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CAPITOLO XLII

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La notte seguente, all'istessa ora circa, Dorotea venne a prendere Emilia e portò le chiavi dell'appartamento della marchesa, che si trovava dalla parte opposta, al nord. Dovevano passare vicino alle stanze della servitù, e Dorotea desiderava sfuggire alle loro osservazioni. Volle dunque aspettare un'altra mezz'ora ond'assicurarsi che tutti i servitori dormissero. Era quasi un'ora dopo mezzanotte allorchè si misero in cammino. Dorotea andava innanzi e portava il lume; ma il suo braccio, indebolito dal timore e dalla vecchiaia, tremava sì forte, che Emilia, presa ella stessa la lucerna, s'offrì a sostenere i di lei passi mal sicuri. Bisognava scendere lo scalone, traversare gran parte del castello, e salire l'altro situato al nord. Non incontrarono nulla che alterasse vie maggiormente la loro agitata fantasia, e giunte in cima alla scala Dorotea mise la chiave nella serratura. « Ah! » diss'ella sforzandosi di girarla; « è chiusa da tanto tempo, che forse la ruggine non ci permetterà di aprirla. » Emilia però, più destra di lei, girò la chiave, aprì la porta, ed entrarono in una stanza antica e spaziosa.

« Dio buono! » disse Dorotea nell'entrare; « l'ultima volta che son passata da questa porta, io seguiva la salma della mia povera padrona! »

Traversarono una fila di stanze, e giunsero in un salotto adorno ancora con magnificenza.

« Riposiamo qui un momento, » disse Dorotea; « quella è la porta della camera, in cui è morta la padrona. Ah! signorina, perchè mi avete fatto venir qua? »

Emilia, vedendo la povera vecchia in uno stato compassionevole, la fece sedere e procurò di tranquillarla.

« Come la vista di questo appartamento mi richiama alla memoria l'immagine del tempo passato! Mi pare che fosse ieri. »

– Zitto! qual rumore è questo? » disse Emilia.

Dorotea, spaventata, guardò per tutta la camera; ascoltarono ma non intesero nulla. La vecchia allora riprese il soggetto del suo dolore: « Questo salotto era, al tempo della signora, la più bella stanza del castello. Era mobiliato all'ultimo gusto. Tutti questi mobili vennero da Parigi; quei grandi specchi sono di Venezia. Questi arazzi erano in ispecie ammirati da tutti; rappresentano essi un'istoria che si trova in un libro, di cui ora non mi ricordo il nome. »

Emilia si alzò per esaminarli. Alcuni versi in provenzale, in fondo ai medesimi, le fecero riconoscere la storia di Coriolano.

Dorotea essendosi alquanto rimessa, aprì finalmente la porta fatale. Entrarono in una camera cupa e spaziosa. La custode si abbandonò tosto su d'una sedia esalando profondi sospiri, e ardiva appena alzar gli occhi. Emilia osservò il letto ove dicevasi morta la marchesa. Era parato di damasco verde. Un gran panno di velluto nero lo cuopriva fino a terra. Mentre la fanciulla, col lume in mano, girava intorno alla camera: « Dio buono! » esclamò Dorotea; « mi par di veder la mia padrona distesa su quel letto, come la vidi per l'ultima volta. Ah! » soggiunse ella piangendo ed appoggiandosi al letto; « io era qui quella notte terribile: le teneva la mano; intesi le sue ultime parole, vidi tutti i suoi patimenti, e spirò fra le mie braccia.

– Non vi abbandonate a queste funeste rimembranze, » disse Emilia; « usciamo e mostratemi il ritratto di cui mi parlate.

– Egli è nel gabinetto, » rispose Dorotea, mostrandole un uscio. L'aprì, ed entrarono ambedue nel gabinetto della marchesa.

« Aimè! eccola là, » disse la custode, additando un quadro. « Ecco com'era allorchè giunse qui. Vedete bene ch'era fresca quanto voi. »

Mentr'ella continuava a smaniarsi, Emilia osservava attenta il ritratto, che somigliava moltissimo alla miniatura trovata fra le carte di Sant'Aubert: eravi soltanto una piccola differenza nell'espressione della fisonomia, e le parve riconoscere nel quadro un'ombra di quella malinconia pensierosa che caratterizzava sì forte il ritratto in miniatura.

« Vi prego, signorina, » disse Dorotea, « di situarvi presso questo quadro, affinchè io possa confrontarvi. »

Emilia la compiacque, e la vecchia rinnovò gli atti di sorpresa sulla di lei somiglianza. La fanciulla tornò a guardare, e le parve d'aver veduta in qualche parte una persona simigliante al ritratto; ma non potè rammentarselo bene. In quel gabinetto eranvi tuttavia molte cose d'uso della defunta, un abito, una sottana, un cappello, scarpe e guanti gettati là sul tavolino, come se li avesse cavati poco prima: eravi inoltre un gran velo nero ricamato; Emilia lo prese in mano per esaminarlo, ma si avvide tosto che cadeva in pezzi per vetustà; lo depose, e scorrendo il gabinetto, tutti gli oggetti le pareano parlar della marchesa.

Rientrata nella camera, Emilia volle vedere di nuovo il letto; osservando la punta bianca del guanciale che usciva di sotto al velluto nero, le parve scorgere un movimento. Senz'aprir bocca prese il braccio di Dorotea, la quale, sorpresa dall'azione e dal terrore di lei, rivolse gli occhi verso il letto, e vide il velluto sollevarsi ed abbassarsi; Emilia volle fuggire, ma la vecchia, cogli occhi fissi sul letto, le disse: « E il vento, signorina; abbiamo lasciato tutte le porte aperte. Vedete come l'aria agita anche il lume; è il vento sicuramente. »

Appena ebbe detto così, il panno si agitò con maggior violenza. Emilia, vergognandosi del suo timore, si riavvicina al letto, volendo assicurarsi se il vento solo le avesse impaurite: osserva attentamente, il velluto si agita ancora, si solleva e lascia vedere… una figura umana. Misero entrambe un grido spaventoso, e lasciando le porte aperte, fuggirono a precipizio. Allorchè giunsero alla scala, Dorotea aprì una camera, in cui dormivano due serve, e cadde svenuta sul letto. Emilia, abbandonata dalla sua solita presenza di spirito, fece un debole sforzo per nascondere alle donne stupefatte la vera cagione del suo terrore. Dorotea, riavendosi, si sforzò di ridere del suo timore; ma quelle serve, giustamente allarmate, non poterono risolversi a passare il resto della notte in vicinanza del terribile appartamento.

La custode condusse Emilia alle sue stanze, ove parlarono con più calma del caso strano. Quest'ultima avrebbe quasi dubitato di quella visione, se la vecchia non glie ne avesse attestata la realtà. Le domandò dunque se era ben sicura che qualcuno non si fosse introdotto segretamente colà: essa le rispose che le chiavi non erano mai uscite dalle sue mani, e facendo spesso la ronda, aveva più volte esaminata quella porta, e trovatala sempre chiusa.

« È dunque impossibile, » soggiunse ella, « che nessuno siasi introdotto in quelle stanze, e quando avessero potuto farlo, com'è probabile che abbiano scelto d'andar a dormire in un luogo così freddo e solitario! »

Emilia le fece osservare che la loro gita notturna poteva essere stata spiata; che forse qualcuno, per burla, le aveva seguite coll'intenzione di far loro paura, e che, mentre esaminavano il gabinetto, erasi nascosto nel letto. Dorotea convenne da principio che la cosa era possibile, ma si rammentò quindi che, entrando, aveva per precauzione levata la chiave della prima porta, e chiusala di dentro. Non eravi dunque potuto penetrare alcuno, e Dorotea affermò che il fantasma veduto non aveva nulla d'umano, ed era una spaventevole apparizione.

Emilia era molto commossa; di qualunque natura fosse quell'apparizione, umana o soprannaturale, il destino della marchesa era una verità incontrastabile. L'inesplicabile incidente accaduto nel luogo istesso dov'era morta, incusse ad Emilia un timore superstizioso. Scongiurò Dorotea di non parlare di quel caso a chicchessia, perchè il conte non fosse importunato da rapporti che avrebbero potuto spargere l'allarme in tutta la casa.

La vecchia acconsentì, ma si rammentò allora che l'appartamento era rimasto aperto, e non si sentì il coraggio di tornar sola a chiuderlo. Emilia, vincendo i suoi timori, le offrì di accompagnarla sino in fondo alla scala, ed ivi aspettarla. Rianimata da tale compiacenza, Dorotea andò nel modo proposto, e si contentò di chiuder la prima porta e poi raggiungere Emilia. Avanzandosi lungo l'andito che conduceva nella sala, udirono sospiri e lamenti che sembravano venire dal salone medesimo. Emilia ascoltò attenta, e riconobbe subito la voce di Annetta, che, spaventata dal racconto fattole dalle due serve, e non credendosi sicura che vicino alla padrona, andava a rifugiarsi da lei. Emilia cercò indarno di tranquillarla; ebbe pietà del suo spavento, ed acconsentì a lasciarla dormire nella sua camera.

I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4

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