Читать книгу Storia degli Esseni - Benamozegh Elia - Страница 10
LEZIONE NONA
ОглавлениеSe prepotente io non sentissi il bisogno di giungere più ratto che ci è dato a la mèta prefissa, la tela che noi andremo questa sera svolgendo troppo maggiore argomento ci offrirebbe che quello di una sola conferenza. Le cose che ho a dirvi sono molte, sono gravi, sono di grande momento, sono la ricostruzione storica dell’Essenato per tutti i tempi favolosi, incerti, storici della sua esistenza, sono la storia della sua incarnazione durante i lunghi secoli che precederono l’Essenato propriamente detto, egli è infine l’albero genealogico del grande istituto. Io stringerò il molto in brevissimi termini, io vincerò il desiderio che pur provo vivissimo di farvi assaporare di ogni parte il valore di farvi misurare sol collo sguardo gli amplissimi orizzonti che ad ogni tratto ci si schiuderanno dinanzi, nè a questo bisogno meglio che desiderio, verrei men di certo se io non contassi sulla vostra penetrazione, sul vostro acume. Supplite voi al manco del mio dire; intendete meglio che io non possa spiegami. Fecondate colla mente ingegnosa i dati che vi vado porgendo, indovinate quello che per brevità io taccio, andate più lungi colla mente di quel che a me sia conceduto lo andare colle parole; e sopratutto stringete tutte in un fascio le cose che sono per dirvi: sia la vostra mente un filo, anzi sia poderosissima catena che tutte unifichi le cose che sono per dire; alla seconda vi ricordate la prima, alla terza prima e seconda; nè giunga del mio dire la conclusione, senza che le precedenti cose vi stiano tutte dinanzi all’occhio della mente schierate, così io sarò breve senza pericolo, e voi istruiti sarete senza disagio.
Voi lo ricordate. Abbiamo trovato nelle passate conferenze gli elementi dell’Essenato, adesso ci è d’uopo trovare l’Essenato medesimo. Abbiamo veduto i suoi principii, adesso ci è mestieri vedere i suoi antenati; veduto abbiamo la storia delle sue idee, ci conviene adesso la storia studiare dei suoi precursori. Dove cercarla? Non vi dirò le laboriose investigazioni che emmi costata la costatazione di questa origine, la sua ordinazione, la sua confermazione. Voi stasera, o miei giovani, coglietene il frutto, ed il saperlo sarà il mio premio. Dove cercarla? Cercarla io dico colà ove l’origine si cerca di quanto vi ha di più nobile e venerando in Israele, dove si cerca l’origine della Reale Dinastia Davidica cioè nell’innesto di un ramo pagano sul ceppo ebraico,37 nella Moabita Rut che fu madre del Regno siccome leggiadramente chiamaronla i Dottori; dove si cerca l’origine di alcuno tra i Profeti stessi, siccome Obadia che di pagano che era si fece ebreo secondo i Dottori, dove si cerca l’origine dei più illustri tra i Dottori i quali pressochè tutti sortirono a confessione di loro stessi i natali da progenitori pagani: tra i quali si potrebbe citare per tutti il gran Proselita Onchelos, il più popolare tra tutti i Dottori. Cercarla infine tra i Pagani al Giudaismo conversi, cercarla nella nobil famiglia dei Proseliti. Perchè così abbia disposto il Signore, perchè non sia gentil pianta nell’ebraico giardino che un ramo non rechi innestato dell’agreste e selvatico Gentilesimo; troppo vorrebbesi lunga e protratta disamina perchè ci sia qui lecito il tentarla. Io domando solamente se l’Essenato deve al Proselitismo la sua origine, se in questo solo senso avvera l’opinione di coloro che gli Esseni dichiararon Pagani. Quale è tra i Proseliti che ricorda la Storia, il santo seme, onde poi allignò il rigogliosissimo albero? Io non so se ben m’apponga, ma io credo che il nome non vi riesca ignoto. Avete mai, o miei giovani, udito parlare di Jetro, di Jetrò il sacerdote di Madiani, il suocero di Mosè, il suo consigliere, lo approvato dal Signore, il primogenito tra i conversi, e secondo un antico Rabbino spagnuolo David di Leon, l’iniziatore di Mosè alla vita religiosa, alla propedeutica religiosa; tanto che se Mosè dir si può il padre di nostra fede, Jetrò se ne può dire l’avo? Io dissi primogenito tra i conversi e n’ho ben d’onde. Ho per me la tradizione che lo attesta, ho per me la formula quasi della sua abjura laddove all’udire il portentoso egresso di Egitto esclama ammirato: Ora sì riconosco che grande è l’Eterno al di sopra degli altri Dei. Ho per me l’atto istesso con cui al culto s’inizia nuovamente abbracciato, quando a Dio appropinqua olocausti ed ostie pacifiche, quando alla sacra mensa banchettan festanti assieme al Neofita, Mosè, Aronne e gli anziani tutti d’Israele; ho per me l’onore unico da nessun altro partecipato, tranne Jetro, di essere istitutore della Ebraica Magistratura, Dio consenziente non solo, ma encomiante; ho per me le parole mirabilissime di Mosè ove si confessa, quasi non dissi al grande suocero inferiore, quando cioè istantemente lo supplica di procedere seco lui per lo deserto, quando Jetro rifiuta dicendo: No, che solo al paese mio tornerommi e alla mia patria; quando senza lasciarsi ributtare al primo rifiuto torna Mosè e prega e scongiura, quando il titolo onorandissimo prodigagli il gran Profeta di suo duce, di suo conduttore e, secondo la forza dell’ebraico vocabolo, di occhio suo. Ho per me i dottori quando dicono che ridottosi al suo paese non quietò il gran Proselita sino a tanto che non ebbe il culto degli idoli estirpato dalla sua famiglia; e questo è Jetro, e questa è la sua conversione. Ma della sua famiglia altresì io parlai e della di lei conversione. Dove ne sono le prove? Parlai dei dottori e delle lor tradizioni, ma io doveva dire la scrittura, la Bibbia in quei fatti momentosissimi ove si fa parola della discendenza del gran Proselita, ove ti apparisce la sua figliolanza costituita veramente in società distinta, sì, ma pure dimorante in seno agli Ebrei, ove per gran fortuna possiamo passo a passo seguire le vicissitudini tutte dei Jetroiti, ove al tempo istesso che vi leggiamo la loro storia, una esatta dipintura ci si porge altresì della successiva, della lenta formazione di un dotto di un Religioso Istituto in quella famiglia. Io oso dire che non è senza una particolare provvidenza che la Bibbia ci ha serbato memoria di questo fatto, che di tratto in tratto ha deviato dal suo prescritto cammino per toccare delle fasi in vari tempi percorse dai discendenti di Jetro. Quali sono queste fasi? In qual guisa vi si può come in ispecchio mirare la secolare concezione dell’Essenico Istituto? Ecco il come ed ecco i fatti.
Ecco il libro dei Giudici che non appena pochi passi ha mutati nella sua narrazione, non appena alle conquiste ha esordito dopo Giosuè operate, esce fuora con queste parole: Ora i figli di Cheni suocero di Mosè trassero dalla città dei Palmizi coi figli di Giuda al deserto di Giuda che è posto a mezzodì di Arad, e andò e pose stanza appresso al popolo.– Che parole son queste e che significano? Se io non erro, non troppo vi saranno riuscite per ora accessibili. Però tranquillizzatevi; questa difficoltà non è in voi, è piuttosto nel testo istesso, è la mancanza di antecedenti che spianino la via alla sua intelligenza, è l’isolamento in cui il verso stesso si trova in seno al contesto, è quel piombare che ti fa subitaneo in sulla testa senza troppo sapere d’onde provenga, è quell’apparire istantaneo a guisa di lampo che pare scaturir di seno alle tenebre, per ricadere nelle tenebre, è quell’oscurità innanzi a cui resta perplesso, esitabondo ognuno comecchè erudito proceda nel sacro Idioma; nè se dovessi tutte le cause narrare di questa oscurità non saprei veramente venirne a capo. Però l’oscurità sentiamo, e la sentiamo gravissima; proviamo a diradarla. Si parla qui dei Cheniti, dei figli di Cheni. Chi sono i Cheniti? Sono certo Cheniti quei popoli di cui Dio accenna ad Abramo nella solenne promessa. Ma Cheniti sono, si chiamano pure i discendenti di Jetro, vuoi che Jetro appartenesse all’antico popolo dei Cheniti, siccome vuole il Munck, vuoi come meglio a parer mio opinarono il Gesenius, il Bohlen, il Tahu, come ad essi la tradizione consente, che Cheniti si dicessero da Jetro, appellato esso pure Cheni, vuoi finalmente che Cheni si dicessero da Chen nido, pel nido che facevano per campi e per selve siccome comprese il Zoar. Fatto è che i discendenti di Jetro si dicono Cheniti e che sotto il nome stesso ci si riveleranno in appresso i loro successori. Ma che cosa è la Città dei Palmizi? Città dei Palmizi è Gerico; Gerico chiamata negli ultimi versi del Pentateuco col nome istesso usato dai Giudici; Gerico situata poco lungi dalle sponde del lago Asfaltide. Ma in qual guisa li Jetroiti veggiamo stanziati in Gerico? Come dalla città lontanissima di Madian loro patria nell’Arabia Petrea, le orme seguirono di Israel sino nel cuore di Terra Santa? Nessuno lo spiega, e nessuno il narra, tranne la Tradizione. Ma quanto bene la Tradizione! Per la tradizione Jetro dopo i primi rifiuti, cesse finalmente alle istanze del divino Mosè. Jetro, i suoi figli, la sua famiglia ricovrarono all’ombra del popolo Ebreo, battagliarono nelle sue battaglie, trionfarono nei suoi trionfi e le piagge dilette vider pur essi della Cananea conquistata. Ma quale gli attendeva laggiù guiderdone? In qual guisa si sdebitarono gl’Israeliti della promessa Mosaica che Jetro voleva a compartecipe dei beni, delle terre acquisite? Coi suburbi, colle campagne di Gerico, dice la Tradizione; le quali terre dovuto avrebbero li Jetroiti serbare in custodia sino a tanto che fosse il Tempio edificato, e la metropoli destinata, la quale, proprietà nazionale dovendo essere meglio che tribunizia, mestieri pure era porgere alla Tribù spodestata una adeguata indennità, e questa doveva essere il territorio di Gerico, la stanza antica dei Jetroiti. Ma questi, voi lo vedeste, partiti da Gerico traggono altrove. Dove vanno? Vanno, dice il testo, nei deserti di Giuda che sono a mezzodì di Arad, e in mezzo al popolo fermano stanza. Che luoghi sono cotesti? Voi vedeste poc’anzi come Gerico fosse posta sulle rive o a quel presso, del lago Asfaltide. Or bene; il deserto di Giuda, Arad istesso, la nuova dimora dei Jetroiti, non piega sulla carta dalla linea contrassegnata, e l’epoca stessa gloriosissima di Debora troveralli abitare sui luoghi medesimi. Che monta ciò, potreste dire? Nol direste però se tutto aveste già ascoltato; nol direste se io vi mostrassi come gli Esseni di cui adesso cerchiamo l’origine, quegli stessi luoghi abitassero in tempi tanto più posteriori, che gli antichi Jetroiti occuparono in tempi così antichi; nol direste se vi ripetessi le parole di Plinio nel Cap. 17 del libro 5, laddove degli Esseni parlando, li qualifica Gens socia Palmarum, gente dei Dattolari amica, nè più celebre di Gerico e della riva del Giordano s’ebbe giammai in fatto a Palmizi; nol direste se vi mostrassi in Plinio stesso al luogo istesso, come la città ove ai suoi tempi abitavano gli Esseni fosse Engaddi, Engaddi posta essa pure sull’Asfaltide sulla linea stessa di Gerico e Arad, come vi mostra la carta, Engaddi famosa pur essa pei suoi Palmizj d’onde il nome derivolle più antico di Kazazon Tamar; nol direste finalmente se udiste Plinio istesso additarvi qual residenza altresì degli Esseni moderni Masada, città anch’essa meridionale di Palestina, anch’essa posta in riva all’Asfaltide, come di leggeri potete osservare nella Geografia del Dufour. Attalchè Gerico, Masada, Engaddi, Arad formano sulla carta una linea continuata che rasenta il Mar Morto, muove dall’ovest in direzione del Sud, e dove negli antichi e moderni tempi ebbero stanza gli Esseni ed i loro proavi Jetroiti. Ed a che fare traggono i Cheniti ad Arad? Ad abitare, dice il Testo, in mezzo agli Ebrei, a convertirsi, dice il Gersonide, definitivamente all’Ebraismo. E presso chi particolarmente riparano gli emigrati? presso Jahbez, dice la Tradizione, presso Jahbez, conferma la Bibbia nel 1º delle Cronache, come fra poco vedrete. Chi era Jahbez? Era Dottore, era Scriba, era Profeta, chè tutti e tre i caratteri solevano a quei tempi andare congiunti,38 ed alla Tribù dotta, massima, reina, apparteneva di Giuda; in cui doveva secondo l’antica benedizione perpetuarsi lo scettro, e l’oracolo promulgarsi della legge di Dio, a cui il titolo di maestra leggidatrice si concedeva nel libro dei Salmi; Jehuda mehokeki in cui rifulse mai sempre il primato sulle sorelle Tribù. Che se tale era pure l’origine, qual’è il Ritratto che di lui medesimo ci fa la Scrittura? Io oso dire che il libro delle cronache tali usa gravi, significantissime espressioni sul conto suo, che in tutto il corso dell’opera stessa, non se ne veggono per alcuno altro le simiglianti. E bene le avvertirono i nostri Dottori i quali osservarono e giustamente; come da Adamo da cui esordiscono le cronache sino a Jahbez, niuno si trovi che abbia fatto così nobilmente favellare di sè. E come favellano intorno a Jahbez i libri summentovati? Essi dicono E fu Jahbez sopra i suoi fratelli onorandissimo. Non basta. Il testo biblico reca manifeste le tracce di un gran voto da Jahbez pronunziato, voto che rimane per sventura incompreso poichè la promessa fatta al Signore restò implicita, restò sottintesa, ma che tutti i caratteri porge, come diceva, visibilissimi di un gran voto. Jahbez, dice il Testo, invocò il Dio d’Israel e così disse: Se tu mi benedirai, o Signore, se amplierai i miei confini, se la mano tua sarà in mio aiuto, se mi camperai dal male, onde non abbia a dolorare… Ebbene che cosa aggiunge, che cosa promette Jahbez ove Dio lo ascolti? Vano il cercarlo! Il Testo lo tace, gli Interpreti non sanno dirci se non che voto vi fu, ma rimane ignorato; e lo stesso Rasci non seppe dettare che le frasi seguenti ed egli votò quel che votò, ch’è quanto dire come più non c’è dato sapere. Sebbene questo sappiamo; che Dio ne adempì pienamente le voglie, e quindi se voto vi fu, siccome par dimostrato, se la preghiera fu accetta, il voto fu anch’esso adempiuto. Ma perchè traggono i Cheniti a fianco a Jahbez? I Giudici tacciono; ma la tradizione e le cronache lo dicono esplicito. Che dice la Tradizione? A imparare la legge, a fondare una scuola. Che aggiungono le cronache? Parole aggiungono che tutto il valore hanno di una grande conferma, di una grande rivelazione; un tratto di luce, vivo, acceso, che balena e sparisce; una stella che brilla un istante e quindi la ricuopre la nube, un suono che rompe per un istante la monotonia di un canto uniforme, parole ed idee che non siamo usati incontrare in mezzo le viete ed aride genealogie delle cronache e che rivelano la presenza dell’elemento scientifico intellettuale teologico, nell’epoche più remote della nostra esistenza. E quali parole poi perciò che riguarda i Cheneti e la origine degli Esseni!
Prende il Cronista a narrare le genealogie di Giuda, a ricostituire il passato d’ogni famiglia, a riconnetterla cogli antichi anelli di cui si parla nel Pentateuco. A un certo punto della genealogia ascendente, esce fuora con queste parole: Ora famiglie di Scribi di Dottori abitavano presso Jahbez le quali dicevansi, le quali sono i Cheniti che discendono dal fondatore dei Recabiti. Gran parole, o signori, e quante cose non s’imparano dalle parole citate! Vedete le famiglie di Scribi Solferim da Sefer libro in quella guisa che Letterato si disse un tempo ognuno che legger sapesse; Soferim che i Lessici interpretano coloro che espongono e spiegan la legge, qui lege describenda et esplicanda vacat, Soferim che lo stesso Kimhi al luogo istesso delle cronache non può a meno di comentare che scribi erano e Dottori della legge. Vedete i nomi stessi delle famiglie discorse, tutti significanti e parlanti secondo il valore che traggono dal sacro idioma. Vedete Tirhatim da tarha porta sinonimo in Ebraico, siccome è noto, di Aula, di Corte, di Magistrato e che noi Europei usiamo ancora quando diciamo la Porta Ottomanna, e quindi vedrete nei Soferim la gente Aulica, magistrale e Patrizia. Vedete la Mehiltà di Rabbi Ismael libro più antico del Talmud e forse più venerando, ove della parola tirhatim come delle altre che seguono tali si offrono graziosissime etimologie che più in acconcio non potrebbero tornare ai predecessori degli Esseni; anzi che dico? che a niun altro possono attagliarsi se non a costoro. Tirhatim dice la Mehiltà da tarha porta, conciossiachè abitassero alle porte di Gerusalemme. Meraviglioso a dirsi! Sappiamo da Giuseppe che una porta eravi ai tempi suoi in Gerusalemme che si chiamava la porta degli Esseni. Che più? Tirhatim dice la Mehiltà da strepito, suono, preghiera, perchè le preghiere loro eran accette. Giuseppe vi citerò e Filone dai quali sappiamo come in altissimo pregio fossero tenute le costoro intercessioni. Volete piuttosto, continua la Mehiltà, che significhi i Chiomati non Rasi ed allora vi ricorderò ciò che, non è molto, io vi diceva intorno al costume dei Nazareni Jesco più antico, e dei Cheniti ed un tempo e degli Esseni medesimi. Ma ecco gli altri nomi, ed ecco non meno belle ed appropriate derivazioni secondo la Mehilta: ecco Scimhatim da Sciamah ascoltare, ubbidire, e quindi gli ubbidienti, i sommessi, come a dilungo discorrono gli storici intorno agli Esseni, reverenti sovra ogni altro, all’autorità dei maggiori e dei capi, siccome a suo luogo vedremo. Ecco Suhatim e con bello e significante corteo di preziosi sensi che a nessun altro, ardisco dire, possono tornare confacenti se non agli Esseni. Suhatim che deriva, dice la Mehilta, da Saha conciossiachè da ogni unzione si astenessero; e mirabile veramente! la storia tutta attesta concorde essere stato l’orror degli unguenti costume peculiarissimo del nostro Istituto, come anche questo a suo luogo vedremo. Ecco lo stesso Suhatim derivare da Capanna Succa perchè vita menavano, dice la Mehilta, solitaria e romita; ed a chi meglio potria l’indicazione tornare a capello se non agli Esseni?
Questi sono i nomi delle famiglie. Voi li udiste: Tirhatim, Simhatim, Succatim. Ma quale n’è il nome di stirpe, il nome generico? Il testo lo dice, nè tollera dubbiezza: sono essi i Cheniti, i Cheniti che, come veduto abbiamo nel libro dei Giudici, sono i discendenti di Jetro, e più specialmente, aggiunge il testo, sono tutte da quel derivati che la grande famiglia fondò dei Recabiti, Abbahim me-hamà abi bet rehab. Quando più oltre avrem proceduto, vedremo chi sono i Recabiti; li vedremo famosi solitari ai tempi di Geremia, li vedremo in una società costituiti che tutte reca in rudimento le future sembianze della società degli Esseni, in quella guisa che nel fanciullo stanno ascose in potenza le fattezze, le membra dell’uomo adulto. Per ora le cose dette ci bastino; e più oltre proseguiamo nel corso dei secoli a trovarne i vestigi. Li vedemmo ai tempi dei primi Giudici. Ma Giudici a Giudici si succedono; ed una donna, donna di genio, una donna profeta sorge in Israel. Voi la nomaste, ella è Devora. Dove sono li Jetroiti? La storia ne parla, e ad una nuova emigrazione accenna, operata dal centro della Palestina meridionale alle regioni del Nord. Voi conoscete la storia di Devora, i suoi giudizi, le sue battaglie, i suoi trionfi. Ma non so se ricordate egualmente Jaele, Jaele l’ucciditrice di Sisara, Jaele che volle essere infame per tradita ospitalità, pure di salvare la patria diletta, Jaele che fu benedetta in quel canto famoso ch’irruppe dal petto della gran donna vittoriosa Taelmoghe, come udiste di Heber il Chenita che insieme ai fratelli viveva allora in Israel. E dove sono i fratelli, la famiglia, la società? in questo verso sono che la narrazione precede delle battaglie di Devora, dei suoi trionfi. Come suona il verso? Ora Eber il Chenita separato si era dai Cheniti fratelli, dai figli di Obab suocero di Mosè e tese aveva le sue tende nella pianura di Sananim ch’è presso Chedese, ch’è quanto dire all’estremità boreale di Palestina, nel Territorio di Zebulun e di Neftali e presso quel Chedes istesso che fu patria al capitano Barac. Voi l’udiste, i tempi dai primi Giudici trascorsi non estinsero la nobilissima stirpe. Vivono i Cheniti, vivono in Israel, nella loro fede, nella loro alleanza, in loro ausilio; e vivono, ciò ch’è degno di nota, sotto le tende e vivono nelle campagne.39 Vedremo più tardi i loro ultimi successori ai tempi di Geremia viversene pur essi per valli e per monti, e nella quiete riparare pur essi di pacifiche tende.
Ma il gran fiume della Istoria Giudaica ripiglia il suo corso, e noi pure con esso. Dopo Devora e Giudici, e guerre, e pace, e servitù, e riscatti, si succedono incessanti. Ecco Elì, ecco Samuele, ecco l’antica ebraica repubblica in monarchia trasformata, ed ecco Saul il monarca novello, ed ecco infine la guerra di Amalek. Tempi ed eventi sono trascorsi in gran numero. Sarebbe mai per avventura de’ Jetroiti smarrita la traccia? Tranquillatevi, essi vivono, e vivono quali i loro antichi predecessori vedeste poc’anzi. Dove sono? Sono qui, sono nel centro tuttavia da’ proavi abitato, sono a mezzogiorno di Palestina, a mezzogiorno di quell’istesso Arad di cui fu menzione nel libro dei Giudici, sono come allora sulle rive del mar Morto, e come allora precisamente sono anche adesso limitrofi, finitimi a Amalek. Ma la guerra santa contro Amalek è bandita; al nuovo re n’è commessa l’impresa: ed egli già scende a fare strenua prova di sè contro ai nemici di Dio. Che farà Saul? Rivolgerà egli contro i Cheniti le armi? Forzerà il passaggio? La quiete dei loro abituri conturberà col romore di guerra? No! pieno di rispetto pei figli di Jetro non forza il passaggio che sarìa? violenza; non lo chiede nemmeno poichè di guerra non vuole offrirgli nemmeno l’aspetto, la mostra; non li invoca in suo aiuto, non li spinge alle armi conciossiachè egli sappia troppo alieno officio essere a quei solitari i ludi di Marte: ma che fa Saul? Fa ciò che qualunque capitano avria fatto con religiosi, con sacerdoti, con solitari. L’invita a sgombrare. E disse Saul ai Cheniti: su via partitevi da Amalek onde con esso non siate involti, conciossiachè tu abbia usato carità con tutti i figli di Israele, quando trassero fuori della terra d’Egitto: e si partirono i Cheniti d’infra Amalek.
Ma che? E Saul e Cheniti e Amalek rapiti sulle ali del tempo, più non si lascian vedere ai nostri sguardi: quella generazione è passata, e tempi sorgon ed uomini e fatti nuovissimi. Ecco David, ecco Salomone, ecco il reame d’Israel scisso in due parti, ecco i re di Giuda e i re d’Israello. Ecco Elia profeta, ecco Acabbo, ecco Jehu, che dal profeta Eliseo riceve missione cruenta, missione di lavare nel sangue l’onta della famiglia di Acabbo. Ecco Jehu accingersi all’opera di sangue, ecco il trono di Ahab rovesciato e Jezabele che dall’alto di un balcone Salve! dice, o Jehu! Omicida del suo Signore; ecco Jehu che dopo avere il trono purificato si prepara a purificare gli altari, che verso Samaria s’incammina per farvi la immane ecatombe dei 400 falsi profeti trucidati nel tempio, nella festa di Baal. Gran cose, gran fatti, grandi vicende, ma dove sono li Jetroiti? Eccoli nel personaggio più cospicuo dei suoi tempi, in quello che farà mutare sembiante a tutti i Cheniti, che li stringerà finalmente in un sodalizio, che sarà, se non il Fondatore, il Restauratore di quell’Istituto, che lor darà leggi, e regole, e divieti che saranno di poi rigorosamente osservati. Chi è costui? Egli è Jonadab figlio di Rehab che in un memorabile incontro strinse amicizia e patto fraterno col rammentato Jehu. Muoveva questi a Samaria, e nella mente volgeva, come vi dissi, terribili progetti contro i profeti di Baal. Muoveva superbo dei riportati trionfi, della dinastia rovesciata, del regno conquiso. Chi è questo che gli si fa incontro? Egli è Jonadab Ben Rehab, Jonadab a cui Jehu siccome a maggiore fa riverenza il primo, da cui chiede l’amicizia, la stima, l’ausilio, da cui riceve lieta testimonianza d’affetto e con cui infine trattolo in sul carro si avvia insieme alla capitale del regno.
Quante cose da osservarsi! Il primo salutare di Jehu che non isdegna, comunque altero per i recenti successi, inchinare l’umil privato Jonadab ben Rehab; protestargli devozione ed affetto, ed affetto eguale da Jonadab supplicare; la risposta amorosa sì, ma laconica dignitosa oltremodo di Jonadab ben Rehab; il volerlo al fianco suo compagno, auspice dell’opera che imprende; ed infine una forse meno interessante analogia, ma pur curiosissima tra il fatto presente e quello tanto più antico di Melchisedech ed Abramo, Jehu è l’Abramo moderno come Jonadab vi rappresenta Melchisedech: Abramo e Jehu riedono trionfanti, e Jonadab e Melchisedech, gli uomini di Dio, i devoti all’Altissimo, ne ricevono gli ossequi; e Jonadab infine e Melchisedech, per completare il raffronto, sono ambedue di sangue, di origine pagana.
Ma che più tardiamo? Il tempo volge di nuovo le sue ruote veloci. Qual mutamento! Quanto vuoto, quanta emigrazione, quante rovine! Il regno d’Israele è caduto, le dieci tribù vanno schiave in esilio e solo come capanna in vigna, come giaciglio in campo di cocomeri40 resta ultimo baluardo di libertà la figliuola di Sionne. Dove sono li Jetroiti? Il nome qui, confessiamo il vero, non si trova; ma si trova qualcosa più, si trova il ritratto, si trovano i caratteri. Chi n’è il pittore, chi li descrive? Maestro e sommo pittore delle memorie antiche e dei fatti avvenire, il profeta Isaia. Egli è un passo dell’ultima parte del suo libro di cui non seppi giammai rendermi conto abbastanza, e che solo principiai a comprendere quando il pensiero rivolsi a’ Jetroiti, ai Recabiti che tra poco ci descrive Geremia, in una parola, agli antenati dei nostri Esseni. Si apre il capitolo 55 con una profezia consolante pei profughi di Babilonia. Osservate giustizia, grida Isaia, operate equità; conciossiachè è prossima la mia salute e la giustizia mia a comparire. Beato l’uomo che farà questo, che a quel che dico si atterrà, che si guarderà da profanare i sabati, che la mano sua tratterrà dal fare ogni male. Ecco però il punto oscuro, anzi a parer mio il centro luminosissimo. Continua Isaia: Non dica il figlio dello straniero che al signore si è unito: separato mi ha il Signore dal popolo suo; non dica l’Eunuco: ecco io sono albero che non fa frutto: perciocchè così dice il Signore agli Eunuchi che osserveranno i miei sabati, che ameranno ciò che io amo, che si atterranno al mio patto; io darò loro nella casa mia e tralle mie mura seggio e fama migliore di figli e di figlie; fama eterna darò loro, che non avrà fine.
Ecco il testo d’Isaia ed eccone il senso. Per chi parla il Profeta? A chi allude? Chi è lo straniero unitosi al Signore che rassicura? Che sono questi eunuchi sconosciuti, inauditi in tutta la Bibbia? Che cosa sono questi sabati, in cui particolarmente si ripone degli eunuchi la speme? Qual’è la casa, quali le mura di Dio ove agli stessi eunuchi seggio si ripromette e fama imperitura? E che cosa è la fama istessa e le generose promesse, e la perpetua durazione della gloria del nome di questi eunuchi? Io chiesi tutto questo agli interpreti, ai glossatori antichi e moderni, e che cosa risposermi glossatori ed interpreti? Nulla che non sia comune, vago, generalissimo; nulla che solva condegnamente e pienamente i gravissimi problemi accennati; nulla che dia moto, vita e senso alle parole del gran profeta, nulla che non riveli in tutti un grande imbarazzo. Niuno pensò ai Cheniti, niuno pensò ai Recabiti che Geremia ci ritrarrà, da lungo tempo stretti organizzati in società; niuno s’avvide che qui il profeta evidentemente favella di proseliti ab antico vissuti in Israel, di proseliti tratti seco loro in esilio, involti nella stessa sventura, ed a cui il bisogno si sente di far suonare alta e solenne la parola della speranza; niuno disse: Ma gli eunuchi sono gente ignota in Israel: non di essi menzione in tutti i libri ispirati: non possibile nemmeno la loro esistenza in Israel, di fronte al solenne inviolabile disposto della legge di Dio, che interdice assolutamente ogni evirazione; niuno concluse: Mestieri è dunque intendere di un Eunucato volontario di un voto di continenza; niun ricordò come il nome di eunuco usasse una religione insigne a denotare il celibato dei sacerdoti, niuno avvertì come Policrate vescovo di Efeso nella sua Epistola a papa Vittore, il chiamasse recisamente eunuco e uomo pieno di Spirito Santo; e per ultima negligenza niun pose mente al titolo che volontari assumevansi i Farisei di eunuchi comecchè nè evirati fossero nè il celibato guardassero così rigorosamente siccome gli Esseni,41 ma solo per il costume come dissi continentissimo; niuno attentamente badò all’espressioni del profeta, ove eunuco e proselita sono posti non solo a contatto ma considerati i medesimi nei timori, nelle promesse, nelle speranze; e tranne i predecessori degli Esseni, io non so veramente dove eunucato e proselitismo siansi insieme trovati; non videro come qui si vuol dire che il rimanersi senza prole non minacci la loro esistenza, conciossiachè questa si fondasse non già sulla procreazione materiale ma sulla perpetua aggregazione di nuovi fratelli, dei discepoli, dei seguaci, dei figli nello spirito e nella fede; non notarono poi come il vaticinio sia mirabilissimamente commentato dalla storia, e Isaia giustificato da Plinio. Da Plinio che in quel famoso passo del 5º libro, dove, come udiste, degli Esseni discorre, queste parole lasciò scritte memorandissime. Essi, dice Plinio, (gli Esseni) non vengon mai manco, perchè tutto giorno si riducono a viver presso di loro quelli che tirati sono ai loro costumi; e così (gran parole!), e così per migliaia di anni (che diranno Munk, il Franck, il Salvador che li fan giovanissimi?), e così per migliaia d’anni, cosa incredibile a dirsi (è Plinio che si stupisce), questa nazione è eterna dove non nasce persona.42 Isaia Profeta! sono profezie le tue o sono storie? E tu Plinio, è la storia che tu ci narri o il vaticinio che ripeti del grande Isaia? Tanto, e Profezia e Storia, e Plinio ed Isaia, procedono mirabilmente concordi.
Io vorrei stasera spingere più oltre le nostre ricerche, e il preziosissimo frammento studiare con voi di Geremia profeta. Egli è un gran cap. il cap. 35 di Geremia per la quistione che ci preoccupa! ed agio vuole e sviluppo maggiore meglio che ora nol consentan le forze. Io farò punto: ma prima di accommiatarvi, un’altra volta ancora vo’ ripetervi le parole di Plinio. Ricordatevi, o miei giovani, dell’aureo detto. E così per migliaia di anni, cosa incredibile a dirsi! questa nazione è eterna dove non nasce persona.
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Questa bellissima idea, che Paolo presentò ai Pagani nella similitudine dell’ulivo selvatico, appartiene in origine ai dottori interpretanti la promessa ad Abraham: E saranno in te benedette tutte le genti della terra. Il verbo ebraico venibrehu, che suona saranno benedetti, è suscettibile dell’altro senso d’innesto, ed è appunto su questo che i Dottori insisterono veggendovi l’innesto di tratto in tratto operatosi, di un ramo gentile sul tronco ebraico.
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Le istituzioni e gli offici sono come le scienze. Dapprima confusi e concentrati in una sola persona, non cominciano a distinguersi che in progresso di tempo. Perciò il sacerdozio fu anticamente centro in cui conversero tutti i rami del sapere e tutti i sociali maestrati, appunto siccome quello che tutti sovrasta. L’ebraismo stesso, per quanto non abbia seguito la legge comune, lenta, regolare del progresso, e sia sorto, come avverte l’autore del Kuzari (libro meditato pure da Guido Cavalcanti, come ci ammoniva l’illustre Mamiani), a guisa delle creazioni in un Fiat; pure non è sì che la legge di unione primitiva non si verifichi in esso ancora comecchè per breve istante. Difatti è sentenza dei dottori corroborata eziandio da qualche cenno del Testo che nei sette giorni d’inaugurazione del tabernacolo il ministero sacerdotale fosse assunto e concentrato temporariamente in Mosè siccome Jerofante e Iniziatore, il quale da quell’ora in poi tornò semplice Levita e subordinato ad Aaron.
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Non si attribuisca questo vivere nelle tende a costumi tuttavia rozzi e primitivi. Nè i Cananei sposseduti, nè gli Israeliti erano allora in tal grado di barbarie da non aver ancora case costruite. Esempj di case anteriori a questi fatti non mancano nella Bibbia. Sin dai tempi di Mosè egli promette loro nella Palestina Case piene di ogni bene che voi non avrete ricolmo; prevede e regola la costruzione di nuove case e impone il riparo sul tetto. Contempla e prescrive le regole per purificare le case colla demolizione delle antiche mura, e colla introduzione di nuovo materiale. Egli è quindi indispensabile credere che se ai tempi tanto più posteriori di Devora i Cheniti abitavano sotto le tende, così facessero non per altra cagione di quella che indusse a così fare i loro nepoti a’ tempi tanto più moderni di Geremia, che il vide e li lasciò viventi fuori della città sotto le tende.
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Isaia, cap. 1.
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Lo avere questa sentenza origine nel Zohar, lungi dal detrarre del suo valore ne accresce anzi il pregio per ognuno che ricordi essere a senso nostro non altro gli Esseni che i predecessori dei Kabbalisti o Teosofi moderni, appo i quali si troverebbe pertanto la stessa denominazione di Eunuchi.
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Questa lezione era da lungo tempo scritta quando mi venne fatto d’imbattermi nel florilegio talmudico (En Israel), ediz. Königsberg, e preceduto da bella e dotta introduzione di scrittore moderno. L’autore, ragionando intorno ai versi d’Isaia di cui è parola, esce fuora con questa interpretazione, che se non coincide appuntino colla intelligenza che qui si attribuisce al Testo, pure di molto le si avvicina, e stabilisce un principio e accenna una idea generale che non può trovare la sua realtà concreta, il suo adempimento storico, che nella ipotesi nostra. Ecco le sue parole: «Vuole Isaia significare come allora vi fossero uomini assai che renunciato avevano ad ogni piacere mondano, nè tolto avevano donna; ma attendevano in solitudine con grande amore al culto religioso, nel Tempio divino, e tanto avveniva altresì degli stranieri, vale a dire dei Gabaonti.»