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LEZIONE TERZA
ОглавлениеVi dissi, o signori, come il Fuller aveva dapprincipio sottoscritto alla opinione del nostro De Rossi, e come esso prestò omaggio alla etimologia Baitusea. Ma che? ben presto s’avvide su quanto fragile fondamento posasse la preaccennata opinione. Narrò ai dotti impazienti come il vocabolo Esseni significasse uomini ritirati, ascosi, e poco mancò non dicesse solitarj e romiti. Non è difficile ch’egli dedotto avesse il nome Esseni dal vocabolo Asam, che in ebraico significa ripostiglio; o, meglio, che dalla radice ne ripetesse l’origine, che l’idea esprime veramente di tesaurizzare e nascondere, siccome Isaia (XXIII) aveva detto, di questo vocabolo giovandosi, lo ieazer veló iehasen. La nuova etimologia del Fuller riunisce ella, o signori, tutte le desiderate condizioni di credibilità? Rispond’ella a tutte le esigenze grammaticali, critiche, storiche e dottrinali? Quanto alla prima, io vo’ dire alla convenienza grammaticale, sarebbe ingiustizia il dirne male. Ben altre etimologie, e ben altrimenti arbitrarie, furono propalate qual prezioso e pellegrino trovato. Ma potranno dirsi egualmente contenti la critica, la istoria, e il genio e l’indole generale delle sètte? La critica potria invero, ponendoci un poco di buona volontà, chiamarsi contenta; potrebbe ricordarsi la critica come i Talmudisti dicessero appellativo glorioso quello di hobesé bet amedras, che suona gli studiosi reclusi; come uno tra essi celebratissimo recasse il nome di Hanen il recluso, Hanen anehba; come di parecchi si narri nel Talmud di Gerusalemme, avere eglino menato della vita gran parte, nel fondo di una grotta, tamir bimhartà: e infine potrebbe con cert’aria di trionfo notarsi come i diletti di Dio, i suoi servi, i suoi fedeli, siano detti a dirittura nei Salmi, i reclusi di Dio, i nascosi di Dio. (Salmo 83.)
Ma che per ciò, o signori? Io ripeterò ciò che parmi aver detto altre volte. Questi curiosi ravvicinamenti, questi tratti di luce, queste inaspettate e brillanti conferme, possono, in progresso di tempo, avere sovrapposto sul fondo primitivo un nuovo senso che nè al vocabolo ripugnava nè al costume degli Esseni. Ma può esserne stato, o signori, cotesta la naturale e propria e primitiva intelligenza? Io non lo credo; e per addurre due potentissime ragioni, ella è, in primo luogo, la considerazione per me capitale che gli Esseni così facendo, dissentito avrebbero dall’andazzo comune di ogni setta, la quale quel nome a preferenza si appone che il genio intimo e la natura sua propria e il carattere prominente stia a significare, anzichè un uso o una qualunque consuetudine, per quanto grande e peculiare si voglia imaginare. Ella è, in secondo luogo, la formale e contradittoria deposizione della istoria, la quale, siccome a suo tempo vedremo, non solo della vita reclusa, del genio cenobitico non fa costume proprio inseparabile dagli Esseni, ma gli Esseni stessi ci addita talvolta negli affari e nelle transazioni mischiati della umana società, e bella e grande parte sostenere sì nelle politiche, come nelle religiose faccende. – Il fatto, o signori, la reclusione, la vita cenobitica, cade qual integral requisito dell’Essenato; e con esso cade la etimologia del Fuller sur esso fondata. Altra ne escogitò lo Scaligero, e fu quella di Santi. Che ciò significhi il nome di Esseni, non oserei sostenere, comecchè io vada persuasissimo che tra i nomi che recarono gli Esseni, fu quello di Santi; come, da un lato, ne fanno fede le numerose menzioni che sotto questo nome appunto ne fa il Talmud, segnatamente là ove si parla della Santa Società, Keilla caddiscia di biruslem; e come, dall’altro, non meno concludenti ne soccorrano all’uopo i tanti passi degli Evangeli, in cui i primitivi cristiani, usciti senza meno dagli essenici chiostri, s’intitolano Santi; e Santi è tra i nomi che gli storici attestano avere i cristiani nei primi tempi recato, molto prima che cristiani si dicessero in Antiochia.
Strana cosa avvenne poi ad un antico padre della Chiesa cristiana, a S. Epifanio. Non è già che la cognizione della vera e sana etimologia gli facesse difetto, che anzi egli la conoscea benissimo, egli la propose, la insegnò; ma non quotando nel possedimento del vero, cercò il nuovo ed incappò nell’errore. Stava a cuore ad Epifanio, siccome stette di poi ad altri moltissimi della sua religione, di noverare il nobilissimo Istituto tra quelli che la chiesa generò nei primi secoli; di cristianizzare, per così dire, lo Essenato, di svellere la gloriosissima pianta dal Monte Sion per innestarlo al tronco cosmopolita del cristianesimo, e questa cara e bella gemma strappare alla corona di Giuda. Però non rifinirono antichi e nuovi dottori cristiani di cercare alle loro pretensioni argomento; cercarlo nei fatti, cercarlo nelle dottrine, e di queste vedremo; cercarlo poi nell’etimologia, e di questa adesso vediamo. Il primo a dar il segno della propaganda retrospettiva, fu, come dissi, Epifanio. Egli nel nome Esseni trovò Iesse genitore di Davide; anzi, in grazia di esso, il nome di Esseni in quello mutò più alle sue viste affaciente di Iesseni. Gli parve poco. Gli parvero troppo remoti, troppo indiretti i rapporti coll’oggetto che preso si aveva di mira. Egli osò; e di un balzo superò ogni distanza, e di un balzo strinse, confuse, identificò l’Essenato o il Cristianesimo; e quello, come questo, derivò dal nome di Gesù, e gli Esseni disse da Gesù appellati, siccome quelli che alle dottrine sue preso avevano ad ubbidire. Dante, o miei giovani, disse in alcun luogo della Commedia, negarsi talvolta dagli uomini ossequio a quel ver che ha faccia di menzogna; nè la mente errò, così dicendo, del divino Poeta. Dante, avria potuto dire con egual verità, che spesso quest’ossequio si concede, si prostituisce a quella menzogna che ha faccia di verità. Ma quella di sant’Epifanio ha ella almeno, o signori, di verità la sembianza? Io dico che ella reca distinto il suggello dell’errore, dell’arbitrario. Chi mi sa dire, invero, quale delle due sue interpretazioni riesca più a udir tollerabile? È ella forse la prima, è ella quella che da Iesse padre di Davide l’appellazione ripete degli Esseni? Ma qual rapporto, di grazia, fra l’antico Betlemmita, e il grande e il dotto istituto degli Esseni? È ella la seconda che da Gesù, il nome conia di Esseno, di Essenato? Ma vuol dunque egli, sant’Epifanio, la baia dei fatti nostri? Che un padre della chiesa, che un Epifanio non voglia soscrivere alla sentenza di parecchi tra i moderni che Gesù vogliono anzi educato, ispirato nella società degli Esseni, questo di leggieri si comprende; ma quello che non si comprende, questo si è, o signori, cioè come ignorasse Epifanio, che mentre gli Esseni mangiavano, bevevano e panni vestivano, il modello d’onde tolsero, al dire di lui, a foggiare il nome loro, il preteso denominatore della setta, giaceva tuttavia latente in grembo al futuro; ch’è quanto dire che Gesù Cristo non esisteva: e non occorre aggiungere che, salvo quei rarissimi casi in cui tutto collima ad attestare la verità di un supposto, non è concesso a chicchessia, fosse pure un santo, detrarre o aggiungere una jota, siccome egli fa, veramente nel nome che si vuol decifrare. Or, chi ha egli abilitato Epifanio a cangiare il nome di Esseni in quel di Iesseni? Ecco, o signori, le cause, le gravissime cause che ci interdicono lo assentire alle arbitrarie interpretazioni di Epifanio.
Vi fu, o signori, chi accettando la lezione di questo Padre, e chiamando lo antico sodalizio Iesseni piuttosto che Esseni, una interpretazione v’innesta che ha, se non altro, l’apparenza di plausibile. Volle il Nilo che Esseni si dicessero nel significato di Dotti e di Savi. D’onde una siffatta etimologia? Egli vide la Sapienza denominata nelle sacre scritture col nome implicito di Ies; dico, o signori, implicito, perchè la forma e lo involucro esteriore suona piuttosto Tuscia, comunque universa predomini la opinione, inchiudervisi qual radice il vocabolo significantissimo di Ies. Che vuol dire Ies, o signori? —Ies è il vocabolo che esprime l’Idea più astratta, l’Idea, sto per dire, più ideale – l’Idea massima – l’Essere– l’Essere metafisico, incondizionato, indeterminato, e come direbbe il Rosmini, l’Ente Possibile. – Ma Ies esprime eziandio, voi già l’udiste, l’Idea di Scienza, di Dottrina, di Pensiero per eccellenza; attalchè, per una ammirabile e notevolissima sinonimia, acchiude nel proprio senso il duplice significato di Essere e di Pensiero. Voi non potreste misurare la immensa importanza di questo bellissimo trovato filologico senza molte indispensabili precognizioni filosofiche; che dico? senza alle più alte cime poggiare della odierna filosofia Alemanna, senz’almeno toccare del rinnovatore delle filosofiche discipline, di Cartesio, che poneva a base del suo sistema il famoso Cogito, ergo sum: Penso, dunque esisto;– senza risalire almeno a Platone che, nel decimo delle leggi, domandava che cosa è l’Essere Primo? e rispondeva l’Essere Primo, è l’Idea – è il Pensiero; – senza accennare almeno ai Dottori, i quali videro nel Ies promesso ai giusti in Paradiso, leanhil oabai ies, l’Essere Perfetto e il Perfetto Pensiero, cioè la Visione.8
È egli questo lavoro, o signori, che intraprendere si possa e compire tra due parentesi? Il vostro buon senso ha già risposto per me. Io voglio soltanto che impariate da questo esempio, quale sterminata latitudine abbracciano le lettere ebraiche; come in fondo ad un oscuro vocabolo ti si apra non di rado agli sguardi atterriti tale profondo e smisurato abisso, da darti, al solo vederlo, il capo-giro; come gli spregiatori di queste frasche pretese, sieno tanto savi quanto il villano che d’uno sguardo non degna la minutissima polve stellare che si chiama Nebulosa, alcune poche palate anteponendole invece del suo caro concime. Fatto è, o signori, che Ies adombra l’Idea di una scienza sublime, di una scienza nella sua perfezione immanente; e chi solo ne dubitasse potria vedere i più rigidi ed esclusivi gramatici, il Kimhi tra gli altri, nei suoi Radicali.
Si apponeva egli, o signori, il nostro Erudito nel derivare da questo vocabolo, l’origine di quel di Esseni? Senza dubbio, che qualche giusta e calzante analogia milita in favor suo. Il favorisce, o signori, l’Ebraico Jesciscim, al plurale Vecchi, o come altrimenti si voglia, Anziani, nei quali, dicono i Proverbi, posta ha seggio la Sapienza: bisciscim hohma. Il favorisce lo esempio dei Pitagorici, coi quali non pochi nè lievi riscontri ci offrirà il nostro Essenato, che il nome i primi coniarono ed assunsero eglino stessi per tempissimo, di filosofi, ossia cultori ed amanti della sapienza: e quando ogni altra analogia venisse meno, quella sorgerebbe viva e parlante di tutto il Dottorato Ebraico, che la caratteristica distinse mai sempre di Hahamim, savi. Dirò anzi di più, che per questa come per alcuna fra le altre etimologie da noi rigettate, noi rechiamo sentenza che i nomi che vi si volle trovare, se non esprimono il senso di Esseni, pure tornano in acconcio al grande Istituto, e per, alcuni almeno, probabilmente il contraddistinsero. Di questo novero è il nome di Savi, di Dotti; diciamolo a dirittura, di Gnostici. Noi che crediamo gli Esseni antenati dei Cabbalisti, la cui scienza essi chiamarono Gnosi o Scienza per eccellenza, come chiamarono la propria e il Cristianesimo e le prime Eresie; noi che ricordiamo nel Talmud cento parlantissimi casi in cui il nome di hohma o Gnosi è usato manifestamente nel senso di Dottrina Acroamatica, non potremmo negare la convenienza di questo nome all’istituto degli Esseni. Ma è egli questo che il nome loro significa? Chi non lo vede? Ies, Iascisc, Tuscià, nel senso pure più favorevole alla imaginata derivazione, sono vocaboli che appartengono principalmente al linguaggio sublime, allo stile, per così dire, nobile, poetico, aulico, aristocratico della Scrittura. È ella questa la officina ove i nomi si coniano per l’ordinario, che scuole e sètte contraddistinguono? La Storia vi risponde al contrario. Parole vive, parole usate, correnti sulle labbra del popolo; parole pregne di senso, multiformi, multilatere e in sommo grado comprensive; ecco, o signori, il materiale donde si foggiano i nomi, le qualificazioni delle sètte. E tale non è la proposta derivazione. – Ella è troppa dotta, troppo classica, troppo studiata, per esser vera. È anche, dirò di più, troppo biblica, troppo scritturale, per tornare in acconcio nella epoca Rabbinica per eccellenza, nella quale sotto questo nome ti apparisce a prima volta lo Essenato; – per consuonare con quella lingua dai Dottori parlata, che se non è il dialetto Ebraico-rabbinico dei tempi posteriori, è certo immensamente distante dal biblico purismo; con quella lingua insomma che mirabilmente tramezza
Fra lo stil de’ moderni e ’l sermon prisco.
Ancora, o signori, ulteriore esame ci attende, e noi abbiamo finito.
Egli è un curiosissimo passo che la mia stella propizia mi parava dinanzi nel volgere e rivolgere a questo uopo le carte; un passo, io dico, sugli Esseni rilevantissimo, nella più dotta descrizione che della Grecia vetusta ci abbia tramandata l’antichità, in un autore greco egli stesso, in Pausania. Egli, nella descrizione dell’Arcadia, discorrendo del celebre Tempio di Diana Imnia nella regione degli Orcomeni, alcune cose va esponendo di cui disconoscere non si potrebbe la importanza. Narra Pausania, come stabilito fosse dalla legge che la sacerdotessa e il sacerdote, non solo circa il commercio carnale, ma in tutte le altre cose ancora dovessero serbare la castità per tutto il tempo di vita loro; che nè il bagnarsi, nè vivere secondo gli altri, nè entrare nemmeno nella casa di un privato fosse loro consentito. Giunto a questo punto, Pausania esce fuori con queste parole che io vi raccomando, che riproduco testualmente, ed alle quali vi prego attendere tutti in orecchi. —Io so, dice Pausania, che queste cose (ch’è quanto dire il celibato, la solitudine e la vita in tutto singolare di sopra rammentate) osservano presso gli Efesi, per un anno non per tutta la vita coloro i quali sono Estiatori di Diana Efesina, e che dai cittadini, Esseni, sono chiamati Tanto è. Pausania ha pronunziata la gran parola! La parola di Esseni! e l’ha profferita a proposito non già di Solima e delle sue sètte, ma di Efeso, ma del culto di Diana, ma del prisco Politeismo.
Ove siam noi, o signori, e che cosa significa questo stranissimo incontro? Siamo in Efeso? Siamo in Palestina? È Diana che qui si adora, è l’Eterno che qui si cole? Sono Ebrei cotesti, sono Pagani? Voi siete già, o miei giovani, non è egli vero, alquanto sorpresi. Or bene, permettete che vi dica che tutto non avete udito. Avete udito, è vero, i sacerdoti di Diana Efesina qualificati Esseni; intenderete adesso, cosa più strana, intenderete un Dio, un Dio del Paganesimo, il più grande degli Dei dell’Olimpo, l’Ottimo, il massimo Giove, Esseno egli stesso esser chiamato. Chi gli diede questo nome inatteso? Chi operò questo strano connubio? Egli è il poeta Callimaco, a cui gli antichi e i moderni tempi concessero fama di dottissimo nelle greche antichità. Egli è Callimaco che così si esprime nell’Inno a Giove che reca il suo nome. Callimaco, che insieme a Pausania ci attesta la presenza in seno al paganesimo di un istituto, dirò di più, di uno stato di straordinaria perfezione che dai popoli, dai poeti, Esseni ed Essenato eran chiamati. Che vuol dir ciò, o signori, e quale è dello Essenismo la chiave? La chiave, o signori, è pronta. L’Edipo si è trovato. Egli è lo Scoliaste, ch’è quanto dire l’autore delle Scolie o commenti alle Poesie di Callimaco. Egli lesse come noi il Giove Esseno di Callimaco; ad esso, come a noi, sembrava strano, incompreso l’epiteto; ma egli meglio di noi nelle greche lettere erudito, potè coglier più davvicino nel segno. – Narra lo Scoliaste, come il vocabolo Esseno– notate, o signori, singolarità, – fosse vocabolo vecchio, usitato in Efeso; e di che lingua credereste? Forse della lingua greca? della lingua popolare? Signori no, dice lo Scoliaste, della lingua Religiosa. E che significa in questa lingua, di grazia, il nome Esseno? – Significa, ripiglia il nostro chiosatore, significa Re delle Api, e in questo senso fu conosciuto, fu usato nei prischi tempi. Però non guari andava, continua lo Scoliaste, che il senso assunse di Re, di Monarca in generale, e Monarchi e Re furon detti Esseni. Ma una nuova trasformazione il vocabolo Esseni attendeva, e non è la meno importante. Venne tempo in cui per dir Re, Sacerdote, Principe dei sacrifizj, Preside nei sacri agapi o nei religiosi conviti, Esseno generalmente solea dirsi. Esseno, quando l’officio si voleva indicare che in Atene eserceva il Re Arconte; Esseno, quando quello che in Roma sosteneva il Rex Sacrificulus.
Questi sono i fatti, o signori, e dei fatti interprete fedelissimo finora mi sono reso. Èmmi dato perciò muovere un passo più oltre? potrò io scoprire quali relazioni possono avere stabilito questa comunanza di nome, e in parte questa comunanza d’idee, tra l’Essenato Palestinese e il sacerdozio dell’Asia Minore? Io confesso che non mi sento da tanto, nè tanto mi consentono le notizie di cui io dispongo, nè le forze nè il tempo nè la già stancata pazienza vostra. Il fatto, o signori, è grande e vistoso, e tale da provocare gli ingegni più felici, e da meritare le indagini più accurate. Noi lo lasceremo per altra volta intentato: forse non ci sarà disdetto rivolgerci sopra altra fiata la mente. Per ora mi basta chiamare la vostra attenzione sopra questi tre punti, secondo me, capitali. Il primo riguarda il luogo. Quale è il luogo ove udiste risuonare il nome di Esseni? È, voi lo sapete, l’Asia Minore; quell’Asia, cioè, ove vedemmo sin dalla prima lezione sorgere una città per nome Asia, da cui fu creduto per alcuni derivato il nome di Esseni; ove traevano, come avete veduto, i più eletti campioni del nostro Dottorato a celebrarvi la fissazione e la proclamazione delle feste, e la intercalazione del nuovo mese. Questo è, o signori, il primo punto. L’altro fatto di non minore rilievo, è il vocabolo ebraico Hassen, il quale non solo, come l’Efesiano Esseno, suona in genere forte, illustre, magnifico; non solo è posto al fianco di Nezer, Corona, e vi officia qual sinonimo, secondo il genio del parallelismo ebraico, chi lo leolam hasen veim nezér ec. ec.; ma, ciò che pone il colmo alla nostra ammirazione, è il vedere nei salmi Dio, Dio nostro, il Dio vero chiamato Dio Hassin, in quella guisa che facendosi organo del pensiero ieratico dei sacerdoti di Diana, chiamava Callimaco il greco Giove, Giove Esseno; parola non greca, non popolare, ma vocabolo vecchio, ma vocabolo della lingua religiosa, siccome udiste dalla bocca di Callimaco stesso.9 E questo è il secondo punto. Venga il terzo adesso, e chiuda di queste riflessioni la serie.
Il terzo è quell’accordo mirabile di cui misurare non potete sin d’ora la estensione, ma che vedrete tra non molto evidente tra parecchi dei costumi agli Esseni di Efeso da Pausania assegnati, e quelli di cui la Storia favella degli Esseni Palestinesi. Il Celibato – La Solitudine, e sopratutto l’officio, il genio religioso che rappresentano, sono altrettanti legami che l’una all’altra stringono le due lontane e sconosciute istituzioni. Quale è la conseguenza che da tali fatti scaturisce spontanea? Io dissi come troppo soffriamo inopia di ulteriori notizie per decidere autorevolmente delle origini recondite, per assegnare di queste curiose coincidenze la prima cagione. Noi da questa doverosa riserva non ci partiremo. Hanno sempre, hanno tutti a questo proposito seguita una sì facil a un tempo e sì difficil virtù? Mi duole dirvi che non fu sempre seguita. Sedotti da queste parventi e preziose analogie, si attentarono alcuni autori a sentenziare a dirittura la medesimezza, che dico, o signori? la filiazione e derivazione immediata della società degli Esseni palestinesi dalla corporazione sacerdotale degli Esseni di Efeso; e ciò che vi parrà senza dubbio enorme, non temettero di asserire l’origine e il carattere intimamente pagani del grande, del bello istituto degli Esseni. Siamo noi condannati a sottoscrivere ciecamente ai costoro novellamenti? Siamo noi così al verde di prove, di argomenti, che dobbiamo accettare l’origine pagana che agli Esseni si vuole assegnare? Fortunatamente, nol siamo; e che nol siamo veramente, non è da ora che il potete vedere; non è da ora che noi dobbiamo affrontare la grande questione della origine. Se ne ho fatto menzione da ora, sapete, o signori, perchè? Perchè questa strana, questa folle pretensione, non d’altro prendeva, a così dire, le mosse, che dal fatto di una concordanza etimologica, da una pretesa identità di vocabolo. Vedete che cosa vuol dire una falsa etimologia. Eccone, gli effetti. E quali effetti! La più grande mentita alla istoria; la più solenne contradizione ai principii più ricevuti; la più grande eresia storica che sia mai uscita da labbro mortale. Aveva io ragione di crollare, anzi tutto coll’etimologia, le basi degli avversi sistemi? Aveva io ragione di attaccarmi corpo a corpo alle parole, e bandire, per così dire, una guerra gramaticale? Guerra che ha forse avuto presso di voi l’aria di puerile, di sofistica, di pedantesca; ma che pure è suggerita imperiosamente dall’assunto, e che noi con queste parole abbiam condotto a buon fine.
Prima però di chiudere questa discussione sul valore del nome Esseni, non possiamo tacere di un dotto Israelita vivente, distinto non meno per l’insigne officio che egli onora, che per la scienza e l’erudizione sua vastissima. Egli è questo l’illustre signor S. J. Rapoport, Rabbino maggiore di Praga. Egli, nel suo gran Lessico Rabbinico, Ereh Millim, e di cui solo una brevissima parte mandò già alla luce, tocca del significato del nome Esseni ove ragiona del vocabolo Iso, che s’incontra di frequente nel Talmud; ch’egli fa derivare dal greco ισος Amico, Confidente, e da cui, egli dice, si trae a buon diritto uno dei due soli significati plausibili del nome dell’antica società degli Esseni.10 Egli ci promette di meglio svolgere il suo concetto al vocabolo Haber. A noi torna sommamente gradevole il poter annoverare il dottissimo uomo tra quei che vorrebbero vedere nei Haberim del Talmud gli Esseni medesimi, siccome pare volere accennare l’illustre israelita, e se male non ci apponiamo, egli è questo un nuovo omaggio a quella identità essenico-farisaica che sarà obbietto di perpetua dimostrazione nel presente lavoro. Quanto al nome di Iso, amico, confidente, d’onde il nome di Esseni sarebbe derivato, non parmi trovato così felice come pare al dotto autore. Scarsa e dubbiosa consonanza col nome di Esseni o Essei concordemente usato dagli antichi; improbabilità che per designare un particolare sodalizio, quel termine si sia adottato che vale a significarne ognuno qualsiasi; le allusioni che sotto il nome di Assé o Asia vedremo fare dal Talmud alla società degli Esseni, locchè prova come nella mente dei contemporanei meglio da Asia medico, che da qualunque altro il nome suo derivasse; sono queste, o signori, considerazioni, e tutte gravissime, se non erro, che ci tolgono di potere sottoscrivere alla sentenza del signor Rapoport. Non pertanto, ella è quella che noi abbracceremmo volentieri, se altra non fosse che meglio ci paresse riunire le condizioni della verosimiglianza, e s’ella non è la vera, ella è certo la migliore di quante abbiamo udito sino qui profferire.
Che ci resta ora, o miei giovani? Saziare gli occhi nel dolce aspetto di verità. Trovare, additarvi che cosa intesero gli Esseni dandosi questo bel nome che la virtù e la sapienza loro han renduto immortale.
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L’illustre sig. Frank, autore della Kabbale, notò a buon diritto come nella identificazione suprema dell’Essere e del Pensiero precorresse la Teologia ebraica alle ultime dottrine prevalse in Germania. Ciò che ci reca ad una più alta antichità, che ne fa risalire alle Bibliche sorgenti, e che perciò stesso rivela nelle viscere dell’idioma biblico l’arcana dottrina teosofica che per entro vi circola, è questa sinonimia profonda di Essere e Pensiero nella radice Ies, onde qui si discorre. In un ordine poco diverso d’idee abbiamo, nel verbo Iadah, conoscere, un’altra non meno ammirabile sinonimia di Conoscenza e Amore. Noi renunciamo a citare il nome di Benedetto Spinosa, e ciò che nella sua Etica pertratta. È noto come i due attributi della Sostanza sieno per esso il pensiero e la estensione; e ciò che vi ha di acroamatismo ebraico nelle dottrine di Spinosa, ciò che costituisce la sua deviazione dall’acroamatismo ortodosso, ci studiammo di porre in luce in un articolo in idioma francese dettato, nel quale prendemmo a rilevare alcune mende nelle quali ci sembrò incorrere l’illustre sig. Emilio Saisset, nell’egregio suo lavoro pubblicato dalla Revue de deux Mondes intorno a Maïmonide et Spinosa.
9
Solo nel secolo scorso, e tra gli Enciclopedisti sarebbe suonata una eresia filologica l’additare nell’Ebraico l’origine di un vocabolo greco. Erano costoro così lungi dall’immaginarne perfino la possibilità, che tra le più speciose obbiezioni che mossero contro la originalità e santità delle sacre scritture, sì fu il nome di Giove pagano, che dissero origine e modello del nome ineffabile del Dio d’Israel, senza riflettere che gli Ebrei avrebbero dovuto andare a cercare il tipo immaginario non già in Grecia ove Giove ebbe nome Zeus, ma in Roma, anzi in Etruria, sin dove lo raggiungono gli studj moderni. Per essi, il Sole delle origini non sorgeva più dall’oriente; e bene stava cotesto ragionare in bocca di chi cantò per Caterina Seconda: —
C’est du nord qu’aujourd’hui nous vient la lumière.
I progressi della scienza hanno ricollocato nell’oriente la sorgente della luce morale, siccome non cessò mai di essere il fonte della luce che ci rischiara; e basta aprire un lessico moderno per comprendere ad un solo sguardo qual parte segnalatissima sostenga l’idioma ebraico, e in generale sostengono le lingue semitiche, nella formazione delle lingue occidentali; comecchè si collochino nella famiglia delle indo-germaniche, e se ne cerchi la prima derivazione o almeno la forma loro più antica, nella lingua sanscrita.
10
Quanto volentieri rendiamo omaggio alla non infelice interpretazione del nome Esseni dal greco Isos amici, confidenti; altrettanto ci ripugna il credere, come vorrebbe persuadercene l’illustre Rabbino, che lo stesso vocabolo greco abbia derivazione ebraica, e tragga origine dall’incertissimo Hoze o Hazut d’Isaia, XXVIII, 15, 18, spiegato nel senso greco di Amicizia e Confidenza. Basti dire che l’esempio ebraico è unico in tutta la Bibbia in questo senso, mentre appena un uso frequente, quasi universale, basterebbe ad autorizzare il supposto di un passaggio dall’ebraico al greco; che questo senso stesso è almeno problematico, stando il Gesenius per altro, il quale non tollera questa assimilazione coll’Isos greco; e che infine meglio che la interpretazione dell’uno o dell’altro a noi arriderebbe l’ipotesi che qui non si tratta, nel Hoze o Hazut d’Isaia, che di un sinonimo assai più antico, più nobile e più puro del Galui di Geremia, Cap. XXXII, 11, che vale probabilmente quanto attestato, o almeno documento pubblico che accerti la esistenza di un contratto: e vale alla lettera, Scuoperto o Aperto, come Hoze o Hazut suona pure alla lettera, quello per cui si vede, o veduta. Ove non si voglia dire piuttosto che il patto per eccellenza, l’alleanza con Dio, essendo sancita per opera di una rivelazione, questa viene usata come sinonimo di patto nella parola Hoze o Hazut, per indicare l’alleanza col genio della Morte o dell’Inferno. Inoltre, parci l’illustre Rapoport caduto in una strana illusione quando trova affine al Hoze d’Isaia, l’arabo Haz, stringere patto, unirsi; mentre è evidente che questo verbo arabo non ha rapporto che coll’ahaz ebraico e coll’ahad arameo, stringere, unire.