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PULZELLA GAIA CANTARE PRIMO
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Intendete me ora tutti quanti in cortesia ed in buona ventura: dire vi vo' de' cavalieri erranti, ch'al tempo antico andava all'avventura. In corte allo re Artú sedean davanti, secondo come parla la scrittura, incominciando di messer Troiano, che fece un vanto con messer Galvano.
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Messer Troiano disse:—O compagnone con teco i' voglio impegnare la testa, chi addurrá piú bella cacciagione di nullo cavalier di nostra gesta.— Quando elli fecion la impromissione, al re e alla reina fe' richiesta; e ciaschedun la lesta sí impegnava, chi cacciagion piú bella appresentava.
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Entrati i cavalieri a quelle imprese, inverso 'l bosco preson lor cammino. Messer Troiano una cerva sí prese, ch'era piú bianca di un armellino. E tuttavia la menava palese: veder la potea grande e piccolino. Davanti lo re Artú saluta e inchina; poi presentolla a Ginevra regina.
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Messer Galvan cavalca alla boscaglia: allo levar del sole ebbe trovato una serpe, che 'l chiese di battaglia; sopra lo scudo ella li s'ha gittato. Messe mano alla spada, che ben taglia, credélla aver ferita nel costato: la serpe, che sapeva ben scremire, messer Galvan non la puote ferire.
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Infin a mezzogiorno ha contrastato messer Galvan con quella sozza cosa; un solo colpo non li può aver dato, tant'era quella serpe poderosa. L'elmo e lo scudo aveva infiammato; messer Galvano non trovava posa. Messer Galvano disse:—Aimè lasso! che sozza cosa m'ha condotto al basso!—
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Messer Galvano a terra si smontava, e disse:—Lasso! ch'io mi rendo morto. La serpe andava a lui e sí parlava, e disse:—O cavalier, prendi conforto.— E dolcemente lei lo addimandava: —Dimmi la veritade, o giglio d'orto, per cortesia e per amor di donna: saresti della Tavola ritonda?—
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Messer Galvano allor li rispondía, e nello cuore avea fuoco ed ardura; delle man per lo viso e' si fería, vedendo quella sí sozza figura: —Della Tavola esser mi credía; or non son piú, per la disavventura, a dir ch'io sia, e non avere ardire sí sozza cosa conduca al morire!—
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La serpe disse:—Deh! non ti sdegnare, o cavaliero, se tu non m'hai morta. Quanti n'è qui e n'è di lá dal mare de' piú pro' cavalieri che arme porta, un solo colpo non mi potria dare, tanto io sono poderosa e accorta. Giá piú di mille aggio discavalcati: tu se' lo fior di quanti n'ho trovati.—
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Disse messer Galvano:—Io non mi sdegno se non per tanto ch'io non ho la morte, da poi che piace all'alto Dio del regno che la sventura mia sia tanto forte, che cosí sozza cosa con suo ingegno m'abbia condotto a cosí mala sorte. Dammi la morte e piú non indugiare, ch'io non ti vo' veder piú, né parlare.—
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La serpe disse:—O sire, in cortesia, dimmi 'l tuo nome e non me lo celare; ch'è un gentil cavaliere in fede mia, che lungo tempo l'ho avuto a amare. Se tu se' desso, o dolce anima mia, di ricche gioglie t'averò a donare; che mai piú ricca gioglia né piú bella non ebbe cavalier che monti in sella.—
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Messer Galvan rispose:—Altri che Dio di te non poría fare cosa bella; ma, poi che vuoi saver lo nome mio, lo sire Lancilotto ogn'uom m'appella.— La serpe li pon mente con disio, e disse:—Tu m'inganni alla favella. Di arme ho avuto a far con Lancilotto: tu se' di lui molto piú saggio e dotto.—
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Messer Galvano sí prese a parlare, e sí li disse molto umile e piano: —Ora m'intendi, pessima mortale— e l'elmo si cavòne con la mano, —vegno appellato da tutti 'l liale e avventuroso cavalier Galvano. Se da te scampo ch'io non sia morto, i' prenderò allegrezza e gran conforto.—
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La serpe l'udía molto volentieri; di quella forma s'ha strafigurata: piú bella che una rosa di verzieri si fece una donzella dilicata; e disse:—Ora m'abbraccia, o cavalieri, ch'io sono la tu' amanza a sta fiata.— Puoseli 'l braccio al collo e l'ha abbracciato, dicendo:—Tu se' quel c'ho disiato.—
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Messer Galvano allor ne fu gioioso, e di buon cuore abbracciò la donzella. Ed ella:—O cavaliero avventuroso piú che nullo che mai montasse in sella!— E lui li disse:—O bel viso amoroso, voi che parete in tutto un'angiolella, dite chi sète e di cui sète nata, voi che parete un'angiola informata.—
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La donzella rispose umile e piana:
—Io tel dirò, da poi che 'l vuoi sapere.
Figliuola i' son della fata Morgana,
di quella donna che guarda l'avere.
Molto gran tempo i' son stata lontana,
e sí t'ho disiato pur vedere.
Pulzella Gaia m'appella la gente:
or di me prendi gioia allegramente.—
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Messer Galvan non fece piú dimore, abbracciò la donzella, a quel ch'io sento, e della rama ben ricolse il fiore della donzella piena d'olimento. E disse:—Ogni bellezza, o dio d'amore, m'avete data qui a compimento!— E cosí stetton fin nona passata Galvano con la rosa imbalconata.
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Messer Galvano allor s'arricordava della testa ch'avea messa al paraggio; forte cominciò a pianger, lagrimava, perduto ebbe 'l colore del visaggio. La damigella allora li parlava, dicendo:—Cavaliero pro' e saggio, la veritá mi di' senza tardanza: forse non t'è 'n piacer ch'io sia tu' amanza?—
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Messer Galvano disse:—Anima mia, di te mi tegno ricco e piú pagato che se lo mondo avessi in mia balía e 'l paradiso poi mi fosse dato. Ma da te mi part'or con gran dolía, mai non credo vederti in nessun lato. A corte e' mi conviene andar morire, c'ho fatto un vanto, e nol posso fornire.—
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E la Pulzella disse:—O amor mio, to' questo anello e teco il porterai. Quante cose che son di sotto a Dio, se tu gliele addimandi, tu le avrai. E, quando mi vorrai al tuo desio, a questo anello m'addomanderai. Ma non manifestar la gioia avuta, ché l'anel la vertú avria perduta.—
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Messer Galvano alla Pulzella giura di quella gioi' mai non manifestare, e infin la sera, appresso a notte scura, di lei e' non potevasi saziare. La serpe ritornò in sua figura; messer Galvano prese a cavalcare; e 'l primo don, che dimandò all'anello, si fu un destriero poderoso e bello.
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E lo destrier li si fu appresentato; davanti gliel menava uno scudieri. Messer Galvano suso fu montato, e gioioso cavalca pel sentieri. Poi dimandò che presto li sia allato immantinente cento cavalieri, e dodici baron feriti a morte, che per prigioni andassono alla corte.
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Poi dimandò una nuova cacciagione, che piedi di caval di drieto avesse, e quei davanti piedi di grifone, la coda d'uno pesce fatta avesse, e le ali con le penne di pavone, lo viso d'una femmina paresse, e un occhio avesse negro e l'altro bianco: sí nuova fiera non fu vista unquanco.
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Li baroni sí giunsono alla corte e di messer Galvan fecion richiamo, che lui li avea feriti tutti a morte, —E noi per suo' prigioni ci rendiamo.— Poi con letizia giunse il baron forte, e i cavalier tutti incontra li andârno. Per vedere la caccia ch'ei menava molti baroni incontra si li andava.
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Messer Galvan con cento cavalieri molto gioioso venía cavalcando; ciascuno aveva accanto 'l suo scudieri, con due poi drieto, in mezzo lor menando la nuova fiera sopra d'un destrieri: intorno tutti l'andavan guardando; giá non aspetta la madre la figlia per andar a veder tal meraviglia.
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Piccoli e grandi, ognun sí l'inchinava; tutti dicevan:—Ben vegna 'l barone!— e quella nuova fiera, ch'ei menava, alla reina sí l'appresentòne. E la reina quella sí accettava, e in una zambra la messe al balcone; e tutti quei che quella sí vedeva molta gran meraviglia sen faceva.
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Troiano avea paura di morire, e della corte tosto si partía. Messer Galvano si puose a dormire, e fu svegliato all'alba della dia. Ed all'anello tosto prese a dire: —Ora ti priego, non fare indugía! e tosto e di presente fa' che appaia nelle mie braccia la Pulzella Gaia.—
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Dappoi li fu in piacer ch'ella venisse, e la Pulzella fu nelle suo bracce; entrambi duo pareva che morisse; piú si distendon che non fanno l'acce. E la Pulzella a lui quivi sí disse: —Fa' che lo nostro amor non si discacce! non lo manifestare e non lo dire, se questa gioglia tu non vuoi fornire.—
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Messer Galvan rispose:—Non dottare! Or per la terra ogni dí egli armeggiava; tutta la gente fea meravigliare per la grande allegrezza ch'ei menava. E la reina lo fece chiamare, e in una zambra lei sí lo guidava. Di ricche gioglie li mostrò per certo: di sua persona li parlò scoverto.
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Messer Galvan non ne vòlse far niente della regina suo vil piacimento. E la regina fe' venir presente donne e donzelle, e fece un torniamento. Li cavalieri, armati immantinente, fûr sul palazzo senza restamento. —Ciascun si vanti—disse la reina, —ch'io vo' sapere chi ha gioia piú fina.
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Tutte le donne e tutte le donzelle e i cavalier si presono a vantare ciascuno delle gioie le piú belle, e quelle poi li convenía provare. Messer Galvano stava in mezzo d'elle, e poi e' cominciò cosí a parlare: —Dappoi che ciascheduno s'è vantato, io sopra ciò non voglio aver parlato.—
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La regina chiamò messer Galvano, e li disse:—O malvagio iscognoscente, di questa corte tu se' 'l piú villano: tu non ti vanti di nulla al presente, ora ti dái un vanto piú sovrano di nullo cavaliero immantinente. Se tu se' cotal uom come ti fai, sovr'ogni cavalier ti vanterai.—
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Allor messer Galvan disse:—Io mi vanto, e d'està cosa i' mostrerò certanza: io son avventuroso di cotanto piú d'ogni cavalier che porti lanza; e chi cercasse il mondo tutto quanto, non troveria una sí bella amanza come è la mia gentile damigella; e quella è il fiore d'ogni donna bella.—
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E la reina disse a tutti quanti: —Lo bando della corte ora intendete, conti e baroni e cavalieri erranti, piccoli e grandi, quanti voi qui sète. Ciascheduno che s'hanno dato vanti, il terzo giorno a me ritornerete. Chi s'è vantato, e nol possa provare, tosto la testa li farò tagliare.—
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La baronia di corte fu partuta; messer Galvano in suo zambra fu ito, ed all'anello disse:—Ora m'aiuta! tosto ti muovi, o messaggiero ardito, e la Pulzella Gaia mi saluta: di' ch'ella vegna col viso chiarito.— La vertú dell'anello era mancata, per quella gioia c'ha manifestata.
35
Messer Galvano forte lagrimava,
e disse:—Lasso! ch'io mi rendo morto.—
E a quell'anello pur si richiamava:
—Di quel ch'io dissi i' non mi fui accorto!—
e fortemente lui lo scongiurava:
—Or mi soccorri, ch'io son a mal porto!—
All'anel non valea lo scongiurare,
ché piú vertude e' non poteva fare.
36
E 'l terzo giorno disse la regina:
—Ciascuno del suo vanto sia fornito.—
Messer Galvan di pianger non rifina,
e nello viso tutto era smarrito.
E sí chiamava:—O giovane fantina,
Pulzella Gaia dal viso chiarito:
se a te pur piace ch'io non sia morto,
ora mi scampa, ch'io son a mal porto!—
37
Del terzo giorno fu il termin passato, all'anel non valea lo scongiurare; e per Galvano allora fu mandato, che tosto ei si dovesse apparecchiare venire a corte, dove è giudicato che a lui bisogna la testa tagliare. Drappi di seta nera ei s'è vestito: messer Galvano alla corte fu ito.
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Disse lo re Artú:—Vegnami avanti lo ciocco, e la mannaia, e la mazza, con i baroni e cavalieri erranti, e tosto tutti vadan ver' la piazza.— Piangendo se ne andavan tutti quanti; messer Galvano ciascuno sí abbraccia. Donne e donzelle, tutte allor piangea d'un sí pro' cavalier ch'elli perdea.
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Messer Galvan, lo nobile barone, lo ciocco e la mannaia lui portava; e questo fea perch'elli era ragione; ed aveal tolto a colui che 'l guidava, dicendo:—Poi ch'i'ho fatto tradigione alla Pulzella, che tanto mi amava, dappoi ch'i'ho fallato allo mio amore, ben è ragion ch'io muora con dolore.—
40
Messer Galvano alla piazza ne andava: di seta un drappo li fu appresentato. Messer Galvano suso si montava, lo ciocco e la mannaia have posato. Tutti li cavalier gran duol menava del buon Galvano, cavalier pregiato; e poi ciascuno indrieto torna presto: sua cruda morte non vuol aver visto.
41
Messer Galvano sí prese a parlare, e disse allo re Artú:—Or m'intendete: la baronia fate presto tornare; questa grazia, per Dio, mi concedete! Da tutti quanti mi vo' accombiatare; sarò contento, se 'l don mi farete. Tutti i baroni che son scritti in corte sí vegnano a vedere la mia morte.—
42
Lo re Artú sí li fece tornare; tutti a messer Galvan furono intorno; e tutti quanti aveano a lagrimare, e da messer Galvan s'accombiatôrno. Messer Galvano si prese a parlare: —Della mia morte non sono musorno. L'anima mia ne raccomando a Dio: morir vo', giacché piace all'amor mio.—
43
Galvano al ciocco allor s'inginocchiava, e sí chiamava:—O rosa imbalconata, poi che t'è a grado, morir non mi grava, la mia morte si fu ben meritata. Merta morire mia persona prava. Dove sei tu, o donna delicata? Pure una volta veder ti vorria; poi di morir non mi rincresceria.
44
Allora la Pulzella con pietade, per camparlo da morte e darli vita, tosto sí corse inver' quelle contrade; drappi di seta nera fu vestita. Molto gioiosa per quei sentier vade; mai non fu vista donzella sí ardita. E, per camparlo, lei si messe in via con molta gente e gran cavalleria.
45
E la Pulzella fece suo' richieste, ben trentamila giovani donzelle; tutte di seta nera fûr suo' veste, e quelle eran lucenti piú che stelle; e via cavalcan per ogni foreste. Ben eran venti schiere tutte belle; ciascuna aveva mille cavalieri, e buone arme e correnti destrieri.
46
Allora la Pulzella molto presta tostamente cavalca in quella parte, appresso a Camellotto senza resta, secondo come dicono le carte; tamburi e trombe, che parea tempesta; e queste gente fea venir per arte. Lo re Artú, quando questo ascoltava, al buon Galvano la morte indugiava.
47
Tutti li cavalier della ventura vedere andavan quella turba magna. Tosto elli corson, preson l'armadura, e cavalcâro verso la campagna. Di quella gente avevan gran paura, che coverto era 'l piano e la montagna. Messer Galvan davanti dalle schiere feridor lui vuoi esser lo primiere.
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Pulzella Gaia sua magna bandiera in questa ora lá fece fermare. Quando lá apparve la chiarita spera, tutta la gente fe' meravigliare. E lei si trasse fuori d'ogni schiera, e fortemente prese a biastemare: —O cavalier, cattivo e disliale, che l'alto Iddio si ti metta in male!
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O dislial, perché m'hai palesata? Mala ventura a chi ti cinse spada! La piú gentil donzella hai ingannata che si trovasse per ogni contrada; onde per te io sono imprigionata; ben vo' morir, dappoi ch'ella t'aggrada. Mia madre mi dará prigion sí forte, che meglio mi saría aver la morte.—
50
E l'uno e l'altro sí forte piangía, e intrambi duo sí si abbracciava. Lo re, tutta la corte li vedia, di suo' bellezze si meravigliava. E la Pulzella Gaia in quella dia dal buon Galvano sí s'accombiatava. E disse:—Amanza ti convien trovare: piú non potra'mi veder né parlare.—
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Pulzella Gaia di qui fu partuta, e ritornò alla savia Morgana. Quando la madre allora l'ha veduta, sí li disse:—Or donde vieni, puttana?— E po' in prigione lei l'ebbe mettuta in una torre, ch'è tanto sottana; non vedea luce, sol, luna né stelle, e stava in acqua fino alle mammelle.