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CANTARE SECONDO
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Lo re Artú al cavalier parloe, e disse:—Ahi, messer Galvan giocondo! piú bella amanza tu ingannasti mòe, ch'avesse cavalier di questo mondo. Piú lucente che stella questa foe, le suo' bellezze non trovavan fondo. Tapino te! come fallato hai, ch'alla tua vita piú non la vedrai!
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Messer Galvano allor prese a parlare. Disse:—Signor, se Cristo mi perdona, non so in che parte me ne deggia andare per ritrovar quella gentil persona. Mai barba né capelli vo' tagliare, né su tovaglia non mangerò adorna, se non racquisto la speranza mia; né tornerá qui la persona mia.—
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E, detto questo, elli s'accombiatava. Di presente partí da Camellotto, ed in lontane parte cavalcava; dove andare, non sa lo baron dotto; a molti di Morgana addomandava, dov'ella stava a niuno era noto; e chi in qua, e chi in lá dicia: niuno sapeva qual'era la via.
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Un giorno, cavalcando alla boscaglia, messer Galvan fu arrivato a una fonte, lá dove un cavaliero armato a maglia stava appoggiato, la mano alla fronte; quale a Galvano domandò bersaglia: combatter vuol con lui e darli onte. Messer Galvan lo addimandò del nome. —Breus mi chiamo. Or hai saputo il come.
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Io vo cercando Tristan, Lancilotto, messer Galvano e 'l buon Astor di Mare, Palamidès, Galasso tanto dotto, Troiano e Lionel vorria trovare; messer Ivano e Artú di Camellotto, e Lionbordo ancor per tale affare; e tutti li altri cavalieri erranti, ché impiccar li vorria tutti quanti.
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Per forza o inganno li vorria tradire.—
Messer Galvan li disse:—I' ti disfido!—
Al primo colpo lo fece giú ire,
questo Breusse, nato di mal nido.
E poi li disse:—Ora t'abbi a pentire;
del mal volere i' per ora t'affido.—
E in quel luogo abbattuto lo lasciava;
poi 'l buon Galvano al suo cammino andava.
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Sei mesi e piú elli ebbe cavalcato, e di cercare non fa restagione; e ad un castello lui fúne arrivato; giú da cavallo dismontò il barone. Su per la scala lui fúne montato, e in quello luogo non vedea persone. La tavola imbandita di vivanda v'era, e di tutto che ragion comanda.
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Galvano a quella tavola s'ha posto: quattro donzelle venner di presente, e avanti a lui apparir molto tosto, e sí 'l servir molto onoratamente. Cento donzelle stavano in un chiostro; piangevan tutte molto duramente. Messer Galvan cominciò a dimandare perché facevan sí gran lamentare.
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Onde le donne disson la cagione; non si potean tener di lagrimare: —Per la Pulzella Gaia ch'è in prigione, e noi non la potemo giá aiutare. Uno malvagio cavalier fellone della sua gioi' l'have a manifestare. Quei si noma Galvan, lo desliale; che l'alto Dio lo metta sempre in male!—
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Messer Galvan li disse:—O damigella, per quella cortesia fatto m'avete, sapessi ov'è la sua persona bella, e chi è quei che in prigion la vi tiene, per vostro amore, o gentil donna snella, io andria in qual parte mi direte.— Rispose la donzella:—Or te ne andrai per tal cammino, e sí la troverai.—
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Allor messer Galvan montò a destriero, e infin a mezzogiorno ha cavalcato; ad una ròcca c'ha intorno un verziero, e dove è una fontana, fu arrivato. Una dama cavalca pel sentiero, cento donzelle li andavano a lato. Messer Galvano, quando l'ha veduta, la dama e le donzelle sí saluta.
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E quella dama, ch'era molto irata, rispose a lui:—Deh, mal pos' tu stare! per la Pulzella, ch'è stata ingannata, a' cavalier vo' mal, a non fallare; onde per voi ella è imprigionata. Mai cavalier non voglio salutare, per amor di Galvan, lo misliale, che l'alto Dio li dia prigion mortale.—
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Disse messer Galvan:—Che colpa aggio io, se altri cavalier villania fanno?— Rispose:—Ciascun è malvagio e rio; per lo suo amore, quanti ne troviamo, io giuro lialmente all'alto Iddio che a tutti i cavalier farò gran danno. Per lo gran fallo di quel miscredente ciascun di loro i' mangeria col dente.—
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Messer Galvan rispose:—Che diraggio a quello cavalier, s'io lo trovasse? Alcuno male io non li mostreraggio: vorria che la su' amanza racquistasse. I' l'ho amato e amo ancor di buon coraggio; gran villania saria se non l'aitasse. Per poterli acquistare la su' amanza combatterria con tutta mia possanza.—
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E quella donna disse:—O traditore, dunqu'è messer Galvan tuo conoscente? In questo giorno per lo suo amore io ti farò dar morte di presente. E cento cavalier di gran valore tosto li farò armare immantinente.— E questa dama sí ha comandato che tosto sia messer Galvan pigliato.
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Que' cavalier non fêr dimoragione; al buon Galvano egli funno dintorno, e sí li dissono:—Andate in prigione; se no, che voi morrete in questo giorno.— Messer Galvano a Dio s'accomandòne, e poi si mosse il cavaliero adorno. La lancia in mano e lo scudo imbracciava; di cento cavalieri e' non curava.
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Tre cavalier di schiera si partía, messer Galvano trassono a ferire; primo, secondo, terzo lo fería; con mortal pena lui li fe' morire. A chi un colpo di buon cuor ei dia non bisognava medico al guarire. Messer Galvan molti n'have abbattuti; li altri fuggían, gridando:—Dio ci aiuti!—
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Messer Galvano, uomo di gran vaglia, drieto seguía, e giá non ha paura. Li cavalier fugginno alla boscaglia; alla sua spada non vale armadura; a chi un colpo di buon cuor e' baglia, veracemente di morte il secura. Avanti sera, allo calar del sole, tutti li cavalier messe a furore.
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E quella donna, ch'era tanto bella, avanti di messer Galvan fu gita; e dolcemente lei sí li favella: —O cavalier, Dio ti dia buona vita! tu se' lo piú prod'uom che monti in sella; ed al suo albergo lei sí lo convita. Messer Galvano ben tenne lo invito, e al castel colla donna lui fu ito.
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In una zambra sí 'l menava ratto,
e prestamente lo fe' disarmare.
E in piú parte ch'elli è innaverato
dolcemente lo fece medicare.
E poi li disse:—O cavalier pregiato,
dimmi 'l tuo nome, e non me lo celare.—
Messer Galvan rispose:—Volentieri.
Sono appellato il Pover Cavalieri.—
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E quella dama disse in quella fiata: —Se tu se' pover, non aver dottanza; ed io son una dama ricca e agiata: darotti questa ròcca per certanza, e ogni altra cosa che ben ti sia grata; ed ho moneta assai, che me n'avanza. Ma priego, cavalier, che di tuo' voglia, avanti i' mora, di me prenda gioglia.—
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Disse messer Galvan:—Ora mi udite. Di voi gioglia mai non prenderia, ch'io peggiorrei le mie crude ferite. Ma una cosa ben prometteria in buona lianza, se voi consentite; e questo giuro per santa Maria. Se la Pulzella m'arete insegnare, per cara donna i' v'averò a pigliare.—
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Ella rispose:—I' te la insegneraggio. Ell'è in una cittade molto forte; e giorno e notte, per ogni rivaggio, fortemente si guardan quelle porte. E quella donna dal chiaro visaggio ben credo sia con pene di morte. Ed è in una prigione forte oscura, e sta in acqua fino alla cintura.
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Dentro a quella cittá si è un castello, ch'è di marmore, bello e rilucente, con duo mila finestre di cristallo, li muri di diamante veramente; de' quai non può levar picchio o martello: per arte è fabbricato certamente. Quella cittade ha nome Pela Orso: tu non potresti darli alcun soccorso.—
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Messer Galvan rispose:—I' voglio andare. Se posso atare la dama lucente, certo grande servigio avrò a fare al buon Galvano, ch'è tanto valente. E a voi, madonna, avrò a ritornare per prender di voi gioia allegramente.— E quattro giorni e piú si riposava; poi contra Pela Orso cavalcava.
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Messer Galvano gia non dimoròe, cavalcò a Pela Orso, la cittate; e tardi a quelle porte elli arrivòe, che tutte quante le trovò serrate. E in quella notte di fuora abitòe, infino alla mattina, in su le strate. Poi lo mattina cavalcò alla porta: la guardia immantinente sen fu accorta.
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Le porte fûr serrate tutte quante quando vider venir quel cavaliero. La guardia disse:—Non venire avante, se lo tuo nome non mi di' in primiero.— Messer Galvano disse:—Io son mercante, ch'io voglio guadagnar del mio mestiero.— La guardia disse:—Tu non entrerai: vista di mercadante tu non hai.—
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Messer Galvan molto si corrucciava, intorno alla cittade ha cavalcato; piccoli e grandi, quanti ne trovava, a tutti quanti la morte ha donato. E' con la spada tutti li tagliava, e non lasciava campar uomo nato. Alla cittade facea guerra forte; dí e notte stavan serrate le porte.
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Messer Galvano per quelle contrade castelli e torri, tutte a lui s'han dare; e poi fece grand'oste alla cittade; quattr'anni e piú li fece dimorare. Quelli di fuora e quei della cittade gran falsitade s'ebbono a impensare, dicendo:—Usciamo. Le porte apriremo, e immantinente lui sí uccideremo.—
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E la fata Morgana have ordinato con que' di fuora lo gran tradimento; ed una delle porte ha disserrato, e dentro aveva grande afforzamento. E gran battaglia tosto li have dato; venneli sopra senza restamento. Chi lo fería di dietro e chi davanti: ora l'aiuti Cristo e li suo' santi!
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Lo Pover Cavalier venía chiamato messer Galvano; a Dio s'accomandava. Chi li ha di spada e chi di lancia dato; Galvan de' sproni lo destrier toccava, tra sé dicendo:—Questo è mal mercato! e nella prima schiera lui sí entrava; e con suo brando cominciò a menare, e tutti quanti li facea scampare.
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E per tal modo prese a cavalcare dentro da quella gente molto forte. Con quelli alla cittade ebbe arrivare: gran battaglia faceva a cotal sorte. A chi un colpo lui aveva a dare, veracemente il conduceva a morte. Quei della terra allora si rendea; messer Galvano ben la ricevea.
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E poi alfin quella gente chiamava questo barone, ch'è molto pregiato. Allor tutta la gente che scampava a Galvano ciascun fu ritornato. E tutti quanti a lui s'inginocchiava, e dolcemente l'ebbon salutato: —Povero Cavalier, nobil, verace, a noi comanda quello che ti piace.—
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Disse messer Galvano:—Io vel diraggio, e fatto sia senza dimoragione: fate la dama dal chiaro visaggio che tosto sia cavata di prigione; se no, che la testa io vi taglieraggio, e tutti perderete le persone. Per trarla di prigione state accorti; se no, che tutti quanti siete morti.—
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E quella gente allor di gran bontade della Pulzella arricordò il tormento; e di lei loro aveano gran pietade. —Nol sapevamo nel cominciamento, che certo data vi avriam la cittade, e fatto avriam tutto il vostro talento.— Con gran romore i cavalieri andava alla cittá real dov'ella stava.
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Ma quel castel sí era ben armato, e dentro v'era molta buona gente. Non li valea 'l combatter d'alcun lato; quella battaglia non curava niente. Lo romore era sí grande levato, che la Pulzella Gaia ben lo sente. Nella prigione tutta si smarría di tal romore com'ella sí udía.
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Una donzella della savia fata, che tuttavia li porta la minestra, andò alla prigione in quella fiata. Disse:—Pulzella Gaia, ora stai destra. Io sí ti dico, e faccioti avvisata che l'angiolo di Dio di te fa inchiesta. Or stai allegra, e non temer ad ora, ché di prigione tosto uscirai fuora.—
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E la Pulzella sí prese a parlare, e sí li disse:—O compagna mia cara, io ti priego per Dio, non mi gabbare. Era Gaia: mò son di gioia avara. Cosí non va; di ciò falla mia madre, che mi fa star in pena tanto amara. Non mi gabbare piú, ch'e' mi rincresce: io prima era Pulzella, e mò son pesce.—
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Quella rispose:—Io non ti gabberaggio; di te ne porto doglia dolorosa, e sempre sarò grama nel visaggio, s'io non ti vedo, dolce amor, gioiosa, come solea veder lo tuo visaggio. Ma t'imprometto, donna dilettosa, ch'i' ho veduto di fuor del castello quel cavaliero poderoso e bello.—
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E la Pulzella Gaia prese a dire: —Compagna mia, s'elli t'è in piacimento, e se tu vo' mi del tutto servire, da scriver mi dái tutto 'l fornimento— Ella disse:—Di ciò ti vo' fornire:— ed halli addotto tutto 'l guarnimento. E dièlli un lume, poi ch'ella vedesse a scriver quanto che a lei piacesse.
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E la Pulzella una lettra ebbe fatta; e, quella scritta e poi ben suggellata, disse:—Compagna mia cara ed adatta, compi di farmi ad or questa imbasciata; e, se di qua dentro io ne sarò tratta, tu ne sarai da me la ben mertata. Dentro dall'oste al mio signor fa' dare questa lettra, se tu mi vuoi scampare.—
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Quella rispose a lei:—Signora mia, comanda pure, ch'io ti serviraggio infin che durerá la vita mia; e, se tu scampi, allegra ne saraggio.— Immantinente sul muro venía; la lettra buttò fuora col messaggio. Un cavalier la prese con sua mano, e poi l'appresentò a messer Galvano.
94
Galvan la lettra ebbe dissuggellata, la qual dicea:—Salute con amore. Se scampar vo' mi, parti alla celata, e stai quindici giorni ascoso fuore. E poi tu troverai di tua masnata cento a cavallo, e non aver timore. Vestili a verde a modo di donzelle, e tu a vermiglio fa' che sii con elle.
95
Sappi ti faccio a tal modo vestire perché la Dama del Lago è mia zia. Alla mia madre ella sí suol venire, né piú né men, con tanta compagnia. Allor si ti fará la porta aprire, ché ben la crederá che dessa sia. E, se passi pur l'una delle porte, l'altra tu spezzerai, non cosí forte.—
96 (100)
Messer Galvano presto ha cavalcato immantinente con que' cavalieri; quindici giorni lui stette celato; come donzelle vestí quei guerrieri, ed al castel con lor si fu inviato. La guarda lungi 'l conobbe manieri. Tosto alla fata Morgana favella; disse:—Madonna, e' vien vostra sorella.—
97 (101)
Allor Morgana tosto comandava che le porte s'aprisson di presente; e molto presto ciaschedun ne andava, perché tutti vedeanla allegramente. La guardia aperse, e a Morgana parlava la cameriera, che sa il convenente. Disse:—Madonna, voi sète ingannata: questa è altra gente: siatene avvisata.—
98 (102)
Allor Morgana molto fu adirata, e tosto corse e si prese a gridare che la porta in presente sia serrata; suoi gridi poco li have a giovare. Messer Galvano dentro fa l'entrata, e sua bandiera qui fece fermare; ma, avanti che spezzasson l'altra porta, tutta suo' gente quivi si fu morta.
99 (103)
Ma pur alfine la porta spezzava; messer Galvano dentro ne fu entrato; piccoli e grandi, quanti ne trovava, a tutti quanti lui la morte ha dato. E la fata Morgana poi trovava, quale di morte l'have minacciato. Galvan li disse:—O tu, malvagia e ria, menami alla prigion della tua fia.—
100 (104)
Morgana per paura lo menava alla prigion dov'era incarcerata. Messer Galvano fuor sí la cavava, ch'ella era come pesce diventata. Messer Galvano allor sí l'abbracciava, e d'allegrezza in terra è strangosciata. Quando rinvenne, prese a sospirare, e d'allegrezza aveva a lagrimare.
101 (105)
Messer Galvan li disse:—Anima mia, che morte alla tua madre vuoi far fare?— Ed ella disse:—O dolce speme mia, questa prigion fatela mò provare. I' voglio che in prigione lei si stia, che la figliuola sua fatto ha stentare.— Galvano di presente l'ha menata alla prigione ed ebbela serrata.
102 (106)
Messer Galvan con lei senza fallanza similemente in prigione ha serrata la cameriera ch'io dissi in certanza che al castello la guardia aveva fatta, onde cavato avia la sua amanza. Con lei a Camellotto fe' tornata; ma 'l primo luogo che lui dismontòe si fu il castello che prima arrivòe.
103 (107)
Della Pulzella Gaia era 'l castello, e la dama sua cara cameriera. E quel castello era cotanto bello, dove Galvan cavalcò alla primiera. Grande allegrezza fu fatta per ello e la Pulzella, la qual scampata era. Sí grande fue l'allegrezza e lo canto, che mai non si potria dire cotanto.
104 (108)
Messer Galvan si ritornò alla corte, con seco lui menando la Pulzella. Gran allegrezza fêr le genti accorte, quando sí inteson cotale novella. Tutti li cavalier sí preson forte ad armeggiar per la cittade in quella. Piú dí duròne ivi la gran festa: al vostro onor compiuta ho questa inchiesta.