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CAPITOLO XIV

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Le carrozze furono di buon'ora alla porta: il fracasso dei servitori che andavano e venivano per le gallerie, svegliarono Emilia da un sonno affannoso. Il suo spirito agitato le aveva rappresentato tutta notte le immagini più spaventose ed il più tristo avvenire. Fece ogni sforzo per bandire queste sinistre impressioni, ma passava da un male immaginario alla certezza d'un male reale. Rammentandosi che aveva lasciato Valancourt, e forse per sempre, il cuore le mancava a misura che la sua immaginazione se lo rappresentava lontano; questi sforzi spargevano sulla di lei fisonomia un'espressione di rassegnazione, come un legger velo rende la bellezza più interessante nascondendone soltanto qualche debole tratto. Ma la signora Montoni notò il di lei pallore straordinario, e la rimproverò severamente; disse alla nipote che male a proposito si era abbandonata ad inquietudini fanciullesche, che la pregava di osservare un po' più il decoro, e non lasciar trasparire che fosse incapace di rinunziare ad un affetto poco conveniente. Fu servita la colazione: Montoni parlò pochissimo, e parve impaziente di partire. Le finestre della sala guardavano sul giardino, e nel passarvi vicino, Emilia non potè fare a meno di dare un'occhiata a quel luogo, ove, nella notte precedente, erasi separata da Valancourt. Gli equipaggi erano già in ordine, ed i viaggiatori salirono in carrozza e si misero in cammino. Emilia sarebbe partita dal castello senza rammarico, se Valancourt non avesse abitato ne' dintorni.

Da una piccola eminenza, ella osservò le immense pianure della Guascogna, e le vette irregolari dei Pirenei che sorgevano da lontano sull'orizzonte, illuminate già dal sole nascente. « Care montagne, » diss'ella fra sè, « quanto tempo passerà prima ch'io vi rivegga! quante disgrazie in quest'intervallo, potranno aggravare la mia miseria! Oh! s'io potessi esser sicura di non ritornar mai più, ma che Valancourt vivesse un giorno per me, partirei in pace! Egli vi vedrà, vi contemplerà, mentr'io sarò lontana di qui. »

Gli alberi della strada, che formavano una linea di prospettiva alle immense distanze, stavano per nasconderne la vista; ma gli azzurri monti distinguevansi ancora traverso il fogliame, ed Emilia non si tolse dalla portiera fin quando non li ebbe totalmente perduti di vista.

Un altro oggetto risvegliò in breve la sua attenzione. Aveva essa osservato appena un uomo che camminava lungo la strada col cappello calato sugli occhi, ma ornato d'un pennacchino militare. Al rumore delle ruote egli si voltò, ed essa riconobbe Valancourt. Le fece un segno, si avvicinò alla carrozza, e dalla portiera le pose in mano una lettera. Si sforzò di sorridere in mezzo alla disperazione che vedevasegli dipinta sul volto; questo sorriso restò impresso per sempre nell'anima di Emilia: si affacciò allo sportello, e lo vide su d'una collinetta, appoggiato ad uno degli alberi che l'ombreggiavano; seguiva cogli occhi la carrozza, e stese le braccia; ella continuò a guardarlo fintantochè la lontananza non n'ebbe cancellati i lineamenti, e che la strada, svoltando, nol fece sparire affatto.

Si fermarono ad un castello poco lontano per prendervi Cavignì, e i viaggiatori percorsero le pianure della Linguadoca. Emilia fu relegata, senza riguardo, colla cameriera di sua zia nella seconda carrozza. La presenza di costei le impedì di legger la lettera di Valancourt, non volendo esporsi alle di lei probabili osservazioni sulla commozione che avrebbele cagionato la lettura della medesima. Nulladimeno, n'era tale la curiosità, che la sua mano tremante fu mille volte sul punto di romperne il sigillo. All'ora del pranzo, Emilia potè aprirla: essa non aveva mai dubitato de' sentimenti di Valancourt; ma la nuova assicurazione che ne riceveva, restituì un po' di calma al suo cuore. Bagnò la lettera con lacrime di tenerezza, e la mise da parte per leggerla quando sarebbe stata soverchiamente afflitta, e per occuparsi di lui meno dolorosamente di quello avesse fatto la loro separazione. Dopo molti dettagli che l'interessavano assai, perchè esprimevano il suo amore, ei la supplicava di pensar sempre a lui al tramonto del sole. « I nostri pensieri allora si riuniranno, » diceva egli; « io attenderò il tramonto colla maggiore impazienza, e godrò dell'idea che i vostri occhi si fisseranno in quel momento sopra i medesimi oggetti che i miei, e che i nostri cuori si comprenderanno. Voi non sapete, Emilia, la consolazione che me ne riprometto, ma mi lusingo che la proverete anche voi. »

È inutile dire con qual commozione Emilia aspettò tutto il giorno il tramonto del sole: lo vide finalmente declinare su d'immense pianure, lo vide scendere, ed abbassarsi dalla parte ove abitava Valancourt. Da quel momento il di lei spirito fu più tranquillo e rassegnato di quello nol fosse stato dopo il matrimonio di Montoni e di sua zia.

Per molti giorni i viaggiatori traversarono la Linguadoca, e quindi entrarono nel Delfinato. Dopo qualche tragitto pe' monti di quella provincia pittoresca, scesero dalle carrozze, e cominciarono a salir le Alpi. Qui si offrirono ai loro occhi scene così sublimi, che la penna non potrebbe imprendere a descriverle in verun modo. Queste nuove e sorprendenti immagini occuparono talmente Emilia, che talfiata le fecero allontanare l'idea costante di Valancourt. Più spesso esse le rinnovavano la rimembranza de' Pirenei, che avevano ammirati insieme, e di cui allora credeva che nulla superasse la bellezza. Quante volte desiderò di comunicargli le nuove sensazioni che l'animavano a questo spettacolo: quante volte si compiaceva essa d'indovinare le osservazioni ch'egli avrebbe fatte, e se lo figurava sempre vicino: queste idee nobili e grandiose davano alla di lei anima, ai di lei affetti una nuova vita.

Con quali vive e tenere emozioni si univa essa ai pensieri di Valancourt all'ora del tramonto! Vagando in mezzo alle Alpi, contemplava quell'astro maraviglioso che si perdeva dietro le lor vette, le cui ultime tinte morivano sulle punte coperte di neve, e questo teatro s'avvolgeva in una maestosa oscurità. Passato quel momento, Emilia distolse gli occhi dall'occidente col dispiacere che si prova alla partenza d'un amico. L'impressione singolare che spande il velo della notte, a misura che si svolge, veniva vie più accresciuta da quei sordi rumori che non si ascoltano mai se non al progressivo calar delle tenebre, e che rendono la calma generale assai più imponente: è il lieve stormir delle foglie, l'ultimo soffio della brezza che s'alza al tramonto, il mormorio dei vicini torrenti.....

Nei primi giorni di questo viaggio attraverso le Alpi, la scena rappresentava un avvicendarsi sorprendente di deserti e d'abitazioni, di colti e di terreni sterili. Sull'orlo di spaventosi precipizi, nelle cavità delle rupi, al disotto delle quali si vedeva una folta nebbia, si scoprivano villaggi, campanili e monasteri. Verdi pascoli, ubertosi vigneti, formavano un contrasto interessante co' sovrapposti massi perpendicolari, le cui punte di marmo o granito coronavansi di eriche, e non mostravano che rocce massicce ammucchiate le une sull'altre, terminate da monti di neve, d'onde cascavano i torrenti rumoreggianti in fondo alla valle.

La neve non era ancora sciolta sulle alture del Cenisio, che i viaggiatori traversarono con qualche difficoltà; ma Emilia, osservando il lago di ghiaccio, e la vasta pianura circondata da quelle rupi scoscese si raffigurò facilmente la bellezza di cui si sarebbero ornate allo sparir della neve.

Scendendo dalla parte dell'Italia, i precipizi divennero più spaventosi, le vedute più alpestri e maestose. Emilia non si stancava di guardare le nevose cime de' monti alle differenti ore del giorno: rosseggiavano al levar del sole s'infiammavano al mezzogiorno, e la sera rivestivansi di porpora; le tracce dell'uomo non si riconoscevano che alla zampogna del pastore, al corno del cacciatore, o all'aspetto d'un ardito ponte gettato sul torrente per servir di passaggio al cacciatore lanciato sull'orme del camoscio fuggitivo.

Viaggiando al di sopra delle nuvole, Emilia osservava con rispettoso silenzio la loro immensa superficie, che bene spesso cuopriva tutta la scena sottoposta, e somigliava ad un mondo nel caos; altre volte, nel diradarsi, lasciavano travedere qualche villaggio o una parte di quell'impetuoso torrente, il cui fracasso faceva rimbombar le caverne; si vedevano le rupi, le loro punte di ghiaccio, e le cupe foreste d'abeti che arrivavano alla metà delle montagne. Ma chi potrebbe descrivere l'estasi di Emilia quando scuoprì per la prima volta l'Italia! Dal ciglione uno dei precipizi spaventosi del Cenisio, che stanno all'ingresso di cotesto bel paese, gettò gli sguardi alle falde di quelle orride montagne, e vide le ubertose valli del Piemonte e l'immense pianure della Lombardia. La grandezza degli oggetti che le s'affacciarono improvvisamente, la regione de' monti, che sembravano accumularsi, i profondi precipizi sottoposti, quella cupa verzura d'abeti e di querce che ricuopriva le profonde voragini, i torrenti fragorosi, le cui rapide cascate sollevavano una specie di nebbia, e formavano mari di ghiaccio, tutto prendeva un carattere sublime e contrapposto alla quiete e alla bellezza dell'Italia; questa bella pianura che aveva per limiti l'orizzonte ne accresceva vie più lo splendore con le tinte cilestri che si confondevano coll'orizzonte medesimo.

La signora Montoni era spaventatissima osservando i precipizi, sull'orlo dei quali i portantini correvano con leggerezza pari alla celerità, e saltavan come camosci. Emilia tremava egualmente, ma i di lei timori erano un misto di sorpresa, d'ammirazione, di stupore e di rispetto, onde non avea mai provato nulla di simile.

I portantini si fermarono per prender fiato, ed i viaggiatori sedettero sulla cima d'una rupe. Montoni e Cavignì disputarono sul passaggio di Annibale attraverso le Alpi: quegli pretendeva che fosse entrato dal Cenisio, e questi sosteneva ch'era sceso dal San Bernardo. Questa controversia presentò all'immaginazione di Emilia tutto ciò che aveva dovuto soffrire quel famoso guerriero in un'impresa così ardita e perigliosa.

La signora Montoni intanto guardava l'Italia; contemplava essa coll'immaginazione la magnificenza dei palagi e la maestosità dei castelli dei quali andava ad esser padrona a Venezia e negli Appennini, e di cui si credea esser divenuta la principessa. Lungi dalle inquietudini che avevanle impedito a Tolosa di ricevere tutte le bellezze, delle quali il marito parlava con maggior compiacenza per la sua vanità, che riguardi pel loro onore e rispetto per la verità, la signora Montoni progettava accademie, sebbene non amasse la musica; conversazioni, sebbene non avesse verun talento per figurare nella società; in somma, essa voleva superare collo splendore delle sue feste e la ricchezza delle livree tutta la nobiltà di Venezia. Questa idea lusinghiera fu nonostante un poco turbata nel riflettere che il di lei sposo, quantunque si abbandonasse ad ogni sorta di divertimenti, quando se gli presentavano, affettava però il maggior disprezzo per la frivola ostentazione che suole accompagnarli. Ma pensando che il di lui orgoglio sarebbe forse più soddisfatto di spiegare il suo fasto in mezzo ai concittadini ed amici, di quello nol fosse stato in Francia, continuò a pascersi di queste illusioni, che non cessavano d'estasiarla.

A misura che i viaggiatori calavano, vedevano l'inverno cedere il posto alla primavera, ed il cielo cominciava a prendere quella bella serenità che appartiene soltanto al clima d'Italia. Il fiume Dora, che scaturisce dalle sommità del Cenisio, e si precipita di cascata in cascata attraverso i profondi burroni, si rallentava, senza cessare di esser pittoresco, nell'avvicinarsi alle valli del Piemonte. I viaggiatori vi discesero avanti il tramonto del sole, ed Emilia ritrovò ancor una volta la placida beltà d'una scena pastorale: vedeva armenti, colline verdeggianti di selve, e graziosi arboscelli quai ne avea visti sulle Alpi stesse: i prati erano smaltati di fiori primaverili, ranuncole e viole che non tramandano in verun altro paese un odore così soave. Emilia avrebbe voluto divenire una contadina piemontese, abitare quelle ridenti capanne ombreggiate alle rupi, avrebbe voluto menare una vita tranquilla in mezzo a quegli ameni paesaggi, pensando con ispavento alle ore, ai mesi intieri che avrebbe dovuto passare sotto il dominio di Montoni.

Il sito attuale le raffigurava spesso l'immagine di Valancourt; essa lo vedeva sulla punta d'uno scoglio osservando con estasi la stupenda natura che lo circondava; lo vedeva errare nella valle, soffermarsi spesso per ammirare quella scena interessante, e nel fuoco d'un entusiasmo poetico slanciarsi su qualche masso. Ma quando pensava in seguito al tempo e alla distanza che dovevano separarli, quando pensava che ciascuno de' suoi passi aumentava questa distanza, il cuore le si straziava, ed il paese perdeva ogni incanto.

Dopo aver attraversata la Novalese, essi giunsero verso sera all'antica e piccola città di Susa, che aveva altre volte chiuso il passaggio delle Alpi nel Piemonte. Dopo l'invenzione dell'artiglieria, le alture che la dominano ne hanno rese inutili le fortificazioni; ma, al chiaro della luna, quelle alture pittoresche, la città sottoposta, le sue mura, le sue torri ed i lumi che ne illuminavano porzione, formavano per Emilia un quadro interessantissimo. Passarono la notte in un albergo che offriva poche risorse; ma l'appetito dei viaggiatori dava un sapore delizioso alle pietanze più grossolane, e la stanchezza assicurava il loro sonno. In cotesto luogo, Emilia intese il primo pezzo di musica italiana su territorio italiano. Seduta dopo cena vicino ad una finestrella aperta, ella osservava l'effetto del chiaro di luna sulle vette irregolari delle montagne. Si rammentò che in una notte consimile aveva riposato su d'una roccia de' Pirenei col padre e Valancourt. Intese sotto di lei i suoni armoniosi d'un violino; l'espressione di quell'istrumento, in perfetta armonia coi teneri sentimenti nei quali era immersa, la sorpresero e l'incantarono a un tempo. Cavignì, il quale si avvicinò alla finestra, sorrise della sua sorpresa.

« Eh! eh! » le diss'egli; « voi ascolterete la medesima cosa, forse in tutti gli alberghi: dev'essere un figlio del locandiere quello che suona così, non ne dubito. »

Emilia sempre attenta, credeva udire un artista: un canto melodioso e querulo la piombò a grado a grado nella meditazione; i motteggi di Cavignì ne la trassero sgradevolmente. Nel tempo istesso Montoni ordinò di preparare gli equipaggi di buon'ora, perchè voleva pranzare a Torino.

La signora Montoni godeva di trovarsi alfine in una strada piana: raccontò lungamente tutti i timori provati, obliando senza dubbio che ne faceva la descrizione ai compagni dei suoi pericoli; ed aggiunse che sperava presto perder di vista quelle orribili montagne. « Per tutto l'oro del mondo, » diss'ella, « non farei un'altra volta l'istesso viaggio. » Si lamentò di stanchezza, e si ritirò di buon'ora. Emilia fece altrettanto, ed intese da Annetta, la cameriera di sua zia, che Cavignì non erasi ingannato a proposito del suonatore di violino. Era colui il figlio di un contadino abitante nella valle vicina, che andava a passare il carnevale a Venezia, e ch'era creduto molto amabile. « Quanto a me, » disse Annetta, « preferirei vivere in queste boscaglie, e su queste belle colline, che andare in una città. Si dice che noi non vedremo più nè boschi, nè montagne, nè prati, e che Venezia è fabbricata in mezzo al mare. »

Emilia convenne con Annetta, che quel giovane perdeva molto nel cambio, poichè lasciava l'innocenza e la bellezza campestre, per la voluttà di una città corrotta.

Quando fu sola, non potè dormire. L'incontro di Valancourt, e le circostanze della loro separazione, non cessarono di occupare il suo spirito, ritracciandole il quadro di un'unione fortunata in seno della natura, e della felicità dalla quale temeva d'essere lontana per sempre.

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 2

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