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CAPITOLO II

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La spoglia mortale della Sant'Aubert fu inumata nella chiesa del villaggio vicino; sposo e figlia accompagnarono il corteggio funebre, e furono seguiti da un numero prodigioso di abitanti, che piangevano tutti sinceramente la perdita dell'ottima donna.

Ritornati dalla chiesa, Sant'Aubert si chiuse nella sua camera, e ne uscì colla serenità del coraggio e col pallore della disperazione; ordinò a tutte le persone che componevano la sua famiglia di riunirsi vicino a lui. La sola Emilia non compariva: soggiogata dalla scena lugubre ond'era stata testimone, erasi chiusa nel suo gabinetto per piangervi in libertà. Sant'Aubert l'andò a cercare; le prese la mano in silenzio, e le sue lacrime continuarono: egli stesso stentò molto a riacquistare la voce e la facoltà di esprimersi; finalmente disse tremando: « Cara Emilia, noi andiamo a pregare per l'anima della tua buona madre; non vuoi tu unirti a noi? Imploreremo il soccorso dell'Onnipotente: da chi possiamo noi attenderlo se non dal cielo? »

Emilia trattenne le lacrime, e seguì il padre nel salotto ov'erano riuniti i domestici. Sant'Aubert lesse con voce sommessa l'uffizio dei morti, e vi aggiunse preghiere per l'anima dei defunti. Durante la lettura, gli mancò la voce, e le lacrime inondarono il libro; si arrestò, ma le sublimi emozioni d'una devozione pura innalzarono successivamente le sue idee al disopra di questo mondo, e versarono infine il balsamo della consolazione nel suo cuore.

Finito l'uffizio, e ritirati i domestici, egli abbracciò teneramente la sua Emilia. « Mi sono sforzato, » le disse, « di darti fino dai primi anni un vero impero su te stessa, e te ne ho rappresentata l'importanza in tutta la condotta della vita; questa sublime qualità ci sostiene contro le più pericolose tentazioni del vizio, ci richiama alla virtù, e modera parimente l'eccesso delle emozioni più virtuose. Vi è un punto in cui esse cessano di meritare questo nome, se la loro conseguenza è un male; qualunque eccesso è vizioso; il dispiacere medesimo, sebbene amabile ne' suoi primordi, diviene una passione ingiusta, quando uno vi si abbandona a spese dei propri doveri. Per dovere io intendo parlare di ciò che si deve a sè stessi, al par di quello che si deve agli altri, un dolore smoderato infiacchisce l'anima, e la priva di quei dolci godimenti che un Dio benefico destina all'ornamento della nostra vita. Emilia cara, invoca, fa uso di tutti i precetti che hai da me ricevuti, e di cui l'esperienza ti ha così spesso dimostrato la saviezza… Il tuo dolore è inutile; non riguardare questa verità come un'espressione comune di consolazione, ma come un vero motivo di coraggio. Non vorrei soffocare la tua sensibilità, figlia mia, ma moderarne soltanto l'intensità. Di qualunque natura possano essere i mali, ond'è afflitto un cuore troppo tenero, non si deve sperar nulla da quello che non lo è. Tu conosci il mio dolore, sai se le mie parole sono di quei discorsi leggieri fatti a caso per arrestare la sensibilità nella sua sorgente, e il cui unico fine è di far pompa d'una pretesa filosofia. Ti dimostrerò, cara figlia, ch'io posso mettere in pratica i consigli che do. Ti parlo così, perchè non ti posso vedere, senza dolore, consumarti in lacrime superflue e non fare veruno sforzo per consolarti; non ti ho parlato prima, perchè avvi un momento in cui qualunque ragionamento deve cedere alla natura. Questo momento è passato, e quando lo si prolunga all'eccesso, la trista abitudine che si contrae, opprime lo spirito al punto di togliergli la sua elasticità, tu urti in questo scoglio, ma son persuaso che mi proverai col fatto di volerlo evitare. »

Emilia, piangendo, sorrise al genitore. « O padre! » esclamò, e le mancò la voce. Avrebbe aggiunto senza dubbio: Io voglio mostrarmi degna del nome di vostra figlia. Ma un movimento misto di riconoscenza, di tenerezza e di dolore l'oppresse di nuovo: Sant'Aubert la lasciò piangere senza interromperla, e parlò di altre cose.

La prima persona che venne a partecipare alla sua afflizione fu un certo Barreaux, uomo austero, e che sembrava insensibile; il gusto della botanica li aveva legati in amicizia, essendosi incontrati spesso sui monti. Barreaux erasi ritirato dal mondo, e quasi dalla società, per vivere in un bellissimo castello, all'ingresso de' boschi, e vicinissimo alla valle. Come Sant'Aubert, egli era stato crudelmente disingannato dall'opinione che aveva avuta degli uomini, ma, al par di lui, non si limitava ad affliggersene ed a compiangerli; sentiva più sdegno contro i loro vizi, che compassione per le loro debolezze.

Sant'Aubert fu sorpreso nel vederlo. Lo aveva invitato spesso a venire a visitare la sua famiglia, senza avervelo mai potuto decidere; quel giorno venne senza riserva, ed entrò in casa come uno dei più intrinseci amici della famiglia. I bisogni della sventura parevano averne addolcita la ruvidezza e domati i pregiudizi. La desolazione di Sant'Aubert parve l'unica sua occupazione; le maniere, più che le parole, ne esprimevano la commozione: parlò poco del soggetto della loro afflizione, ma le sue attenzioni delicate, il suono della sua voce, e l'interesse dei suoi sguardi esprimevano il sentimento del suo cuore; e questo linguaggio fu benissimo inteso.

A quell'epoca dolorosa, Sant'Aubert fu visitato dalla sua unica sorella, la signora Cheron, vedova da qualche anno, la quale abitava allora nelle proprie terre vicino a Tolosa. La loro corrispondenza era stata poco attiva: le espressioni non le mancarono però; ella non intendeva quella magia dello sguardo, che parla così bene all'anima, e quella dolcezza di accenti, che versa un balsamo salutare nei cuori afflitti e desolati. Assicurò il fratello che prendeva il più sincero interesse al suo dolore, lodò le virtù della sua sposa, ed aggiunse quanto immaginò di più consolante. Emilia non cessò dal piangere fin ch'essa parlò. Sant'Aubert fu più tranquillo, ascoltò in silenzio, e cambiò tenore di conversazione.

Nel partire, la signora Cheron li pregò di andarla presto a trovare. « Il cambiamento di soggiorno vi distrarrà non poco, » diss'ella; « fate malissimo ad affliggervi tanto. » Suo fratello comprese la verità di queste parole, ma sentiva più ripugnanza di prima a lasciare un asilo consacrato alla sua felicità. La presenza della sposa aveva reso quei luoghi tanto interessanti per lui, che ogni giorno calmando l'amarezza del suo dolore, aumentava la vaghezza delle sue rimembranze.

Egli aveva cionnonpertanto doveri da compiere, e di questo genere era una visita al cognato Quesnel; un affare importante non permetteva di differirla più a lungo, e desiderando d'altronde di scuotere Emilia dal suo abbattimento prese seco lei la strada d'Epurville.

Quando la carrozza entrò nel bosco che circondava il suo antico patrimonio, e che scoprì il viale di castagni e le torricelle del castello, nel pensare agli avvenimenti trascorsi in quell'intervallo, e come il possessore attuale non sapesse nè apprezzare, nè rispettare un tanto bene, Sant'Aubert sospirò profondamente; alla fine, entrò nel viale, rivide quei grandi alberi, delizia della sua infanzia e confidenti della sua gioventù. A poco a poco il castello mostrò la sua massiccia grandezza. Rivide la grossa torre, la porta vôlta d'ingresso, il ponte levatoio, ed il fosso asciutto che circondava tutto l'edifizio.

Il romore della carrozza chiamò una folla di servitori al cancello. Sant'Aubert scese, e condusse Emilia in una sala gotica; ma gli stemmi, le antiche insegne della famiglia non la decoravano più. Le travi, e tutto il legname di quercia del soffitto, erano stati tinti di bianco. La gran tavola, ove il feudatrio faceva pompa tutti i giorni della magnificenza e dell'ospitalità sua, dove il riso ed i lieti canti avevano così spesso rimbombato, questa tavola non esisteva più; le panche istesse che circondavano la sala, erano state tolte. Le grosse pareti non erano ricoperte che di frivoli ornamenti, i quali dimostravano quanto fosse gretto e meschino il gusto ed il sentimento del proprietario attuale.

Sant'Aubert fu introdotto nel salotto da un elegante servitore parigino. I coniugi Quesnel lo ricevettero con fredda garbatezza, con qualche complimento alla moda, e parvero aver obliato totalmente di aver avuto una sorella.

Emilia fu sul punto di versare lacrime, ma ne fu trattenuta da un giusto risentimento. Sant'Aubert, franco e tranquillo, conservò la sua dignità senza mostrare di avvedersene, e pose, in soggezione Quesnel; il quale non poteva spiegarsene il motivo.

Dopo una conversazione generale, Sant'Aubert mostrò desiderio di parlargli da solo a solo. Emilia restò colla signora Quesnel, e fu tosto informata come per quel giorno istesso fosse stata invitata una società numerosa: essa fu costretta di sentirsi dire che una perdita irrimediabile non deve privare di verun piacere.

Quando Sant'Aubert seppe di questo invito, sentì un misto di disgusto e d'indignazione per l'insensibilità di Quesnel, e fu quasi tentato di tornarsene al momento al suo castello; ma sentendo che, a suo riguardo, era stata invitata a venire anche la signora Cheron, e considerando che Emilia avrebbe potuto un giorno provare le conseguenze dell'inimicizia d'un simile zio, non volle esporvela; d'altra parte, la sua istantanea partenza sarebbe parsa senza dubbio poco conveniente a persone, che mostravano nondimanco un sì fiacco sentimento delle convenienze.

Fra i convitati si trovavano due gentiluomini italiani, uno chiamato Montoni, parente lontano della signora Quesnel, dell'età circa quarant'anni, di ammirabile statura; avea fisonomia virile ed espressiva, ma in generale esprimeva la baldanza e l'alterigia, piuttosto che ogni altra disposizione.

Il signor Cavignì, suo amico, non mostrava più di trent'anni. Era ad esso inferiore di nascita, ma non in penetrazione, e lo superava nel talento d'insinuarsi. Emilia fu piccata del modo con cui la Cheron parlò a suo padre. « Fratello mio, » gli diss'ella, « mi spiace di vedervi di così cattiva ciera; dovreste consultare qualche medico. » Sant'Aubert le rispose, con malinconico sorriso, che presso a poco stava come al solito; ed i timori di Emilia le fecero trovare il padre cambiato assai più che realmente nol fosse. Se Emilia fosse stata meno oppressa, si sarebbe divertita, la diversità dei caratteri della conversazione durante il pranzo, e la magnificenza istessa con cui fu servito, molto al di sopra di tutto quanto aveva veduto fin allora, non avrebbero senza dubbio mancato di svagarla. Montoni, recentemente giunto dall'Italia, raccontava le turbolenze e le fazioni che agitavano quel paese. Dipingeva con vivacità i diversi partiti; deplorava le probabili conseguenze di quegli orribili tumulti. Il suo amico parlava con altrettanto ardore della politica della sua patria; lodava il governo e la prosperità di Venezia, e vantava la di lei decisa superiorità su tutti gli altri Stati d'Italia; si rivolse in seguito alle signore, e parlò colla medesima eloquenza delle mode, degli spettacoli, delle affabili maniere dei Francesi, ed ebbe l'accortezza di far cadere il suo discorso su tutto ciò che poteva lusingare il gusto di quella nazione: l'adulazione non fu conosciuta da coloro cui era indirizzata, ma l'effetto però che produsse sulla loro attenzione non isfuggì alla sua perspicacia. Quando potè disimpegnarsi dalle altre signore, si rivolse ad Emilia; ma essa non conosceva nè le mode, nè i teatri parigini, e la sua modestia e semplicità, e le sue belle maniere contrastavano forte col tuono delle compagne. Dopo il pranzo, Sant'Aubert uscì solo per visitare ancora una volta il vecchio castagno, che Quesnel pensava distruggere. Riposando sotto quell'ombra, guardò attraverso le folte sue frondi, e scorse tra le foglie tremolanti l'azzurra vôlta de' cieli; gli avvenimenti della sua gioventù presentaronsegli tutti insieme alla fantasia. Si rammentò gli antichi amici, il loro carattere, e perfino le loro fattezze. Da molto tempo essi non esistevano più; gli parve essere anch'egli un ente quasi isolato, e la sua Emilia sola poteva fargli amare ancora la vita.

Perduto nella folla delle immagini che gli presentava la sua memoria, giunse al quadro della moribonda sposa; sussultò, e volendo obliarla, se gli fosse stato possibile, tornò alla società.

Sant'Aubert fece attaccare la carrozza di buonissim'ora; Emilia si accorse per via ch'era più taciturno è più abbattuto del solito; essa ne attribuì la cagione alle memorie ricordategli da quel luogo, nè sospettò il vero motivo d'un dolore ch'egli non le comunicava.

Ritornati al castello, la di lei afflizione si rinnovò, e conobbe più che mai gli effetti della privazione di una madre tanto cara, che l'accoglieva sempre col sorriso e le più affabili carezze, dopo un'assenza anche momentanea. Or tutto era cupo e deserto.

Ma ciò che ottener non possono nè la ragione, nè gli sforzi, l'ottiene il tempo. Scorsero le settimane, e l'orrore della disperazione si trasformò a poco a poco in un dolce sentimento che il cuore conserva, e gli diventa sacro. Sant'Aubert al contrario, s'indeboliva sensibilmente, sebbene Emilia, la sola persona che non lo abbandonasse mai, fosse l'ultima ad accorgersene. La sua complessione non si era ristabilita dall'urto ricevuto nella malattia, e la scossa che provò alla morte della moglie, determinò il suo estremo languore: il suo medico lo consigliò di viaggiare. Era visibile come i suoi nervi fossero stati fortemente attaccati dall'accesso del dolore; e si credeva che il cambiamento dell'aria ed il moto, calmandone lo spirito, potessero riescire a restituirgli l'antico vigore.

Emilia si occupò quindi dei preparativi, e Sant'Aubert dei calcoli sulle spese del viaggio. Bisognò congedare i servi. Emilia, che si permetteva rare volte di opporre alla volontà del padre domande od osservazioni, avrebbe voluto non ostante sapere per qual motivo, nel suo stato infermiccio, egli non si riservasse almeno un servitore. Ma quando, la vigilia della partenza, si accorse che Giacomo, Francesco e Maria erano stati licenziati, e conservata soltanto Teresa, sua antica governante, ne fu estremamente sorpresa, ed arrischiò di domandargliene il motivo… « Lo faccio per economia, » le rispose egli; « noi intraprendiamo un viaggio molto dispendioso. » Il medico aveva prescritto l'aria di Linguadoca e di Provenza: Sant'Aubert risolse adunque d'incamminarsi lentamente verso quelle province, costeggiando il Mediterraneo.

Si ritirarono di buon'ora nelle loro camere la sera precedente alla partenza. Emilia doveva porre in ordine alcuni libri e qualche altra cosa; suonò mezzanotte prima che avesse finito; si ricordò dei suoi disegni, cui voleva portar seco, e che aveva lasciati nel salotto. Vi andò, e, passando vicino alla camera del padre, ne trovò la porta socchiusa, e credè che fosse nel suo gabinetto, come solea fare tutte le sere dopo la morte della moglie. Agitato da insonnii crudeli, lasciava il letto, e andava in quella stanza per procurare di trovarci il riposo. Quando essa fu in fondo alla scala, guardò nel gabinetto, ma nol vide. Nel risalire, bussò leggermente all'uscio, non ricevè nessuna risposta, e si avanzò pian piano per sapere ove fosse.

La camera era oscura, ma attraverso alla porta vetrata si scorgeva un lume nel fondo di una stanza attigua. Emilia era persuasa che suo padre stava là dentro; ma temendo che a quell'ora egli vi si trovasse incomodato, volle andar ad assicurarsene. Considerando però che una sì improvvisa apparizione l'avrebbe forse spaventato, lasciò fuori il lume, e si avanzò pian piano verso la stanza. Là, essa vide il padre seduto innanzi ad un tavolino, e scorrendo parecchie carte, alcune delle quali assorbivano la sua attenzione, e gli strappavano sospiri e per fino singulti. Emilia, la quale non si era avvicinata alla porta se non per assicurarsi dello stato di salute del padre, fu trattenuta in quel momento da un misto di curiosità e di tenerezza. Non poteva essa scuoprire le sue pene, senza desiderare di saperne eziandio la causa. Continuò ad osservarlo in silenzio, non dubitando più che quelle carte non fossero altrettante lettere. D'improvviso, ei si pose in ginocchio in un atteggiamento più solenne che fin allora non l'avesse veduto; ed in una specie di smarrimento che somigliava molto all'orrore, fece una lunghissima preghiera. Il di lui volto era coperto da mortal pallore quando si alzò. Emilia pensava a ritirarsi, ma lo vide avvicinarsi di nuovo alle carte, e si trattenne. Egli prese un piccolo astuccio, e ne levò una miniatura: il lume, che ci rifletteva sopra, le fece distinguere una donna, e questa donna non era sua madre!

Sant'Aubert guardò il ritratto con viva espressione di tenerezza, lo recò alle labbra, al cuore, e mandò sospiri convulsi. Emilia non poteva credere ai propri occhi, ignorando ch'egli possedesse il ritratto di un'altra donna fuor di sua madre, e specialmente poi che gli fosse tanto caro. Essa lo guardò di nuovo a lungo per trovarci l'effigie della genitrice, ma la di lei attenzione servì solo a convincerla essere quello il ritratto di un'altra donna. Finalmente, il padre lo ripose nell'astuccio, ed Emilia, riflettendo di avere indiscretamente osservati i di lui segreti, si ritirò il più adagio che le fu possibile.

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1

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