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Sentì sbattere forte la porta d’ingresso e sobbalzò, raddrizzando le orecchie e prestando la massima attenzione ad ogni singolo rumore che percepiva. Puh non si aspettava di veder rincasare la sua padroncina così presto, quando ancora la forte luce del sole filtrava attraverso le enormi vetrate dell’appartamento che dai piani alti si affacciavano sulla città. Le corse incontro abbaiando e saltando sulle quattro zampe come sempre faceva ogni giorno, pronto a giocare con lei e a ricevere le carezze dalle sue mani morbide come la seta. Ma il suo cuore di cane intuì che qualche cosa in lei non andava come al solito: smise di abbaiare, lo scodinzolio della sua coda rallentò e si accucciò, appoggiando il musetto sulle zampette unite ma senza togliere gli occhi di dosso alla sua padroncina. Immobile in quella posizione, la seguiva con gli occhi in ogni suo movimento. Lynda, ancora in preda al pianto e alla tristezza che provava nel cuore, si chinò per accarezzarlo e per ringraziarlo di quella sua complicità che le offriva senza chiedere mai nulla in cambio. Puh era davvero il suo unico, vero amico. Poco importava che si trattasse di un cane, era l’unico essere in grado di donarle un po’ di serenità.

«Caro il mio Puh! Sai, a volte invidio il tuo stato d’essere, la tua libertà. Vorrei essere come te, libero, spensierato. Vorrei poter correre felice rincorrendo una palla, come facevo da bambina quando mamma e papà mi portavano in vacanza dai nonni e dalla zia Beth, in Cornovaglia. Cara zia Beth! Insisteva nel volermi insegnare a preparare la marmellata! Ed ero diventata anche brava, sai Puh?». Le lacrime di Lynda continuavano a solcarle il viso già arrossato, deformato dai due occhi blu come l’oceano, gonfiatisi come due meloni per il troppo pianto. Una lacrima trovò un nuovo percorso sul volto di Lynda, una parte rimasta ancora stranamente asciutta, e terminò la sua corsa sul naso di Puh. Il cane la sentì, la leccò via e poi si alzò per leccare il viso della ragazza che cominciò a ridere come sempre faceva quando il suo cane la trattava in quel modo.

«Dai Puh, smettila!», diceva mentre finalmente il pianto si diradava, lasciando emergere nuovamente il suo bel sorriso.

«Ti voglio bene, mio dolce campione!», disse diretta al cane che, compiaciuto, si lasciava accarezzare la pancia ben volentieri, «Riesci sempre a tirarmi su. Come farei senza di te?». Puh rispose ancora con un timido lamento, per indicarle che aveva capito e che, fin quando gli sarebbe stato possibile, non l’avrebbe mai lasciata.

«Dai forza, scendiamo e facciamo una passeggiata all’aria aperta!». Il cane non se lo fece ripetere due volte! Non capiva il perché di quel fuori programma, ma gli piaceva e voleva approfittare di quell’irripetibile momento di fortuna.

Il sole splendeva alto nel cielo, Lynda lo notava filtrare tra un palazzo e l’altro, disegnando sull’asfalto il profilo ombrato delle anonime facciate. Non era solita passeggiare in settimana a quell’ora nelle strade della città, lei avrebbe dovuto essere in ufficio come sempre in quel momento. Invece la rabbia che l’aveva corrosa quel mattino le aveva poi suggerito di regalarsi un momento di evasione, tutto per lei e per il suo fedele Puh che zampettava felice accanto a lei. Si lasciava trafiggere dai raggi del sole, sperando di trarne beneficio per portare un po’ di calore al suo animo congelato. Com’era diversa la città vista con quegli occhi, ora che sentiva il vuoto dentro di lei accompagnare l’assenza totale di aspettative! Quella passeggiata clandestina le ricordava le volte in cui, da piccola, aveva saltato la scuola per spassarsela con le compagne al parco o nelle città vicine! Si, quando succedeva le furbacchione prendevano i mezzi pubblici e si allontanavano dalla città, per evitare di essere scoperte dal fornaio, dal lattaio o dal droghiere. Quelli si che erano tempi belli! Tempi che a Lynda sembravano ormai così lontani, come facenti parte di una vita passata e per lei ormai definitivamente conclusa. Una macchina accostò e Puh cominciò ad abbaiare.

«Signorina Lynda!».

«James!», rispose Lynda altrettanto sorpresa di vedere il fedele tassista.

«Signorina, non dovrebbe essere in ufficio con i giapponesi ora?», chiese James sorpreso nel vedere la ragazza a piedi per strada in una situazione tanto insolita. Capì che qualche cosa non doveva essere andato per il verso giusto. Ritirò quindi il suo grosso corpo all’interno dell’auto, facendo cenno a Lynda di salire in auto.

«Non posso James, non ho soldi con me. Sono uscita distrattamente e ho lasciato il mio portafogli in casa, mi devi scusare. E poi c’è il mio cucciolo Puh qui con me, non so se è il caso».

James guardò il cane e prese le sue misure ad occhio:

«Beh, son pur sempre più grosso io di lui, non ti pare? E per quanto riguarda la corsa, diciamo che sono in pausa e che quindi è gratis!», rispose per concludere il suo invito. Lynda sorrise aprì la portiera e guardò Puh che accolse l’intesa e balzò subito all’interno della vettura. Lynda si aspettava un po’ di domande da parte del suo amico James. Per lei era più di un semplice tassista. James era stato quasi come un padre per lei fin da quando era piccola. Quel padre mancato capace di ricoprire la ragazza di attenzioni e cure, dandole ciò che il suo vero padre biologico non era stato in grado di darle per via del suo attaccamento al lavoro, così morboso da avergli fatto perdere qualunque interesse per le emozioni vissute in famiglia. Forse lui le riteneva meno importanti delle gratificazioni che la sua prestigiosa carica di Senatore poteva offrirgli. E così che non visse mai gli anni leggeri e spensierati di una Lynda bambina, di quell’unica figlia arrivata per caso e alla quale non era mai stato capace di dire davvero ‘ti voglio bene piccola’. E Lynda, da parte sua, non chiedeva nulla. Non sentiva nulla sgorgare dal cuore di quell’uomo, perché mai doveva provare il desiderio di sentirsi amata come una figlia da lui? Ma, nonostante tutto, si chiedeva spesso il perché ciò non accadesse. Riceveva dalla mamma e da James tutto ciò che le serviva, l’affetto e ogni cura nei suoi confronti provenivano da loro, perché preoccuparsi quindi di quell’altro uomo che non era mai stato veramente presente in occasione delle sue decisioni, dei suoi pianti e dei suoi momenti di gioia? Dai comportamenti del padre Lynda aveva dedotto il significato di quella forma di sentimento che tutti chiamano comunemente “indifferenza”.

Ma con James era tutto diverso! James lavorava stabilmente per la loro famiglia da tanto tempo. Era la persona che ogni mattina la accompagnava a scuola e andava a riprenderla al termine delle lezioni, era la persona che per prima veniva a conoscenza degli avvenimenti accadutile durante la giornata, i voti presi nei compiti e nelle interrogazioni, le discussioni fatte con le amiche, i litigi, i primi innamoramenti. James conosceva i suoi sogni e nella sua posizione di semplice dipendente agli occhi di tutti avrebbe donato la sua anima per aiutarla a realizzarli. Un giorno dopo essere stata lasciata a scuola, qualcuno la vide allontanarsi dal cancello d’entrata con le sue solite amiche e informò il padre e la madre. Quella sera il Senatore chiamò James per chiedergli un chiarimento e per verificare se quanto gli era stato raccontato corrispondeva a realtà. Una punizione esemplare per Lynda era già pronta, la parola di James sarebbe stata quella decisiva.

«No Senatore Grant. La signorina Lynda questa mattina è andata a scuola regolarmente come fa ogni giorno. Io personalmente sono rimasto qualche minuto fermo sulla strada per assicurarmi di vederla entrare, fino alla chiusura dei cancelli. A questa età i ragazzi vanno controllati, lei mi capisce non è vero? Forse chi le ha raccontato di aver visto la signorina con le sue amiche in giro al parco deve essersi confuso con altre persone», mentì spudoratamente. La madre di Lynda lo capì subito e sorrise. Il Senatore invece, troppo impegnato per pensare alla punizione che aveva preparato, non aveva nemmeno notato che nessuno prima aveva accennato che le ragazze sarebbero state viste nel parco della città! Il Senatore rilasciò l’uomo che si diresse subito verso la porta di casa. Aprì la porta con la mano tremante mentre con l’altra riposizionava il cappello della sua divisa di autista diplomatico sopra la sua testa. Sarah, la moglie del Senatore lo anticipò, gli aprì la porta e lo ringraziò con un sorriso e con parole di riguardo mentre gli dimostrava la sua complicità.

«La prossima volta faccia più attenzione James. Lei lo sa meglio di me, fornire troppi dettagli non porta lontano! John è poco attento in queste situazioni ma non è stupido», disse accarezzando la spalla dell’uomo con la sua mano profumata e carica di gioielli.

Com’era elegante e bella quella donna! A James piaceva da sempre, fin dal primo giorno che l’aveva vista per accompagnare lei e la signorina Lynda al suo primo giorno di scuola. Le sue labbra erano ricoperte da un bel rossetto di un intenso colore rosa e i suoi vestiti rilasciavano nell’aria un delicato profumo di mughetto. Quando la donna scendeva dall’auto, l’aria nell’abitacolo rimaneva satura di quel profumo per ore e James se le godeva tutte, traendone un enorme piacere. Era la donna che amava, ma era anche la moglie del Senatore John Grant, il suo datore di lavoro! Si costrinse quindi a soffocare il suo sentimento, amando quella donna in segreto nei suoi pensieri ma anche concretamente attraverso le sue azioni e attenzioni. E amava la piccola Lynda alla follia, una bambina troppo simile alla madre e che man mano che cresceva, tendeva ad assomigliarle sempre di più.

Ma quella “prossima volta” non arrivò mai. Uno scandalo coinvolse il Senatore che fu immediatamente allontanato dal suo incarico. La sua immagine per tanto tempo coltivata e abituata a prevalere su quella degli altri fu compromessa al punto da farlo apparire ridicolo agli occhi delle persone. Il padre si rinchiuse in casa senza uscire mai e sfogava la sua rabbia sulla madre e su Lynda ogni volta che si vedeva beffeggiato in televisione, nei notiziari o nei talk show. Era riuscito ad emergere come personaggio dell’anno ma sotto una valenza estremamente negativa. Gli fu tolta la scorta ed ogni tipo di beneficio assegnato ai personaggi come lui, compresa l’auto governativa e, di conseguenza, il suo autista. James quindi li salutò, era commosso mentre lo faceva e non trattenne le lacrime quando la piccola Lynda abbracciandolo gli disse:

«Tornerai presto a trovarci zio James, vero? Io e la mamma ti aspetteremo, ci mancherai tanto». Lynda lo chiamava zio proprio perché la presenza di un padre biologico non le permetteva di chiamarlo papà, come forse lei avrebbe desiderato. Ed ogni volta James si scioglieva in lacrime come la neve al sole e assaporava la dolcezza di quella bambina fino in fondo, regalandole in cambio tenere carezze. Anche la madre lo abbracciò ricordandogli che era davvero un buon uomo e senza trattenere lacrime di commozione. Tra i due esisteva una chiara sintonia, era visibile a tutti, forse anche al Senatore. Un giorno si sarebbero incontrati nuovamente, ne erano entrambi convinti. Nel momento del saluto, la donna più che mai profumava di un’intensa fragranza di mughetto fresco.

Il Senatore John Grant si tolse la vita in una fredda mattinata d’inverno, pochi giorni dopo quello del triste saluto d’addio con James. Fu la moglie a sentire uno sparo proveniente dal salotto e quando accorse vide il corpo del marito disteso a terra, immerso in una pozza di sangue. Chiamò subito aiuto ma quando arrivarono i soccorsi era già troppo tardi, suo marito era già morto. Sul tavolo l’uomo aveva lasciato una lettera che Sarah lesse attentamente, più volte, senza poter trattenere le lacrime. Si fermò solo quando arrivò la polizia che lei aveva chiamato in precedenza. James apprese la notizia dalla televisione e chiamò Sarah per porgere le sue condoglianze e farsi comunicare quando e dove si sarebbero tenute le esequie funebri. Anche se in corrispondenza di un evento così triste, James fu felice di rivedere a distanza di poco tempo Sarah e la figlia Lynda. Si abbracciarono, ma quel giorno James non sentì profumo di mughetto provenire dal suo corpo ma solo una anonima fragranza di fiori misti, di quelle che si sentono di solito ai funerali. Sarah gli mostrò la lettera del marito. James la lesse con attenzione, poi abbassò gli occhi e abbracciò la donna e infine Lynda prima di abbandonarsi a sua volta alle lacrime.

L’anno successivo Lynda andò al college, cominciò la sua vita da piccola vera donna, scoprì le gioie che la mondanità e i suoi vizi potevano darle, i piaceri del sesso, le prime storie d’amore più o meno serie, le preoccupazioni che laceravano lo spirito. Cominciò a coltivare la sua cultura e i suoi interessi verso quella che sarebbe divenuta in futuro la sua occupazione fino ad arrivare al giorno della laurea. Aveva plasmato un carattere adatto e rivolto i suoi interessi verso il mondo degli affari, del successo economico e della realizzazione personale. Le sue innate doti di oratrice, la sicurezza che trasmetteva durante i colloqui, la sua capacità di convincere l’interlocutore a fare ciò che lei desiderava erano da sempre stati i suoi punti di forza. James le aveva insegnato a credere in se stessa e lei lo aveva capito fin da subito.

«Credi sempre in te stessa e nelle tue capacità, parla con il tuo cuore ed esprimi sempre i tuoi pensieri ma in prima persona. Mettiti in gioco, lotta in prima linea se vuoi vincere tu la battaglia. Altrimenti resterai solo una semplice pedina e morirai al servizio di altri che, forse, non sapranno mai nulla della tua esistenza. Lascia la tua firma nel mondo, la tua impronta. Tu puoi farlo! Sii te stessa e andrai sempre avanti per la strada che ti sei prefissata. Non importa se sarai una tassista o se vestirai una importante carica da qualche parte, ciò che conta è sempre e solo ciò che vedrai riflesso nello specchio quando ti guarderai, perché tu sei quello e nient’altro», le diceva spesso James mentre l’accompagnava a scuola al mattino. E Lynda spesso sbuffava, aveva sentito quella lezione troppe volte e non era incline ad annoiarsi con quella frequenza. Era pur sempre una bambina, perché non veniva considerata per l’età che aveva? Ma una volta cresciuta capì realmente quanto importanti fossero state quelle parole per la sua crescita, per la sua professione, per tutta se stessa. E in cuor suo non smise mai di ringraziare quel semplice autista, suo amico, per avergliele dette più e più volte.

Seduta sul sedile posteriore dell’auto accanto al suo Puh che si era elegantemente riposto sul tappetino, cercava di evitare gli occhi verdi di James che, nonostante l’ormai avanzata età, risplendevano sempre di una luce propria, particolare. James non parlava, si limitava a fissare il volto di Lynda attraverso lo specchietto retrovisore nell’attesa che fosse lei a cominciare il racconto, proprio come faceva ogni giorno quando, pronta a vuotare il sacco, gli raccontava tutti i dettagli dei suoi numerosi successi. Ma quel giorno il racconto sarebbe stato diverso, James l’aveva capito. Lynda si arrese, incrociò gli occhi di James che in un lampo espressero il consenso all’ascolto e la ragazza cominciò a parlare.

«Oggi non è una buona giornata James», esordì.

«E perché mai signorina Lynda? E’ primavera, spende un bel sole, lei è a passeggio con il suo bel cane. Cosa c’è che non va?», rispose James, come sempre con il suo rassicurante modo di fare paterno. Lynda gli sorrise, senza rispondere.

«Ecco signorina, così va decisamente meglio, non crede? Io sono un uomo anziano ormai, sto per ritirarmi per trascorrere in serenità gli anni che mi restano da vivere, quelli che il Signore vorrà concedermi ancora. Nei suoi occhi, signorina, vedo solo l’espressione di una bambina capricciosa. Ricorda quando era piccina e voleva a tutti i costi che le cose andassero come lei desiderava? E quando le cose andavano in modo diverso lei cominciava a piangere, come se così facendo potesse cambiarne il corso a proprio favore. A volte ci riusciva, sa? Oh si che ci riusciva! Ma a volte le cose erano giusto un poco più grandi di lei e il pianto non la aiutava per nulla. Ricorda tutto questo?». Lynda accennò un timido si con un gesto del capo, mentre manteneva gli occhi bassi. James continuò a parlare.

«E ricorda come e quando le ritornava il sorriso?», chiese l’uomo.

«No, non me lo ricordo», mentì Lynda. In realtà lei aveva già capito dove volesse arrivare l’amico.

«Oh suvvia signorina! Sono più grande di lei di un bel pezzo! Grande e grosso direi! Faccia uno sforzo, provi a ricordare!».

«James, davvero non ricordo, son passati tanti anni», mentì nuovamente ma le sue labbra cominciavano a tradire un accenno di sorriso malizioso.

«Va bene, allora se non ricorda davvero cercherò ora di darle un piccolo aiuto. Vedrà, sarà un successo!». James mise in moto l’auto e cominciò a guidare sorridendo e fischiettando una melodia che riportò Lynda indietro nel tempo, a quando era bambina e preparava le confetture con zia Beth.

“Confettura di ciliegia, per una colazione regia. Dolcetto all’albicocca porta all’estasi la bocca. Un litro di Sorbetto alla banana, non mi dura nemmeno una settimana. Confettura di pesca, se non lo hai stai fresca!”

Lynda recitò quelle parole guidata dalla melodia che usciva dalle labbra di James, scoppiando a ridere non appena quelle immagini arrivarono a ripopolarle la mente.

«Oh James, suvvia! Si si certo, mi tornava l’allegria, svanivano i pensieri cattivi. Ma durava poco perché poi quegli infami tornavano a massacrarmi le meningi», riprese Lynda mantenendo un bel sorriso sulle labbra.

«Si certo. Tornavano perché in realtà non faceva nulla per sconfiggerli definitivamente. Non è forse così?».

«Si», rispose Lynda a voce molto bassa.

«Mi scusi ma non ho colto la sua risposta, signorina!», continuò James che, invece, aveva capito benissimo.

«Ho detto si!», ripeté Lynda, questa volta con un tono decisamente più alto e rassicurante.

«Bene. Allora andiamo!», la sfidò James.

«Ma dove stiamo andando?»

«La porto in un posticino dove lei, signorina, potrà sentirsi a suo agio e potrà raccontarmi tutto quanto di brutto le è accaduto oggi e insieme proveremo a trovare una soluzione al suo problema. Ci vorrà un po’ di tempo ma ne varrà la pena. Ora si metta comoda, si rilassi e se riesce provi a riposare un po’. Si sentirà già molto meglio dopo, vedrà».

Lynda sorrise e guardò Puh che dormiva già da un po’, sdraiato comodamente sul tappetino dell’auto. Le curve sulla strada, le leggere ondulazioni e il rumore sordo del motore la cullavano. Si sentì avvolgere dalle braccia del sonno e decise di abbandonarsi ad esso. In fin dei conti era serena in quel momento e in compagnia di quel suo “mancato padre” si sentiva nuovamente bambina. La filastrocca accennata da James le risuonava nella mente, via via la sentiva sempre più lontana, più fievole, fino a spegnersi completamente quando si addormentò. Sognò una bambina che correva libera nel verde sconfinato dei prati inglesi, che raccoglieva conchiglie bianche sulle piccole spiagge nascoste tra le scogliere della Cornovaglia, vide zia Beth che, ferma sull’uscio del suo cottage, la chiamava a squarciagola mentre lei si divertiva a nascondersi tra le piante del suo giardino di rododendri. Sentì il profumo e il sapore della frutta fresca appena tagliata, quella raccolta, pulita e messa a bollire per poter essere trasformata in ottima confettura fatta in casa. Zia Beth era la maga delle confetture! Era divenuta molto famosa, le sue confetture e i suoi dolci erano così conosciuti in tutto il paese e nelle città vicine che fu praticamente costretta ad aprire una piccola pasticceria e trasformare un suo hobby in attività, per poter soddisfare tutte le richieste che le venivano fatte. Molta gente andava a trovarla con la scusa più banale per poter avere la possibilità di assaggiare ancora una volta le sue gustose ricette. E Lynda voleva imparare tutto da lei, ogni segreto, ogni esperimento, ogni ricetta. Ma le estati duravano troppo poco e ben presto arrivava il momento di ritornare a casa, in città, per dedicarsi allo studio al quale il Senatore Grant teneva tanto: avere una figlia ignorante non avrebbe affatto giovato alla sua figura di uomo diplomatico, non poteva permetterselo!

Poi nel sogno cominciarono a cadere gocce di pioggia mentre i fulmini perforavano l’aria, rischiarando a giorno il cielo divenuto via via scuro come la notte. Il verde dei campi aveva lasciato il posto alla gelida neve ghiacciata dell’inverno. La piccola correva a fatica, completamente bagnata dalla pioggia che non le dava tregua e cadeva pungente sui suoi occhi costringendola a tenerli chiusi. La bimba inciampò e rovinò a terra, cadendo nel fango denso di una pozzanghera. Alzò il volto completamente sporco di terra e guardò dritta davanti a se: vide il cottage di zia Beth privo di luce, solo la luce fioca di una candela già consumata donava un lieve barlume. Zia Beth stava in piedi sulla soglia di casa e la guardava mentre piangeva. La bimba gridava alla zia, le chiedeva aiuto. Ma zia Beth non si muoveva, continuava a piangere. Poi alzò la mano e con un cenno salutò nuovamente la bimba, per poi rientrare in casa richiudendo la porta dietro di se. La bimba piangeva e gridava a squarciagola, si sentiva sola e tradita da quella zia che tanto aveva amato e che rispettava come esempio da seguire e da emulare. Poi anche la luce della candela si spense e intorno alla bimba regnarono le tenebre. Non la luna, non una stella erano presenti in cielo per rischiarare quella notte. La bimba se ne stava lì ferma, immobile e avvolta dall’oscurità, senza poter fare nulla. Ad un tratto una voce conosciuta la ridestò: era sua madre che la chiamava restando ferma sul ciglio della strada con una candela in mano. La giovane Lynda si alzò, non provava più alcun dolore e s’incamminò verso di lei sempre più velocemente, fino a quando non vide la madre svanire nel nulla e si sentì cadere nel vuoto, come all’interno di un pozzo senza fine.

Il Giardino Dei Rododendri

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