Читать книгу Conquista Di Mezzanotte - Arial Burnz - Страница 4
ОглавлениеCapitolo 3
Stewart Glen, Scozia—Tardo Autunno 1514—15 Mesi Dopo
“Lasciatemi sola! Non toccatemi” Davina lottava contro le mani che la trattenevano.
“Davina. Davina.”
La dolcezza di quella voce la bloccò e lei scappò via, incerta di dove si trovasse.
“Sono io, Davina, tua madre!” Lilias accese una candela di sego e si arrampicò sul letto accanto alla figlia. Riuscì a calmarla, avvolgendola tra le sue braccia confortanti e dondolando avanti e indietro. “Va tutto bene. E' morto. Ricordi? E' ormai da molto tempo nella tomba, amore.”
“Sì, madre.” Davina sospirò e lasciò che sua madre le asciugasse la fronte sudata. “Cailin?”
“Cailin sta bene,” la rassicurò sua madre. “Myrna si sta occupando di lei. Riposa tranquilla, Davina.” Lilias sospirò e continuò a cullare sua figlia. “Sono passate molte settimane, dall'ultima volta che un incubo ti ha turbata.”
Davina annuì. Suo marito Ian era morto da un anno, ma gli incubi la perseguitavano ancora; tuttavia, negli ultimi tempi sembravano farsi più rari e ciò le dava un po' di speranza.
Erano successe così tante cose dalla notte in cui aveva cercato di togliersi la vita. Il tempo passava così velocemente che sembrava essere svanito; eppure, visto che lei continuava ad aspettare con impazienza il ritorno di Broderick, come le aveva promesso Angus, l'oscuro straniero, il tempo sembrava allungarsi in eterno. Anche se Ian era riuscito ad ottenere l'appoggio della sua famiglia, una lunga conversazione con loro aveva alleviato la tensione, quindi avevano concesso a Davina il vantaggio di osservare Ian più da vicino. I lividi che lui le aveva procurato afferrandola dietro le scuderie avevano aiutato la sua causa. Tuttavia, anche se lei aveva avuto il coraggio di mostrare loro le cicatrici che portava sul corpo per le botte passate, sciogliere il matrimonio non era più un'opzione. Davina aveva detto di essere incinta e, anche se la sua condizione dava alla famiglia un'ulteriore ragione per tenere Ian lontano da lei durante il periodo di osservazione, ciò aveva reso più solido il matrimonio.
Per fortuna, quella prova aveva tradito la vera natura di Ian, ma prima che potessero essere prese altre misure disciplinari, re Giacomo aveva cambiato idea e aveva dichiarato guerra all'Inghilterra. Prima che gli uomini fossero chiamati alle armi, Ian aveva cercato di scappare, prendendo tutto quello che poteva dalla residenza di suo padre per mantenersi, ma Munro e Parlan l'avevano fermato. L'avevano tenuto rinchiuso sotto chiave, fino a quando non erano partiti anche loro, con l'accusa di tradimento che pendeva sulla sua testa, nel caso di un'ulteriore fuga da parte sua. La sera prima della partenza, Ian aveva giurato che sarebbe tornato e che Davina avrebbe rimpianto di essere nata. Kehr aveva promesso a Davina, quando si erano detti addio in privato, che Ian non sarebbe tornato.
Il 9 settembre 1513, la battaglia di Flodden Field aveva travolto i patrioti scozzesi- portando via persino il loro re coraggioso- ed aveva lasciato una scia di donne dal cuore spezzato, incluse Davina e sua madre. La guerra non aveva trascinato soltanto suo marito sul campo di battaglia, ma anche suo fratello Kehr e suo padre Parlan, e si era rivelata una vittoria dolce-amara. Come aveva detto Kehr, Ian non era tornato. La sua morte l'aveva resa libera, ma le era costata la perdita dei suoi amati padre e fratello. Lo zio Tammus- che era uno dei pochi ad essersi salvato- aveva arrancato fino a casa, portando con sé i corpi di Parlan e Kehr. In mezzo agli altri numerosi uomini massacrati, il corpo di Ian non era stato trovato, visto che c'erano state così tante perdite. Avevano sepolto Kehr e Parlan nella loro terra e vederli scendere nel terreno freddo aveva dato un senso di finalità alle loro vite. Comunque, con la morte di Ian, il bambino che lei portava in grembo- da tre mesi allora- avrebbe avuto la possibilità di vivere una vita pacifica.
Anche Munro era caduto in battaglia, lasciando a Davina l'eredità delle sue proprietà e dei suoi fondi. Visto che lei non sopportava l'idea di tornare nel posto in cui Ian l'aveva terrorizzata, era tornata a casa. Ormai quel capitolo della sua vita era chiuso e la attendevano nuove responsabilità, come aiutare sua madre ad amministrare Stewart Glen. Inoltre, Tammus aveva assunto il ruolo di loro tutore e passava metà del tempo a Stewart Glen e metà nelle sue proprietà. Visto che anche suo figlio era morto in battaglia e sua moglie di parto, Tammus era stato felice di assumersi la responsabilità della famiglia.
Quindi, se i tormenti di Davina erano finiti, se Ian era morto e sepolto da tempo, come diceva sua madre... perché lui perseguitava ancora i suoi sogni? Perché lei non riusciva a sfuggire al timore del suo ritorno? Forse gli incubi erano dovuti al fatto che il suo corpo non era mai stato trovato e Ian era ancora una minaccia sospesa. Forse Davina aveva solo bisogno di perdonarlo e di smettere di odiarlo, alla fine.
Myrna entrò nella stanza, cullando un neonato che piangeva. “Vi chiama, padrona Davina.”
Davina avvertì il latte spingere in avanti nel suo seno e gocciolare sulla camicia da notte, al suono del pianto della bambina, quindi trasalì a disagio. Allungò le braccia a prendere la figlia di otto mesi dalla cameriera di sua madre. “Sì, amore,” tubò e calmò la neonata con baci e carezze sul suo piccolo viso. “Grazie, Myrna.” Davina notò che Myrna aveva perso molto peso nell'ultimo anno: la morte di Parlan e Kehr sembrava costare cara anche a lei. Davina si voltò verso sua madre. “Starò bene, madre. Cailin può stare con me per il resto della notte.”
Lilias diede a madre e bambina un bacio sulla fronte e le lasciò sole, alla luce della candela. Myrna la seguì immediatamente. Il bagliore della fiamma tremolava e danzava nel silenzio, gettando una luce soffusa sul viso della neonata. Le labbra di Davina si posarono sulla guancia di Cailin e la giovane si asciugò le lacrime. Tenere la neonata tra le braccia le fece dimenticare facilmente i suoi incubi. Sistemandosi la bimba su un fianco, aprì la camicia da notte bagnata e la bocca avida si chiuse sul suo capezzolo. Cailin smise di piangere ed emise dei soffi lievi e caldi contro la pelle di Davina.
Davina osservò la neonata che poppava- il suo nasino, le ciglia morbide sulle guance paffute, i capelli color cannella, folti e ricci, intorno al suo viso angelico. Nascose il viso tra i riccioli setosi della figlia e lasciò sgorgare lacrime silenziose tra i soffici boccoli. “Che benedizione da una maledizione,” sussurrò. Giurò a se stessa, come aveva fatto centinaia di volte dalla morte di Ian, che non si sarebbe mai più lasciata brutalizzare da un uomo.
* * * * *
La luce del sole mattutino baciò il viso di Davina e lei distese le membra in quel calore. Osservò la cameriera che apriva le tende e canticchiava una melodia, mentre prendeva i vestiti di Davina dall'armadio.
“Buongiorno, Davina.”
Davina sorrise. “Buongiorno, Rosselyn.” Si alzò dal letto, tenendo Cailin tra le braccia, e portò la figlia semi-addormentata oltre la porta-finestra, sul ballatoio esterno. Inalò a fondo l'aria fredda e sospirò. Con i mesi invernali ormai imminenti, il cielo era ancora in ombra e non era ancora illuminato dal sole che sorgeva tardi. Appoggiò la mano sul muro gelido in pietra a vista. L'orgoglio le gonfiava il petto per l'ingenuità di suo padre. Aveva usato i resti del camminamento sul muro di cinta della struttura più antica, per creare una terrazza. Quello era l'aspetto della sua camera da letto che Davina preferiva, perché offriva la vista sul cortile, sulla fitta foresta alla sua sinistra e sul villaggio in lontananza. Senza alcuna ragione apparente, sentì lo stomaco sfarfallare dall'eccitazione, come se aspettasse un dono atteso da molto tempo. Strano.
Davina sorrise e rientrò, andando a sedersi su una sedia ricamata, dove cullò la neonata; quindi aprì la vestaglia e la camicia da notte ed offrì uno dei seni turgidi alla figlia. Con avido entusiasmo, Cailin succhiò, afferrò una manciata dei capelli di Davina e chiuse gli occhi. Una balia che vivesse con loro era costosa e, anche se aveva ricevuto un'eredità sostanziosa dalla famiglia del marito, Davina faceva molta attenzione nel conservare quei fondi. Lei e la sua famiglia non possedevano titoli e il loro legami con la Corona attraverso la nascita illegittima del padre erano troppo distanti per quei lussi. Tuttavia, se la passavano abbastanza bene da possedere delle terre ed avere un rapporto reciproco con la comunità crescente di Stewart Glen. Quella sistemazione andava molto bene a Davina: la sua età e la sua posizione le permettevano di tenere un basso profilo, quindi non si preoccupava di trovare pretendenti. In ogni caso, non avrebbe mai mandato sua figlia lontano, presso una balia, ed era contenta dei seni prosperosi che le procurava l'allattamento di Cailin.
Dopo un po', Cailin smise di poppare e Davina si voltò per offrirle l'altro seno. Lilias entrò nella stanza e baciò Davina sul capo. “Vorrei che oggi aiutassi Caitrina e le sue ragazze con il bucato, Davina. Io, Rosselyn e Myrna ci faremo aiutare da Anna a spazzare e a cambiare i pagliericci.”
“Certo, madre,” disse Davina alzandosi e passando Cailin a Myrna, che portò la neonata nella nursery. “Andrete di nuovo al mercato, oggi?”
“Come previsto!” disse Lilias con finto stupore. “Devo continuare la mia eterna ricerca di nastri!” Ridacchiarono, poi Lilias uscì per dedicarsi alle proprie faccende.
Rosselyn sorrise. “Devo sbrigarmi con il nostro pasto.” Spezzò il digiuno insieme a Davina, quando ritornò con un vassoio, poi aiutò Davina a finire di vestirsi. Per prepararla al bucato di quella mattina, raccolse i lunghi capelli ramati che le ricadevano sulla schiena in una treccia stretta, che legò sotto la cuffia.
Come posso affrontare l'argomento? si chiese Davina mentre Rosselyn cercava di sistemarle le ultime ciocche. Come faceva negli ultimi tempi, Davina aveva voglia di parlare del fratello e del padre. Quale può essere il modo più adatto per introdurre l'argomento, senza farlo spuntare all'improvviso dal nulla? Guardò il vassoio, fissando il miele.
“A cosa pensi, Davina?”
Fu travolta dal sollievo, visto che Rosselyn aveva fornito una perfetta opportunità. “Stavo pensando a mio fratello, Roz. Il miele del nostro pasto mi ha ricordato che io e Kehr abbiamo fatto delle piccole incursioni di mezzanotte per molti anni.”
Rosselyn non fece alcun commento, mentre aiutava Davina a indossare la sottoveste. Allacciò la tunica di lana marrone, evitando il contatto visivo, con le lacrime che le salivano agli occhi e l'angoscia che le corrugava la fronte.
Le guance di Davina avvamparono per il silenzio di Rosselyn, ma lei continuò imperterrita. “Fino al giorno del mio matrimonio, io e Kehr sgattaiolavamo lungo i corridoi bui fino alla dispensa, ridacchiando come neonati nella nursery.”
Rosselyn non distolse mai lo sguardo dai suoi compiti, stringendo un labbro tra i denti dalla concentrazione.
Davina si voltò verso di lei e bloccò le sue mani sottili. “Per favore, parlane con me, Rosselyn. Dalla morte di mio padre e mio fratello, nessuno parla mai di loro con me. Ho paura di non riuscire a ricordarli.”
Il labbro inferiore di Rosselyn tremò. Le lacrime le scesero lungo le guance, oltre la linea attraente della sua mascella. “Davina, io...” Fissò l'amica per un lungo istante.
Quando Davina credeva ormai che l'amica avrebbe aggiunto qualcosa, Rosselyn si allontanò e scomparve nel guardaroba. Per quanto Davina desiderasse raggiungerla e consolarla, sentendosi responsabile per il suo stato, la fuga di Rosselyn indicava che aveva bisogno di tempo, quindi le lasciò qualche momento da sola.
Davina si voltò quando Rosselyn uscì dal guardaroba con gli occhi arrossati. “Grazie per avermi aiutata a vestirmi, Roz.”
Rosselyn annuì e si scusò, lasciando Davina in un silenzio spiacevole e con il cuore vuoto, per quell'ennesimo tentativo fallito di rievocare insieme a qualcuno. Davina prese un fazzoletto pulito dal cassettone e si sedette sul divanetto davanti al camino, nascondendo il viso nel lino fresco. Si asciugò il viso, infilò il fazzoletto nella manica, raddrizzò le spalle e si concentrò sulla giornata che aveva davanti. Le faccende domestiche sarebbero state una gradita distrazione.
Portate a termine le faccende più importanti per quel giorno, Davina e Lilias si rinfrescarono e si vestirono in modo più appropriato per andare fino al villaggio. Davina indossò un abito bordeaux plissettato in oro e ricamato con disegni verde-muschio sul petto. Un pizzo dorato decorava lo scollo squadrato della tunica, allacciata stretta come sostegno. Il soffice lino verde-muschio della sottoveste spuntava dalle aperture delle maniche bordeaux.
“Oh, nessuno di questo andrà bene!” si lamentò Lilias con Davina davanti al venditore. “Tutti i miei nastri sono vecchi. Qui non c'è niente di carino per sostituirli!”
Il mercante le guardò accigliato, mentre si allontanavano. Davina si voltò e rivolse uno sguardo di scuse all'uomo. “Oh, fai i capricci, mamma. Ti ho comprato dei nastri solo pochi mesi fa.”
“Sì! Sono vecchi!”
Una risatina sfuggì dalle labbra di Davina mentre spingeva la madre attraverso il mercato, facendosi strada tra i venditori ambulanti e i richiami cantilenanti dei mercanti, che cercavano di convincerle ad acquistare le loro merci. La folla riunita all'ingresso della piazza concesse a Davina una pausa e le fece sollevare le sopracciglia dalla curiosità. “Guarda, mamma,” disse puntando l'indice.
Allungarono il collo, cercando di vedere sopra la ressa. Delle risate scoppiarono in mezzo alla confusione e la folla riunita si divise per lasciare passare il corteo.
“Zingari!” strillò una giovane donna, infilandosi tra la folla fino a raggiungere la gente ferma di fianco a Lilias. “Gli zingari sono in città!”
Il cuore di Davina martellava contro le costole e la sua mano corse al petto. Erano passati almeno due anni dall'ultima volta in cui gli zingari erano venuti a Stewart Glen e lei non vedeva il gruppo al quale apparteneva il suo gitano gigante da nove anni. Davina mormorò una preghiera silenziosa.
Lilias le picchiettò la mano con autorità. “Avranno sicuramente una bella selezione di nastri che vengono da ogni parte del mondo.”
“Sì, madre,” disse Davina, sorpresa dalla propria mancanza di fiato.
Davina e Lilias si fecero strada attraverso quella foresta di corpi, per vedere passare il corteo. Con una musica festosa che tintinnava sulla folla, gli acrobati ruzzolavano sulla strada, i giocolieri lanciavano spade infuocate e torce nell'aria. I carrozzoni passavano rimbombando in un arcobaleno di colori, tutti dipinti di blu, verde, giallo e rosso brillante con decorazioni in ottone e rame. Alcuni avevano degli intagli nel legno scolpiti da eccellenti artigiani; vacillavano tutti, carichi di merci, vasellame e utensili, perline e sciarpe, visi allegri e mani che salutavano. Un carrozzone dipinto con delle stelle e dei simboli mistici avanzava lentamente, guidato da una bella ragazza con folti capelli biondi sulle spalle. Accanto a lei era seduta una donna rugosa e dai capelli scuri, che scorse Davina, socchiuse le labbra e spalancò gli occhi quando la riconobbe.
“E' tornato,” sussurrò Davina.
Guardò il grande carrozzone passare. La vecchia si sforzò di vedere Davina oltre la spalla, spostando di lato le sciarpe e le perline ciondolanti.
Davina fu travolta dall'eccitazione. E' tornato! E' davvero qui! Guardò i carrozzoni che procedevano oscillando e scomparivano lungo la strada principale. I suoi occhi saltavano da un viso all'altro nel corteo, mentre la gente le passava davanti, ma non lo vide da nessuna parte.
Lilias annuì, guardando gli acrobati in coda al corteo che si lanciavano a vicenda nell'aria. “Dovremmo tornare stasera e guardare il loro spettacolo, Davina. Promette di essere una serata molto divertente.”
“Sì, mamma,” disse finalmente Davina con un sorriso crescente. “E' proprio vero!”
* * * *
Un grido penetrò nell'oscurità e Broderick MacDougal corse in quella direzione, con un nodo allo stomaco per l'urgenza. Lei corse fuori dalla foresta verso di lui, con i capelli rosso-carota che sventolavano dietro di lei come una bandiera, gli occhi spalancati e colmi di terrore.
“Broderick!” urlò la bambina. Si guardò indietro da sopra la spalla, come se stesse scappando da qualche mostro orribile. Il suo corpo esile e fragile si gettò nelle braccia di Broderick e lui la avvolse nel suo abbraccio confortante, consolando la bimba dal viso lentigginoso. “Su, su, piccola. Sei al sicuro.”
Broderick si ritrasse per asciugarle le lacrime, ma non teneva più la giovane tra le braccia. Una donna matura, che assomigliava alla fanciulla, si aggrappava a lui adesso, con una folta cascata di capelli ramati che le incorniciava il viso. I suoi occhi color dello zaffiro, velati di lacrime, lo fissavano con speranza e la bocca arcuata tremava seducente. Il suo seno pieno premeva contro il petto di Broderick, che reagì con un gemito.
Un ringhio gutturale in lontananza riportò la sua attenzione su chi stava inseguendo la donna. Volgendo le spalle alla foresta buia e portando la donna tra le braccia, si diresse verso un banco di nebbia bianca nella valle, dove sarebbe stata al sicuro. Lei nascose la testa contro il suo petto, aggrappandosi a lui, mentre il suo calore penetrava nella carne di Broderick.
Quando raggiunsero la sicurezza della nebbia, lei gli premette il palmo sulla guancia. “Sapevo che saresti tornato.” La sua voce roca stuzzicò il desiderio che stava crescendo nei lombi di Broderick.
La lasciò scivolare davanti a sé e contro la sua erezione, facendola restare in piedi. Broderick gemette quando le sue mani accarezzarono le curve della donna e si rese conto che l'unica barriera tra le sue mani e la pelle di lei era una camicia da notte estremamente sottile.
“Sapevo che saresti tornato, Broderick,” sussurrò lei, toccandogli le labbra con i polpastrelli.
Broderick si chinò, le prese la bocca in un bacio affamato e lei si aprì a lui, invitandolo a sondare la sua dolcezza. Il semplice contatto fisico bastò ad eccitare le sue voglie- il calore della sua pelle, il profumo di rose e del suo sangue, il sapore della sua bocca, il suono della sua voce che sospirava il nome di Broderick- ma una connessione ancora più profonda spinse il suo corpo a reagire con un desiderio impetuoso che si diffuse nell'inguine. Cercò con le mani l'orlo della camicia da notte e sollevò la stoffa lungo i fianchi della donna, dove strofinò i palmi sulle morbide sporgenze delle natiche. La sollevò di nuovo tra le braccia e la convinse ad avvolgergli le lunghe gambe intorno alla vita, mentre le sue dita esploravano le pieghe bagnate della sua vagina. Lei sussultò e gettò indietro la testa, aggrappandosi alle sue spalle.
“Su, ragazza,” la incoraggiò Broderick. Giocherellò con il nocciolo sensibile e lei spinse i fianchi contro la sua mano, gemendo di piacere mentre si contorceva nella sua presa.
Lei gli circondò il collo con le braccia, fuse le labbra con le sue e mugolò l'orgasmo nella sua bocca. Quindi interruppe il bacio, sussultando tremante, senza fiato. “Ti voglio dentro di me, Broderick.”
Il suo membro si drizzò con trepidazione. Afferrandole il posteriore con una mano, Broderick si slacciò i calzoni, lasciando libera l'erezione. Lei era già bagnata e pronta per lui e scivolò sul suo membro con una facilità che fece piegare le ginocchia di Broderick, il quale si lasciò cadere sull'erba umida e se la fece salire a cavalcioni in grembo, mentre si metteva sulle ginocchia. Broderick le afferrò le natiche, muovendola su e giù mentre affondava il membro dentro di lei e guardava le labbra piene della donna che sussurravano il suo nome. Con una salda presa sui suoi fianchi, spinse più a fondo e più forte, tirandola contro di sé, incapace di saziarsi di quella donna e muovendosi sempre più vicino all'apice.
Lei lo implorò, con il fiato caldo contro l'orecchio. “Dì il mio nome, Broderick.” Lo fissò dritto negli occhi. “Davina,” lo incoraggiò. “Voglio sentire la tua voce piena di passione, mentre pronunci il mio nome.”
Un sorriso si allargò sulla bocca di Broderick e lui le obbedì prontamente. Chinandosi in avanti, la fece sdraiare sotto di sé, sollevandole i fianchi per avere un accesso migliore, e grugnì tra i suoi capelli.
“Davina!” Broderick MacDougal saltò su nel buio della grotta, svegliandosi dal sonno e strofinandosi l'erezione. Nell'oscurità, i suoi occhi perlustrarono lo spazio intorno. Mentre la nebbia del sonno diurno svaniva dalla sua mente, si rilassò e si sdraiò di nuovo.
Il suo corpo era coperto da un manto di sudore e lui era senza fiato. Sogni. Sembravano cose da mortali, eppure, dopo così tanti anni, ne aveva fatto uno. Toccandosi il membro turgido, si rese conto di non avere più avuto un'erezione mattutina da prima della sua trasformazione, circa...
Si bloccò e fece il calcolo. Sono veramente passati quasi trent'anni, da quando ho fatto questo passo? Il tempo gli sfuggiva così in fretta. Aggrottò la fronte. Avrebbe voluto che qualcuno dei suoi ricordi scomparisse altrettanto velocemente. Tuttavia, nonostante il passare degli anni, il dolore del passato non diminuiva.
Scuotendo la testa per scacciare i ricordi che minacciavano di riemergere, trasse un respiro profondo per allontanarli e preferì riflettere su quel sogno. Un gemito lungo e sofferto gli sfuggì dalle labbra. Da dove era arrivata quella visione così dettagliata? Rimase sdraiato a sorridere, desiderando che quelle immagini riempissero i suoi sogni ogni volta che dormiva, anche se si rimproverò perché non aveva portato a termine il suo compito e si sentiva così insoddisfatto. Era strano che avesse sognato la ragazzina dal viso lentigginoso alla quale aveva letto la mano l'ultima volta che si erano recati in quella cittadina- e il ricordo della sua giovinezza ed innocenza gli fece afflosciare il membro.
Broderick scoppiò a ridere per la reazione del suo corpo.
L'aveva vista abbastanza spesso, durante le numerose visite che la ragazza aveva fatto ad Amice, quindi era improbabile che lui la dimenticasse. Le sue incursioni segrete nella dispensa con il fratello, per rubare il miele, gli solleticarono la mente, insieme al modo in cui il cuore di Davina tambureggiava nel suo petto ogni volta che lo vedeva. Bella e innocente, era destinata a spezzare qualche cuore. Gli sfuggì una lieve risatina, al ricordo dalla predizione di Amice: Hai il suo cuore per sempre, figlio mio.
Quanti cuori aveva spezzato, dopo così tanti anni? Molti, se si era veramente trasformata nella visione adulta di bellezza del suo sogno. Broderick emise un gemito da predatore e il suo membro si risvegliò per il desiderio. Davina era ancora lì, dopo tutto quel tempo? Probabilmente cresciuta e circondata da una nidiata di marmocchi. Se lei fosse stata sua moglie, e se il suo sogno era un indizio di come sarebbe stata a letto, quella donna sarebbe stata eternamente incinta. Se lui fosse stato mortale.
Era proprio uno strano sogno, dopo tutti quegli anni. Tornare lì aveva forse scatenato il suo desiderio di proteggere la ragazza, dopo averle letto la sorte? Aveva avuto il futuro tormentato che lui aveva predetto? Quel desiderio di proteggerla doveva essere piuttosto forte, se gli aveva suscitato quel sogno dopo tanti decenni. Interessante.
Broderick si alzò per vestirsi. La sua spada rivestita d'argento era appoggiata contro il muro di pietra, insieme al rozzo sgabello sul quale erano posati i suoi vestiti, gli stivali e lo sporran- il sacchetto di cuoio che portava appeso alla cintura. Si era fatto preparare appositamente la spada in vista dello scontro con Angus Campbell, con la lama realizzata in argento- l'unica arma che sapeva avere effetto contro un Vamsyriano. Anche se non aveva avuto molti motivi per usare la spada negli ultimi decenni, Broderick si esercitava con la lama, usando la sua forza immortale e la sua velocità per maneggiare quell'arma come non aveva mai imparato a fare da mortale. Tenere la spada nella propria presa, godere del peso dell'arma, gli dava sicurezza nel senso mortale del termine. Tuttavia, la portava raramente con sé al campo e la lasciava appoggiata contro il muro della grotta. Se Angus fosse stato vicino, Broderick l'avrebbe saputo.
Dopo essersi vestito, uscì dalla grotta e perlustrò con lo sguardo la foresta circostante. Aveva preceduto la carovana degli zingari, conoscendo la loro destinazione, ed aveva trovato la grotta che aveva usato l'ultima volta che erano venuti a Stewart Glen. Le grotte erano l'ideale, ma non abbondavano nei terreni più piatti dell'estremità orientale della Scozia. Per fortuna, quella cittadina si annidava tra le alture di una terra rocciosa ricoperta da una fitta foresta, perfetta per nascondersi nelle ore diurne. Broderick preferiva qualcosa come una grotta o una casa abbandonata, che richiedevano pochi preparativi. Dall'altro lato, se non erano disponibili e la zona non sembrava sicura, scavare diventava necessario, a volte- un compito che Broderick disprezzava perché gli ricordava troppo una tomba. Sapeva di dormire nella trance dei non-morti durante il giorno, ma scavare nella terra a quell'ora non era il promemoria di cui aveva bisogno- troppo da incubo per i suoi gusti.
Il lento risvegliarsi della Fame gli stuzzicò le viscere. L'immortalità aveva i suoi vantaggi, ma non era priva di tormenti. Anche se poteva ancora mangiare, il cibo normale non gli serviva a niente. I Vamsyriani dovevano cibarsi di sangue umano. Non perché la mancanza di sangue fosse fatale- questo Broderick lo aveva scoperto cinque anni dopo la trasformazione, facendo il suo viaggio personale alla scoperta dei propri limiti nonostante i consigli del suo mentore, Rasheed. Quel viaggio personale aveva dato a Broderick dei vantaggi sul mentore e sugli altri Anziani, quindi aveva scelto di tenere segrete quelle lezioni private, per mantenere tali vantaggi. I Vamsyriani avevano dimostrato di essere una razza sospettosa. Uno stato mentale contagioso, ammise Broderick con riluttanza. Ancora una volta, il passato cercava di riemergere e lui scacciò quel terrore crescente. Ne aveva abbastanza di quel ripasso della propria storia. Era tempo di soddisfare la Fame.
Broderick sentì rizzarsi i peli dietro la nuca e saettò lo sguardo sulla foresta. Quella sensazione era un'altra cosa che non aveva provato per qualche anno- la presenza di un altro Vamsyriano. Arretrando verso la grotta, sfoderò la spada ed aprì i sensi a quell'esperienza, chiudendo gli occhi e perlustrando la zona intorno a sé. L'aria fresca della notte gli sfiorò le guance e un brivido leggermente familiare gli scese lungo le membra. Angus?
Broderick localizzò la direzione della presenza e si fiondò nella foresta, con gli alberi e i cespugli che scorrevano in un lampo. Anche se non era l'unico a possedere l'abilità di avvertire la presenza di un proprio simile- perché ogni Vamsyriano poteva percepire lo spirito di un altro- gli ci erano voluti molti anni per aumentare quel raggio più di tutti quelli che conosceva. Era uno dei vantaggi che aveva ottenuto dal suo mentore. Continuando l'inseguimento, si girò da una parte all'altra insieme alla presenza, sicuro che, chiunque fosse, sarebbe rientrato nei limiti di quello che Broderick chiamava confine standard. Invece, fu sorpreso fino a fermarsi gradualmente, avendo perso la percezione di quella presenza. Chiuse gli occhi ed estese la percezione. Ancora niente. Broderick serrò la mascella, sconfitto.
Una rapida perlustrazione della zona immediatamente circostante rivelò un lair- un buco profondo scavato nel terreno, il cui ingresso era nascosto dietro un grande masso che solo qualcuno dei suoi simili avrebbe avuto la forza di spostare. Broderick poteva stare in piedi nel rifugio a malapena e l'ampiezza era appena sufficiente ad ospitare una zona notte per qualcuno della sua taglia. Osservò la biancheria da letto di lana e lino nella penombra, e la sua vista immortale gli diede la capacità di scorgere i pochi effetti personali. Chiunque fosse il proprietario di quel lair non si era lasciato dietro abbastanza da fornire a Broderick qualche indizio... eccetto uno. L'aroma speziato che veniva dal letto gli sembrava vagamente familiare.
Broderick scosse la testa ed uscì dal buco. Non poteva essere certo che appartenesse ad Angus. Erano passati troppi anni, per essere sicuro che l'essenza che avvertiva o annusava fosse proprio quella del suo nemico. Quel buco avrebbe potuto ospitare qualcun altro, che lui aveva forse incontrato durante i suoi numerosi viaggi. Lui non sarebbe stato felice di trovare il proprio nascondiglio distrutto, quindi, finché non fosse stato sicuro, lo avrebbe lasciato perdere. Comunque, prese nota della collocazione e si voltò per dirigersi di nuovo verso il villaggio di Stewart Glen. Doveva ancora nutrirsi.
Gli zingari avevano montato l'accampamento sul limitare dei boschi intorno alla cittadina di Stewart Glen. Avevano eretto le tende, scaricato i carrozzoni e messo in mostra le merci per le due successive settimane di baratti, accattonaggio, spettacoli e persino qualche furto. Sarebbero rimasti più a lungo, se ci fosse stato un flusso costante di visitatori pronti a spendere il proprio denaro. O se avessero potuto trovare lavoro nelle fattorie, ma il raccolto era finito, quindi il lavoro sarebbe stato scarso. Persino il clima li avrebbe potuti trattenere nei dintorni, ma in generale preferivano evitare i soggiorni lunghi. Evitavano sempre di logorare quel benvenuto: non c'erano molti posti pronti ad accogliere gli zingari, in quel difficile periodo di pestilenza e povertà.
Il cielo avvolto nell'oscurità lasciava che i falò e le torce illuminassero l'accampamento di una danzante luce gialla. Broderick perlustrò con lo sguardo le numerose tende e i carrozzoni, avvicinandosi al campo, per scoprire dove si trovava quello di Amice e Veronique. Individuò il carrozzone mistico: la tenda era floscia e Broderick gemette. Aveva mostrato molte volte a Veronique come aiutare Amice a montare la tenda. Lei avrebbe dovuto iniziare ad assumersi più responsabilità. Era semplicemente pigra o le mancava veramente la capacità di montare una tenda correttamente? Quante altre volte Broderick avrebbe dovuto mostrarle come portare a termine quel compito? Scosse la testa. Almeno il loro accampamento si trovava in un punto vantaggioso, ai confini dell'insediamento- vicino alla cittadina, da dove gli abitanti sarebbero entrati in fila nel campo. Un falò invitante bruciava con un bagliore caldo e Broderick si avvicinò alla tenda, da dove poteva vedere l'ombra di Amice, che si preparava per quella serata di predizioni del futuro.
“C'était la fille,” disse Amice sottovoce, ma l'udito immortale di Broderick colse la sua voce anche a quella distanza. “So che era lei.”
Broderick si fermò sulla soglia della tenda. La figura curva di Amice si affaccendava lì intorno, sistemando il tavolo e gli sgabelli ed accendendo le lampade a olio. La natura protettiva di Amice lo accudiva come una madre, e lui aggrottò la fronte. Lei aveva saputo qualcosa del suo passato, anche se Broderick non aveva mai parlato a lungo della propria storia. Amice aveva colto dei frammenti e dei pezzi della sua vita negli anni, delle immagini che intuiva dentro di lui, prima che lui imparasse a controllare i pensieri. A volte Broderick si lasciava sfuggire qualcosa durante le loro conversazioni e rivelava ulteriori dettagli delle sue tragedie. Di conseguenza, Amice credeva di sapere di cosa lui avesse bisogno.
Broderick entrò nella tenda e la strinse in un abbaccio. “Bonsoir, Amice.”
“Buonasera, figlio mio,” gli rispose lei in francese, ricambiando l'abbraccio, poi continuò a preparare il tavolo per la serata. Accese l'incenso e soffiò sulle braci, fino a quando non avvamparono. Broderick adesso era abbastanza vicino da sentire i suoi pensieri. Lui non mi ascolterà. Farò meglio a non menzionarla affatto.
Broderick si avvicinò alle spalle di Amice e le sussurrò all'orecchio: “Stai progettando di farmi sposare, eh?”
Lei si voltò e lo fulminò con lo sguardo. Broderick indietreggiò di colpo, per evitare la sua ramanzina. “Resta fuori dai miei pensieri, Broderick MacDougal! Io non invado la tua mente! Mi aspetto la stessa cortesia!”
“Ho sentito le tue parole, mentre mi avvicinavo,” protestò lui. I pensieri di Amice le appartenevano e Broderick sapeva che lei odiava l'invasione della sua privacy, ma non poté fare a meno di prenderla in giro. Quei giochi mentali erano piuttosto innocui. “Sei così focosa, per essere una vecchia ragazza! E dimmi, chi avresti in mente?”
“Non avrei mai dovuto insegnarti a perfezionare i tuoi poteri mentali!”
“Ti procuro troppo denaro, per parlare sul serio,” scoppiò a ridere Broderick.
“Prova solo a continuare ad invadere la mia mente e vedrai quanto posso diventare focosa! Ti farò un incantesimo e... ti innamorerai di un pollo!” Annuì con enfasi.
Broderick cercò di trattenersi il più a lungo possibile dallo scoppiare a ridere per quella minaccia ridicola, stringendo forte le labbra, ma alla fine proruppe in una raffica di risatine. “Non ho scelto di nascondermi tra gli zingari per essere sposato in eterno con un pollo! Quale demone dell'Ade ti ha fatto pensare a una punizione del genere?” Broderick scosse la testa, continuando a ridere.
Amice stessa rise di quella sciocca maledizione, con il corpo curvo che sobbalzava come quello di una bambina. Scosse la testa, respirò a fondo e riprese il controllo della risata. “E' stata la prima cosa che mi è venuta in mente.” Accarezzando il viso di Broderick, disse: “Per favore, sistema la tenda, prima di andartene. So che devi nutrirti.”
“Va bene.”
* * * * *
La pioggia gli bersagliò il viso, mentre teneva indietro la testa e fissava lo sguardo verso le nuvole grigie. Troppo debole per muoversi, troppo debole persino per alzare la testa, emetteva dei respiri deboli e tremanti. Gli girava la testa e non riusciva ad orientarsi nell'ambiente circostante. Sbattendo gli occhi, cercò di schiarirsi la mente. Perdeva sangue. Il taglio sulla coscia faceva colare la sua vita sul campo di battaglia. Con la coda dell'occhio colse un movimento che fece accelerare il suo debole battito. I baffi tremolanti e il naso che si contraeva sembrarono enormi così vicini al viso. La pelliccia bagnata del ratto era arruffata in ciuffi e le gocce cadevano dalle estremità e dai baffi, solleticandogli le guance. Sentiva delle zampine che strisciavano sul suo ventre squarciato, altre lungo il fianco della sua gamba ferita. Lasciò uscire un grido disperato dalle labbra tremanti, con tutta la forza che aveva.
Tirandosi su a sedere nel letto, con il sudore che gocciolava dal naso, si risvegliò dall'incubo e respirò a fondo per calmare il cuore impazzito.
Delle mani callose gli sfiorarono il petto nudo, facendolo sobbalzare per quelle sensazioni graffianti, così simili ai ratti. “Su, su, amore,” stridette una voce roca. “E' solo un altro incubo.”
Lui rabbrividì e si voltò su un lato, lontano da lei. Gli faceva accapponare la pelle, ma era un mezzo per arrivare a uno scopo. Il suo naso di contrasse per il materasso di paglia ammuffito del suo giaciglio, mentre si rannicchiava in posizione fetale. Non ancora per molto, si consolò. Solo un'altra settimana o poco più, poi sarò libero.
* * * * *
Le strutture che ospitavano i negozi e le attività di Stewart Glen sovrastavano Broderick con una sentenza opprimente, mentre procedeva nelle strette strade lastricate. Camminava a testa alta e rifiutava di arrendersi al loro scrutinio. Il piccolo villaggio di Stewart Glen era cresciuto in quegli ultimi nove anni, e ciò gli andava molto bene, perché aveva aumentato le sue possibilità di trovare delle anime malvagie delle quali cibarsi. Una densa umidità permeava l'aria fredda, rendendo tutto sfocato e logoro. I suoi passi non facevano rumore sulle pietre, mentre cercava movimenti nell'ombra. Un grido soffocato lo raggiunse dall'oscurità lontana. Il rumore di una zuffa e dei piagnucolii stimolarono la sua sensibilità. Una voce aspra trafisse la sua compassione. Si avvicinò di soppiatto.
“Me lo devi! Ora dov'è?”
Il rumore inconfondibile di una mano che colpiva la carne- come quello di una bistecca che sbatteva su un tagliere di marmo- rimbombò nella penombra. Quando Broderick svoltò nel vicolo all'angolo dell'edificio, si fermò sul limitare delle ombre. Un uomo dall'aspetto di un orco torreggiava su un bambino rannicchiato in un angolo; il ragazzino teneva le mani sopra la testa, cercando di difendersi dall'aggressore.
“Qualsiasi cosa pensi che lui abbia,” disse Broderick interrompendo l'uomo, “credo che a questo punto te l'avrebbe già data.”
Il bambino osò guardare oltre le gambe da bue dell'uomo davanti a lui. Il suo viso era gonfio e pulsava, arrossato, aveva un occhio pesto e le labbra spaccate e sanguinanti. La Fame si risvegliò, ma Broderick tenne sotto controllo la brama di sangue.
Anche se aveva assistito molte volte a quel genere di abuso, i risultati di quella brutalità riuscivano ancora a scioccare Broderick. Entrò nel vicolo e si fermò imponente davanti all'uomo.
Ascoltò i pensieri di quel tipo. Dopo essersi ripreso dallo shock di essere sfidato da qualcuno, lui notò la struttura massiccia di Broderick e si spaventò. Posso farcela, pensò. Gonfiò il petto e ficcò un dito nella spalla di Broderick. “Non sono assolutamente affari tuoi! Ora girati e dimentica questa faccenda, oppure...”
Broderick afferrò la mano dell'uomo che lo toccava, spezzandogli le ossa come delle ali secche e facendolo cadere in ginocchio. Lo fulminò con lo sguardo, disgustato. Due istanti prima, quel tipo faceva il prepotente con un bambino indifeso, senza alcun riguardo. Ora il codardo piagnucolava e implorava di avere salva la vita, ricevendo un assaggio della sua stessa brutalità.
Broderick lasciò andare la mano, lo afferrò per il colletto della camicia macchiata di grasso e lo sollevò da terra, avvicinando il viso dell'uomo al suo. I suoni e gli odori della paura sembravano una sinfonia per i sensi di Broderick. Chiuse gli occhi e si godette la melodia. Il cuore dell'uomo batteva con una cadenza colma di paura; il suo sangue faceva il coro attraverso il suo corpo, riscaldando la pelle. Inalando a fondo il calore che gli accarezzava il viso e le narici, Broderick accolse la Fame che cresceva dentro di lui, mentre un prurito familiare gli solleticava le gengive e gli incisivi si allungavano. Il suo corpo tremava dal desiderio di sangue. Broderick ringhiò contro quell'uomo, fin troppo bramoso di soddisfare la Fame. Sorridendo soddisfatto, mostrò le zanne perché il tipo le vedesse.
Il codardo spalancò gli occhi, spinse e scalciò contro Broderick, cercando di scappare, mentre le sue grida agghiaccianti vibravano nel vicolo. Tuttavia, non appena iniziarono le urla, Broderick lanciò l'uomo contro il muro, riducendolo al silenzio. Gemendo per l'impatto, quest'ultimo si contorse agonizzante sul pavimento del vicolo. Broderick lo rimise in piedi: adesso la sua vittima era più arrendevole, quindi gli afferrò il viso, costringendolo a fissarlo negli occhi. Girandogli il volto da un lato, affondò le zanne nella gola dell'uomo.
Nutrirsi delle sue vittime gli concedeva l'accesso completo ai ricordi delle loro vite.
Una volta che Broderick si era cibato di qualcuno, non c'erano più segreti. Veniva a sapere tutto di loro, fino al momento in cui si era nutrito... e in quegli istanti, avrebbe voluto bloccare alcune delle loro esperienze. Broderick era spettatore di immagini orribili! Anche se quell'uomo era stato una vittima da bambino, una volta cresciuto aveva molestato abbondantemente ed abusato di bambini di ogni età e di entrambi i sessi. E peggio ancora, regnava su un gruppetto di bambini provenienti da Strathbogie, una città più grande, e vendeva i loro corpi in cambio di denaro a uomini e donne perversi della Corte, aristocratici che si eccitavano per il piacere di conoscere il corpo di un bambino. Il bambino di quella sera, nel vicolo, era uno dei pochi che facevano parte del nuovo gruppo organizzato a Stewart Glen.
Broderick riempì la mente dell'uomo con immagini terrificanti dell'inferno, dei demoni e della tortura eterna- quel tipo di tortura e abuso che l'uomo infliggeva a quei bambini. Lo avrebbe voluto prosciugare del sangue che ancora rimaneva nel suo corpo. Tuttavia, prima di reclamare la sua vita, riuscì a controllare la Fame e si costrinse a fermarsi, lasciando cadere l'uomo tra la sporcizia.
Broderick aveva già prosciugato l'uomo più del dovuto e immaginava che la guarigione sarebbe stata più lenta del solito, ma aveva smesso di nutrirsi in tempo. Non aveva ancora raggiunto il punto di non-ritorno. Se l'uomo temeva un possibile futuro, come Broderick sperava, si sarebbe nascosto per un po', per rimettersi in salute. Sarebbe sopravvissuto. Broderick sbuffò. Se la fortuna avesse avuto qualche influenza, quell'uomo non sarebbe riuscito a sopravvivere ai propri peccati e si sarebbe tolto la vita. Ma anche se Broderick pensava che la morte di quell'uomo sarebbe stata un atto di giustizia, non aveva il diritto di porre fine alla sua esistenza pietosa.
Voltandosi verso il bambino, Broderick gli si avvicinò, ma quello si rannicchiò ancora di più nell'angolo. “So che sei terrorizzato. Per favore, devi credermi se ti dico che non ti farò del male.”
Il bimbo rimase al suo posto.
Broderick provò per la seconda volta, ma nessuno dei suoi tentativi di convincere il bambino ebbe successo. Tuttavia, non poteva lasciarlo con quei terribili ricordi. Come un serpente che si avventa sulla preda, Broderick strappò il ragazzino dalle ombre e lo tenne tra le braccia. Prima che il bambino potesse capire cos'era successo e iniziasse a gridare, gli premette il palmo sulla fronte e chiuse gli occhi. Concentrandosi profondamente, cullò il bambino fino a farlo scivolare in un sonno profondo.
“Non ricordare nulla, piccolo,” sussurrò Broderick, cancellandogli quell'esperienza dalla mente.
Posò poi il corpo zoppicante del bimbo in terra, nel vicolo, e controllò le sue ferite. Estrasse il pugnale dallo sporran, si incise il palmo e premette il suo sangue immortale sulle piaghe del bambino, come un unguento. Le ferite guarirono in pochi istanti, come se non ci fossero mai state. Anche il taglio di Broderick guarì alla stessa velocità e lui riaprì la lesione più di una volta, per continuare a versare il sangue sulle ferite. Quando ebbe terminato, sistemò di nuovo il bimbo nell'angolo con gentilezza, rannicchiandolo in una posizione adatta al sonno, poi gli mise qualche billon penny nella tasca. Il ragazzino si sarebbe risvegliato da quella prova come se quell'esperienza fosse stata un terribile incubo. Si sarebbe solo chiesto da dove venivano le monete che aveva in tasca.
Broderick si voltò quindi verso il codardo che giaceva inerme nel vicolo, immerse un pollice e spalmò il suo sangue immortale sulle due piccole ferite sul collo dell'uomo. Si caricò quel tipo sulla spalla e lo trasportò fino ai margini della cittadina. Non voleva che fosse nei dintorni del bambino, quando si fosse svegliato. Provando ben pochi rimorsi gettò l'uomo tra i cespugli lungo la strada che conduceva a nord, verso Strathbogie.
Quando Broderick tornò all'accampamento degli zingari, Amice lo accolse con la fronte aggrottata. “Va tutto bene, figlio mio? Sembri scosso.”
“Sì, Amice. Tutto bene.” Broderick si costrinse a sorridere e baciò Amice sulla testa, poi scomparve nella tenda. Amice conosceva il suo umore, ma sapeva anche quando era meglio tenersi a distanza. Non l'avrebbe seguito nella tenda e non avrebbe insistito per avere più informazioni.
Broderick chiuse gli occhi, maledicendo le proprie emozioni. L'ira che aveva liberamente sfogato sulla sua vittima, quella sera, era una conseguenza del suo fallimento nell'inseguire la persona di cui aveva avvertito la presenza. Si meritava quello che aveva ottenuto. Riaprì gli occhi e camminò avanti e indietro nella tenda, mentre un malessere gli formicolava nelle membra. Un uomo della sua taglia così meditabondo, non sarebbe riuscito a spingere i clienti ad essere generosi con il denaro, quindi si concesse un attimo per calmarsi e prepararsi a quella serata di previsioni del futuro, assicurandosi di mantenere i sensi in allerta. Si sedette dietro il tavolino sul cavalletto, con gli occhi chiusi e le braccia conserte. Fece un respiro profondo e confortante ed immaginò la tensione abbandonare il suo corpo come la sabbia attraverso un setaccio.
Sì, lascia andare tutto quanto. Meditare sul suo sogno sarebbe stata una piacevole distrazione. Un sorriso si formò sulle sue labbra.
“Davina!” chiamò Lilias, distogliendo l'attenzione della figlia dallo spettacolo sbalorditivo di un uomo che si metteva una torcia infuocata in bocca. Lilias era ferma davanti a uno zingaro che aveva le braccia traboccanti di nastri e fece cenno a Davina si andare da lei.
Davina si allontanò dallo spettacolo con molta riluttanza e si spostò nel punto in cui Lilias stava parlando con lo zingaro carico di nastri. “Oh, questi sembrano molto meglio di quelli che abbiamo visto questo pomeriggio,” concordò Davina.
Lilias era in estasi davanti a quella ricchezza di colori, alla varietà dei materiali e dei modelli e prese tutti quelli che riuscì ad infilare nella borsa. Pagò il mercante, poi lei e Davina si avviarono verso le altre tende, ammirando i gingilli e le merci provenienti da ogni angolo della terra. Davina tenne gli occhi ben aperti per tutto il tempo, cercando la vecchia zingara e il suo carrozzone mistico. Non aveva idea di dove fosse finita Rosselyn.
Lilias e Davina osservarono un arrotino molto esperto, che affilava una lama fino a farla brillare, poi si tennero i borsellini stretti contro il corpo, quando Lilias sorprese un ragazzino che tagliava un sacchetto di monete dalla cintura di un uomo. Davina lasciò vagare lo sguardo su un tavolo ricoperto di spille,fermagli e gioielli di tutte le forme. Il mercante si chinò in avanti con una spilla, cercando di convincerla a comprare quel gioiello, ma lei rifiutò scuotendo gentilmente la testa, mentre toccava la spilla che Kehr le aveva regalato e che le chiudeva il mantello sulle spalle. Una melodia triste sgorgava dalla “O” perfetta della boccuccia di una bimba zingara, mentre il suo anziano nonno teneva una tazza di latta ammaccata nella mano nodosa, chiedendo l'elemosina ai numerosi passanti. Davina lasciò cadere qualche billon penny nella tazza.
Mentre Davina e Lilias procedevano nel bel mezzo di quell'attività, un uomo scalciò una palla di argilla grande come un melone fuori dal fuoco davanti al suo carrozzone; la palla rotolò sul loro cammino, facendole sobbalzare. L'uomo si avvicinò per scusarsi e raccolse la palla bollente con uno straccio, riportandola dove era seduto. Davina deviò verso di lui, che spaccò la palla di argilla con una pietra. Raccolse quindi un coltello da terra accanto a sé e lo conficcò nella palla, rivelando un centro bianco e fumante. Davina si avvicinò ulteriormente, scrutando le sue azioni. “Cosa avete lì, signore?” chiese.
“Riccio arrostito,” rispose l'uomo, offrendole un pezzo di carne con la punta del pugnale. “Vorreste assaggiarlo, signora?”
Lilias storse il naso. “Oh no, Davina!” Afferrò la mano tesa della figlia e guardò sbalordita l'uomo, come se fosse matto. “Grazie, ma no!”
Davina rise della riluttanza di sua madre. “Suvvia, madre. Coraggio!” Davina prese la carne che le veniva offerta e soffiò per ridurre il calore. Annusò e le venne l'acquolina in bocca. “Oh, ha un profumo divino!” Si mise il boccone in bocca ed esplorò quel gusto nuovo, masticando molto lentamente e assaporando quel sapore succulento. “Quasi come il coniglio.”
Sua madre stava ancora scuotendo la testa ed aveva persino stretto le labbra, perché il suo messaggio fosse chiaro. Trascinò via Davina, che stava ringraziando l'uomo per l'assaggio.
Lilias spinse la figlia, poi puntò il dito a indicare la tenda dipinta con la donna dai capelli dorati che toccava un mazzo di carte, con lo sfondo notturno ed i simboli mistici intorno a lei. La vecchia era in piedi accanto ai lembi dell'apertura e faceva loro cenno di avvicinarsi. Il cuore di Davina prese a martellare contro la cassa toracica.
“Dovete farvi leggere la mano,” disse la donna anziana quando si avvicinarono, nel suo forte accento francese.
“Sembravate molto interessata a mia figlia questo pomeriggio, madame,” disse Lilias.
Davina fissò la zingara dritto negli occhi. “Mamma, questa è la gitana che sono venuta a trovare al villaggio molti anni fa.” Lilias espresse il suo piacere e Davina fece un passo avanti, afferrando le mani protese della donna. “Bonsoir, Amice.”
“E' bello vederti, bambina.” Amice fece un passo indietro ed ispezionò Davina. “Oh, chérie! Sei diventata una donna talmente bella! E' un miracolo che io ti abbia riconosciuta, quando siamo passati! Quanto mi sono mancate le nostre piccole conversazioni accanto al fuoco. Ero felice ogni volta che tornavi.” Amice guardò Liljas. “E' evidente che ha ereditato la bellezza da voi, madame.”
“Siete troppo gentile, Amice.” Lilias sorrise con orgoglio a sua figlia. “Devi farti predire la sorte, cara.”
“Anche voi, madame.”
“Oh, no. Sono sicura che il mio futuro non abbia in serbo niente di cui valga la pena discutere.” I lineamenti di Lilias si velarono di tristezza, che lei cercò di mascherare con un sorriso, ma Davina sapeva che sua madre piangeva il marito Parlan e il figlio Kehr. “Conoscere il futuro sarà più utile a mia figlia che a me.” Si voltò verso Davina. “Ti aspetterò qui, tesoro.” Amice fece cenno a Lilias si sedersi vicino al focolare e le porse una tazza di argilla colma di tè bollente. Due giovani abitanti della città che Davina riconobbe uscirono dalla tenda ridendo, e si fermarono di colpo per evitare di scontrarsi con lei. Fecero un inchino per scusarsi e se ne andarono.
Mentre sua madre ed Amice conversavano in privato, Davina scacciò un senso crescente di disagio, prima di entrare nella tenda. Non poteva permettere alle sue preoccupazioni di rovinare quel momento eccitante che aveva atteso così a lungo. L'aroma speziato di incenso le pervase i sensi e il suo corpo fremette al ricordo dell'ultima volta in cui era entrata in quel mondo esotico- ricordi che aveva rivissuto ancora e ancora negli ultimo nove anni.
Si voltò verso di lui.