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Capitolo II
Getta l'àncora e spera in Dio
ОглавлениеLa calma ritornava negli animi sbigottiti. Ma era la calma tenue del soldato, che tra una battaglia e l'altra gode il riposo dell'avamposto, mettendo a guadagno tutte le ore di quiete, pure avendo sempre nello spirito una vaga inquietudine, che gli leva la voglia di pensare alle cose lontane nello spazio o nel tempo. Certamente, regna la quiete intorno a lui, ma è quiete che precede la tempesta. Il sentiero è sgombro, davanti a lui, ma l'insidia è vicina; la morte può stare in agguato dietro quel canto di strada che verdeggia là in fondo. E verso quel fondo: si guarda mal volentieri, anche dai più coraggiosi. Chi è di servizio, ci pensi.
Anche laggiù, sull'Oceano, erano calme le vie. Il sole splendeva, senza arrostire i cervelli; l'aria era dolce, mitissima; un aprile di Andalusia, per usare una frase dell'Almirante, un aprile d'Andalusia, a cui non mancava che il canto del rosignuolo, per far l'illusione compiuta.
Cristoforo Colombo ebbe sempre una gran tenerezza per il canto del rosignuolo. Il ricordo del cantore dei boschi ritornava spesso nelle sue relazioni di viaggio e nel suo giornale di bordo. Ma se per allora mancava il rosignuolo, una rondinella di mare e una cingallegra erano venute a svolazzare intorno alle caravelle. Passi per la rondinella di mare; è suo uffizio di volare sulle acque. Ma la presenza di una cingallegra non s'intendeva egualmente laggiù, se non immaginando molto vicina la terra.
E terra vicina immaginavano i marinai, argomentando dalla presenza di quel grazioso uccello silvano in una così lontana latitudine marina. Ma non tutti la pensavano a quel modo; particolarmente i nostri due genovesi.
– Ahimè, povera parissòla, – diceva uno di essi al suo fedele compagno. – Bisognerebbe conoscere per quali traversie abbia dovuto sperdersi da queste parti, e che raffiche indiavolate l'abbiano gittata in alto mare. Da principio si sarà rifugiata sulla gabbia di qualche naviglio. Poi, seguitando questo vento di levante…
– Avrà perduta la tramontana; – interruppe l'altro, che era anche il più faceto dei due. – E un bel giorno, veduto questo gran verde, l'avrà scambiato per una prateria. Ci starà grassa, ci starà!
– Così noi, sperduti per il mondo! – mormorò l'altro, sospirando.
Ma al compagno non garbavano questi sospiri.
– Ohè, Cosma! – esclamò. – Vogliamo intenerirci un pochino? Bada che il tuo Damiano da quest'orecchio non ci sente, e come è vero Dio ti pianta sulla palmara. —
Voleva dire: ti pianta in asso. Palmara, dicono i genovesi quel cavo che lega i battelli alla spiaggia.
– E piantami! – rispose Cosma, sforzandosi di sorridere. – Tanto, so bene che andresti poco lontano.
– Ah bravo! – replicò Damiano. – Ho piacere che tu te ne ricordi, che siamo tutt'e due nello stesso guscio di noce. Per la vita e per la morte non abbiamo giurato di stare insieme? Tu piangi, io rido; e tra buon vento e cattivo la barca va. Tu vorresti il mondo rifatto a modo tuo, caro amico; io lo accetto com'è; per intanto andiamo tutt'e due a cercarne un altro. Ci sarà? e se c'è, sarà migliore del vecchio?
– Mistero!
– Con che aria lo dici? A me non fa nè caldo nè freddo. Mi par di giuocarla a croce e grifo; quel che sarà sarà. E spero, – soggiunse Damiano, – che tu ammirerai la mia filosofia, molto adatta per un viaggio di scoperta come questo.
– Perchè?
– Perchè si piglia il nuovo mondo come viene.
– Matto! – esclamò Cosma. – E così, tu non hai neanche bisogno di fede, per conservare il tuo buon umore!
– Chi te lo dice? Ho la mia fede ancor io; incomincio ad averne molta nell'almirante. Ed è naturale. Io vado a mano a mano raccattando quella che pèrdono gli altri. Non ti nascondo che questo nostro concittadino mi piace. Ed è nato lanaiuolo! Dunque fuori di porta Soprana, nella strada che mette al ponticello di Rivo Torbido. I lanaiuoli abitano tutti da quelle parti. E lanaiuolo com'è di origine, e marinaio di professione, ci ha un'aria di gentiluomo che consola.
– Non dei nostri, per altro.
– Ah sì, di un'altra stirpe, davvero. Ma vedi… Cosma? Io mi son fatto un giudizio tutto mio, in questa faccenda. L'uomo fa l'aspetto secondo le passioni che lo muovono. Metti per dieci, venti, cinquanta e cent'anni una famiglia contro l'altra, tutte disposte a mangiarsi il naso, e vedrai che facce ti vengon fuori. È certamente per questo che gli Adorni e i Fregosi, da un pezzo in qua, son tutte facce proibite. Anche i Fieschi, sai, anche i Fieschi; – soggiunse Damiano, ridendo. – E frattanto, che avviene? Che le facce serene e piacevoli, da veri gentiluomini, bisogna cercarsele altrove.
– Tra i lanaiuoli, allora?
– Sicuramente; e tra quelli, più facilmente che nelle altre professioni. Quelli, a buon conto, devono esser nati nel soffice. —
Il colloquio dei due marinai genovesi fu interrotto dal suono della campana, che dal castello di poppa chiamava l'equipaggio alla preghiera serale. Era quell'ora che il nostro maggior poeta ha cantata con versi tanto soavemente malinconici nelle celebri terzine del Purgatorio:
Era già l'ora che volge 'l desio
A' naviganti e 'ntenerisce il core
Lo dì ch'han detto ai dolci amici addio;
E che lo novo peregrin d'amore
Punge, se ode squilla di lontano
Che paia 'l giorno pianger che si more.
Tutti inginocchiati in coperta, e fattosi umilmente il segno della croce, i marinai della Santa Mariamormoravano con l'Almirante, che la proferiva ad alta voce, la preghiera dell'Angelus Domini, istituita nell'anno 1095 da papa Urbano II, al concilio di Clermont, pei crociati che andavano in Palestina, e rimessa in vigore un secolo dopo, da Gregorio IX, per tutto l'orbe cattolico. Mai, fino a quel giorno, squilla vespertina e preghiera di cristiani s'erano udite più lontano nell'aria. Le navi di Cristoforo Colombo erano allora a trecento leghe di là dai confini d'Europa.
La preghiera dell'Angelus era finita da poco, e tutti i marinai che non erano di guardia alle vele, in vedetta sulla gabbia, o al timone, si disponevano a scendere nei ranci sotto coperta, quando una strana luce apparì davanti a loro, quattro o cinque leghe, lontana sul mare. Una striscia luminosa e rossastra si dipingeva nel cielo, solcandolo ad arco, e facendo sentire un alto fragore, come di artiglierie sparate in distanza. Pareva di vedere una palla di ferro rovente, o parecchie, vomitate da un mortaio; le quali scoppiassero per via, andando a sprofondarsi nel mare, e lasciando dietro di sè un gran solco di fuoco. La straordinaria grossezza di quel globo luminoso non permetteva di pensare alle stelle cadenti, fenomeno abbastanza comune nelle calde regioni e in certi mesi dell'anno. Nè la più parte di quei marinai avevano veduto mai bòlidi; nessuno ne aveva mai veduto uno così fuor di misura; e del resto, ad ogni fenomeno naturale di cui non si conosce la causa, è più facile sgomentarsi che rinfrancare gli spiriti. Che cosa significava quel razzo? era esso il principio del finimondo? non prenunziava forse tutta una sequela di scoppi e di rovine?
Ma niente avvenne, di ciò che incominciavano a temere. Del solco luminoso non rimaneva più traccia nel cielo. La pace regnò quella notte e i giorni seguenti. Spirava da levante una brezza viva e costante, che teneva in continuo esercizio le vele, senza dar travaglio all'alberatura e al sartiame. Tutto andava dunque a seconda; favorevoli i segni del cielo, più favorevoli ancora i segni del mare.
Infatti, sentite: s'incominciava a vedere sulla superficie delle acque un grazioso spettacolo. Qua e là galleggianti sui flutti, o, per dir più veramente, sulla liquida lastra del mare, lievemente increspata dalla brezza, si scorgevano piccoli strati, come chiazze di verde. Entrandoci le navi per mezzo, si vedevano quegli strati esser fatti di erbe verdi, tanto verdi che parevano strappate di fresco dalle zolle natali. E le chiazze si facevano a mano a mano più larghe, più frequenti, più fitte.
Fu a tutta prima una festa degli occhi, e per conseguenza una allegrezza dei cuori. L'assenza del verde è la malattia del marinaio. Il verde è il gradito colore della terra. Dicono gli astronomi che a guardarlo dall'osservatorio degli altri pianeti, il nostro globo tramandi una luce di smeraldo, a cagione delle sue terre e della vegetazione che le ricopre. Peccato non esser là, su Marte, o su Giove, a vedere la bella figura di pietra preziosa che dobbiamo far noi, nella immensità dello spazio!
– Le isole sono vicine! – gridavano i marinai. – Vedete come son fresche, queste erbe. Sembrano staccate ieri dal suolo.
– Effetto dello stare in acqua; – notava qualcuno.
– E sia, diciamo due giorni, tre, cinque. Ma a lungo andare, marcirebbero. E poichè queste sono così fresche, siano di un giorno o di cinque, la terra dev'essere vicina.
– Mettiamo di sei, e crepi l'avarizia. Io mi contenterei di toccar terra fra sette. —
Così ridevano e scherzavano, dimenticando le recenti paure. Un marinaio si buttò in acqua per cogliere una manata di quelle erbe, e portò a bordo un granchio vivo, che fu subito presentato all'Almirante.
Quel povero crostaceo dell'Oceano non differiva punto punto dagli altri congeneri suoi delle coste d'Europa. Ma dalla sua presenza in quelle latitudini si poteva, a sentire i marinai di Moguer, grandi pescatori nel cospetto di Dio, cavare un eccellente pronostico di spiagge vicine. Essi infatti sostenevano che di granchi, a ottanta leghe da terra, non se ne ritrovano più.
– Distanza giusta per metterci casa; – bisbigliò Damiano all'orecchio di Cosma. – Non c'è più pericolo di pescarne. —
Poco dopo il granchio, indizio sicuro di terra entro le ottanta leghe di distanza, si vide uno sciame di tonni che vennero a guizzare nella scia delle navi. E poco dopo i tonni che scherzavano in acqua, venne un'altra cingallegra a svolazzare tra l'albero di maestra e il trinchetto della Santa Maria. Fors'anche era la cingallegra dei giorni scorsi, povera cingallegra sperduta, che aveva intenerito il cuore di Cosma. Ma comunque fosse, cingallegra e tonni erano altri indizi di terre vicine. Anche l'onda marina, assaggiata dal pescatore del granchio, e poi via via da altri curiosi, era meno salata in quei paraggi che non fosse nelle acque delle Canarie. E quello, per bacco, era indizio di terre vastissime, di un continente a dirittura, donde si scaricassero nell'Oceano le acque dolci di grandissimi fiumi. E il mare sempre tranquillo; e il vento sempre favorevole. Laggiù da settentrione l'atmosfera un tantino più fosca; altro indizio di terra. E poi un fitto sciame d'uccelli che passavano alti, volgendo a ponente; nuovo e prezioso indizio che da ponente o da tramontana, ma sempre là, davanti a loro, fosse vicina la meta.
La Pinta, grande veliera della squadra, si accostò al bordo della Santa Maria, chiedendo all'almirante la licenza di muovere innanzi liberamente, per iscoprire quella terra benedetta. Martino Alonzo Pinzon si struggeva d'impazienza; sicuro del fatto suo, avrebbe desiderato esser primo a dare la buona notizia. Ma l'almirante non diede la chiesta licenza. Si doveva andar tutti di conserva, per non aversi a smarrire. Ed egli, dai suoi computi, non argomentava vicina la terra. Che ostinazione era la sua? I segni crescevano ad ogni giorno, quasi ad ogni lega di cammino che le navi facevano. Due pellicani non erano proprio allora passati in aria, venendo da ponente? Ora i pellicani non sogliono andar mai lontani oltre venticinque leghe dal lido. Questo non lo dicevano i soli pescatori di Moguer; lo asserivano tutti. E quei grossi nebbioni che si levavano all'orizzonte, senza mestieri di vento, che cos'altro volevano dire se non questo, che il viaggio di scoperta toccava al suo termine?
Bene operava Cristoforo Colombo, resistendo alle domande di Martino Alonzo Pinzon. I suoi computi potevano essere errati; sicuramente lo erano, ma non in guisa da giustificare le speranze precoci della sua gente, poichè la distanza tra l'Europa e il Nuovo Mondo dovea riscontrarsi anche maggiore delle settecento leghe immaginate da lui. Per intanto egli manteneva la sua autorità; e per il giorno dei disinganni non sarebbe apparso incerto nella sua dottrina, facile ad infiammarsi per ogni nonnulla, come i suoi compagni di viaggio, vagante a caso sui mari, come un avventuriere od un pazzo.
– Stiamo tutti in riga, Martino Alonzo; – gridò egli al comandante della Pinta; – ci sarà gloria per tutti. Gli indizi che osserviamo sono certamente notevoli. Forse ci dimostrano l'esistenza di qualche isola sulla nostra diritta. Ma non mette conto per ora di cercar piccole cose. Vedremo al ritorno. Approfittiamo ora di questo buon vento, e facciamoci avanti verso ponente. Desidero di toccar terra al pari di voi; ma penso che ne siamo ancora distanti un bel tratto. —
E si apponeva al vero. La spedizione era appena a metà strada. Ma non aveva arcipelaghi sulla diritta, nè sulla manca; e i pellicani, le cingallegre, i granchi, i tonni, l'acqua meno salata, i nebbioni, il mare erboso, non significavano niente di ciò che gli altri speravano.
E andavano, frattanto, procedevano fidenti tra quelle chiazze di verde vivo. Ma a grado a grado quelle chiazze crescevano, si allargavano, e presto non si vide che una chiazza sola; tutto il mare, intorno alle navi, era verde per quello strato di erbe, come è verde un palude, un serbatoio di acque stagnanti. E ad un certo punto, quello strato d'erbe era così fitto da impedire il corso alle caravelle, obbligando i marinai a spenzolarsi dalla prora coi lunghi aldighieri in pugno, per rompere e allontanare l'ostacolo.
Era la prima volta che i marinai della vecchia Europa vedevano quelle praterie galleggianti. Ignoravano perciò che il mar di Sargasso, come fu chiamato di poi dalle alghe di cui è formato, occupa nel mezzo dell'Atlantico uno spazio otto volte più vasto della penisola Iberica. La formazione di quello strato verde non è più un mistero per la scienza, dopo la scoperta del gulf stream, ossia della corrente del golfo, il gran fiume oceanico che si parte dal polo antartico rimontando fino all'artico, ma partendosi a mezzo il suo corso in due correnti, una delle quali costeggia l'Africa e l'altra va a far gomito nel golfo del Messico, lasciando nel centro un vasto campo di mare più tranquillo e più freddo, nel cui fondo vanno a finire tutti i tronchi di alberi, carcami di navigli, ed ogni materia pesante travolta dalle acque, mentre alla sua superficie si raccolgono e galleggiano tranquille come in uno stagno tutte le erbe marine, strappate dagli abissi dell'Oceano.
I marinai si erano rallegrati da principio alla vista del verde. Avevano anche riso, vedendosi costretti a far piazza pulita con gli aldighieri. Ma non si può rider sempre; e dopo aver riso, incominciarono a seccarsi; dopo essersi seccati, tornarono a sgomentarsi da capo. Quegli strati d'erbe non si sarebbero fatti a mano a mano più profondi, tanto da imprigionare a dirittura le navi? Non era possibile che i mostri temuti fossero per l'appunto in agguato dietro a quei monti di viscida verzura? E se non erano mostri, non potevano essere bassi fondi, secche e frangenti, in cui dovessero incagliare le caravelle? Dei mostri non temeva l'almirante; ma bene incominciò a temere anch'egli delle secche. A lui, memore di tutti i testi delle antiche scritture, ritornava in mente l'Atlantide di Platone, quell'Atlantide inabissata, i cui resti potevano benissimo essere rimasti a fior d'acqua, o alti tanto sott'acqua da cagionar gravi danni alle carene delle navi. Ma questi timori erano presto dissipati dallo scandaglio, che fu gittato più volte e non trovò mai fondo, neanche con dugento braccia di sagola.
– Animo, dunque! – diss'egli, dopo parecchie di quelle prove convincenti. – Abbiamo varcati oramai gli strati più fitti, e il pericolo dei frangenti e delle secche è passato, se pure c'è stato mai. Vedete poi come è costantemente favorevole il vento.
– Sì, ben dite, signore, costantemente! – rispose per tutti il pilota Perez Matheo Hernèa. – Soffia sempre da levante, questo vento benedetto!
– Non sempre; – disse l'almirante. – Qualche volta è caduto; e abbiamo avuto un po' di brezza da ponente. Rara, se vogliamo; ma basta a dimostrarci che anche qui comanda la legge della varietà.
– Con questo particolare, per altro; – replicò il pilota; – che quando soffia il vento da levante si fa molto cammino, e quando soffia da ponente non ha nemmeno la forza di sbatacchiar le vele contro gli alberi.
– Orbene, che volete voi dir con ciò, Perez Hernèa?
– Che per andare all'incerto, il vento aiuta; ma che, se dovessimo dar volta, per ritornarcene a casa, il vento non ci aiuterebbe più. Ecco, signore, con vostra licenza, e col debito rispetto, quello che voglio dir io. —
L'almirante aggrottò le ciglia, alle parole dell'Hernèa. Ma si contenne, e, per non averlo a riprendere prima del tempo, si provò perfino a scherzare.
– Bravo il mio pilota! – diss'egli. – Uomo di provato coraggio com'è, penserebbe egli a ritornare? proprio ora, che siamo tanto vicini alla meta?
– Eh, vicini!.. vicini!.. – brontolò il pilota. – Qui non si capisce più nulla. Ma la vostra esperienza, signore, che cosa può dirmi, intorno a questo vento di ponente che non ha forza di muovere una vela?
– Che cosa posso dirvene io, Perez Hernèa? Sa il marinaio perchè il vento spiri tanti giorni da un lato, e poi d'improvviso si volti? Verrà giorno, io spero, che questo ed altri segreti dell'ordine naturale saranno conosciuti. Per ora governiamoci con la pratica nostra. Ci sono venti di mare e di terra, di golfi e di canali, ed alti e bassi, e forti e deboli. Per prevederne l'andamento bisognerebbe conoscere i paraggi. Voi conoscete benissimo ogni particolarità dei venti che soffiano nel canale del Rio Tinto, e in quello dell'Odiel; non è vero?
– Certamente. Poveri a noi, se non avessimo pratica dei brontoloni di casa nostra.
– Ebbene, qui sono altri brontoloni; – replicò l'almirante. – E siamo in casa d'altri, e non li conosciamo ancora. Ma non sarà sempre così. Quando ci avremo fatta la mano, sapremo come governarci con loro. Per ora, osserviamo e studiamo. A me intanto par di capire una cosa: che qui, come altrove, certi venti sono proprii di certe stagioni. Qui, ora, è la stagione in cui regna il levante; approfittiamone. Verrà la stagione in cui soffierà il suo contrario, e un po' più forte che non abbia fatto finora. Anche debole, lo abbiamo sentito; ne conosciamo dunque l'esistenza. E forse ci ha dato questo indizio di sè, per levare ogni dubbio a voi, sospettoso uomo. A me dice ancora che una terra è laggiù, donde egli viene a battaglia, ma finora con poca forza di resistenza. Ed è meglio così, per la nostra navigazione; non pare anche a voi? —
Perez Hernèa si acquetò, per allora. L'almirante aveva ragioni per tutti i dubbi, per tutti gli argomenti in contrario. Ma egli non era da per tutto, e non poteva vincere ugualmente tutti i pregiudizi di una gente ignorante e ostinata. Quella lunga navigazione dove gli indizi favorevoli non conducevano a nulla, quel verde che non finiva mai, quel vento sopra tutto, quel vento che soffiava costantemente da una parte, come per portarli ferocemente a capitar male dall'altra, mettevano tutti in apprensione; e urtava i nervi la inflessibilità dell'almirante, di quello straniero che voleva condurre tanti poveri figliuoli d'Andalusia alla morte, per un suo puntiglio, per una sua stravaganza.
Molti erano stati incerti fino allora se egli fosse un impostore od un pazzo. Incominciavano a creder tutti che gli avesse dato volta il cervello. Queste fissazioni, che mostrano tanta imperturbabile serenità, son veramente proprie dei pazzi.
E non si chiedeva più nulla a lui. Si obbediva ai suoi ordini, materialmente, macchinalmente, senza metterci punto di quell'ardore, di quella buona volontà che fa della obbedienza una cooperazione intelligente.
Per contro, incominciavano da prora i crocchi, i capannelli, quei borbottamenti, quelle mormorazioni, che non sono ancora il principio della rivolta, ma ne accennano l'intenzione. Le povere caravelle malconce; i viveri scarsi; l'acqua fradicia; i venti contrari al ritorno; di coste all'orizzonte neppur l'ombra; mare, sempre mare, nient'altro che mare; quella era la prospettiva. E quanto sarebbe durata?
Indizi di terre ne erano venuti… Sì, anche troppi, ed era il caso di richiamarsene, come della famosa sua grazia a sant'Antonio di Lisbona. Quei pellicani, quelle cingallegre, tutti quelli uccelli di passo che erano trascorsi a squadre, a sciami, a nembi, sul capo dei naviganti, ora venendo da prora via, ora da poppavia, non indicavano essi, nella capricciosa direzione del volo, che qualche spirito maligno si prendeva giuoco di loro? E qui taluni notavano che quei negri volatori, passando sulle caravelle, avevano fatto sentire un acuto stridìo. Sì, certamente, era uno scherno di potenze invisibili; le quali infondevano con vane immagini le speranze nei cuori, e si beffavano ancora dei troppo creduli marinai. E quegli uccelli, quei tonni, quelle nebbie basse all'orizzonte, non erano che apparizioni diaboliche. I mostri non sorgevano ancora dalle acque, dond'erano aspettati; si mostravano invece all'orizzonte, brulicavano in aria.
Questa spiegazione degli indizi ingannatori apparve così chiara, che fu creduta a breve andare da tutti. No, non più avanti, per contentare il capriccio dell'avventuriere, del pazzo. Quell'uomo voleva trovar terra a ponente, o morire; proposito da disperati! Ma egli poteva farlo, egli che non aveva famiglia; non potevano essi, che a Palos, a Huelva, a Moguer, lasciavano occhi per piangerli. Bisognava dunque ricusargli obbedienza, forzarlo a ritornare indietro. Chi li avrebbe biasimati? chi li avrebbe accusati di viltà? Si erano spinti quattrocento e più leghe sull'Oceano, sul mare tenebroso, spavento di tutti i naviganti del mondo. Che si voleva di più? che morissero tutti di fame, errando inutilmente sopra un mare senza sponde? o che nei gorghi di quel mare trovassero il sepolcro?
Le coscienze più timorate si davano pensiero di ciò che avrebbero detto i sovrani, vedendo ritornare le caravelle in Europa. Ma che cosa potevano dire i sovrani? Essi medesimi non si erano risoluti di concedere al marinaio genovese gli uomini e le navi, se non per levarsi d'attorno quel molesto supplicante, e a loro malgrado, come in troppe occasioni era stato dimostrato. Vedendo ritornare uomini e navi, la regina, forse, si sarebbe addolorata, poichè il Genovese aveva saputo ammaliarla col suoi racconti del Cataio e di Ofir; ma poi avrebbe capito che quel cercare il levante a ponente era una stravaganza, una pazzia; e buona com'era avrebbe finito con rallegrarsi di veder salve tante vite di bravi spagnuoli. Quanto al re Ferdinando, egli aveva detto di sì per contentare la moglie; ma che fosse contrario nel profondo dell'anima alla impresa di Cristoforo Colombo non era mai stato un mistero per nessuno. Il ritorno della spedizione, senza aver nulla ritrovato della terra promessa, neanche uno scoglio fuor d'acqua, sarebbe stato un vero trionfo per lui.
Sì, dunque, ritornare indietro, ricusando obbedienza all'almirante, obbligandolo ad accettare la legge da loro. Ma se non avesse voluto persuadersi con le buone, era egli conveniente di passare alle cattive? Non sarebbe sempre rimasto a carico loro il fatto della disobbedienza e delle conseguenti offese alla sua persona? Da senno, o da burla, era almirante, era vicerè, era governatore; e tutto ciò per decreto reale.
Il modo di superare quella piccola difficoltà alcuni dei più audaci lo avevano trovato, e ne avevano già discorso lungamente tra loro. Ma non se ne aprivano ancora liberamente nei crocchi più numerosi; stavano a bocca chiusa, o parlavano a monosillabi, a interiezioni, quando erano presenti marinai di altre nazioni; specie quando c'erano i due genovesi. E i due genovesi avevano capito; e si erano lungamente consultati tra di loro, per venire ad una risoluzione che di giorno in giorno si faceva più urgente. Finalmente uno di quei capiscarichi che quando è stato lor confidato un segreto, credono di averlo colto a volo, non istanno più nella pelle se non lo consegnano altrui, si lasciò sfuggire qualche parola coi due.
– Ah sì? il vostro Genovese non vuol saperne di tornare indietro? – aveva egli detto. – Ebbene, ci resti lui, a naufragare per tutti. Un'ondata che spazzi la coperta, e si prenda quel matto ostinato, non è poi tanto difficile a trovare.
– Trovare… sinonimo d'inventare, non è vero? – aveva risposto Damiano.
– Eh sicuramente! Capirete bene, voi altri, che quando la pazienza scappa… E il vostro Genovese la farebbe perdere ai santi. —
Damiano non volle sentirne più altro. Quella sera dormì male. A mezzanotte doveva andar egli di guardia alla vela, e Cosma gli teneva compagnia. Era l'uso, tra loro, di non separarsi mai; tanto che i piloti avevano finito col mandarli sempre insieme a far le quattro ore di guardia.
– Senti; – disse Damiano al compagno, quando furono soli sul ponte; – io, per me, non ho più pace, fino a tanto che non ho detto ogni cosa all'almirante. E tu, che cosa ne pensi?
– Io penso, – rispose Cosma, – che avremmo fatto bene a parlare anche prima. Finalmente, qui non si tratta di riferire i discorsi della gente; si tratta d'impedire un delitto. L'almirante dev'essere posto in grado di custodirsi da un colpo di mano.
– Giustissimo! – ripigliò Damiano. – Eccolo là, per esempio, che esce dal gavone di poppa, come fa tutte le notti, per invigilare la guardia. Egli infatti non dorme che da un occhio. Ma per la sua persona egli non ha nessuna vigilanza. Due uomini risoluti potrebbero gittarglisi addosso, afferrarlo per la vita, levarlo di peso, e una, due, tre, buttarmelo a mare come un sacco di cenci.
– Che infamia! e sarebbero capaci di farlo.
– Dunque, si dice tutto?
– Si dica. —
Mentre i due si confortavano scambievolmente a parlare, l'almirante veniva a passo lento da poppa, per vigilare le guardie, che non si lasciassero prendere dal sonno.
– Buona notte, signor almirante; – disse Cosma, appena quell'altro gli fu vicino. – Iddio vi guardi.
– Ed anche voi, ragazzi; – rispose a bassa voce Cristoforo Colombo. – Buona guardia.
– E san Giorgio valente vi conceda vittoria sui vostri nemici; – disse Damiano, parlando nel vernacolo della sua città natale.
– Ah! – esclamò l'almirante, fermandosi. – I miei genovesi?
– Sì, messere, e desiderosi di parlarvi. Se non era questa occasione, avremmo chiesto domattina di essere ammessi alla vostra presenza.
– Cose gravi, dunque? e da non potersi confidare al pilota?
– Gravissime, e vorremmo che non le sapesse neanche l'aria. Guardatevi, messere! C'è del torbido, a bordo.
– Lo so, ragazzi, lo so. Da più giorni ho dovuto avvedermene. Gente ignorante ed ingrata! che ci volete fare? Un giorno i più lievi segni del mare e del cielo, segni che non persuadono me, offrono a loro una certezza maravigliosa di approdo imminente. Un altro giorno una cosa da nulla, mettete anche la costanza del buon tempo, me li sbigottisce come i bambini un racconto della balia, quando non ardiscono più spiccarsi dalle sue ginocchia per andare nel fondo della stanza. In verità, figliuoli miei, non avrei mai creduto così debole la fibra umana. E voi, come fate a non seguire l'esempio degli altri?
– Noi? noi… è un'altra cosa! – rispose Damiano. – Noi abbiamo fede nel nostro Genovese.
– Abbiatela in Dio; – rispose l'almirante. – Da lui vengono le grandi idee alla mente; da lui i forti propositi al cuore dell'uomo.
– E dal demonio i cattivi, signor almirante; – rispose Cosma. – Si guardi, Vostra Eccellenza. Da certe parole che abbiamo colte per aria, alcuni tristi avrebbero intenzione…
– Di che cosa?
– Veramente… – balbettò Cosma. – È così nero, il disegno!..
– Di uccidermi, non è vero?
– No, mio signore… o piuttosto, sì, perchè infatti, uccidere e far sparire è tutt'uno.
– Già! – soggiunse Damiano, venendo in aiuto al compagno. – Si comincia a parlare di un'ondata furiosa, che spazzi opportunamente la coperta, trascinando con sè fuori del capo di banda il comandante supremo. —
L'almirante rimase alquanto sovra pensiero.
– Si pensa a questo? – diss'egli poscia. – Per fortuna non c'è l'occasione. Il mare è così costantemente tranquillo!
– Certo, ed è ciò che li annoia. Questi marinai son venuti a desiderar le burrasche, e mi fanno ricordare quel che si dice dei nostri villani del Bisagno e della Polcevera, che si scorticano i polpacci con le calze di seta. Ma Vostra Eccellenza capirà che non c'è bisogno di un temporale, per fare un colpo di mano. L'essenziale è d'inventarne la notizia, per quando si sarà ritornati in Ispagna, e bisognerà render conto della vostra sparizione al governo.
– È un disegno infernale! – esclamò l'almirante, più inorridito che spaventato dall'annunzio. – E siete certi che abbiano pensato di giungere a tanto?
– Oh, per questo, non dubiti Vostra Eccellenza; coi nostri orecchi medesimi abbiamo sentito il discorso.
– Pazienza! – replicò l'almirante. – Sebbene questo non dovessi aspettarmi, vedrò di fare buona guardia.
– E la faremo anche noi; – disse Cosma. – Così conoscessimo i buoni, quelli in cui confidate di più, per metterci d'accordo, e vegliar tutti sulla vostra preziosa persona!
– Amici miei, – rispose Cristoforo Colombo, traendo un sospiro, – conosco voi… da pochi momenti. Quanto agli altri, non so nulla di loro. Eravate a Palos; potete ricordare in che modo si è formato il nostro equipaggio.
– Pur troppo, mio signore! Metà per forza, l'altra metà per caso; tutta gente raccogliticcia. I buoni ci saranno di sicuro, e si vedranno alla prova. Per intanto…
– Per intanto, è buio pesto; – conchiuse Damiano. – Ma Vostra Eccellenza potrà confidarsi di queste cose co' suoi ufficiali.
– Sì, sì, figliuoli, lo farò; – rispose l'almirante. – Ma non è questo, che importa. La mia speranza è altrove. Siete voi marinai?
– Noi? sì, come vede Vostra Eccellenza.
– Infatti, la vostra condizione è tale, per ora. Ma dal primo momento che ho dovuto guardarvi in faccia, mi è parso… che non ne aveste l'aria.
– Le nostre mani, signore…
– Sì, capisco, le vostre mani saranno tinte di pece. Ma non è la pece che fa il marinaio, come non è l'abito che fa il monaco. Le mani del marinaio possono essere anche pulite, ma si riconoscono egualmente; specie nella palma, che par foderata con pelle di squalo. Ora, le vostre mani, che sono lieto di stringere…
– Si faranno ruvide quanto è necessario; – rispose Cosma, inorgoglito da quella dimostrazione di benevolenza, ma anche un pochettino turbato.
– Sta bene; – disse l'almirante, sorridendo. – Quantunque, io non domandi ciò come una qualità necessaria… a mani di cavalieri.
– Messere… – mormorò quell'altro, più turbato che mai.
– Oh, non temete, non voglio andare più in là, – rispose l'almirante. – I vostri nomi, se ben ricordo, sono…
– Cosma e Damiano; – si affrettò a rispondere Cosma.
– E Cosma è lui, e Damiano son io; – soggiunse Damiano.
– Benissimo. Due nomi di fratelli!
– Noi non siamo che amici; ma come fratelli ci amiamo.
– E perciò avete preso il nome da due santi fratelli, che erano anche colleghi di professione; – replicò l'almirante. – Erano infatti due medici, e del primo di loro mi pare di aver letto in un certo libro, che si conservi ancora una ricetta.
– Sono anche i santi protettori dei pellegrini; – disse Cosma, che pareva poco desideroso di stare sull'argomento della medicina.
– Siano dei pellegrini o dei medici, son sempre due benefattori; – conchiuse l'almirante. – E voi certamente avete assunti i lor nomi per adempimento di un voto.
– Vostra Eccellenza legge nei cuori come nei libri; – disse Damiano. – Siamo infatti legati da un voto.
– Per il quale, probabilmente, avrete lasciati gli agi della vita, venendo partecipi alle fatiche, ai pericoli di questo viaggio: non è così? —
I due marinai non risposero parola. Ma per essi rispondeva la sapienza dei popoli, stillata in proverbi: chi tace acconsente.
– Non voglio chiedervi ciò che non potete dirmi; – riprese Cristoforo Colombo. – Siete genovesi, e basta ciò, perchè io v'abbia in conto di fratelli. Ricordate soltanto che bisogna amarla, amarla molto, la terra dove si è nati; amarla tanto più, quanto essa è più sventurata. Sapete quanto abbiano fatta dolente la nostra povera patria, le discordie maledette dei suoi figliuoli!..
– Voi dite bene, messere, – rispose Cosma. – E noi lo abbiamo ricordato già molte volte, pensando a voi.
– A me?
– Certamente. Ecco un uomo insigne, dicevamo tra noi, un uomo che ha fatto un disegno sublime, e potrebbe e vorrebbe darne la gloria e il profitto alla patria; ma perchè la patria non è in condizione d'intenderlo, egli deve rivolgersi ad altre nazioni, dando ad altri il profitto e la gloria delle opere sue.
– Ah! – gridò l'almirante. – Lo intendete anche voi che dolore sia questo? e come profondo? Io non lo dico a nessuno, perchè nessuno lo intenderebbe. Pazienza, miei giovani amici! E lasciamo questo argomento tristissimo. Intanto, le vostre parole mi han detto assai più che non dicessero le vostre mani. Vorrei fare qualche cosa per voi; chiamarvi almeno tra i miei ufficiali. Ma quante invidie si desterebbero! Non per ora, adunque. Il giorno che avremo toccata la terra promessa, io sarò davvero vicerè e governatore; e quel giorno, vedremo.
– Guardatevi intanto, messere. Noi non abbiamo mestieri che di una cosa: di vedervi incolume, trionfante su tutti i vostri nemici. Laggiù avete avuto da lottare coll'invidia; qui avete da lottare coll'ignoranza.
– E sempre con la malvagità; – conchiuse Cristoforo Colombo. – Ma le vostre parole mi fanno ricordare ciò che volevo dire poc'anzi. Vi chiedevo se eravate marinai, per raccontarvi del primo capitano con cui ho imparata l'arte del navigare. Eravamo nelle acque dell'antica Cartagine, atterrati, con un vento che non si potrebbe immaginare di peggio. Non si poteva reggere al mare, bisognava ormeggiarsi e tener fermo ad ogni costo. Ma le áncore aravano, per la forza della corrente, e si temeva di andare da un momento all'altro a battere negli scogli.
– Un guaio; dei grossi – esclamò Damiano.
– Certamente; – rispose Cristoforo Colombo – e non c'era tempo da perdere. Il comandante ordinò di mettere mano all'áncora della speranza. «Credete – diss'io – che ci farà buon servizio?» Domandavo troppo, più ch'egli non potesse sapere. Ma ad ogni modo, me la trovò lui, la risposta: «Getta l'áncora e spera in Dio!» E così, come mi fu consigliato nella mia prima navigazione, ho fatto io in tutte le altre che seguirono.
– Confidiamo nel suo alto volere; – disse Cosma, inchinandosi.
– Ma pensiamo ancora, – soggiunse Damiano, – che chi s'aiuta Iddio l'aiuta.
– Oh, sicuramente! – rispose Cristoforo Colombo, non potendo trattenersi dal ridere, alla pratica ammonizione. – Vi ho già detto che farò buona guardia alla mia vita, se occorrerà; non aspetterò che mi assalgano; andrò io contro ai loro disegni. Non si compiace di sfidare i bassi pericoli, chi ha cuor d'affrontare i maggiori. Ma se è necessario di entrare in lizza coi rivoltosi, anche questo farò. Voi, frattanto abbiate per certa una cosa: che presto, con l'aiuto di Dio, saluteremo la terra.
– Con questa fede siamo venuti; – disse Cosma.
– E ci sia pure da navigare altrettanto, non ci lagneremo, noi altri; – soggiunse Damiano. – Voi dite, messere, che si serve a Dio, con questo viaggio.
– È la mia opinione.
– E bisogna dunque servirlo allegramente. Lo raccomanda perfino il Salmista. —
L'almirante sorrise e battè amorevolmente della destra sulla spalla di Damiano.
– Ottimamente, giovanotto! – esclamò. – E che Iddio vi guardi ambedue. Ma domandiamogli ancora una grazia; – soggiunse. – A persuadere questa gente che ha il furore della paura, un buon vento gagliardo, e da ponente, farebbe meglio di tutti i nostri discorsi. —