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CAPITOLO XLVI
ОглавлениеRitorno a Giaffa. – Tragitto ad Aeri, e descrizione di questa città. – Il monte Carmelo. – Viaggio a Nazaret. – Notizie intorno ai monaci di terra Santa.
Partii da Gerusalemme ad otto ore e trequarti del mattino il 29 luglio 1807, per ritornare a Giaffa, strada che aveva fatta venendo in tempo di notte. Dopo la scesa di lunghissima fila di colli, giunsi alle dieci ore in fondo alla valle, ove trovai un ruscello ed un ponte di due archi; a poca distanza in su la diritta il villaggio Alioune, e presso alla strada le ruine di un antico tempio.
Di là salito sulla sommità di altre montagne, passai alquanto prima delle undeci ore presso alle case di Kaskali, poi sceso un poggio, e salitone un altro, mi trovai in sul fare del mezzogiorno a Kariet-el-Aaneb, villaggio meritevole di essere veduto per una bella antica chiesa a tre navi, ora abbandonata, e ridotta ad uso di stalla. Da Kariet montando ancora tre quarti d'ora, si giugne sulla sommità della montagna detta Saariz, appunto nel luogo ov'ebbi l'incontro dei due vecchi gabellieri. Era stato loro detto essere io figlio dell'Imperatore di Marocco; onde, pentiti dall'accaduto, mi aspettavano per iscusarsene, e vedutomi, mi vennero incontro baciandomi le mani, i piedi e la testa. Mi pregarono a scendere da cavallo, e ad aggradire un magnifico pranzo preparatomi presso ad una bella fonte, di dove vedesi il mare.
Poi ch'ebbi mangiato, presi congedo da questi buoni vecchi, e continuai questa penosa strada a traverso di aspre montagne fino ad Abougos, posto in miglior paese, ed alle sei ore arrivai a Ramlè. Le montagne di Gerusalemme fino ad Kariet sono quasi affatto sterili; a Kariet incominciano le vigne, poi piantagioni d'ulivi, e belle foreste di alberi fino ad Abougos La soggetta pianura era tutta coperta di frumento già mietuto, di tabacco, e di frumento della Guinea.
All'indomani 30, partii alle cinque ore e tre quarti, e prendendo la strada di Far e Nazour, arrivai verso le nove a Giaffa, piccola città regolarmente fortificata, capace di buona difesa, e provveduta d'artiglieria, con guarnigione turca e mogrebina.
Il porto non ammette che i piccoli bastimenti che fanno il cabotaggio della Siria, ed i grandi restano in rada sopra una sola ancora per prendere il largo al primo vento essendo la costa troppo aperta. M'imbarcai la stessa sera sopra un battello che fece vela alle nove della sera, e scesi a terra nel porto di S. Giovan d'Acri il giorno susseguente.
Questa piccola città, dai musulmani detta Akka, assai celebre in tempo delle Crociate per la comodità del suo porto, si distinse ultimamente per la bella difesa fatta contro i Francesi; dopo la quale epoca le sue fortificazioni vennero notabilmente migliorate. Il suo porto è molto angusto, ma la rada può contenere numerose flotte. La sua moschea fabbricata dal Pascià Diezzar è tanto gentile, che si assomiglia più ad una casa di delizie, che ad un tempio.
Altra volta era provveduta di eccellente acqua che derivava da lontana sorgente; ma il governo turco non ha fin ora pensato a rimettere l'acquedotto rovinato dai Francesi in tempo della spedizione d'Egitto: onde gli abitanti sono ridotti a bere l'acqua de' pozzi carica di salenite, e pesante come il piombo.
Diezzar Pascià, per quanto mi fu detto, diede prove in tempo dell'assedio de' Francesi, di valore e di fermezza; ma egli era mamelucco, ed educato soltanto nel mestiere delle armi, onde fu estremo nel male e nel bene, non conoscendo la via di mezzo.
Gli Europei hanno in Acri molta libertà, e vi sono rispettati assai, tanto dal governo che dagli abitanti turchi ed arabi. La città è situata nel lato settentrionale d'una vasta baja in faccia al mezzogiorno: e nel tempo della mia dimora il caldo era insopportabile. All'estremità meridionale della baja vedesi il monte Carmelo che prolungasi nella direzione di E. O. fino al mare, ed ha sulla cima un monastero greco dedicato a S. Elia, ed un altro più basso dei cattolici sotto lo stesso titolo, e tra l'uno e l'altro una moschea turca parimenti sacra al Profeta Elia.
Il 6 agosto decisomi di andare a Nazaret, mentre in compagnia di alcuni amici usciva di città, fui attaccato da una vomica spasmodica, dalla quale mi liberai in poche ore con una dose d'emetico, che fortunamente conservava ancora nella mia piccola spezieria. Fu questo il terzo attacco di bile ch'io soffersi in trentotto giorni, il primo al Cairo, ed il secondo a Gerusalemme.
Mi posi in viaggio il giorno 7 alle sei ore del mattino, prendendo la strada all'est per un terreno prima piano, poi montuoso, di tratto in tratto coperto di alti alberi, e sparso di casali circondati da campi e da prati. Trovandomi ancora assai debole camminava lentamente temperando la noja della strada coll'osservare le numerose greggie che pascolavano su quelle pendici.
Non arrivai a Nazaret prima delle quattro della sera, quantunque non sia distante che sei ore da S. Giovanni d'Acri; ma io era forzato di andare lentamente, e di prendere riposo ogni due ore. Andai ad alloggiare nel convento de' Francescani posto nel sito in cui la Vergine fu visitata dall'Angelo Gabriele.
Nazaret di Galilea è città aperta, fabbricata sul pendio d'una montagna volta a levante, popolata da circa mille Turchi, e da altrettanti Cristiani. Gli abitanti approfittano del pendio del suolo per cavare delle camere nella roccia di modo che ogni casa ne ha una parte sotterranea. Tra i Cristiani i cattolici romani sono di lunga mano più numerosi di quelli degli altri riti, che pure vivono in buona armonia. Le donne musulmane sortono col volto scoperto, e le feste e le allegrie sono comuni ai due sessi, ed agli individui di tutte le religioni.
La carne, i legumi, o frutta, l'acqua, il pane, tutto è bonissimo specialmente nel convento. I monaci vi godono piena libertà come in Europa: portano pubblicamente i sacramenti agli ammalati, e sono sommamente rispettati dalle persone di ogni culto, perchè la loro condotta è veramente esemplare e meritevole della riputazione di cui godono.
Il convento è un grande e bello edificio solidamente fabbricato, e capace di una buona difesa militare. In mezzo alla chiesa assai gentile, vedesi una grande scala di marmo che conduce alla grotta ove si effettuò il grande mistero dell'incarnazione. Per due anguste scale si monta all'altar maggiore posto sopra la rupe che forma la volta della grotta, e dietro all'altare trovasi il coro de' monaci; cosicchè questa chiesa è formata di due piani, quello della grotta nel fondo, l'altro del corpo principale della chiesa in mezzo, e l'ultimo dell'altare maggiore e del coro nella parte più elevata. Al di là del coro vedesi pure un altro piano in forma di tribuna, occupato da un eccellente organo. Un'angustissima scala fa capo ad un'altra grotta, che si suppone essere stata la cucina della Vergine, per esservi in un angolo una specie di focolajo. Altra scala, egualmente stretta, comunica coll'interno del convento. Questo convento è composto di tredici religiosi, nove de' quali, compreso il prelato, sono spagnuoli.
I Musulmani credono anch'essi la verginità di Maria, e la miracolosa incarnazione di Gesù, spirito di Dio, per l'intromissione dell'Angelo Gabriele; e venerano il luogo santificato da questo grande mistero, ove vengono frequentemente a fare le loro preghiere. Un giorno vidi una numerosa processione di montanari maomettani venire accompagnati dalla loro musica per presentare un fanciullo alla Vergine, tagliandoli la prima volta i capelli in chiesa.
Mezza lega al S. O. della città avvi un luogo detto precipizio, che è propriamente una gola delle montagne di Nazaret sopra la valle d'Estrelon; accanto alla quale la montagna è tagliata a picco dalla cima al fondo. La tradizione del paese vuole, che i Giudei conducessero Gesù Cristo in questo luogo per precipitarlo, e ch'egli si salvasse rendendosi invisibile. Non molto al di sotto della sommità fu cavato un altare nella rupe, al quale una volta all'anno vi si reca il popolo per celebrarvi una messa; al quale oggetto fu fatta una strada che attraversa il precipizio.
Nella valle d'Estrelon avvi un vasto e popolato villaggio dello stesso nome, ove fu data la celebre battaglia di Nazaret.
Dietro le più autentiche notizie ch'io mi sono procurato in sul luogo, guarentisco il seguente stato de' monaci cattolici romani in Terra Santa
A Seida avvi un convento pei monaci Francesi ora disabitato. Inoltre trovansi in Levante quattro altri conventi separati dal corpo di Terra santa: cioè
Le contribuzioni ordinarie che i monaci pagano ogni anno al governo turco, sono così regolate
Oltre le ordinarie sono inoltre costretti di pagare altre eventuali contribuzioni, e gratificazioni ai governatori, ec. Il solo Muftì di Gerusalemme ha esatte nel corso di otto anni 40,000 piastre.
Il panno, di cui vestonsi i monaci vien loro spedito dalla Spagna e dall'Italia; come pure il cuojo di cui fannosi in paese i loro sandali. In fine può dirsi, generalmente parlando che i cristiani latini, i quali in altri tempi sconvolsero il mondo per impadronirsi dei luoghi Santi, li hanno adesso talmente abbandonati, che senza i soccorsi della Spagna non sarebbevi alcuno stabilimento del loro rito.
Anche la Francia contribuisce al loro mantenimento colla protezione del suo ministro a Costantinopoli; ma questa non toglie che i governatori turchi non vessino di continuo i monaci di Gerusalemme per cavarne denaro: talchè passano la vita in perpetui travagli, e sono veri martiri del loro zelo.
Poichè lo stabilimento de' religiosi cattolici romani in terra Santa arreca grandi vantaggi agli abitanti di questi paesi, io non temo di raccomandarli alle potenze d'Europa. La diversità dei culti deve dileguarsi innanzi agli occhi del filosofo che desidera il bene della umanità: e questo è il sentimento che dirige le mie azioni, e la mia penna. Senza grandi sacrifici si potrebbe rendere assai migliore la sorte di queste virtuose vittime dello zelo religioso.