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Capitolo 1

Fortezza Scozzese del Consiglio Vamsyriano—1486

“La morte? Posso...” Una nuova ondata di agonia gli strinse il petto. Broderick MacDougal si sentì bruciare, mentre un dolore affilato come un rasoio si diffondeva nel suo corpo e scorreva nelle sue vene. Cadde in ginocchio. Mettendo le mani di fronte a sé, impedì al volto di colpire l'arenaria, mentre il respiro gli veniva strappato dai polmoni. Appoggiò la guancia a terra, senza fiato. La pietra fredda alleviò la febbre della sua pelle. Il suono dei suoi respiri affannati riecheggiò nella vastità della fortezza Vamsyriana. Mentre il dolore scemava, lottò per rimettersi in piedi, fissando i visi giovanili degli Anziani.

Gli Anziani del Consiglio Vamsyriano erano seduti sui loro troni di ferro nero dietro la superficie del tavolo di marmo nero e sembravano tutt'altro che anziani. Rivolsero uno sguardo furioso a Broderick, inginocchiato sul pavimento davanti a loro. Quei tre uomini di diverse nazionalità sconosciute e dall'aspetto diverso, vestiti in eleganti abiti di broccato rosso scuro, non dimostravano più di venticinque anni. Eppure, la loro età poteva essere misurata in secoli, come gli aveva detto Cordelia.

Finalmente in grado di reggersi in piedi, Broderick si schiarì la gola. “La morte?” disse di nuovo. “Non mi sarà permesso vivere, se non sceglierò nessuna delle altre opzioni?”

L'anziano Rasheed, che aveva concesso a Broderick quelle tre scelte, sollevò un sopracciglio nero come il carbone. “Se scegliessi di andare con l'Armata della Luce, non ci sarebbe permesso di ucciderti; ma sì, se non si sceglie una di quelle opzioni oppure noi, la tradizione vuole che la persona che ha rifiutato di fare questa scelta sia uccisa. E' un caso raro, ma è accaduto. Ucciderti sarebbe più misericordioso che preservare il segreto dello nostra razza.”

Nonostante il fuoco che divampava nel suo corpo, Broderick riuscì ad inarcare un sopracciglio a sua volta. “Misericordia? In che senso?”

L'anziano Rasheed rivolse lo sguardo ai suoi pari accanto a sé. “Ti è stato sicuramente illustrato il tuo destino come Schiavo di Sangue. Non è questa la ragione per la quale sei qui?”

A Broderick non piacque il suono di quelle parole e scosse la testa, mentre un rivolo di sudore gli scendeva dalla fronte lungo la guancia. “Cos'è uno Schiavo di Sangue?”

L'anziano Rasheed aggrottò la fronte, poi rivolse uno sguardo critico verso Cordelia. Broderick girò la testa verso destra, stringendo la mascella per lo sforzo, e fissò la donna che lo aveva portato lì. Cordelia Harley aveva un atteggiamento regale, tuttavia cercava di evitare lo sguardo di tutti gli altri, osservando gli arazzi sulle pareti di pietra, mentre il rossore si diffondeva sulle sue guance.

“In poche parole,” continuò Rasheed, “diventare uno Schiavo di Sangue è una sentenza di morte. Lo scambio di sangue che hai sperimentato è ciò che determina la tua condizione.”

In quegli ultimi mesi, Cordelia si era nutrita di Broderick e le sue piccole zanne gli avevano perforato la gola mentre lei beveva piccole quantità di sangue. Poi lei si tagliava il polso e nutriva lui con il proprio sangue, che era il risultato di quello di entrambi. Quello scambio di sangue era necessario... così aveva detto. “Cordelia mi ha detto che ciò faceva parte della trasformazione.”

Rasheed abbassò la mascella e rivolse a Cordelia uno sguardo assassino. “Sei stata tu a creare questo Schiavo di Sangue?” Cordelia rifiutava ancora il contatto visivo con tutti loro. “Guardami, donna!”

Quella bellezza pallida ma perversa guardò l'Anziano da sotto le ciglia corvine, poi abbassò lo sguardo verso il pavimento e annuì. Broderick borbottò.

“Ci hai fatto credere, quando hai richiesto questa trasformazione, che stessi cercando di salvarlo dalla sua condizione, non che l'avessi creata tu stessa!” Rasheed si alzò dalla sedia come la fiamma dal fuoco, lento e illuminato dalla rabbia. “Se oserai muoverti da quel posto prima che sia tutto finito, ti scorticherò viva personalmente e ti lascerò in mostra in questa Sala Grande, fino a quando riterrò che tu abbia sofferto abbastanza.”

Cordelia respirò più velocemente, mentre fissava gli Anziani con occhi colmi di terrore. Rivolse loro un piccolo cenno di assenso.

Rasheed si lasciò sprofondare sulla sedia, continuando a fissarla. “No, Broderick MacDougal. Questo piccolo scambio di sangue ti lega emotivamente e fisicamente all'immortale e, essenzialmente, ti trasforma in uno schiavo della sua volontà. E' per questo che è definito 'Schiavo di Sangue.' Inoltre, questa è la ragione per cui il tuo corpo sperimenta così tanto dolore. Il sangue immortale combatte dentro il tuo corpo, cercando di compiere la trasformazione. Poiché non c'è abbastanza sangue immortale dentro di te, il tuo corpo morirà, combattendo questa battaglia.”

Broderick strinse i denti, lottando sia contro la rabbia nei confronti di Cordelia che contro il dolore della sua condizione. Tutto ciò spiegava perché l'avesse seguita così ciecamente- non aveva il controllo delle proprie emozioni. Aveva di nuovo permesso che una donna lo tradisse.

Tra le due donne delle quali si fidava, quale era responsabile della sua posizione attuale? Il suo tentativo di tutta una vita di uccidere il nemico del suo clan lo aveva spinto ad accettare spontaneamente tutto ciò che Cordelia gli aveva promesso. Comunque, il tradimento di Evangeline aveva causato il massacro dei suoi fratelli e delle loro famiglie, alimentando ulteriormente il suo desiderio di vendetta e non lasciandogli altra scelta che l'immortalità, per raggiungere i propri scopi. E tuttavia, il cuore spezzato dentro il suo petto non avrebbe preteso niente di meno. Broderick spostò gli occhi a sinistra, per fissare il flagello della sua esistenza... il nemico del suo clan, Angus Campbell.

Fin dall'infanzia di Broderick, suo padre Hamish MacDougal aveva guerreggiato senza sosta con Fraser Campbell, in un conflitto privato le cui radici rimanevano- ancora in quel momento- un mistero. Coinvolto in una battaglia sanguinaria dopo l'altra e avendo visto i suoi cari perire sotto i colpi di spada, Broderick aveva sviluppato le proprie ragioni di vendetta contro quel ramo dei Campbell.

Adesso il suo nemico era in piedi davanti a lui, con le vene che pulsavano sulle tempie e la furia che bruciava nei suoi occhi verde-smeraldo, mentre passava uno sguardo furioso prima su Broderick e poi su Cordelia.

“La tua scelta determinerà il tuo destino,” disse l'Anziano Rasheed.

“Chi fa parte di questa Armata della Luce?” chiese Broderick, reprimendo l'impulso di spaccare la mascella ad Angus e rivolgendo invece l'attenzione al Consiglio.

L'Anziano Ammon fornì una spiegazione in un accento ancora più strano di quello di Rasheed. “Si auto-definiscono i figli speciali di Dio,” disse con disprezzo, abbassando lo sguardo lungo il naso aquilino. “Sono uno snaturamento di quello che siamo noi. Affermano di offrire la vita eterna, eppure noi, con la nostra immortalità, non possiamo morire, mentre le loro vite mortali hanno un termine.”

“Se sono mortali,” chiese Broderick con voce tremante, “ a cosa mi servirà andare con loro? Pensavo di essere destinato a morire.”

L'Anziano Mikhail sorrise. “Ci è stato detto che il loro dio può fare miracoli e guarire. Poiché non abbiamo mai visto quelli che si sono uniti a loro- e puoi essere certo che sono molto pochi- non abbiamo modo di confermare o negare queste affermazioni. Se andrai con loro, forse riusciranno a curarti... o forse no. Non possiamo dare garanzie riguardo a ciò che offrono o a ciò che affermano di fare.” Mikhail agitò il suo dito sottile con disprezzo.

“Ma devi affrontarli,” disse l'Anziano Ammon, indicando una porta alla destra di Broderick. “Ti offriranno la loro parte di questa scelta che stai facendo. Tutti quelli che decidono di far parte della razza Vamsyriana devono farlo spontaneamente e prendere una decisione ponderata. Ascolterai quello che hanno da dire, prima di decidere.”

Due uomini, che Broderick notò solo in quel momento in piedi dietro agli Anziani, si fecero avanti e lo aiutarono ad alzarsi. Appoggiandosi a loro, trascinò faticosamente i piedi verso la porta dietro alla quale lo attendeva un nuovo, possibile destino. Guardò in cagnesco Cordelia. Lei rifiutò ancora il contatto visivo con lui, mentre passava. L'aveva preso per uno stupido. Non aveva mai avuto l'intenzione di donargli l'immortalità, ma lo aveva semplicemente usato per arrivare ad Angus e negargli la vendetta di uccidere Broderick con le sue stesse mani. La rabbia evidente di Angus sia nei confronti di Broderick che di Cordelia confermava che lei era riuscita nel suo intento. Tuttavia, Broderick poteva solo tirare a indovinare il motivo per cui lei lo aveva condotto davanti al Consiglio. Perché non deriderlo semplicemente di fronte ad Angus? Perché portarlo lì? Inoltre, la presenza di Angus a quella riunione non aveva senso. Era lì per opporsi alla trasformazione? Perché il Consiglio non permetteva semplicemente ad Angus di ucciderlo? Broderick non poteva certamente difendersi, eppure l'altro si comportava come se avesse le mani legate.

Poi un'idea lo colpì. Se fosse entrato in quella stanza e avesse scelto di diventare un membro dell'Armata della Luce, quasi certamente Angus non avrebbe ottenuto la sua vendetta. Broderick sarebbe stato sotto la loro protezione. Se per caso l'Armata della Luce fosse riuscita a curarlo, probabilmente avrebbe vissuto un altro giorno per combattere ed avrebbe ancora avuto la loro protezione, pur essendo mortale. E se non avessero potuto curarlo, almeno, se fosse morto, lo avrebbe fatto sapendo che Angus non avrebbe avuto la sua ricompensa... un ultimo atto di sfida, per quanto debole. Nessuna di quelle cose gli piaceva, ma che scelta aveva?

Un Vamsyriano spinse la pesante porta di quercia. I due immortali aiutarono Broderick a sedersi sull'unica sedia di legno nella stanza, di fronte a un'altra porta sulla parete opposta. Annuirono, poi si ritirarono negli angoli in ombra dietro di lui. Il silenzio della stanza lo avvolse come una nebbia.

Un braciere elevato bruciava alla destra di Broderick, crepitando, sibilando e gettando una tremula luce arancione sulle pareti di pietra, ma senza fornire troppa illuminazione. Lui sobbalzò, quando un'altra ondata di fuoco gli attraversò il corpo, togliendogli il fiato. Si aggrappò al bracciolo, lottando contro quel tormento e aspettando che il dolore scemasse. Tutto questo deve finire o impazzirò per la tortura di questa condizione!

Il rumore di un chiavistello che veniva tirato indietro dall'altra parte della porta fece vibrare il suo corpo. Nuove ondate di dolore gli avvolsero le gambe e gli fecero arricciare le dita dei piedi. Una figura incappucciata entrò nella stanza. La porta si chiuse dietro quella persona e il chiavistello produsse di nuovo un rumore metallico, chiudendoli tutti nella stanza. Il corpo di Broderick si riprese, mentre la fitta scemava e lui riusciva a respirare di nuovo.

La figura si fermò di fronte a lui. “So che la tua condizione può sembrare senza speranza, ma Dio può guarirti da questa malattia del sangue.”

Broderick si irrigidì e si sporse in avanti per cercare di vedere il viso sotto il mantello, ma il braciere forniva poco aiuto ai suoi occhi. “E' impossibile,” grugnì tra i denti. “La voce che sento deve uscire da una tomba.”

La donna davanti a lui spinse indietro il cappuccio per rivelare i lunghi capelli dorati che lui conosceva così bene. Evangeline, quella sgualdrina di sua moglie, scosse la testa e lo fissò con lo sguardo inebetito. Il labbro di Broderick si arricciò in una smorfia e lui inghiottì la bile che gli stava risalendo in gola.

Evangeline piagnucolò e cadde in ginocchio. “Caro Padre nel Cielo, come hai potuto scegliere me per affrontare mio marito? Sceglierà di sicuro la strada dell'oscurità, se sono io che devo mostrargli la luce. Perché non hai mandato qualcun altro?”

Broderick si alzò e le si avvicinò, mentre la rabbia gli offuscava i sensi. La pena che si diffuse nel suo cuore minacciò di travolgerlo come le onde di un torrente e lui cercò di combattere le lacrime che gli pungevano gli occhi. Avrebbe guardato la luce abbandonarla, come aveva visto spegnersi le vite di Maxwell e Donnell.

Evangeline sobbalzò e sollevò i palmi delle mani, pronunciando una sfilza di parole sconclusionate.

Broderick andò a sbattere contro una parete invisibile e cadde a terra. Mentre si contorceva in agonia, la rabbia fu scacciata dai suoi sensi. Vacillò attraverso una nube fioca di consapevolezza, quando le due guardie Vamsyriane lo aiutarono a sedersi di nuovo, prima di ritirarsi negli angoli. Evangeline abbassò le mani e restò in ginocchio sul pavimento di pietra dalla parte opposta. Dopo aver ripreso il controllo, Broderick si schiarì la gola. “Cosa è questa magia, strega?”

Lei aggrottò la fronte. “Non sono una strega, Broderick. Sono un membro della Tzava Ha'or- l'Armata della Luce. Dio ci ha concesso alcune misure di protezione contro...” Serrò le labbra ed abbassò lo sguardo. Un sospiro tremulo le scosse le spalle, poi sollevò il mento, affrontandolo con occhi colmi di lacrime. “Contro il sangue dei dannati.”

Broderick afferrò i braccioli della sedia per alzarsi, ma poi ricordò il suo ultimo incontro con quella protezione divina e ci ripensò. “Come puoi essere viva e trovarti tra quelli che sono considerati i figli speciali di Dio?” L'odio permeava ogni sillaba che riuscì a pronunciare a denti stretti. Lei lo implorò con gli occhi, riuscendo solo a fare fremere ancora di più dalla rabbia e dal dolore il suo corpo. “Perché vivi ancora?”

“Sono scappata,” sussurrò lei tra le lacrime, fissando il passato. “Sono scappata dalla battaglia, correndo per ore nella foresta. Quando sono crollata dalla stanchezza, sono stata assalita dai ladri che...” Chiuse gli occhi e deglutì. “Mi hanno presa con la forza... poi mi hanno data per morta.”

“Eppure sei in ginocchio davanti a me.” Broderick cercò di reprimere la compassione. “Vai avanti.”

“Non so per quanto tempo sono rimasta lì a terra, ma mi sono svegliata e ho barcollato lungo la strada, dove un gruppo di monaci mi ha quasi calpestata con il cavallo e il carro. Mi hanno portata in un convento, dove le sorelle mi hanno curata fino alla guarigione e dove sono diventata un membro dell'Armata della Luce.” Evangeline guardò Broderick con una scintilla di speranza negli occhi vitrei. “Mi hanno insegnato che Dio è un Dio che perdona e ama, Broderick. Per favore, non Gli voltare le spalle scegliendo questa via dell'oscurità. Lui ti può guarire e perdona qualsiasi cosa. Ha perdonato persino me.”

Io non l'ho fatto!” La rabbia scosse le membra di Broderick e gli diede la forza di contrastare l'agonia che gli dilaniava il corpo. Il tremore spezzò le sue parole. “Pensi che tutte le vite che hai preso con il tuo tradimento possano essere buttate da parte così facilmente? Tu sei la ragione per la quale mi trovo qui, a cercare di rifarmi contro il mio nemico, del quale hai condiviso il letto. Tu rimani tra le braccia protettive di Dio, mentre il mio corpo muore da Schiavo di Sangue.”

“Dio ti può curare, Broderick! Ha liberato quelli che erano Schiavi di Sangue come te. Unisciti all'Armata della Luce e Lui potrò curarti.”

Le due guardie Vamsyriane si affiancarono a Broderick, quando fece un passo verso di lei. Lui cercò di liberarsi dalle loro braccia, dall'angoscia nella sua anima, dall'ingiustizia che continuava ad affliggere la sua vita. “Sei pazza se credi che accetterei qualcosa da te o da un Dio che protegge i traditori. Dovresti essere morta, invece sei seduta davanti a me e mi offri la salvezza. Pensavi che ti avrei perdonata perché puoi farmi questa offerta?”

Evangeline si chinò e scosse la testa. “No,” sussurrò. “Sono anch'io sorpresa che tu sia vivo. In quanto tale, sono ancora tua moglie e tu mantieni il diritto di fare quello che vuoi con me.” Evangeline sollevò di nuovo i palmi, mormorando un'altra sfilza di strane frasi.

Broderick respirò meglio, grazie al notevole cambiamento nell'atmosfera e alla minore pressione sul suo corpo. Anche i Vamsyriani ai suoi fianchi si guardarono intorno con occhi colmi di stupore. Il muro invisibile che lei aveva eretto doveva essere crollato. Broderick cercò di scagliarsi in avanti, ma i Vamsyriani lo trattennero. Non potendo lottare contro di loro, si arrese. “Ho scelto la strada dell'immortalità, perché tu mi credessi morto. Visto che Dio ha perdonato i tuoi peccati, sono sicuro che la Chiesa annullerà la scusa patetica del nostro matrimonio. Adesso Dio è tuo marito e che possiate soffrire entrambi per questo!”

Evangeline cadde a terra in un mare di lacrime, mentre Broderick veniva scortato fuori dalla stanza.

I due Vamsyriani lo lasciarono andare, dopo averlo portato di nuovo davanti al Consiglio e Broderick raccolse tutte la forza che riuscì a trovare per stare in piedi. “Ho scelto di diventare un Vamsyriano,” annunciò con voce roca. Rivolse uno sguardo furioso ad Angus, che mostrò sorprendentemente un sorriso di soddisfazione sulle labbra.

Gli Anziani annuirono e rivolsero gli occhi verso Cordelia. Lei si fece avanti e guardò Angus. Aveva gli occhi colmi di lacrime e incrociò le braccia sull'ampio seno, rivolgendosi al Consiglio. “Annullo le mie pretese su Broderick MacDougal.”

L'anziano Rasheed spalancò gli occhi, contemporaneamente ai suoi pari. “Stai affermando che non desideri trasformare Broderick MacDougal, cioè la ragione per la quale siamo stati convocati?”

Cordelia fece un passo indietro e deglutì. “Sì,” rispose con voce tremante.

L'Anziano Rasheed si alzò e Cordelia ebbe abbastanza buonsenso da indietreggiare. “Stai mettendo alla prova la mia pazienza, donna! Potrei ancora scorticarti!”

“Anziano Rasheed, se posso...” Angus si fece avanti, disincrociando le braccia.

Rasheed sospirò rassegnato. “Sì, Angus Campbell,” disse con un gesto sprezzante. “Come hai richiesto inizialmente quando ti sei presentato davanti a questo Consiglio, questa povera creatura è tua e puoi farne quello che vuoi. Poni fine alla sua sofferenza.” Rasheed si sedette e si prese la testa tra le mani.

“No, Anziano Rasheed.” Angus guardò Broderick. “Quello che propongo è effettuare la trasformazione io stesso.”

Gli occhi spalancati di Broderick non furono gli unici a fissare l'attenzione su Angus Campbell. “Perché faresti una cosa del genere? Finalmente hai l'opportunità di eliminarmi dalla tua esistenza. Coglila e fai come ha detto l'Anziano Rasheed... poni fine alle mie sofferenze.” Broderick fu scosso da un'ondata di dolore.

“Anche se mi piace vederti soffrire,” lo schernì Angus, “non c'è alcuna soddisfazione nell'ucciderti mentre sei così indebolito. La mia anima non avrebbe mai pace.” Angus si avvicinò a Broderick, rivolgendo uno sguardo compiaciuto al suo corpo piegato e profanato. “Devi essere disposto a fare la trasformazione, Rick, o non potrò effettuarla. Cosa scegli?”

Broderick osservò tutti gli altri, mentre lo sguardo di Cordelia era fisso su di lui. Ogni persona sembrava trattenere il fiato, nell'attesa che lui pronunciasse la parola.

“Vivi per combattere un altro giorno,” lo provocò Angus. “Sii un valido rivale.”

Broderick fissò furioso gli occhi beffardi del suo nemico. Un lungo istante di silenzio scese su di loro, colmo di contrasti. Gli spiriti dei suoi fratelli, delle loro mogli e dei loro bambini chiedevano vendetta dalle regioni più recondite della sua anima. “Fallo, allora,” ringhiò Broderick. “Ma rimpiangerai la tua decisione.”

Angus ridacchiò e aspettò l'approvazione di Rasheed, che continuava a fissare quella scena assurda. Ad un semplice cenno dell'Anziano, si avventò su Broderick, gli tirò indietro la testa con un violento strattone ai capelli ed affondò le zanne nel suo collo tenero. Broderick urlò e graffiò, mentre Angus gli squarciava la gola. Comunque, il dolore che gli attraversava il corpo e gli bruciava il collo svanì ben presto nell'euforia del nutrimento, proprio come era accaduto con Cordelia, e Broderick si accasciò tra le braccia di Angus. Il contatto con Angus si allungò in una nebbia profonda. Di solito Cordelia gli sondava la mente quando beveva da lui, ma non provò niente di simile con Angus. Broderick scivolò più a fondo verso la morte, mentre la sua vita fluiva via. Dopotutto, Angus avrebbe potuto prosciugarlo della vita e ucciderlo.

Finalmente, Angus interruppe il contatto e posò Broderick sul pavimento. Rasheed si alzò e gli porse un pugnale con il manico nero. Dopo essersi tagliato il polso, Angus nutrì Broderick dalla ferita aperta. Tuttavia, Broderick non riusciva ad aprire la bocca e ad accettare il sangue del Vamsyriano che gli colava sul mento. Sarebbe stato meglio poter semplicemente rifiutare e morire.

“Sei tu che hai fatto questa scelta, Rick!” Angus abbaiò e si tagliò nuovamente il polso che stava guarendo rapidamente. “Apri la bocca!”

Prima che Broderick potesse rallegrarsi per aver finalmente trionfato e sconfitto Angus, l'odore del sangue assalì i suoi sensi e lui aprì la bocca per ricevere l'immortalità. Bevve a fondo e boccheggiò, quando Angus tirò via il polso per tagliarlo di nuovo.

“Sì, Rick” lo tranquillizzò Angus, quando Broderick chiuse la bocca intorno al taglio, ingoiando sorsate di quel liquido che donava la vita.

La forza pervase di nuovo il suo corpo, una sensazione lenitiva si diffuse nelle sue vene mentre il sangue si faceva strada nelle membra. Gli pizzicava la gola. Angus tirò via la mano di scatto. Anche se Broderick non riusciva ancora a piegare il corpo ai propri desideri, rimase lì sdraiato, meravigliandosi dei suoi sensi diventati di nuovo acuti. Il respirare delle guardie Vamsyriane dall'altra parte della stanza fluttuò fino alle sue orecchie; l'aroma delicato della verbena di Cordelia gli toccò il naso, come quando si cibava di lei; le venature nel tavolo di marmo nero sembravano brillare e quelle fratture sottili come un capello divennero visibili per la sua nuova vista.

Angus si voltò verso Rasheed, pulendosi la bocca con un fazzoletto. “Perché non sono riuscito a leggergli nella mente? Perché non ho potuto ritrovare tutti i suoi ricordi?”

Cordelia sogghignò e strinse i pugni lungo i fianchi, con gli occhi illuminati dalla gioia. “Perché il mio sangue governava il suo corpo. Non puoi cogliere quei ricordi da un altro Vamsyriano, Angus. Volevi avere un vantaggio tale su Broderick da riuscire a sapere tutto di lui, ma non hai potuto, perché lui era il mio Schiavo di Sangue.” Sembrava eccitata da una rivelazione particolare. Broderick sobbalzava e si contorceva a terra, mentre i due enormi Vamsyriani interrompevano di colpo il momento di esultanza di Cordelia. Le si affiancarono, la afferrarono per le braccia e la portarono fuori dalla stanza. “Mio signore,” protestò e cercò di liberarsi dalle loro mani che le stringevano i polsi. “Per favore, mio signore!”

Le proteste di Cordelia svanirono dietro la porta chiusa, lasciando la stanza in un silenzio pesante, mentre Broderick rifletteva sul coinvolgimento di Cordelia in quella messinscena. Lei sapeva che Angus avrebbe effettuato la trasformazione, anche se forse non ne conosceva i risultati. Perché quell'informazione le aveva provocato una tale euforia?

Rasheed fissò con gli occhi socchiusi Broderick, sdraiato sul pavimento di pietra. Dopo un lungo istante, gli Anziani uscirono in fila dalla stanza, attraverso la stessa porta dietro alla quale era scomparsa Cordelia, e nessuno di loro pronunciò una parola. Angus era chino sul corpo di Broderick scosso dalla febbre a causa del sangue Vamsyriano. che stava eliminando gli ultimi resti della sua umanità. L'odore del suo nemico- un ben distinto odore speziato e muschiato- aleggiò intorno a Broderick, che impresse quell'aroma nella memoria.

“Ora saremo fratelli per tutta l'eternità, legati per sempre dal sangue.” Angus si inginocchiò davanti a Broderick e sussurrò, “Ti concederò questo tempo, Rick, per capire cosa sei diventato. Usa il tempo saggiamente. Quando sarà finito, inizierò a darti la caccia.” Annuì, alzandosi, poi si voltò verso l'uscita.

“No, se ti troverò io per primo.” Broderick sogghignò, continuando a tremare, e fulminò con lo sguardo Angus, che uscì a passo di marcia dalla Sala Grande.

Stewart Glen, Scozia—Tardo autunno 1505—Diciannove anni dopo

Gli occhi di Davina Stewart danzavano di gioia intorno alle tende colorate e ai carrozzoni dell'accampamento degli zingari. Così tanti profumi esotici le pervasero i sensi che ebbe per un attimo l'acquolina in bocca e l'attimo dopo trasse un sospiro di piacere. Tra le torce tremolanti e i falò, gli acrobati facevano capitomboli, i giocolieri lanciavano per aria bastoni infuocati e i mercanti mostravano ai passanti le merci provenienti da tutto il mondo. Parlan, il padre di Davina, e suo fratello Kehr, si scusarono e si incamminarono lentamente verso la carne di cavallo che gli zingari mettevano in vendita.

“Davina.” Sua madre Lilias posò la mano sul braccio di Davina, poi indicò una tenda in lontananza. “Io e Myrna andiamo in quella tenda. Voglio prendere un regalo per tuo padre, prima che lui e tuo fratello siano di ritorno. Resta vicina a Rosselyn e non allontanarti.”

“Sì, mamma.” Davina strinse la mascella per trattenere l'eccitazione, mentre guardava sua madre e Myrna prendersi sottobraccio e allontanarsi.

Rosselyn era rimasta a bocca aperta.

Davina si schiarì la gola. “Se vuoi restare qui a fissare le nostre madri, allora lo farai da sola. Per quanto mi riguarda, non sprecherò questa rara opportunità di godermi la mia libertà.” Davina si voltò e scappò nella direzione opposta, per mettere una certa distanza tra se stessa e sua madre.

Rosselyn si affrettò a raggiungerla e prese Davina sottobraccio. “In qualità di tua ancella e guardiana fidata, devo ricordarti che lei ti ha detto di non allontanarti?”

“Riesci a credere che ci abbia permesso di esplorare?” Un senso di leggerezza stava crescendo dentro Davina e le sue risate sgorgarono attraverso le sue mani, quando si coprì la bocca.

“Non hai già esplorato abbastanza, quando sei andata in visita a Corte con tuo fratello?” Rosselyn nascose un ricciolo castano ribelle sotto la cuffia.

“Bah!” Davina sbuffò, imitando l'esclamazione preferita di suo fratello. “Ho scoperto che la Corte è un posto orribile. Le donne si fingono amiche ma si calunniano a vicenda, e non fanno altro che parlare dello svolazzare delle gonne e degli incontri segreti con qualche bel ragazzo in giardino.” Il calore pervase le guance di Davina per quelle affermazioni audaci.

Rosselyn ridacchiò. “Davina Steward, stai arrossendo! E fai bene! Tua madre ti prenderebbe a frustate, se ti sentisse dire queste cose.”

“A Corte, la mamma mi tiene vicina a lei, quindi no, non posso esplorare molto neppure lì. Mi godrò la mia libertà questa sera!” Davina scoppiò a ridere, ma la sua gioia svanì, quando si rese conto di come dovevano suonare quelle parole. “Oh, non fraintendermi. Adoro la mamma, ma...”

“E' vero, non ti lascia mai allontanare dalla sua portata, figurati dalla sua vista.” Rosselyn aveva due anni più di Davina, che aveva tredici anni, ed era cresciuta nella loro famiglia. Naturalmente, era diventata l'ancella di Davina, visto che sua madre Myrna era l'ancella di Lilias. Anche se Rosselyn svolgeva molto bene quel compito, Davina amava l'altra ragazza più come una sorella.

Prendendo in prestito l'idea di sua madre, Davina trascinò Rosselyn con sé, per esaminare le merci nelle tende e cercare dei regali da acquistare per la sua famiglia. Un pugnale da stivali particolarmente bello attirò la sua attenzione. Il gitano estrasse la piccola lama dal fodero. “Una splendida lama per una donna bella come voi,” la incalzò.

“Oh, non è per me, ma per mio fratello,” replicò Davina.

“Ah, un'arma molto bella, da infilare nello stivale! Avete visto le incisioni d'argento lungo la lama?”

“E' veramente argento?” Davina sollevò il pugnale da stivale ed osservò le incisioni celtiche, decorative, che scendevano a spirale lungo la stretta lama.

“Sì! Un'opera d'arte.” Quando l'uomo le disse il prezzo, Davina contorse le mani. “Vero argento. Lo giuro.”

Lei gli restituì la spada, ma il fabbro non voleva prenderla. Si guardò intorno, poi sussurrò un prezzo più basso con fare cospiratorio. Non molto più basso, ma abbastanza. Davina si arrese e gli diede la moneta.

Rosselyn tirò Davina per la manica. “Guarda,” disse indicando una donna anziana. La zingara aveva una lunga treccia argentata e una sciarpa scarlatta le copriva la testa.

La donna fece un cenno verso di loro. Era seduta davanti a una tenda dipinta con la figura impressionante di una donna dai capelli chiari, seduta dietro a un tavolo sul quale erano sparpagliate delle tavolette. Stelle, lune ed altri strani simboli che Davina non riconobbe fluttuavano intorno alla cascata di capelli biondi della donna. “Quali servizi offre, secondo te?” Davina sussurrò intimorita.

Rosselyn rivolse lo sguardo oltre il cerchio di tende e carrozzoni, in direzione delle loro madri. Lilias e Myrna erano ferme davanti a un mucchio di nastri drappeggiati sulle braccia di un uomo. Rosselyn afferrò la mano di Davina, mentre un ampio sorriso si allargava sulle sue labbra sottili e una scintilla birichina le accendeva gli occhi nocciola. “Vieni!”

Davina si sforzò di stare al passo quando Rosselyn la tirò per la mano, quindi corsero fino a ritrovarsi senza fiato davanti alla zingara.

“Vedo che siete impazienti di farvi predire la sorte,” intervenne la gitana nel suo bell'accento francese, poi mosse la mano rugosa verso l'apertura nella tenda. “Solo una alla volta, s'il vous plaît.”

“Vai tu per prima, Roz,” la incoraggiò Davina.

Rosselyn fece un passo verso l'ingresso della tenda, poi si fermò. Si voltò indietro e passò lo sguardo tra Davina e la zingara. “Non deve andare da nessuna parte.” Spostando di nuovo lo sguardo su Davina, scosse il dito in segno di rimprovero. “Resta qui, hai capito? Tua madre mi staccherà la testa, se andrai in giro senza di me.”

La donna afferrò la mano di Davina e l'accarezzò affettuosamente con il suo tocco caldo. “Non abbiate paura, mademoiselle. Le farò la guardia a rischio della mia stessa vita, mentre beviamo un tè.” Quindi sospinse Davina verso un piccolo sgabello davanti al fuoco; Rosselyn sembrò soddisfatta della sistemazione e si affrettò ad entrare nella tenda, ansiosa di fare quella seduta

“Vi piace il tè, oui?” La donna guardò il palmo di Davina. “Io sono Amice.”

“Il mio nome è Davina,” rispose lei in francese. Com'era d'uso nelle corti scozzesi, Davina aveva studiato il francese, anche se i legami tra la sua famiglia e la Corte erano piuttosto lontani. “E sì, vi sarei molto grata se mi offriste una tazza di tè.” Un ampio sorriso si allargò sulla bocca di Amice, quando Davina usò la lingua madre della vecchia, e Davina osservò la zingara che le studiava la mano e stringeva gli occhi per leggere le linee. “Cosa vedete?”

Amice alzò le spalle, strofinò il centro del palmo di Davina, poi le sorrise. I suoi occhi giovanili si posarono di nuovo su Davina, tra le rughe che il tempo aveva scavato sul suo viso. “I miei occhi sono vecchi e non vedo niente. Volete farvi leggere la mano?”

“Leggere la mano?” Davina aggrottò le sopracciglia. “Potete leggere un palmo come si legge un libro?”

Amice scosse la mano sbrigativamente. “E' un modo di dire.” Spinse gentilmente Davina a sedersi e, prima di prendere anche lei uno sgabello, le porse due tazze di terracotta. Davina si posò in grembo il regalo per suo fratello, per lasciare libere le mani. Amice allungò la mano dietro di sé ed afferrò una piccola cesta; sbriciolò qualche foglia di tè nelle tazze, poi mise da parte la cesta. Prese quindi un grosso straccio sul ceppo tagliato in mezzo a loro, che fungeva da tavolo improvvisato, per afferrare una teiera appoggiata sul fuoco. Sorrise e versò l'acqua calda nelle due tazze da tè, riempiendone una solo a metà, che prese per se stessa, e lasciando a Davina quella ricolma.

Il freddo della notte pizzicava le guance di Davina, quindi tenne la tazza calda tra i palmi, soffiando sul liquido ambrato.

Sentì uno scricchiolio dietro di sé e quando si voltò vide una ragazzina con i capelli dorati arruffati, che sbirciava attraverso la porta del carrozzone della zingara. La bambina sembrava poco più giovane dei tredici anni di Davina, che le sorrise e le fece un timido cenno con la mano. La bimba aggrottò la fronte, tirò fuori la lingua, poi si rintanò all'interno.

Amice chiamò Davina con un cenno della mano. “Venite, ho preparato il tè.” Davina rimase a bocca aperta per la maleducazione della ragazzina, poi si voltò a bere il tè accigliata.

Aveva bevuto più di metà tazza, quando notò che Amice non aveva ancora bevuto un sorso, ma aveva invece posato la tazza sul ceppo. Prima che Davina potesse farle domande, Rosselyn riemerse dalla tenda, strofinandosi il palmo e sorridendo. “Affascinante, signora!”

“Mamma mia! Come hanno fatto presto!” Davina rivolse un'occhiata dispiaciuta ad Amice. Chinandosi in avanti, la gitana afferrò la teiera e riempì la tazza sul ceppo. Con le foglie già sminuzzate, l'acqua aggiunta fornì una tazza di tè bollente.

Che furba! Pensò Davina.

Mentre Rosselyn e Amice si scambiavano i convenevoli, Davina finì il tè- facendo attenzione a non inghiottire le foglie rimaste- poi porse la tazza ad Amice ed entrò nella tenda. Un aroma speziato di incenso aleggiava nell'aria e lei inalò quel profumo esotico. La luce soffusa creava un'atmosfera rilassante; la luce del falò all'esterno gettava delle ombre sulle pareti di tela, dando all'ambiente le sembianze di un sogno. C'era un tavolo ad un'estremità, con un piccolo sgabello davanti ad esso. Delle lampade a olio su sostegni di ferro illuminavano una cesta in un angolo del tavolo, e dietro al tavolo non era seduta un'altra vecchia o una ragazza gitana carica di gioielli, come si aspettava Davina, ma l'uomo più robusto sul quale lei avesse mai posato gli occhi. E molto bello!

Il suo cuore inesperto batté forte nel suo esile corpo, quando lo sguardo penetrante dell'uomo incontrò il suo.

Quel gigante sovrastava tutto ciò che si trovava nella stanza. Il petto e le braccia si gonfiavano sotto la stoffa sottile della sua camicia di lino marrone. Una piccola apertura nel colletto rivelava una massa di peli ricci castano-ramati, fiammeggianti come i capelli sulla sua testa- sorprendenti sotto la luce delle lampade. Il rossore riscaldò il viso di Davina, causato da quel mix di emozioni sconosciute che la attraversarono alla semplice vista dell'uomo, quindi afferrò il lembo della tenda, pensando di scappare da quel seduttore.

“Prego, ragazza,” disse lui in un tono profondo e morbido come la crema. Si chinò in avanti, posando un gomito sul tavolo, poi allungò l'altra mano verso di lei e il tavolo scricchiolò di conseguenza. “Lasciami leggere il palmo.”

Attirata da quella voce pastosa e da quegli occhi socchiusi, Davina lasciò andare il lembo e si sedette davanti a lui. “Mi chiamo Davina,” gli disse cercando di rimandare.

“E' un onore incontrarti, signora. Io sono Broderick.” L'uomo sorrise e le viscere di Davina si sciolsero come la neve in primavera.

“Broderick”, sussurrò, assaporando quel nome. Si schiarì la gola, si fece forza, posò il regalo per Kehr sul tavolo e gli diede la mano.

“Non hai niente da temere, ragazza,” la rassicurò Broderick, e quando le toccò la mano, la sua preoccupazione svanì.

Broderick chiuse gli occhi, lasciando che la testa ricadesse leggermente all'indietro e che il suo naso aquilino facesse ombra sulla guancia scolpita. Davina si chinò verso di lui, attratta dai suoi bei lineamenti e dalla forza che emanava dal suo corpo. Non poté fare a meno di paragonarlo a suo fratello Kehr. Nessun uomo che avesse mai visto poteva reggere il paragone con suo fratello: bello, intelligente, spiritoso, alto di statura e di carattere. Tuttavia, quello zingaro gigantesco era uno spettacolo. Sorrise leggermente e una fossetta attraente apparve proprio a destra della sua bocca, spingendo anche Davina a sorridere.

“Hai una vita felice, ragazza. Una famiglia piena d'amore e calore. Hai un posto speciale nel cuore per... Kehr.”

Davina sussultò. Come faceva a conoscere il nome di suo fratello? Poi strinse le labbra. “Rosselyn vi ha detto di mio fratello.”

Lui aprì gli occhi e sorrise. “Beh, ho visto quel ragazzo anche nella sua vita. Ma quello che ho detto riguardo a tuo fratello, è quello che ho appreso da te. Non credi nel predire la sorte?”

Davina si indignò. “Non avete detto niente che possa convincermi che siete un portento, signore.”

Una risata risuonò nel profondo del petto di Broderick e il cuore di Davina sbatté contro le costole. Lui abbassò le palpebre per concentrarsi. “Miele. Hai una passione particolare per il miele. E tuo fratello condivide questa passione con te.” Chiuse gli occhi e scosse la testa. “Uhm... Suvvia, ragazza. Tu e Kehr dovete fare più attenzione durante le vostre incursioni notturne. Voi due vi rovinerete, se ne mangiate così tanto in una sola volta. Vi suggerisco di limitare i furti, per evitare i guai.” Le fece l'occhiolino.

Il viso di Davina avvampò di imbarazzo, che però lasciò presto il posto allo stupore. Come poteva sapere che lei e Kehr vagavano per le sale del castello di notte, per rubare le scorte di miele?

Broderick si chinò in avanti e sussurrò: “Non temere, ragazza. Il tuo segreto è al sicuro con me.”

Davina chinò la testa per nascondere un sorriso, poi rimase come ipnotizzata, mentre il gigante le girava la mano sotto la luce della lampada e studiava le linee sul palmo. Scattò in avanti, quando una ruga comparve sulla fronte di Broderick. “Cosa vedete, signore?”

I loro visi erano molto vicini, ma la voce profonda dell'uomo la mise in guardia. “Non posso mentirti, ragazza. Farlo sarebbe un disastro.”

“Un disastro?”

“Sì.” I suoi occhi di smeraldo erano fissi in quelli di Davina. “Il futuro non sarà piacevole. Ma non devi perdere la fede. Hai molta forza. Usa quella forza e tieniti stretto ciò che ti è caro, perché sarà quello che ti aiuterà ad attraversare i tempi difficili che devono ancora venire.”

“Cosa succederà, signore?” insistette lei.

“Non mi è noto. Non conosco i particolari. Le linee sul palmo non rivelano questi dettagli, dicono solo che ci saranno delle difficoltà nel tuo futuro. Ricorda quello che ti ho detto. Aggrappati alla tua visione della forza.” Posò le labbra sulla mano di Davina e le baciò le nocche, prima di lasciarla. Davina lo fissò, stordita e a bocca aperta, incollata alla sedia. L'angolo della bocca dello zingaro di sollevò, facendo spuntare una fossetta, e lei sorrise a sua volta, mentre ascoltava il cuore che le batteva forte nel petto.

Broderick si schiarì la gola e fece un cenno con la testa verso il cestino. Il sorriso di Davina si allargò mentre lei continuava a fissarlo, e lui fece di nuovo un cenno verso il cesto. Lei ricambiò il cenno, guardò il cestino, poi sobbalzò quando capì. Voleva che lei lo pagasse! Troppo imbarazzata per quel comportamento ridicolo e per lo sguardo inebetito, rovistò nel borsellino che portava alla vita, estrasse qualche penny scozzese e li mise nel cestino, poi uscì correndo dalla tenda senza voltarsi indietro.

Davina si fermò vicino all'ingresso per riprendere fiato; sperava che il suo viso smettesse di bruciare. Deglutì con fatica, poi si rivolse alla zingara. “Grazie per essere rimasta seduta qui con Rosselyn, Amice.” Premendo altre monete nella mano della donna, sorrise imbarazzata, mentre Rosselyn restituiva la tazza vuota ad Amice. Davina la prese per mano e trascinò via l'ancella, cercando di lasciarsi dietro l'imbarazzo.

“Cosa ti turba, signorina?” Rosselyn fece fermare Davina, prendendola per le spalle e cercando di confortarla.

Le parole sgorgarono di getto dalla bocca di Davina, mentre lei sbatteva le mani come un uccellino ferito. “Oh, mi sono comportata come una sciocca! Ho continuato a fissarlo con occhi da cerbiatta. Era così bello, Rosselyn! Il mio cuore non smetterà di battere impazzito nel petto! Cosa mi succede?” Davina si sventagliò il viso in un vano tentativo di raffreddare il bruciore sulle guance.

Rosselyn scoppiò a ridere e la abbracciò. “Mia cara Davina, credo che lo zingaro ti abbia rubato il cuore!”

Davina si batté le mani sulla bocca. “Per tutti i santi! Ho lasciato il regalo di mio fratello sul tavolo!”

Ritornando almeno in parte seria, Rosselyn si voltò verso la tenda dell'indovino. “Vieni, allora, torniamo lì e andiamo a prenderlo.”

Davina si aggrappò alla mano di Rosselyn con tutta la forza che aveva, tirando indietro l'amica. “No! Non posso affrontarlo di nuovo! Sicuramente morirei di...di...”

Rosselyn strofinò le spalle di Davina, come per scaldarla. “Non agitarti così! Andrò a prenderlo per te. Vieni con me e resta dietro al carrozzone, così lui non potrà vederti.”

Sgattaiolarono lungo il carrozzone dell'indovino e sbirciarono dentro. Amice sembrava intenta ad osservare le tazze di tè, muovendole avanti e indietro. Broderick uscì dalla tenda e Davina afferrò Rosselyn, tirandola indietro, fuori dalla vista.

“Cosa stai combinando, Amice?” Il suono della sua voce profonda fece vacillare le ginocchia di Davina, ma lei osò gettare uno sguardo nel carrozzone insieme a Rosselyn.

“Un po' di lettura delle foglie di tè,” disse Amice in francese, tenendo gli occhi fissi sulle foglie.

Rosselyn si voltò verso Davina e alzò le spalle, visto che non parlava francese. Davina le indicò che le avrebbe detto tutto più tardi e scambiò il posto con lei, per ascoltare meglio la conversazione.

“Riguarda le due ragazze?” chiese Broderick.

“Sì,” sorrise Amice. “Hai il suo cuore per sempre, figlio mio.”

Il gigante sollevò le sopracciglia curioso. “Quale delle due?”

“La dolce Davina,” disse Amice agitando una delle tazze per aria, mentre osservava l'altra. Davina rischiò di svenire per il rapido battito del cuore.

“Sciocchezze, quella ragazza non si ricorderà di me, quando troverà un marito.” Broderick ridacchiò. “Comunque, la sua evidente ammirazione per me mi ha fatto molto piacere. Adesso è carina, ma sarà in grado di conquistare i cuori, quando diventerà una donna.”

Pensa che io sia carina! Pensa che io sia carina! Davina dovette usare tutta la sua energia per evitare di saltare su e giù come una pulce. Si mordicchiò l'indice piegato, per soffocare una risatina euforica.

“Il tuo cuore è quello che conquisterà, figlio mio.” Amice passò a Broderick la tazza e Davina aprì la bocca in soggezione.

Lui sbirciò nella tazza, aggrottò la fronte, poi la restituì ad Amice. Stingendosi nelle spalle, sorrise e le porse il regalo incartato di Kehr. “Bene, visto che ritornerà per diventare il mio vero amore, dalle questo.” Finalmente Amice distolse l'attenzione dallo studio delle tazze di tè e guardò il pacchetto. “Se ne è andata così in fretta, che ha dimenticato di prendere il suo fardel.” Broderick scosse la testa, poi si voltò e ritornò nella tenda. Amice restò seduta, sorridendo e continuando a leggere le foglie di tè.

Davina si aggrappò al fianco del carrozzone, con la bocca ancora spalancata. Visto che Broderick se ne era andato, Rosselyn si fece avanti, si scusò rapidamente e recuperò il coltello da stivale incartato. Poi sospinse Davina lontano dal carrozzone e, quando furono fuori portata d'orecchio, parlò. “Cosa hanno detto? Sembravi pronta a svenire!”

Davina inciampò in avanti come in trance, con la bocca aperta e il corpo intorpidito. Un sorriso molto debole le apparve sulle labbra.

Capitolo 2

Stewart Glen, Scozia—Estate 1513—Otto anni dopo

“Ti prego di perdonare mio figlio, Parlan.”

Davina Stewart-Russell si bloccò al suono della voce di suo suocero e si fermò sulla soglia che stava per varcare, per entrare nel salotto della sua casa d'infanzia. Un rapido sguardo nella stanza, prima di tornare a nascondersi, le concesse l'istante di cui aveva bisogno per vedere la scena. Suo padre Parlan era in piedi davanti al camino di pietra costruito con le rocce frastagliate della zona, con le braccia conserte e la schiena rivolta verso la stanza. Munro, suo suocero, era fermo alla destra del camino, con le mani strette e posate sull'elsa della spada, e si rivolgeva a padre di Davina. Suo marito Ian si teneva indietro, tra i due uomini, con la testa bassa e le spalle piegate, in un atteggiamento di sottomissione molto insolito. Tutti loro rivolgevano la schiena a Davina, quindi non la videro avvicinarsi né ritrarsi velocemente. Facendo capolino dalla soglia e restando nascosta dietro la porta leggermente socchiusa, sbirciò tra le fessure dei cardini.

Munro continuava la sua supplica a vantaggio del figlio, parlando come se Ian non si trovasse nella stanza. “Ne abbiamo discusso a lungo tu ed io: questa posizione di responsabilità non è molto adatta a Ian. Apprezzo la tua pazienza e la tua disponibilità a lavorare con me, per sistemare la sua posizione come marito e padre.”

“Non farò alcuno sforzo di presentarlo ai miei contatti reali, se non darà prova di essere maturo.” Parlan si voltò verso Munro ed incrociò le braccia sul petto nell'atteggiamento che Davina conosceva molto bene e che dimostrava la sua determinazione su quella faccenda. “E faresti bene a chiudergli i forzieri. Come ben sai, ha già attinto alla dote di Davina.”

“Sì, Parlan. Io...”

“Per favore, padre!” protestò Ian.

“Tieni a freno la lingua, ragazzo, o te la taglio!” Munro fulminò il figlio con lo sguardo, finché non abbassò la testa.

Il cuore martellante di Davina la lasciò senza fiato per la paura di essere scoperta e per la rara visione di suo marito così sottomesso. Rischiò quasi di svenire per quel misto di eccitazione e trepidazione che crescevano dentro di lei. Quante volte suo marito l'aveva fatta sentire in quello stesso modo? Quante volte l'aveva zittita con mano pesante? Vedere Ian sottomesso ad un'altra autorità le fece venire voglia di applaudire. Eppure, le sue membra tremavano al pensiero che Ian potesse scoprirla mentre assisteva a quel momento e si godeva la propria vittoria privata sulla sua disciplina. Si sforzò di rimanere una spettatrice silenziosa.

Parlan aggrottò la fronte pensieroso, osservando Ian e Munro. Quando quest'ultimo sembrò sicuro che il figlio sarebbe rimasto zitto, rivolse di nuovo l'attenzione verso Parlan. “Temo che tu abbia ragione, Parlan. Avevo sperato che limitasse le spese, e vorrei poter dire dove finisce tutto questo denaro...” Fulminò il figlio con lo sguardo. “Ma sono d'accordo con quello che suggerisci di fare.”

“Ho provato, padre!” esclamò Ian. “Non ho dato prova di essere un marito migliore?”

Munro fece un passo avanti e schiaffeggiò il figlio con il dorso della mano, facendo piegare la testa di Ian su un lato e spargendo sangue sul pavimento di pietra. La coscienza di Davina provò un lieve senso di colpa, perché lei stava godendo della situazione del marito. Nello stesso tempo, si chiese cosa lui potesse intendere con “un marito migliore.” Semmai, Ian era diventato più brutale negli ultimi quattro mesi, più o meno. Pensava che imporre una disciplina più severa alla moglie fosse la qualità di un marito saggio? Munro sollevò il pugno e Ian si fece scudo contro un altro colpo.

“Basta!” abbaiò Parlan. “Ora posso vedere da chi ha imparato tuo figlio la sua idea di disciplina.”

Munro si raddrizzò in tutta la sua altezza, spingendo il petto in fuori in segno di sfida. “La disciplina severa è l'unica cosa a cui darà ascolto, Parlan. Puoi fidarti di me.”

“Potrà anche essere così, visto che io non conosco tuo figlio abbastanza bene, ma conosco Davina e quel tipo di punizione non è necessaria per lei. Anche se può essere piuttosto drammatica, è una donna ragionevole, con la quale si può parlare. Capisco che un uomo abbia il diritto di fare quello che vuole con la propria moglie e che ad alcune donne sia necessario insegnare la disciplina con un po' di forza, ma non è il caso di mia figlia.”

Davina si sforzò di vedere attraverso le lacrime che le avevano riempito gli occhi per la difesa di suo padre. Non si era resa conto che suo padre sapesse tutto. L'orgoglio e il sollievo che le gonfiarono il petto le avrebbero sicuramente spezzato la cassa toracica!

“Abbiamo stipulato questo contratto matrimoniale a vantaggio di entrambi,” continuò Parlan. “Visto che io sono il cugino di secondo grado del re Giacomo, ciò vi offre legami importanti. I Russell hanno ricchezze da investire ed opportunità di affari per me e mio figlio Kehr.” Si avvicinò a Munro con occhi minacciosi e la voce ridotta ad un sussurro, perciò Davina ebbe qualche difficoltà a sentirlo. “Ma non ho contrattato la brutalità contro mia figlia, in questo scambio.”

Munro guardò il figlio in cagnesco. “Parlan, di prego di nuovo di perdonare mio figlio.” Si voltò verso il padre di Davina, con un atteggiamento più contrito. “E ti imploro di perdonare anche me, per qualsiasi cosa io possa aver fatto per contribuire all'eccessivo zelo di mio figlio nei suoi doveri coniugali.”

Un brivido attraversò Davina. Anche se Munro sembrava sincero- e l'espressione di consenso sul viso di suo padre indicava che lui credeva al suocero di Davina- Ian assumeva troppo spesso quello stesso tono di finta umiltà. Tuttavia, quell'umiltà si rivelava sempre come una maschera elaborata. Persino le sue parole dimostravano che non pensava di essere in difetto: “Qualsiasi cosa io possa aver fatto...” Nei quattordici mesi da quando Davina e Ian si erano sposati, lei aveva imparato che quei segni velati miravano ad attirare la comprensione e l'arrendevolezza, ma in verità erano indici della verità dietro la facciata.

Munro rivolse i suoi occhi penetranti verso Ian, continuando a parlare. “Per dimostrarti i miei sforzi di sistemare le cose, Parlan, farò proprio come suggerisci e chiuderò i forzieri a mio figlio.” Un lieve accenno di soddisfatta compiacenza si diffuse nei lineamenti di Munro, per la propria posizione di potere sul figlio. Davina notò facilmente che il corpo di Ian stava tremando di rabbia repressa, con le mani strette a pugno dietro la schiena. Fu colta da un terribile presentimento, come se l'acqua ghiacciata di una corrente invernale la facesse sprofondare in una profonda oscurità. Sarebbe diventata sicuramente l'oggetto della frustrazione del marito, una volta rimasti soli e ritornati nella loro fredda dimora.

Aggrappati a quell'immagine di forza, canticchiò Davina nella mente, come aveva già fatto innumerevoli volte, e quella forza consisteva nella voce e nel viso di Broderick. Ogni volta che il dolore o la disperazione minacciavano di consumarla e di farla impazzire, si concentrava su quei capelli rosso fuoco, sull'ampio petto e sulle braccia forti che la circondavano in un bozzolo sicuro e sulle labbra piene di Broderick che le imprimevano un bacio confortante sulla fronte. Lui non l'avrebbe mai trattata come la trattava Ian e Davina si rifugiava nella fantasia di essere la moglie del gitano. In quel mondo, in quel reame della fantasia, Ian non poteva toccarla, spezzarle l'animo o distruggere il suo orgoglio.

Girando sul tallone, Munro guardò di nuovo in faccia Parlan ed annuì brevemente, attirando l'attenzione di Davina. “E' veramente un saggio consiglio e mi vergogno di non averci pensato prima.”

“Ci sono altre responsabilità, oltre all'amministrazione delle finanze, Ian.” Parlan era in piedi davanti al genero e guardava in cagnesco il suo capo piegato. “Davina ha un cuore gentile, un animo amorevole...”

“Tutte ulteriori ragioni per le quali sono molto felice di questa unione,” lo interruppe Munro, fermandosi accanto a Ian. “Lei è la mano tenera che domerà la bestia dentro mio figlio. Sono sicuro che tu abbia visto la saggezza in tutto ciò e che questo sia il motivo per cui hai acconsentito a questa unione. Davina riuscirà a trasformare mio figlio in un marito e un padre amorevole.”

Il viso di Parlan si adombrò e lui si avvicinò ad un soffio dai due uomini. Li osservò, poi i suoi occhi si posarono su Ian, che incrociò il suo sguardo. “E' difficile diventare padre, Ian, quando si picchia il vaso che contiene il tuo bambino.”

Davina usò la manica del vestito per asciugarsi le lacrime di sollievo. La solitudine era stata la sua unica compagna sotto le mani brutali del marito, e il bambino mai nato che aveva perso le causava più dolore di quanto potesse sopportare. Non aveva idea che suo padre sapesse cosa aveva dovuto sopportare. Ian la minacciava ripetutamente, affermando di svolgere solo il dovere di un marito che punisce la moglie disobbediente, e se lei avesse raccontato a qualcuno di quelle continue punizioni ben meritate, lo avrebbe rimpianto. Visto che combattere contro di lui sembrava solo aumentare il suo predominio, Davina aveva iniziato a pensare di avere torto e di aver provocato la rabbia del marito contro di lei. Dopotutto, molte delle sue cugine parlavano delle punizioni che tutte le donne devono sopportare per mano dei mariti, anche i metodi crudeli con i quali i loro mariti le portavano a letto. Perché la sua situazione avrebbe dovuto essere diversa?

Davina era sempre in guardia, a causa dell'umore instabile del marito. Qualche volta lui dimostrava un'attenzione amorevole e le sussurrava promesse; l'attimo dopo le dava la colpa di qualsiasi cosa gli rovinasse l'umore. Le girava la testa per quel torrente di accuse diverse e di ragioni per quel carattere mutevole. A volte, Davina non riusciva a distinguere l'alto dal basso ed ogni raziocinio veniva meno, nel caos della sua situazione. Quando vide suo padre venire in sua difesa e apprese che lui aveva occhi capaci di scorgere la verità, si aggrappò alla parete per calmare le gambe rese instabili da un puro sollievo. Non era pazza1 Non era colpa sua!

“Tieniti i forzieri, quindi, Munro. Fino a quando Ian non si sarò dimostrato più gentile con Davina, lei tornerà a stare qui e il corteggiamento ricomincerà da capo.”

Ian voltò la testa di scatto verso suo padre e Munro restò a bocca aperta. “Credo che adesso tu stia andando troppo oltre, Parlan. Non c'è bisogno di sconvolgere Davina, facendola ritornare qui e imponendole l'instabilità di una vita domestica mutevole.”

“Una vita domestica sicura e piena d'amore è meglio della prigionia che ha sopportato sotto il tuo tetto. Darò disposizioni affinché le sue cose siano riportate qui immediatamente.” Parlan strinse lo sguardo su Ian. “Se sei avido di legami con la corona, ragazzo, farai meglio a dimostrare di essere un marito innamorato e di meritare il frutto dei miei nipoti.”

Davina lottò per calmare il rimbombare del suo cuore, che batteva fuori controllo. Sarebbe stata a casa!

“Parlan.” Munro posò una mano tranquillizzante sulla spalla del padre di Davina. “Posso assicurarti che Davina sarà al sicuro sotto il mio tetto. Ora che sono al corrente della situazione...”

“Il maltrattamento è andato avanti sotto il tuo naso e tu non hai saputo vederlo!” ruggì Parlan.

Munro chinò la testa, indietreggiò e annuì. “Hai ragione, Parlan. Non posso esprimere il mio rammarico per avere ignorato il dolore che ho causato alla tua preziosa figlia. Sono giunto a considerare Davina come la figlia che ho sempre desiderato e mi dispiace che mia moglie non abbia vissuto abbastanza da conoscerla.” Munro si voltò e iniziò a camminare avanti e indietro con un'espressione affranta e le mani dietro la schiena: l'immagine stessa del pentimento. “Credo che se Ian fosse stato influenzato dall'amore di mia moglie, avrebbe imparato ad essere un marito più gentile. Temo di essere stato troppo occupato con gli affari riguardanti le mie proprietà e la ricchezza, per passare del tempo con lui, quindi sono venuto meno al mio dovere di insegnargli queste cose.” Munro sostenne la propria causa, rivolgendo a Parlan uno sguardo addolorato. “Capisco la tua decisione e non mi opporrò, se vorrai mantenere questa posizione. Nonostante ciò, ti imploro di darmi la possibilità di sistemare le cose. Ho aperto gli occhi e sarò il protettore di Davina. Manterrò il controllo su Ian.”

Davina aspettava con il fiato bloccato nel petto, osando sperare nella sicurezza che suo padre le offriva. Gli attimi si allungarono all'infinito, mentre guardava Parlan riflettere sulle parole di Munro. Con un profondo sospiro, Parlan annuì. “Te lo concedo.”

Davina restò a bocca aperta e il suo cuore precipitò nel più profondo del suo essere.

“Ad una condizione: resterete tutti qui come nostri ospiti per due settimane o persino di più. Desidero passare del tempo con mia figlia, darle la possibilità di una tregua ed osservare per un certo periodo tuo figlio.” Parlan puntò il dito verso il viso di Munro e fece una smorfia. “Ma se vedrò il minimo accenno di dolore negli occhi di mia figlia o anche il più piccolo segno sul suo corpo, se non vedrò il suo comportamento trasformarsi in quello di una donna beatamente felice in breve tempo, scioglierò questo matrimonio e non mi importa dello scandalo che ciò potrà causare o di quanto potrà costarmi.”

Munro strinse la mascella e i suoi occhi divennero freddi. “Sì, sono sicuro che lo scandalo sia qualcosa che sei pronto ad affrontare, considerate le tue origini.”

Il volto di Parlan divenne scarlatto. “Nonostante le mie origini, io sono ancora quello con i legami con la Corona e non solo grazie alla mia nascita illegittima. Condividere la nursery ed essere cugino stretto di colui che è attualmente sul trono ha i suoi vantaggi.”

I due uomini si fissarono in uno scontro silenzioso, ma alla fine un ampio sorriso si allargò sul viso di Munro. “Non preoccuparti, amico mio! Non sarai deluso. Ian sarà un genero modello e noi avremo molti nipoti dei quali esser fieri!” Le pacche sonore di Munro sulla schiena di Parlan non riuscirono a cancellare la linea determinata della bocca di quest'ultimo, che tuttavia annuì di nuovo in assenso.

Davina inghiottì le nuove lacrime di sgomento che minacciavano di tradirla. Retrocedendo dalla soglia, percorse il corridoio in silenzio e si allontanò da quell'incontro tra uomini, quell'insieme di potere maschile che le imponeva una vita dominata dal destino. Barcollò nella cucina, poi all'esterno nel cortile deserto e dietro le scuderie, mentre il suo cuore sprofondava ancora di più all'idea della protezione di Munro, nella quale non credeva affatto. Davina non aveva mai detto niente a suo padre, e Parlan era venuto a sapere che Ian la maltrattava durante le poche visite che i suoi genitori le avevano fatto, o durante le brevi visite che lei e il marito avevano fatto a casa. Com'era possibile che Munro fingesse di ignorare ciò che avveniva sotto il suo stesso tetto? Si lasciò cadere su un piccolo mucchio di paglia dietro alcuni barili di acqua piovana, avvicinò le ginocchia al petto e nascose il viso tra le braccia, lasciando scorrere le lacrime.

Non si era confidata con suo fratello Kehr neppure una volta durante quell'orribile farsa di matrimonio. Persino adesso, non poteva andare da lui, perché Kehr si trovava ad Edimburgo, ad almeno tre giorni di viaggio dalla loro casa a Stewart Glen. In quel momento Davina non riusciva a capire la ragione per la quale non aveva mai condiviso i suoi guai riguardo a Ian con il fratello. Gli aveva sempre raccontato tutto, incluse le sue fantasie di diventare la moglie dello zingaro indovino. Non i dettagli più intimi, ovviamente, ma l'idea che lui sarebbe tornato e le avrebbe dichiarato il vero amore. Era stata felice che suo fratello accettasse i suoi sogni, anche se ogni tanto la prendeva in giro. Kehr l'aveva sempre sostenuta, ma l'aveva ammonita di non farsi intrappolare eccessivamente nel mondo dei sogni. Dopotutto, erano solo fantasia.

Trasse un profondo respiro per calmare il battito del cuore e le mani tremanti, cercando quelle fantasie per alleviare le preoccupazioni. Che impressione aveva fatto su di lei, quello zingaro gigante che prediceva la sorte! Aveva fatto molte visite all'accampamento degli zingari durante il loro ultimo soggiorno e aveva conversato con Amice, mentre sorseggiavano il tè accanto al fuoco. Broderick andava e veniva senza quasi degnare Davina di uno sguardo, prediceva la sorte e andava avanti con le sue occupazioni. Troppo timida per rivolgergli direttamente la parola, Davina approfittava di ogni opportunità per vederlo e la sua infatuazione cresceva. E quando lui le rivolgeva la parola, lei non riusciva a mettere insieme più di due parole senza una raffica di risatine. Tuttavia, aveva memorizzato ogni lineamento del viso di Broderick: la curva del suo naso aquilino, il bell'angolo dei suoi zigomi, la linea dritta della sua mascella squadrata. Alla tenera età di tredici anni, l'innocenza e la mancanza di esperienza davano ai suoi sogni il gusto di passeggiate attraverso le foreste illuminate dalla luna e baci rubati. Mentre cresceva, quelle fantasie erano maturate e bruciavano di abbracci pieni di passione. Amice aveva detto che sarebbero tornati. Negli otto anni trascorsi da quando lo aveva incontrato, ogni gruppo di zingari che attraversava il loro piccolo villaggio di Stewart Glen le incendiava il cuore, ma la delusione di non vedere Broderick tra loro gettava acqua su quel fuoco. Quando suo padre aveva stipulato il contratto matrimoniale con Munro e aveva concesso la sua mano a Ian, lei si era costretta ad abbandonare i sogni ed era giunta alla conclusione realistica di dover mettere da parte i capricci, come le consigliava suo fratello.

Tuttavia, la tetra realtà della sua unione con Ian aveva fatto rinascere quelle fantasie, alle quali si aggrappava come alla vita.

Dei gattini miagolarono da qualche parte nelle scuderie: i loro piccoli versi impotenti attirarono la sua attenzione e le fecero sollevare gli angoli della bocca dalla compassione. Sospirò. Almeno il suo cuore aveva smesso di martellare e le sue mani erano di nuovo ferme.

Appoggiò la testa contro la struttura di legno delle scuderie e fissò le pietre del muro perimetrale dall'altra parte... pietre che suo padre aveva disposto con le sue stesse mani. Sorrise al ricordo del suo tentativo di progettare l'apertura segreta situata sul lato nord del muro perimetrale, alle spalle dei loro terreni, proprio alla sinistra di Davina. Suo padre si era lamentato di quanto fossero imperfetti i meccanismi. Kehr e Davina si erano divertiti ad usare quel passaggio negli anni, anche se il padre li aveva ammoniti severamente di non rivelare dove si trovava. Anche se la loro casa non era stata progettata per essere una formidabile fortezza contro un esercito, le mura li tenevano al sicuro, indirizzando il traffico verso i cancelli anteriori. Parlan si era sempre preoccupato della propria famiglia, come dovrebbe fare un padre responsabile.

Davina sobbalzò a un rumore dall'altra parte del muro e si portò la mano al petto, costringendo il respiro a rallentare. Senza muovere un muscolo o osare respirare, aspettò che qualche altro rumore rivelasse cosa era successo. Il sangue scomparve dal suo viso quando il borbottio di Ian le giunse alle orecchie. Delle proteste profonde e nervose si levarono dai cavalli nelle scuderie, quando Ian prese a calci quelli che sembravano dei secchi o degli sgabelli. “Puttana! Tutto questo è colpa sua!” Il rumore delle fibbie e dei finimenti risuonò nella confusione. “Stai fermo, stupido animale!”

Davina si rannicchiò a terra dove era seduta e sbirciò attraverso le fessure degli infissi nell'apertura sopra di lei. Ian faticava a sellare il cavallo. Lei sobbalzava ad ogni strattone e spinta che il cavallo subiva dal padrone, fino a quando lo stalliere Fife non si schiarì la gola, entrando nel box. “Posso esservi di aiuto, padron Ian?”

Ian si ritrasse al suono della voce di Fife, poi trasse un respiro per calmarsi, allontanandosi dal cavallo. “Sì Fife, lo apprezzerei.”

Il cuore di Davina si contorse alla vista del bel sorriso di Ian e della sua aria affascinante. Era stato così con lei, durante il corteggiamento, ma adesso mostrava quel lato della sua personalità a tutti, tranne che a lei. La gente non poteva sospettare che un uomo crudele si nascondesse sotto quell'aspetto attraente.

“C'è qualcosa che vi preoccupa, padron Ian?” Fife si strofinò il naso largo e rotondo, stringendo gli occhi segnati dall'età, mentre accarezzava il collo del cavallo e si spostava dall'altro lato, per allacciare le cinghie di cuoio.

“Oh, solo un piccolo disaccordo con mio padre. Niente di serio.” Ian sorrise e scosse la testa. “Mi chiedo se si smetta mai di avere disaccordi con i genitori.”

Fife ridacchiò e scosse la testa, abbassando la guardia. “E' una battaglia infinita che dobbiamo sopportare per tutta la vita, ragazzo. Tutta la vita.” Risero entrambi per quella saggezza. Fife porse le redini a Ian. “Andateci piano con lei, padron Ian. Fate una bella cavalcata, per alleviare la tensione, e ritornate in tempo per la cena.”

Ian scosse la testa di buon umore e salì in sella con il suo corpo snello. “Mi sembra di avere più di un padre qui, visto che voi e Parlan mi siete così affezionati.”

“Ci stiamo semplicemente prendendo cura di voi, padron Ian.” Fife salutò con la mano, guardando Ian che girava il cavallo e si dirigeva verso il cancello anteriore. “Bravo ragazzo,”sussurrò mentre sistemava le scuderie.

Davina si morse il labbro inferiore dalla frustrazione. Era l'unica a riconoscere la crudeltà di Ian? Stringendo i pugni, uscì a passo di marcia da dietro le scuderie e si diresse verso il castello; Fife le rivolse uno sguardo stupito quando Davina chiuse la porta dietro di sé. No, non era l'unica. Suo padre aveva occhi per vedere e si sarebbe assicurata che sapesse fino a che punto poteva arrivare la brutalità del marito.

Si diresse immediatamente nel salotto, ma trovò la stanza vuota e il fuoco che bruciava ancora nel camino. Girò sui tacchi e si scontrò quasi con sua madre.

“Oh! Davina, mi hai spaventata!” Lilias si posò una mano sul petto e trattenne il respiro. “Tuo padre mi ha mandata a cercarti.”

“Lo stavo proprio cercando anch'io.”

Lilias prese sua figlia per mano e la condusse attraverso il pianterreno della loro casa fino al primo piano, che ospitava le camere da letto private. Ogni pietra che superavano lungo la strada verso la camera dei genitori ricordava a Davina l'orgoglio negli sforzi di suo padre e la propria fiducia nella sua saggezza, che avrebbe dato ascolto alle suppliche della figlia.

Quando Lilias aprì la porta della camera da letto, sospinse Davina nella stanza, chiuse la pesante porta dietro di loro e si sedette sul divanetto accanto al fuoco, occupando un posto tranquillo ma di sostegno al fianco del marito. Parlan era in piedi davanti al camino, con le spalle alla porta, in un atteggiamento simile a quello che aveva tenuto nel salotto. “Non so con certezza quanto tu abbia sentito fuori dal salotto, Davina, ma mi dispiace che la conversazione ti abbia sconvolta così tanto.” Si voltò a guardarla, aggrottando la fronte per il dispiacere. “Non temere, ero l'unico testimone della tua fuga in preda alle lacrime.” Le sue ultime parole furono un sussurro confortante.

Davina mise il labbro tremante tra i denti, per calmarlo, e si dimostrò forte davanti al padre. “Non si tratta di niente che tu abbia provocato, padre. Sono felice di sapere che sei al corrente della mia situazione.” Le tremava la voce, ma si schiarì la gola e trattenne le lacrime. “Stavo andando nel salotto, per prendere il mio lavoro di ricamo, quando mio suocero ti ha implorato di perdonare mio marito.”

Parlan inarcò le sopracciglia, apparentemente sorpreso che lei avesse sentito tutto ciò. Annuì. “Allora sei al corrente della punizione di Ian, per la sua incapacità di affrontare le responsabilità.”

Davina annuì.

Dopo una lunga pausa, suo padre disse: “Mi rendo conto che le condizioni di questo accordo suonano come se ti stessi rimandando indietro nella tana del leone.” Parlan osservò il morbido cuoio marrone dei suoi stivali, prima di guardarla di nuovo negli occhi. “Ian non è affatto felice della stretta al suo borsellino, che Munro gli imporrà, ne sono sicuro. Per questo ho insistito che restassero qui, sotto il mio tetto, in modo da offrirti una certa sicurezza e assicurarti che sarai protetta.”

Davina diede libero sfogo al suo dolore. “Per favore, padre, fai che io non debba sopportare un istante di più di questa unione! Non possiamo fare come hai detto e sciogliere il matrimonio?”

Parlan strinse la mascella e rivolse uno sguardo dispiaciuto alla moglie. Lilias gli afferrò la mano e sembrò offrirgli il proprio sostegno. “Davina, i Russell offrono delle immense opportunità di affari, sia per me che per tuo fratello e io non potrò affidarmi per sempre a mio cugino il re. Dobbiamo sforzarci di aumentare da soli i nostri possedimenti.” Si concentrò di nuovo su Davina, le si avvicinò e le prese entrambe le mani nelle sue. “Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare una dose maggiore di maltrattamenti da parte di tuo marito, rispetto a tutte le altre donne. Ora che non posso più fingere di ignorare questo suo comportamento, spero che potrai perdonarmi per non avere detto niente prima. Prenderò delle misure che ti assicurino la protezione e, con il tuo aiuto, penso che riusciremo a fare funzionare questa faccenda.”

Davina dovette fare un grande sforzo per riuscire a parlare, a causa del groppo che le si era formato in gola. “Sii la mano gentile che domerà la bestia,” sussurrò, ripetendo le parole di suo suocero.

Parlan annuì. “Munro ha chiaramente fatto ben poco per mostrare a Ian come essere uomo. Il tuo soggiorno, il loro soggiorno qui, darà indefinito. Ian e Munro staranno ciascuno in una stanza degli ospiti di sopra e tu avrai di nuovo la tua stanza privata, su questo livello. Ho insistito ulteriormente con Munro e supervisioneremo entrambi il comportamento di Ian nelle prossime, numerose settimane. Munro ha accettato umilmente la mia guida come padre, e quella di Lilias come madre, per mettere Ian sulla retta via. Solo quando vedremo dei miglioramenti, ti permetteremo di osare ritornare a casa loro. Solo quando mi sentirò sicuro che tu sia amata e curata come la donna preziosa che sei, ti consentirò di andare con loro.”

Anche se Davina si sentì sollevata al pensiero che le botte e i rapporti sessuali crudeli sarebbero cessati, si sentì comunque crollare il mondo addosso. “Non conosci il vero Ian, padre. E' capace di indossare una maschera affascinante sopra il mostro che è in realtà. Lui...”

“Davina, non gli permetterò assolutamente di farti del male. Sono d'accordo che lui stia prendendo troppo sul serio la propria responsabilità di esercitare il suo dominio di marito, ma non è un pericolo per la tua vita. Se pensassi che lo fosse, scioglierei all'istante questo matrimonio. Ti proteggeremo.”

Davina odiava sapere che la sua famiglia credeva che lei avesse una propensione per il dramma. Suo padre le baciò la fronte e la attirò in un forte abbraccio. “Non lascerò che ti faccia del male. Devi farlo per la tua famiglia. Un giorno, quando Ian avrà imparato il suo ruolo e i suoi doveri coniugali, forse riuscirai a perdonarlo e ad amarlo. In caso contrario, almeno potrai trarre gioia dai figli che avrai un giorno.”

Davina lasciò scorrere le lacrime, bagnando la tunica del padre e tenendolo stretto per farsi forza e sottomettersi ai suoi desideri. Sarebbe stata l'agnello sacrificale per dare alla sua famiglia un futuro stabile.

* * * * *

Il clangore dell'acciaio contro acciaio risuonava nell'aria, rimbalzando tra le pareti e l'alto soffitto della Sala Grande e mescolandosi ai ringhi, agli ansimi e ai gemiti di Kehr e Ian che stavano duellando. Kehr parava gli affondi di Ian, si girava e colpiva il lato scoperto dell'avversario, strappandogli un grugnito. Con un sorriso sul viso, Ian spingeva Kehr in avanti e quest'ultimo ricambiava il sorriso con un proprio affondo; comunque, Ian lo bloccava efficacemente con lo scudo.

“Bene!” lo incoraggiava Kehr.

“Grazie!” diceva Ian con un altro colpo di spada, che Kehr schivava.

Davina sorrise a suo fratello, confortata dalla sua presenza. Finalmente era tornato a casa dopo una lunga permanenza a Edimburgo, in visita a Corte. Era arrivato solo il giorno prima in tarda serata e, anche se lei aveva atteso con ansia il suo arrivo e l'opportunità di passare del tempo con lui, la notizia dell'apparizione che aveva fatto visita al re aveva fatto sprofondare il suo spirito.

Tutta la Scozia era in fermento per quello che era successo al re e Kehr aveva riportato la storia con grande enfasi, nel salotto. Con il fuoco che bruciava nel camino e gettava ombre nella stanza, la famiglia si era seduta in cerchio, con gli occhi fissi sulla drammatica messinscena di Kehr.

“Inginocchiatevi di fronte al re di Scozia!” aveva gridato il consigliere del re mentre inseguiva l'uomo che aveva fatto irruzione nella cappella privata del sovrano. Kehr imitò l'ufficiale John Inglis che correva dietro all'intruso. “Ma il re ha sollevato la mano ed ha bloccato i consiglieri, perché l'uomo si è fermato prima di raggiungere Sua Maestà.”

Scoppi di risate circolarono nella stanza e Davina si mise la mano sulla bocca, per reprimere i propri risolini. “E dite che io ho la tendenza al dramma!” scherzò.

Kehr rise per la sua interruzione, ma andò avanti. “ 'Basta',” disse il re. 'Lasciatelo parlare.' I consiglieri si sono osservati a vicenda per un lungo istante di silenzio, poi l'uomo ha allungato il braccio,” Kehr mimò le azioni dell'intruso, che si chinava in avanti con il pugno di fronte a sé, “ed ha afferrato la tunica del re, dicendo 'Sua Maestà, mia madre mi ha mandato da voi per chiedervi di non recarvi dove avete intenzione di andare.'” Kehr aggrottò la fronte, rivelando il grave messaggio che l'uomo aveva consegnato al re. “' Se lo farete, non starete bene durante il viaggio, e neppure tutti quelli che verranno con voi.'” Kehr camminò altezzoso davanti alle persone sedute in cerchio nella stanza, guardando ciascuno di loro negli occhi. Davina scosse la testa per quella pausa che lui usava con efficacia. Kehr si fermò al centro del pubblico. “E semplicemente così...” schioccò le dita, “l'uomo sparì come un battito di ciglia al sole!” La famiglia sobbalzò e si scambiò mormorii. Kehr si strinse nelle spalle. “E così il re ha deciso di non dichiarare guerra all'Inghilterra.”

Davina si calmò quando il fiato le uscì di colpo dal petto... mentre tutti gli altri scoppiavano in applausi, gioivano e festeggiavano quella grande occasione. Kehr afferrò l'idromele, fece un cenno a Davina e sollevò la tazza. Lei ricambiò il cenno con un sorriso forzato. Suo fratello si sedette tra gli applausi, mentre la famiglia si congratulava con lui per quella scena e per le meravigliose notizie.

Davina aveva fatto ogni sforzo possibile per apparire felice, proprio come in quel momento, sforzandosi di mantenere la maschera di un sorriso e aggrappandosi alla consapevolezza che Kehr e suo padre non sarebbero andati in guerra, dopotutto. Per fortuna, i discorsi sulla guerra la tenevano sempre lontana dalla Corte, dove odiava passare il tempo. Inoltre, voleva Ian sul campo di battaglia... non suo fratello o suo padre.

“Resisti, Ian”, lo ammonì Kehr e riversò su di lui un assalto di fendenti, colpi e affondi che fecero arretrare Ian per tutta la lunghezza della stanza. Poiché non faceva attenzione ai propri passi, inciampò e cadde all'indietro, ma si rimise rapidamente in piedi e si voltò, per evitare l'assalto di Kehr.

“Ti stai facendo prendere dall'eccitazione, nipote?” Tammus, il fratello di sua madre, si fermò accanto a Davina.

Davina si accorse di essersi aggrappata allo schienale della sedia, mentre guardava il fratello e il marito impegnati in quella finta battaglia, come parte dell'addestramento di Ian. Allontanò le mani dal legno duro e solo allora si accorse del dolore alle dita. Rivolse lo sguardo allo zio, il viso del quale era illuminato da una tinta arancione calda, a causa della luce delle torce disposte nella stanza. “Sì, Zio, mi preoccupo per entrambi,” mentì.

Tammus le mise un braccio intorno alle spalle con affetto e la strinse a sé. “Oh, non preoccuparti, ragazza. Di sicuro una finta battaglia è diversa da quella vera che, per fortuna, non dovremo combattere affatto.”

“Sì, Zio.” Davina sorrise e rivolse di nuovo l'attenzione ai duellanti.

Quando Kehr le fece l'occhiolino, con la schiena rivolta a Ian, quest'ultimo lo colpì al sedere con la parte piatta della spada, strappando un grido al fratello di Davina. Ian inarcò le sopracciglia con finta sorpresa e Kehr partì al suo inseguimento, ma Ian scappò gridando come una ragazza e facendo il giro dell'ampia superficie della stanza. Tutti scoppiarono a ridere per quella scena comica, eccetto Davina, perché quella scena di Ian la fece stare male. Nelle ultime sei settimane, da quando il marito era stato punito con una stretta ai lacci del borsellino, Ian aveva organizzato un'incredibile messinscena per conquistare la famiglia di Davina ad ogni occasione. Anche se loro due non venivano mai lasciati soli, con suo grande sollievo, nei rari momenti nei quali lui riusciva a gettare un'occhiata nella sua direzione o la metteva con le spalle al muro nel castello, le faceva capire in privato che tutto ciò sarebbe tornato a perseguitarla, quando lui avesse ottenuto lo scopo di avere di nuovo il controllo e il denaro.

“E' un gioco delizioso tra il gatto e il topo, vero?” le aveva chiesto una volta in cui l'aveva bloccata in un angolo.

“Non riuscirai ad ingannare la mia famiglia,” gli aveva detto Davina con sicurezza.

Lui l'aveva bloccata, facendola arretrare nel vano delle scale ed appoggiando le braccia alla parete. “Pensano di potermi controllare,” sibilò, “di controllare i fili di questa marionetta, facendomi misere concessioni del loro denaro? Vedremo se a loro piace essere controllati. Sono dei tipi fiduciosi, proprio come te.” La maledisse con un sorriso malvagio e si allontanò impettito. Davina aveva iniziato a tenere un pugnale nello stivale, dopo quell'incontro. Adesso, mentre osservava la sua famiglia diventare un giocattolo nelle mani di Ian, quell'affermazione del marito le sembrò piuttosto vera. A Ian piaceva quella messinscena, gli piaceva manipolare la gente, fargli credere e fare quello che voleva lui, un gioco nel quale riusciva alla perfezione. Fino a che punto si sarebbe spinto?

Kehr riuscì a fare inciampare Ian, che finì lungo disteso sul pavimento di pietra. Tutti accorsero in suo aiuto, Kehr primo tra tutti, scusandosi. Ian rimase per un attimo stordito e Davina si concesse un sorriso segreto. Dopo essersi ripreso, Ian si pulì il sangue sul labbro inferiore e la guardò. Sollevò un sopracciglio e sorrise brevemente- solo abbastanza perché lei lo notasse- prima che il suo viso diventasse di nuovo serio, poi abbassò lo sguardo, come se soffrisse. Rivolgendo un'occhiata a Davina, si alzò da terra e si spolverò i calzoni. Il suo lieve gesto fece voltare verso Davina suo fratello e suo padre. Prima che lei capisse il piano di Ian, era stata sorpresa a gongolare per l'incidente del marito, proprio come voleva lui.

Il calore le risalì fino alle guance. Parlan la fulminò con lo sguardo, spingendo il resto del gruppo a voltarsi verso di lei. Davina si scusò per dover lasciare la scena, uscì dalla Sala Grande, attraversò il corridoio oltre il salotto, la cucina e il cortile verso le scuderie, cercando di soffocare i singhiozzi. Il crepuscolo avvolgeva il castello, gettando su tutte le cose delle sfumature grigie. Degli aloni di luce ambrata circondavano le torce disposte nei terreni intorno, per illuminare almeno un po' il percorso. Davina entrò nelle scuderie e colpì con il piede un secchio vuoto sul pavimento. Il rumore svegliò i gattini, che si stiracchiarono.

“Come possono credere alla sua messinscena?” sibilò incrociando le braccia sotto il petto, stringendo i pugni e camminando avanti e indietro. Dopo il primo incidente, Davina era andata da suo padre per svelargli il piano di Ian e lui le aveva creduto. Tuttavia, quando Ian era stato portato davanti a Munro, Parlan e Davina per spiegarsi, aveva affermato che Davina lo aveva capito male e si era scusato per essere un inetto con le parole, incapace di dire le cose nel modo giusto. All'inizio, persino Davina aveva creduto di aver sentito male, fino a quando Ian non l'aveva messa un'altra volta con le spalle al muro. Era impossibile sbagliarsi. Dopo un po', il padre aveva iniziato a credere che Davina stesse cercando di screditare Ian, mentre lui si stava sforzando di cambiare. Comunque, quei fallimenti non l'avevano scoraggiata e aveva continuato a tentare.

Due gattini sbucarono da sotto una cesta sul retro della zona di lavoro di Fife. Davina si fermò e li fissò, aspettando. Dov'erano gli altri gattini? Si chinò sui talloni, sbirciando nell'oscurità. Un altro gattino strisciò fuori, miagolando. Erano cresciuti così tanto nelle ultime sei settimane... ma solo di taglia. Il ridursi del loro numero era quello che preoccupava Davina. Quando aveva visto i gattini per la prima volta, ne aveva contati otto. Una settimana dopo- quella successiva all'inizio della punizione e della supervisione di Ian- ce n'erano sette. Aveva rimosso quella differenza nel numero, pensando di aver contato male. Quando la settimana successiva era scomparso un altro micetto, aveva pensato che quel poveretto fosse stato catturato da un gufo o da qualche altro predatore. Giusto, un altro predatore. Fife le aveva detto del terzo gattino che era scomparso due settimane dopo e aveva affermato che Ian glielo aveva portato con il cuore quasi spezzato. La testa era stata schiacciata... da un cavallo, aveva immaginato Fife. Davina aveva cercato di parlargli dei suoi sospetti, ma lui le aveva detto in un tono paterno che era troppo dura con il padrone Ian, che doveva imparare a perdonarlo per le sue passate trasgressioni e come Ian si fidasse di lui riguardo al modo di provare ad essere un marito migliore.

Erano scomparsi troppi gattini perché lei non avesse sospetti, nonostante quello che diceva Fife. Si accucciò, aspettando che il quinto micetto uscisse dalla cesta. Niente. Prese una lanterna dalla parete e diresse la luce verso l'oscurità crescente della notte che stava scendendo, nella zona di lavoro di Fife. La cesta era vuota. Quattro gattini girovagavano intorno a lei: quattro su otto. Dov'era il quinto?

Mise a posto la lanterna e fece due giri intorno all'area davanti ai box, prima di entrare in quello della sua giumenta, Heather. Afferrò la sella e la sollevò sul dorso di Heather.

“Andate da qualche parte?” La voce di Ian la fece sobbalzare e sentì dei brividi freddi danzarle lungo la schiena.

Strinse le labbra e si concentrò nello stringere i lacci di cuoio, sforzandosi di sentire quello che faceva Ian al di sopra del tambureggiare incessante del proprio cuore. Spostandosi sull'altro lato del cavallo, pestò con il piede qualcosa di morbido e balzò indietro con un grido, pensando di aver calpestato un topo. Non si mosse niente. Con la punta dello stivale, toccò la paglia che aveva calpestato. Non ci fu nessun movimento, quindi si mise in ginocchio, allungò la mano tremante e spostò la paglia. Il quinto gattino.

“Oh, mio Dio!” disse Ian in un tono triste, ma quando Davina lo vide sbirciare nel box, aveva un sorriso sulle labbra. “Non un altro?” Nonostante il terrore, lei si meravigliò di come Ian riuscisse a dare un tono affettuoso o preoccupato alla sua voce, pur mostrando un ghigno così minaccioso sul volto. Le si rizzarono i peli sulla nuca.

“Perché?” piagnucolò. “Perché lo fai?”

Lui si diede un'occhiata oltre la spalla e sorrise. “Credulona fino alla fine,” sussurrò facendole l'occhiolino.

Davina afferrò uno straccio appeso a un chiodo in fondo al box e raccolse il corpicino freddo. Singhiozzava, quando mostrò a Ian il gattino. “Hai così tanta rabbia dentro di te, che devi sfogarla sugli animali innocenti, visto che non puoi sfogarla su di me?”

“Cosa stai dicendo, Davina?” Ian fece un passo indietro, verso l'uscita delle scuderie. “Stai dicendo che io...?” Scosse la testa, fermandosi appena fuori dell'ingresso; i suoi occhi colmi di tristezza riflettevano la luce tremolante della torcia, aumentando la sua aura demonica. “So di averti fatto torto, ma non ho fatto tutto quello che potevo, per dimostrarti che sono cambiato? Cosa ancora...?”

“Eccomi qui, padron Ian,” disse Fife entrando nelle scuderie. “Cosa vi ha sconvolto così, ragazzo?”

“E' questo che pensi di me, Davina?” disse Ian vinto dal dolore.

“Guarda, Fife! Un altro gattino!” Davina singhiozzava senza riuscire a controllarsi, temendo come sarebbe andata a finire. “E' come ho detto io! Mi ha vista quando ho trovato il gattino e non ha provato rimorso!”

Fife la fissò a bocca aperta, poi guardò Ian dispiaciuto. Davina li superò di corsa, tornò nel retro delle scuderie e posò il gattino su un piccolo mucchio di paglia. Si lavò via il sangue dalle mani, piangendo, e si spruzzò l'acqua piovana del barile sul viso, per cercare di schiarirsi le idee. Appoggiando le mani sul bordo del barile, ansimò, cercando di pensare a come affrontare tutto ciò. Non può essere vero! Perché sta accadendo?

Un segno marrone incrostato sul bordo del barile dell'acqua sembrava l'impronta parziale di una mano. Un'impronta insanguinata.

Ian la afferrò per le spalle e la fece voltare così rapidamente che le girò la testa. Bloccandola contro il muro posteriore della scuderia, le parlò abbastanza ad alta voce perché Fife potesse sentire, in un tono così colmo di affetto e sincero, che lei quasi credette alle sue parole... se non fosse stato per la maschera minacciosa sul volto. “Tu sei delicata come quei gattini. Odierei se ti accadesse qualcosa del genere. Mi schiaccerebbe.” Le strinse più forte le spalle, per sottolineare la parola “schiacciare.”

Il rumore di passi che si allontanavano svanì attraverso le imposte alla sinistra di Davina, sopra il barile dell'acqua, e Ian aspettò che Fife fosse fuori della portata d'orecchio.

“Credulona fino alla fine, Davina,” la schernì. “Mi farò accettare da tutti nella vostra famiglia e tu sarai quella costretta alle restrizioni. Forse ti crederanno persino pazza, quando avrò finito il mio lavoro.”

Sentendo il mondo chiudersi intorno a sé, Davina spinse via Ian e si avviò sconvolta verso il castello. Varcò la porta della cucina con irruenza, sfrecciò lungo il corridoio che portava al salotto e si fermò di colpo sulla soglia. La sua famiglia era seduta nella stanza, con gli occhi spalancati e uno sguardo interrogativo. Fife era in piedi alla sua sinistra, accanto a suo padre: stava schiacciando il cappello tra le mani nervose ed aveva un'espressione colpevole dipinta in viso.

“Cosa hai raccontato, Fife?” Davina si appoggiò i polpastrelli freddi sulle guance bagnate e arrossate.

Suo padre incrociò le braccia. “Cos'è questa storia di Ian che uccide i gattini?”

Davina corse ad afferrare l'avambraccio del padre. “Padre, sta sfogando la rabbia su quei poveri animali indifesi, invece che su di me.” Non riusciva a controllare i singhiozzi, mentre supplicava.

“Su, padrona Davina,” la rimproverò gentilmente Fife. “Padron Ian ha detto che non potrebbe fare del male a quei gattini, più di quanto potrebbe farne a voi. Avete semplicemente male interpretato quello che ha detto.”

“Grazie per avermi difeso, Fife, ma penso che sia inutile tentare ancora.” Ian era in piedi sulla soglia e il dispiacere gli piegava gli angoli della bocca verso il basso. “Credo che Davina abbia ragione, Parlan. Dovremmo sciogliere questa unione. Non mi perdonerà mai, per quanto io possa cercare di cambiare.”

“Perché stai facendo tutto questo!” gli gridò in faccia Davina.

“Ora mi vuoi? A che gioco stai giocando, Davina?” Ian sollevò le braccia frustrato e si spostò al centro della stanza per perorare la propria causa, lasciando Davina indietro, sulla soglia.

“No, non è quello che intendo dire e lo sai! Perché stai cercando di farmi considerare pazza dalla mia famiglia?”

Ian abbassò la mascella, come se fosse stato schiaffeggiato. Annuì, chiudendo la bocca e poi gli occhi. “Ho provato, Parlan.” Guardò dispiaciuto il padre di Davina, mentre la madre singhiozzava. “Amo vostra figlia ed ho sperato di riuscire a far funzionare il matrimonio, ma è evidente che lei non mi perdonerà.” Poi disse, rivolgendosi a suo padre Munro: “Andrò in camera a preparare il baule. Sarà meglio partire domani.” Quindi si voltò verso Davina, le si avvicinò volgendo la schiena alla stanza e le rivolse quel sorriso privato e malvagio che la voce non tradiva mai. “Addio, Davina,” sussurrò e se ne andò. Munro lo seguì, guardandola con cipiglio mentre usciva.

Davina era scioccata per gli sguardi accusatori della sua famiglia. Parlan sospirò e si avvicinò al camino, rivolgendole la schiena. Lilias singhiozzava nel fazzoletto che aveva tirato fuori dalla manica. Kehr si fece avanti, con le sopracciglia piegate verso il basso. “Davina, è tempo di lasciar perdere l'amante zingaro dei tuoi sogni. Nessun uomo, né tanto meno Ian, sarà mai capace di eguagliare questa fantasia. E' giunto il momento di crescere.”

Parlan si voltò con delle espressioni mutevoli che alternavano la confusione e la rabbia. Davina quasi soffocò, per il groppo che le si era formato in gola. Persino il suo amato Kehr la tradiva, la considerava pazza! Scappò dalla stanza e ritornò nelle scuderie. Tirò fuori Heather dal box, montò il cavallo e sfrecciò attraverso i terreni e fuori dal cancello anteriore, lontano da quella follia. Le sue guance, bagnate dalle lacrime, divennero fredde quando il vento la colpì, arruffandole i capelli. Quando raggiunse una radura dove di solito trovava la solitudine, tirò le redini di Heather e saltò giù dal cavallo, lasciandosi cadere sul terreno ricoperto dalle foglie dell'autunno precedente e bagnato dalla rugiada della sera.

Dopo essersi messa in ginocchio nel mezzo della foresta illuminata dalla luna, Davina singhiozzò tra le foglie. L'amante zingaro dei suo sogni aveva avuto proprio ragione! Era trincerata nel destino che Broderick aveva previsto per la sua vita da ragazza. Ma perché stava accadendo tutto ciò? Lei desiderava solo continuare la vita felice che aveva prima di incontrare Ian. Perché Dio l'aveva sposata a quel pazzo appassionato di manipolazione e controllo? Davina avrebbe voluto solo una famiglia e qualcuno da amare.

Si raddrizzò e si posò le mani tremanti sul ventre. Aver perso il primo figlio l'addolorava profondamente, ma alla fine si era chiesta se non fosse stato meglio non avere il bambino. Davina non avrebbe sopportato di vedere il sangue del suo sangue costretto a sottomettersi al suo stesso destino, alla pazzia che lei doveva sopportare. Piegando le ginocchia sul petto, attirò le gambe a sé e abbracciò il bimbo che adesso era accoccolato dentro di lei. Aveva saltato due cicli- uno prima della punizione di Ian e l'altro nell'ultimo mese- quindi era rimasta incinta prima che lei e Ian dormissero in stanze separate. Ma cosa sarebbe accaduto al suo bambino, se tutti la consideravano pazza? Dondolando avanti e indietro con la fronte appoggiata alle ginocchia, lasciò sgorgare le lacrime.

Toccò il pugnale nello stivale con l'incavo del braccio. Trattenne il fiato, paralizzata da un'idea che le era venuta in mente. Seguendo l'orlo dell'abito, tirò fuori l'arma dallo stivale e si accucciò sui talloni. Il suo cuore era combattuto riguardo a quella decisione. Sono pazza. Ma quale altra scelta ho? Strinse le mani intorno all'elsa del pugnale e si posò la punta della lama contro il cuore. Aveva le mani doloranti, con le nocche bianche e tremanti. Non sapeva bene se aveva afferrato il coltello per paura o per farsi forza. Una lieve brezza accarezzò le sue guance sporche di lacrime, rinfrescando la pelle nell'aria della sera. Non voleva farlo- prendere la propria vita e quella del figlio non ancora nato- ma come avrebbe fatto ad affrontare la pazzia che li attendeva entrambi? Come poteva affrontare il tradimento della sua famiglia? Oppure quella era solo una scusa da codarda?

Si lasciò sfuggire un grido di frustrazione e infilò la lama nel terreno soffice e bagnato, crollando a terra. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi e l'odore della sporcizia si mescolava a quello stantio delle foglie in decomposizione, come in una tomba. “Sono stata così vicina,” piagnucolò, “così vicina a diventare vedova. Così vicina alla libertà.” Per colpa di una decisione presa dal re, tutte le sue speranze si erano infrante come ghiaccioli contro la pietra. Persino quel membro della sua famiglia- il suo cugino reale- l'aveva tradita; l'apparizione di re Giacomo sembrava essere stata mandata apposta per lei, solo per tormentare la sua esistenza. Davina singhiozzò ancora più forte, avvinta dalla disperazione.

Heather batté gli zoccoli a terra e scosse la testa. Davina voltò lo sguardo verso la foresta buia, alla ricerca della fonte dell'agitazione dell'animale. Le si strinse lo stomaco dalla paura.

Oh, mio Dio! Sono venuti a cercarmi? Impallidì. Forse Ian era venuto a cercarla... da solo.

Solo un freddo silenzio le rispose, a parte il leggero frusciare degli alberi nel vento. Perlustrò il terreno, ma non vide niente. Dopo un altro momento di silenzio, cercò di trarre un sospiro e il sollievo la sommerse. Nessuno era venuto a cavallo per prenderla e riportarla indietro. Davina si alzò in piedi, si asciugò il naso e si avvicinò alla cavalla, continuando a lasciare occhiate intorno. “Su, su,” cercò di calmarla, allungando le mani in avanti.

Prima che potesse posare un dito sul fianco di Heather, una forza invisibile le fece uscire il fiato dai polmoni e Davina sbatté la testa sul terreno. Il suo viso fu spinto tra le foglie, mentre la testa le pulsava e qualcuno le schiacciava il corpo. Incapace di respirare o di pensare, lottò per costringere l'aria a tornare nei polmoni, facendosi prendere dal panico.

“Rilassati, ragazza,” le sussurrò all'orecchio una voce profonda. “Il fiato tornerà tra un attimo.”

Il suo aggressore la rimise in piedi in un lampo e la fece voltare a guardarlo, mentre le sue mani toccavano le contusioni fresche che Ian le aveva procurato sulle braccia, quando l'aveva tenuta bloccata contro le scuderie. Con la vista offuscata e la mente ancora scossa da quell'incontro, Davina riuscì a calmarsi e ben presto l'aria della notte d'estate tornò a riempirle i polmoni. Trasse dei respiri avidi.

“Ecco qui, ragazza.”

La paura scosse il corpo di Davina, che lottò contro quell'uomo che la teneva prigioniera contro di sé. Un bagliore d'argento fuso nelle sue pupille la attrasse in quelle profondità e Davina si calmò. Fu sommersa da un'ondata di curiosità e confusione, quando posò gli occhi su quel viso familiare- quel naso aquilino, quegli occhi verde smeraldo e quel capelli rosso fiamma. Il suo Broderick era finalmente tornato per salvarla? Spinse contro il petto dell'uomo, per mettere un po' di distanza dal suo viso e guardarlo meglio.

No. Questo viso sembrava più giovane, la mascella non era così ampia e gli zigomi erano meno scolpiti. Ho perso la testa! Avrebbe dovuto essere spaventata a morte, tra le braccia del suo aggressore, invece si stava chiedendo se quello fosse l'uomo che aveva desiderato fin dalla giovinezza.

Il pericolo in quegli occhi si trasformò in confusione, quando l'oscuro straniero osservò il viso di Davina. Afferrandole i capelli, le spinse indietro la testa. Un grido sfuggì dalle labbra di Davina, mentre l'uomo le tirava i capelli sul bernoccolo che aveva in testa. Fu costretta a fissare il cielo nero e la luna piena sopra di lei. Trattenne il fiato, mentre la bocca dell'uomo si posava sulla sua gola e un dente affilato le perforava la pelle tenera. Un breve dolore... poi un'ondata inaspettata e calda di piacere le percorse le vene e Davina crollò contro di lui con un gemito, cedendo all'euforia.

Quell'uomo- quella creatura- le sondò la mente in un'invasione seducente dei suoi pensieri, apprendendo tutto di lei mentre beveva. In pochi istanti, Davina visse di nuovo i piaceri dell'infanzia, le frustrazioni dell'adolescenza e le fantasie dell'amante zingaro dei suoi sogni. Quei lontani ricordi di Broderick si fecero avanti impetuosi e la circondarono... l'aroma esotico dell'incenso, la forte presenza del suo calore, le farfalle nella pancia, quando l'aveva visto.

Davina rivisse la notte in cui aveva incontrato Broderick.

“Cosa vedete, signore?”

I loro visi erano vicini, quando la voce profonda di lui l'aveva messa in guardia. “Non posso mentirti, ragazza. Farlo sarebbe un disastro.”

“Un disastro?”

“Sì.” I suoi occhi di smeraldo erano fissi in quelli di Davina. “Il futuro non sarà piacevole. Ma non devi perdere la fede. Hai molta forza. Usa quella forza e tieniti stretto ciò che ti è caro, perché sarà quello che ti aiuterà ad attraversare i tempi difficili che devono ancora venire.”

“Cosa accadrà, signore?” insistette lei.

“Non mi è noto. Non conosco i particolari. Le linee sul palmo non rivelano questi dettagli, dicono solo che ci saranno delle difficoltà nel tuo futuro. Ricorda quello che ti ho detto. Aggrappati alla tua visione della forza.” Il resto dei ricordi che arrivavano fino a quel momento scorsero veloci e la riportarono alla disperazione che stava provando quel giorno.

Bene, quindi. Che questo straniero beva la vita che fluisce nel mio corpo. Che faccia quello che non riesco a fare da sola. Finalmente avrò pace e morirò tra le braccia dell'uomo che, al momento, immagino sia quello che amo. Nei momenti che erano passati da quando lui aveva chiuso la bocca sulla sua gola, si era sentita pervadere dalla serenità.

Lo straniero si staccò da Davina e la lasciò cadere a terra. Il collo della giovane pulsava. Le girava la testa per i rapidi ricordi che vorticavano nella sua mente e che le mostravano la vita come una recita riuscita male.

Osservando l'immagine sfuocata dell'uomo che iniziava a schiarirsi, lo vide gettare la testa indietro e ridere come un matto. “Dopo due decenni di ricerche, ho finalmente quello che cercavo!” Si inginocchiò davanti a lei e le prese il viso nei palmi. “Dio non è molto generoso con la mia razza, quindi posso solo ringraziate il Signore Oscuro per avermi portato un tale dono!” Respirò a fondo, mentre il sorriso si allargava. “Per quanto il tuo sangue sia dolce, mia cara signora,” disse l'uomo leccandosi il sangue sulle labbra, “ti lascerò alla tua tragica vita.” Il bagliore di argento fuso scomparve dai suoi occhi.

Le domande che vorticavano nella mente di Davina svanirono nella disperazione familiare che la percorse e le afferrò il cuore. A che giochi contorti stava giocando il Destino con lei? Perché rivivere quei momenti, con la Morte a portata di mano, solo per vedersi strappare via quella chance di libertà? Allungò le mani verso di lui, ma la debolezza dominava il suo corpo. “No”, cercò di dire attraverso il groppo che aveva in gola, soffocando le lacrime che le pungevano gli occhi. “Non potete lasciarmi a tutto questo. Per favore... finite il vostro lavoro.”

Lui le mise un dito sotto il mento. “Andrà tutto bene.” Le posò il palmo sulla fronte e la mente di Davina divenne nebbia. Poi tutto diventò nero.

* * * * *

Il cielo sopra di lei era cosparso di stelle e la luna era ormai alta. Davina si sedette, con la testa che girava, e toccò il bernoccolo che pulsava dietro il cranio.

“Grazie a Dio!” esclamò una profonda voce maschile. Una figura indistinta si inginocchiò davanti a lei e Davina si sforzò di schiarirsi la vista, per cercare di identificarla. “Cosa pensate?”

Lei aggrottò le sopracciglia confusa e con un gran caos nella testa. “Cosa...?

“Mi scuso. Forse sono stato troppo zelante nel cercare di salvarvi da voi stessa.” Quando Davina provò ad alzarsi, le mani calde dell'uomo sulle sue spalle la spinsero di nuovo giù. “Credo che abbiate bisogno di rimanere seduta ancora per un momento. Sapete dove vi trovate?”

Davina perlustrò la zona con lo sguardo, mentre il mondo iniziava ad apparire. Era seduta al centro della radura nella foresta, che frequentava quando era in cerca di solitudine. Heather si trovava un po' distante e stava mangiando le foglie di un cespuglio. Perché era lì? Guardandosi le mani tremanti, cercò di trovare una risposta. Lasciò vagare lo sguardo e riconobbe il suo pugnale nelle mani dell'estraneo. Osservò quello straniero, quegli occhi verde smeraldo colmi di preoccupazione sotto la luce argentata della luna. Le sembrava così familiare. Le si bloccò il fiato in gola: assomigliava così tanto all'amante zingaro dei suoi sogni, eppure non era come lui.

“State ricordando,” disse lui annuendo. “E' stata una fortuna che io sia arrivato, signora. Dio solo sa cosa vi abbia spinta a volervi togliere la vita, ma per il bene della vostra anima, spero che non proverete a ripetere quel gesto orribile.”

“Per favore, signore.” Davina gli posò una mano implorante sul braccio. “Cos'è successo?”

“Oh, pensavo che lo ricordaste.” L'uomo si schiarì la gola. “Stavate per togliervi la vita, quindi vi ho fermato. Nel farlo, avete sbattuto la testa. Spero che potrete perdonarmi.” Alzò gli occhi al cielo e mormorò: “Avrei potuto portare a termine questa faccenda io stesso, per colpa della mia goffaggine.”

“Non vorrei darvi cattive notizie, signore, ma vorrei che l'aveste portata a termine.”

“Sciocchezze!” Lui inalò a fondo e sembrò riprendere il controllo, dopo quello sfogo. “Perché credete che io sia qui, signorina?”

“Non sono sicura di capire cosa intendete, signore.”

“Tanto vale dire tutto subito, anche se le mie parole potranno sembrare folli.” Le prese entrambe le mani nelle sue e la fissò dritto negli occhi. “Non stavo girovagando per caso in questi boschi, stanotte. Lo dico dopo avervi salvato la vita, ma all'inizio ho dubitato della mia salute mentale. Stavo attraversando la vostra piccola e umile cittadina più in basso, quando questi boschi mi hanno chiamato. E' arrivato un messaggio nella mia mente mentre cercavo, senza sapere cosa stessi cercando. Il messaggio diceva: 'Devi dirle che lui tornerà, che la salverà. Devi dirle di non rinunciare alla speranza e di aggrapparsi a quell'immagine della forza.'”

Davina sobbalzò.

“Sapete cosa significa?”

Lei annuì.

“Bene, perché io non lo so.” Sollevò l'angolo della sua bella bocca, quando lei non offrì spiegazioni. “Ma non importa. Sono contento di non essere pazzo, dopotutto.”

“Lo sono anch'io, signore,” rispose lei in soggezione. Una nuova speranza sbocciò nel petto di Davina. “Ringrazio il Signore perché Lo stavate ascoltando, stanotte. Grazie per avermi fermata.” Represse l'istinto di abbracciare quell'estraneo oscuro, che era diventato il suo salvatore e messaggero, sotto forma dell'uomo che amava, e invece gli baciò le nocche in segno di gratitudine.

“Beh, questa è la ricompensa più grande che io abbia mai ricevuto e che mi sarei mai aspettato.” La aiutò ad alzarsi in piedi, senza lasciarle la mano fino a quando lei non dimostrò di tenersi salda sui piedi e non gli assicurò di essere in grado di cavalcare. Davina montò in sella ad Heather e lui le porse il pugnale, offrendole la parte del manico. Quando lei allungò la mano a prenderlo, l'uomo lo tirò indietro. “Ve lo restituisco con molte esitazioni, cara signora. Mi promettete di non rivolgere mai più la lama verso il vostro cuore?”

“Sì, signore, lo prometto.” Lui le restituì il pugnale e Davina lo infilò nello stivale. “Il messaggio che mi avete consegnato mi ha dato una ragione per vivere.”

“E' un grande sollievo.” Lui le diede una pacca sul ginocchio. “Penso che riuscirete a tornare indietro da sola.”

Lei annuì e il suo viso avvampò dalla vergogna. “Sì, sono sicura che la mia famiglia non abbia capito le mie intenzioni, quando me ne sono andata in quello stato. Essere costretta a spiegare come mi avete salvata da me stessa, metterebbe entrambi in una posizione imbarazzante.”

“Lo farebbe di certo. Anche se mi piacerebbe molto riaccompagnarvi, ho altre questioni urgenti. Ho aspettato qualcuno per molto tempo, e credo che non aspetterò più. Mi avete dato anche voi un segno, mia cara signora. Comunque, sono sicuro che ci rivedremo.” Retrocedette di qualche passo e la salutò con la mano, prima di voltarsi e andarsene. “Buonanotte, bella signora!”

“Oh, signore! Qual è il nome del mio salvatore, così potrò includerlo nelle mie preghiere?”

“Angus!” le gridò senza perdere il passo.

Conquista Di Mezzanotte

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