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CAPITOLO III

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Sant'Aubert, in vece di prendere la strada diretta che conduceva in Linguadoca, seguitando le falde dei Pirenei, preferì un cammino sulle alture, perchè offriva vedute più estese e più pittoresche. Uscì un poco di strada per congedarsi da Barreaux; lo trovò che erborizzava vicino al suo castello, e quando gli manifestò il soggetto della sua visita e la sua risoluzione, l'amico gli dimostrò una sensibilità di cui fino a quel punto Sant'Aubert non avevalo creduto capace. Si separarono con reciproco rammarico.

« Se qualcosa avesse potuto togliermi dal mio ritiro, » disse Barreaux, « sarebbe stato il piacere di accompagnarvi in questo viaggio; io non faccio complimenti, e potete credermi: attenderò il vostro ritorno con grande impazienza. »

I viaggiatori continuarono il loro cammino: nel montare in carrozza, Sant'Aubert si volse e vide il suo castello nella pianura. Idee lugubri gl'invasero lo spirito, e la sua immaginazione malinconica gli suggerì che non doveva più ritornarvi. Respinse questo pensiero, ma continuò a guardare il suo asilo fino a che la distanza non gli permise più di distinguerlo.

Emilia restò, come lui, in un profondo silenzio, ma dopo qualche miglio, la di lei immaginazione, colpita dalla maestosità degli oggetti circostanti, cedè alle impressioni più deliziose. La strada passava, ora lungo orridi precipizi, ora pei siti più deliziosi.

Emilia non potè trattenere i suoi trasporti, quando, dal mezzo de' monti e de' boschi di abeti, scoprì in lontananza immense pianure, sparse di ville, di vigneti e di piantagioni d'ogni specie. Le onde maestose della Garonna scorrevano in quella ricca valle, e dalla sommità dei Pirenei, d'onde ella trae origine, si conducevano verso l'Oceano.

La difficoltà di una strada così poco frequentata obbligò spesso i viaggiatori di camminare a piedi; ma si trovavano essi ampiamente ricompensati dalla fatica per la vaghezza dello spettacolo offerto dalla natura. Mentre il mulattiere conduceva lentamente la carrozza, avevano tutto il comodo di percorrere le solitudini e di abbandonarsi alle sublimi riflessioni che sollevano l'anima, la leniscono, e la riempiono in fine di quella consolante certezza che Iddio, è presente dappertutto. I godimenti di Sant'Aubert portavan l'impronta della sua meditabonda malinconia. Questa disposizione aggiunge un incanto segreto agli oggetti, e inspira un sentimento religioso per la contemplazione della natura.

I nostri viaggiatori si erano premuniti contro la mancanza degli alberghi, portando seco provvisioni; potevano dunque fare le loro refezioni a ciel sereno, e riposare la notte in qualunque luogo avessero trovato una capanna abitabile. Avevano egualmente fatte provvisioni per lo spirito, portando seco un'opera di botanica scritta da Barreaux, e qualche poeta latino o italiano. Emilia, d'altronde, aveva seco le matite, e tratto tratto disegnava i punti di vista che la colpivano maggiormente.

La solitudine della strada aumentava l'effetto della scena; appena incontravano essi di tempo in tempo un contadino coi muli, o qualche fanciullo che scherzava tra le rupi. Sant'Aubert, incantato di quella maniera di viaggiare, si decise di avanzare sempre nelle montagne finchè trovasse strada, e di non uscirne che al Rossiglione, vicino al mare, per passare quindi in Linguadoca.

Un po' dopo mezzodì giunsero in vetta d'un alto picco che dominava parte della Guascogna e della Linguadoca. Colà godevasi d'una folta ombra. Vi scaturiva una fonte, che, fuggendo sotto gli alberi fra erbosi margini, correva a precipitarsi al basso in brillanti cascatelle. Il suo lene murmure alfine perdevasi nel sottoposto baratro, ed il candido polvischio della sua spuma serviva solo a distinguerne il corso in mezzo ai negri abeti.

Il luogo invitava al riposo. Si ammannì il pranzo; le mule furono staccate, e l'erba che fitta cresceva quivi intorno, lor fornì copioso nutrimento.

Finito il pasto, Sant'Aubert prese la mano d'Emilia, e teneramente la strinse senza dir verbo. Poco stante, chiamò il mulattiere, e chiesegli se conoscesse una via tra i monti che guidar potesse nel Rossiglione. Michele rispose trovarsene parecchie, ma esserne poco pratico. Sant'Aubert, non volendo viaggiare se non fino al tramonto, domandò il nome di vari casali vicini, ed informossi del tempo cui impiegherebbero a giugnervi. Il mulattiere calcolò che si potea andare a Mateau, ma che, se si volesse movere verso mezzogiorno, dalla parte del Rossiglione, eravi un villaggio dove si giugnerebbe assai prima del tramonto.

Sant'Aubert s'appigliò a quest'ultimo partito. Michele finì il pasto, attaccò le mule, si ripose in via, e poco stante sostò. Sant'Aubert lo vide pregare appiè d'una croce piantata sulla punta d'una rupe all'orlo della strada; finita l'orazione, fe' schioccar la frusta e, senza riguardo alcuno per la difficoltà della via, nè per la vita delle povere mule, le spinse di gran galoppo sul margine d'uno spaventoso precipizio. Lo spavento d'Emilia le tolse quasi l'uso de' sensi. Suo padre, il quale temeva ancor più il pericolo di fermarsi d'improvviso, fu costretto a tornar a sedere, e tutto lasciare in balia alle mule, le quali parvero più savie del loro conduttore. I viaggiatori giunsero sani e salvi nella valle, e sostarono sul margine d'un ruscello.

Dimenticando ormai la magnificenza delle viste grandiose, internaronsi nell'angusta valle. Tutto quivi era solitario o sterile; non vi si vedea anima viva fuorchè il capriuolo montano, il quale, talfiata, mostravasi di repente sullo scosceso culmine di qualche inaccessibile dirupo. Era un sito qual l'avrebbe scelto Salvator Rosa, se avesse vissuto. Allora Sant'Aubert, colpito da tale aspetto, attendeasi quasi a veder isbucare da qualche antro vicino una torma di masnadieri, e tenea in mano le armi.

Intanto inoltravano, e la valle allargavasi, assumendo carattere meno spaventoso. Verso sera, trovaronsi sulle montagne, in mezzo a scopeti. Da lunge, intorno ad essi, il campanaccio degli armenti, la voce de' mandriani eran l'unico suono che udir si facesse; e la dimora de' pastori l'unica abitazione che là si scoprisse. Sant'Aubert notò che il lecce, il sovero e l'abete vegetavano per gli ultimi sulle vette circostanti. Ridente verzura tappezzava il fondo della valle. Scorgeasi nelle profondità, all'ombra di castagni e querce, pascere e saltellare grosse mandre, disperse od aggruppate con grazia; taluni animali dormivano presso la fresca corrente, altri vi spegnevano la sete, ed altri vi si bagnavano.

Il sole cominciava ad abbandonare la valle; i suoi ultimi raggi brillavano sul torrente, ravvivando i ricchi colori della ginestra e delle eriche fiorite. Sant'Aubert domandò a Michele quanto fosse distante il casale di cui avevagli parlato, ma esso non potè rispondergli con esattezza. Emilia cominciò a temere avesse smarrita la strada; non eravi ente umano che potesse soccorrerli, nè guidarli. Avevano lasciato da lunga mano dietro a sè e il pastore e la capanna, il crepuscolo scemava ognor più, l'occhio nulla potea discernere tra l'oscurità, e non distingueva nè casale, nè tugurio; una riga colorata segnava solo l'orizzonte, formando l'unica risorsa de' viaggiatori. Michele si sforzava di farsi coraggio cantando ariette, che per vero dire, non valevano molto a scacciare le idee lugubri, ond'erano occupati i viaggiatori.

Continuarono a camminare assorti in quei profondi pensieri cui seco traggono la solitudine e la notte. Michele non cantava più, e non si udiva che il mormorio della brezza nei boschi, nè si sentiva che la frescura. D'improvviso furono scossi dallo scoppio d'un'arme da fuoco; Sant'Aubert fece fermare la carrozza, e si pose ad ascoltare. Il romore non viene ripetuto, ma si sente correre nella macchia. Sant'Aubert prende le sue pistole, e ordina a Michele di accelerare il passo. Il suono di un corno da caccia fa rimbombare i monti; Sant'Aubert osserva, e vede un giovine slanciarsi nella strada, seguito da due cani; lo straniero era vestito da cacciatore; un moschetto ad armacollo, un corno alla cintura, ed una specie di picca in mano, davano una grazia particolare, alla sua persona, secondando l'agilità dei suoi passi.

Dopo un momento di riflessione, Sant'Aubert volle aspettarlo per interrogarlo sul casale cui cercava: il forestiere rispose che il villaggio era distante solo una mezza lega, che vi andava egli stesso, e gli avrebbe servito di guida; Sant'Aubert lo ringraziò, e colpito dalle di lui maniere semplici e franche, gli offrì un posto in carrozza. Lo straniero ricusò, assicurandolo che avrebbe seguito le mule senza fatica. « Ma voi sarete alloggiato male, » soggiuns'egli; « questi montanari sono gente poverissima; non solo non conoscono lusso, ma mancano eziandio delle cose reputate più indispensabili. – Mi accorgo che voi non siete di questo paese, » disse Sant'Aubert. – No, signore, io sono viaggiatore. »

La carrozza si avanzava, e l'oscurità crescente fe' meglio conoscere l'utilità di una guida; i sentieri poi che s'incontravano spesso, avrebbero aumentata la loro incertezza. Finalmente videro i lumi del villaggio: si distinsero alcuni casolari, o meglio si poterono discernere mercè il ruscello che ripercotea ancora il fioco chiaror del crepuscolo. Lo straniero si avanzò, e Sant'Aubert intese da lui non esistere in quel luogo nessun albergo, ma egli si offrì di cercare un ricetto. Sant'Aubert lo ringraziò, e siccome il villaggio era vicinissimo, scese per accompagnarlo, mentre Emilia li seguiva in carrozza.

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1

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