidata; una fanciulla imbecille, che trema al bene e al male e che crede di aver fatto voto di verginità perchè si è messa una corona al collo; uno scimunito lanaro, che mentre dovea fuggire il potente che lo inseguiva, si ubbriaca in un'osteria e a tutti racconta dall'a fino alla z le cose sue; un signore, anche più birbone dell'altro, che fa d'ogni erba un fascio, e che per le lacrime di una ragazza (e chi sa quante ne aveva rubate, e alle lacrime di quante mai aveva insultato!) diviene un agnello? Basterà forse il contrapporre a tanto male e a tanta sciocchezza la vera carità e franca di un buon cappuccino, e l'angelico carattere di un santo arcivescovo? No davvero: chè, pur troppo, nella gioventù gli esempi del male fanno sì forte impressione, che non bastano a cancellarla, cento mila volte duplicati esempi di bene. Ed è troppo grave errore e troppo nociva cosa il dipingere agli uomini, e specialmente ai giovani, le scelleraggini, e le conversioni al bene sì repentine e sì facili, che essi possano trarre per conseguenza: —Operiamo pur male a nostro talento quanto ci piace, alla fine, quando saremo stanchi, ci volgeremo a Dio, ed egli non ci ributterà, purchè tenghiamo sempre sopra il letto l'immagine del Crocefisso e della Madonna. – Queste son dottrine che rovesciano ogni legge divina e umana e che riducono la società ad una selva di bruti, ove chi ha più denari, e in conseguenza più forza, opprime, strazia e divora il suo fratello, insultando all'umana giustizia; persuaso che la divina non ha saette per coloro che hanno fisso in cuore di ritornare a Dio quando saranno tutte sbramate le voglie e tutte spente le passioni. Oh! la divina morale!»47.
31
Il «giudizio del conte O' Mahony sui Promessi Sposi di Alessandro Manzoni» fu ristampato, con la traduzione italiana a fronte, a pp. 391-413 del tom. III dell'edizione del Romanzo fatta a Lugano, presso Francesco Veladini e comp., nel 1829.
32
L'Eco, ann. VI, n. 1, 2 gennaio 1833.
33
Revue encyclopèdique, tom. XXXVI [octobre 1827], pp. 411-412.
34
Revue encyclopèdique, tom. XXXVIII [avril 1828], pp. 376-389.
35
Non senza interesse sono due lettere del Niccolini a Salvatore Viale, una del 21 e una del 5 luglio '28. La prima è questa: «Il Globo ha delle dottrine ultra-romantiche, e nella Rivista il Salfi sta pedantescamente attaccato ai precetti dei classici. Questa, per chi la discerne, è disputa in gran parte di nomi, ma pur divide la repubblica letteraria in due fazioni e offusca coi pregiudizi l'intelletto. Il Salfi accusa il Manzoni nel suo articolo sugli Sposi promessi d'essere fautore delle istituzioni monastiche. Quest'accusa è ingiusta, e non può cadere in mente di chiunque legga spassionatamente quel libro, ed io che intimamente conosco l'autore, e sono stato la persona colla quale ei più conversasse in Firenze, posso far fede che la sua pietà è scevra di superstizione, e che non ama i frati». Nell'altra scrive: «A me premeva d'investigare le ragioni del silenzio del Salfi, ma senza però ch'ei mi potesse credere un accattalodi… Io amo più di conservare la dignità dell'animo, che mostrarmi ghiotto d'uno sciocco articolo di quel canuto e solenne buffone. E meritamente io lo chiamo così, perchè non v'è pazienza che sostenga di leggere i suoi imbratti sull'opere ch'escono in Italia: egli loda quello che fra noi si disprezza, o s'ignora, mentre maltratta e calunnia il Manzoni, primo ornamento delle lettere italiane».
36
Giuseppe Giusti racconta in una sua lettera, scritta nell'aprile del '36: «Finalmente ho parlato a Sismondi, e per due volte mi son trattenuto seco lungamente… Parlammo di Manzoni, e qui apparve singolarmente l'uomo grande. Io introdussi il discorso colla massima delicatezza, ma a bella posta, perchè voleva chiarirmi d'un dubbio, nato in me alla prima lettura di quel libro del Manzoni, ove confuta gli ultimi due capitoli della Storia delle Repubbliche. Sismondi parlò di quell'opera, dicendo che era ammirato della maniera urbana con la quale fu distesa: lodò la sincerità dell'autore, e ne compianse le ultime disgrazie, le quali, secondo lui, hanno contribuito non poco a confermarlo ne' suoi principii; aggiunse poi, sempre moderatamente, che gli pareva che si fosse partito da un punto molto diverso dal suo, poichè esso considerava le cose come sono attualmente, e Manzoni come dovrebbero essere. Nè so dirti quanto fossi contento di vedere che io non m'era ingannato. Credei bene di dirgli che gl'Italiani non avevano fatto gran plauso a quel libro, e che anzi, senza scemare in nulla la debita reverenza al Manzoni, era stato riguardato piuttosto come un errore, o almeno come un'opera suggerita da qualcuno che lo avvicina per secondi fini, i quali, dall'altro canto, non capiscono nell'animo integerrimo di quel sommo italiano».
37
Mamiani T., Manzoni e Leopardi; nella Nuova Antologia; XXIII, 760-762.
38
Tragedie e poesie varie di Alessandro Manzoni, colle prose analoghe ed un'apposita prefazione del barone Camillo Ugoni —Quindicesima edizione– Lugano, Giuseppe Ruggia e C., 1830; in 16º. di pp. XXVIII-272. La «prefazione» dell'Ugoni abbraccia le pp. V-XXVIII e porta la data: «Parigi, 19 novembre 1829». Ne diede un cenno il Tommaseo nell'Antologia, tom. XXXIX, n. 151, luglio 1830, p. 136.
39
Il Nuovo Ricoglitore, ann. III, part. I, n. 30, giugno 1827, pp. 446-451.
40
Cfr. Gazzetta di Milano dell'11 luglio 1827.
41
Corriere delle Dame, n. 36, 8 settembre 1827, pagine 285-287.
42
Gazzetta di Milano del 15 ottobre 1827.
43
Da una lettera di Giovanni Pagni (il noto Farinello Semoli delle baruffe del Monti con la Crusca) al marchese Gian Giacomo Trivulzio, scritta da Firenze il 5 ottobre 1827, tolgo questo brano: «Ha passato in Toscana, tra Livorno e Firenze, una cinquantina di giorni il celebre Manzoni, decoro di questa capitale. Non può credere quanto sia stato onorato e distinto dalla maggior parte dei letterati e dei nobili più culti, che si son dati la premura di conoscerlo e di ammirarne il carattere. S. A. R. [il Granduca Leopoldo II] lo ha invitato alla sua mensa, trattenendosi molto con esso lui ed ha voluto mostrargli in persona la preziosa ricchissima sua biblioteca. Io ho avuto il piacere di far compagnia alla sua famiglia, che avevo conosciuta a Milano, e che, dotata di morali virtù, è degna di tanto padre di famiglia».
44
È un'allusione al Sergianni Caracciolo, dramma storico del prof. G. B. De Cristoforis, Milano, 1826; in-8º. del quale parlò il Tommaseo nell'Antologia, n. LXIX, settembre 1826, pp. 104-111. Alle Melodie liriche di Samuele Biava di Bergamo dette «gran lode» il Cantù nel Ricoglitore. Invece la Biblioteca italiana «tolse a provare che poteano mostrarsi ai giovani come agli Spartani l'ilota ubriaco. Il colpo era diretto a sbalzarlo d'impiego: ma uscì una risposta, forte sino alla violenza, e segnata C. C., dove era difeso il Biava e investito il suo avversario. Fu atto generoso, perchè quell'avversario avea in mano i processi e potea mandarlo allo Spielberg; onde va data lode al difensore, che era Carlo Cattaneo». Cfr. Cantù C., Italiani illustri ritratti; III, 79.
45
La Vespa, ann. I [1827], pp. 17-20, 38-43 e 96-103.
46
Nacque l'8 settembre del 1799; involto nelle cospirazioni del '21, «negò denunziare i compagni ed ebbe da Ferdinando III, Granduca di Toscana, per carcere un convento di frati in paese ameno, di dove lo trasse a Roma lo zio monsignore [Giovanni] Marchetti, dotto uomo, ma più illiberale del Principe lorenese, che fu ben lieto dell'esser libero da quel prigione». Cfr. Tommaseo N., Di Giampietro Vieusseux e dell'andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo, memorie, Firenze, 1863; p. 44. «Passati gli anni successivi in privati impieghi, non però alieni da' cari studi, in Rimini e indi a Roma, appena tornato a Empoli nel settembre del '29, fu sorpreso da febbri violente, che si volsero in tisi, e il 16 decembre tolto a' viventi». Così il Montani [Antologia, n.º 108, decembre 1829, pp. 96-97], che aggiunge: «Ei meditava, dicesi, un'opera storica; e forse per consacrarvisi avea rifiutata la sopraintendenza agli studi nel Seminario di S. Marino, offertagli dal celebre Borghesi a nome de' magistrati di quella Repubblica… Ultimo scritto di lui, e soggetto d'ancor recenti, nè punto blande censure, fu quello sugl'Inni del Manzoni. Io tremava, lo confesso, al pensiero che queste censure potessero, nello stato in cui egli trovavasi, pervenire al suo orecchio… Innamorato delle forme classiche, siccome quegli che dall'adolescenza fu sempre co' latini e co' greci, e co' nostri che meglio li imitarono, ove gli parve di trovar meno di queste forme, gli parve trovar meno di poesia. Così, trattandosi di teorie (veggasi la maggior parte de' suoi articoli dell'Arcadico) ove gli parve di trovar discrepanza da' principii de' classici, gli parve di trovare opposizione assoluta da' principii dei gusto».
Appunto nell'Arcadico [xxxvi; 305] discorrendo della versione delle Odi di Pindaro fatta da Giuseppe Borghi prese a mordere «la miserabile e bislacca e torta foggia di metri regalataci con tante altre cose non poetiche e non italiane da Alessandro Manzoni». Il Borghi, in una lettera a Gaetano Cioni, stampata nell'Antologia [n.º 87, marzo 1828, pp. 166-167], sorse a difesa del Poeta; ma l'iroso critico, duro più che mai in quel suo giudizio, diede fuori lo scritto: Intorno gl'Inni sacri di Alessandro Manzoni dubbi di Giuseppe Salvagnoli Marchetti, Roma 1829. Presso la Libreria Moderna, Via del Corso n.º 348 [In Macerata, presso Benedetto di Antonio Cortesi]; in-16.º di pp. xxiv-112. A questi «biasimi da pedante», come li chiama il Tommaseo, l'Arcadico [XLII, 131] applaudì di gran cuore. La Biblioteca italiana [tom. 55, luglio 1829, pp. 1-20], pur non menandogli buone tutte quante le censure, concluse: «Il parlare di originalità, di nuova scuola, d'ingegno divino, di culto, è un sostituire l'entusiasmo alla ragione, un traviare il giudizio dei giovani e dar nascimento a quelle tante poesie che il Manzoni non vorrebbe al certo aver fatte e nemmanco approvate, e non di meno si credono manzoniane». Enrico Mayer, peraltro, nell'Antologia [n.º 104, agosto 1829, pp. 92-99] prese «a difendere» (son parole del Tommaseo) «non tanto il nome dell'Italiano poeta, quanto l'onore d'Italia», e «lo difese con alto sentimento dell'arte e con facondia cordiale». Videro pure la luce le Osservazioni di un giovane italiano sui Dubbi del signor Giuseppe Salvagnoli Marchetti intorno agli Inni sacri di Alessandro Manzoni, Reggio, tip. Toreggiani e comp., mdcccxxx; in-16.º di pp. 230. Sono di Luigi Fratti, che, sebbene pregato dalla modestia del Poeta a «mettere da banda» il lavoro, per consiglio del P. Bottini gesuita, lo diede alle stampe. Cfr. intorno a questa controversia: Gambini Carlo, Richiamo di alcune verità manifestate nel 1829 dal Salvagnoli sugli Inni sacri del Manzoni, Milano, tip. Galli e Raimondi, [1882]; in-16.º di pp. 12. —Intorno gl'Inni sacri di Alessandro Manzoni dubbi di Giuseppe Salvagnoli Marchetti, ristampati con aggiunte, in forma di dialogo, fatte da Federico Balsimelli, Bologna, tipografia pont. Mareggiani, 1882; in-16.º di pp. 360.
47
Questo «sunto» si legge in una recensione che il Salvagnoli Marchetti fece delle Prose scelte del principe don Pietro Odescalchi, e che inserì nel Giornale Arcadico, tom. 42, aprile-giugno 1829, pp. 95-109. La recensione e il «sunto» gli attirarono sulle spalle alcune sferzate della Biblioteca italiana [tom. 55, luglio 1829, pp. 29-31], che lo fecero talmente andare in furore, da scrivere: «a ingiurie sì fatte, quali sono le vostre, meglio si converrebbe, se fosse lecito, rispondere con la spada che con la penna». Cfr. Giornale Arcadico, tom. cit., pp. 355-364.