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CAPITOLO VII

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Il poliziotto, se vi ricorda, era vestito da povero operaio, ed aveva preso l'aria più timida e peritosa del mondo.

– Buona sera, madama: aveva egli detto con accento tutto rispettoso alla portinaia che per guardare attentamente chi le veniva innanzi, aveva fermate le sue mani nell'opera del far la maglia e stava colle punte dei suoi ferri da calza per aria.

Alle popolane torinesi, e massime a quelle dell'onorevole classe delle portinaie, il titolo di madama è un omaggio che si credono dovuto.

Monna Ghita sorrise graziosamente al nuovo venuto che si mostrava così civile, e rispose tutto garbata:

– Buona sera a Lei. In che cosa la posso servire? To', to': la è strana. Mi pare di conoscerla Lei, e non mi pare. Di certo la sua fisionomia l'ho già adocchiata.

– Può darsi: rispose Barnaba inchinandosi con un sorriso tutto piacenteria.

– Oh oh! io per ritenere le fisionomie non c'è la mia pari. Se mi avviene di vedere il muso di qualcheduno, passano anni ed anni e lo ravviso al primo rincontrarlo, come se non l'avessi visto che da ieri.

– Bella qualità! Disse con molta ammirazione il poliziotto.

– Si figuri che una volta avevo un cardellino, un miracolo di cardellino che era addomesticato così bene da parere un cristiano a cui mancasse soltanto la parola… E Lei saprà come sono difficili ad addomesticare i cardellini.

Barnaba fece un inchino per affermare che lo sapeva.

– Be', gli volevo bene, come ad una creatura ragionevole… e diffatti era tale più che certi bestioni d'uomini… Basta, lasciamola lì… Dunque un bel giorno, come fu, come non fu?.. Io già ho sempre creduto che sia stato quello zoticone del mi' uomo che è il più grossolano del mondo… Allora egli abitava ancora meco… che ora per fortuna di Dio sta lontano e d'un bel tratto… Fuori di città sui viali, nella casa del signor Benda, se lo conosce, quel gran fabbricante di ferro…

– Ah, ah! Esclamò il poliziotto che parve prestare alcuna attenzione a questa circostanza.

– Dunque un bel giorno gli si lascia aperto l'usciolo della gabbia (al cardellino), ed egli frrrt! se ne volò via per la finestra che vallo a vedere!..

– O diavolo! Esclamò Barnaba giungendo le mani con vivo interesse, e sedendo intanto sopra un trespolino ch'era lì presso, per ascoltare più divotamente la mirabile storia.

– Lo credevo perso senza più redenzione, quando la Marta – una mia amica e vicina che quella volta ne fece per miracolo una di bene, perchè è la più melensa e sragionata femmina che sia sotto la luna… e una lingua poi! oh quanto a lingua non dico altro che darebbe dei punti alle forbici del sarto – basta, la Marta venne ad avvisarmi in gran segreto che comare Polonia, la rivenditrice di pignatte e pentoloni che sta di faccia, aveva nelle sue gabbie… – la tiene delle gran gabbione tutte piene di ogni fatta uccelli che abbia creato Iddio – la aveva un uccello di più, e precisamente un cardellino. E la cosa era naturale. Il mio Fifì – lo chiamavo Fifì – era venuto per tornare a casa sua, s'era fermato sulle gabbie di Polonia, e quella sorniona lo aveva acchiappato e poi fatto mostra di niente… Dunque io corro da Polonia, e fra cinque o sei cardellini che la ci aveva – noti bene cinque o sei – riconosco subito alla fisionomia Fifì, e non c'è stato santi che tenessero, me lo feci restituire e la Polonia ci dovette stridere.

– Cospetto! L'ammiro di molto. E quel prezioso cardellino?

Sora Ghita prese l'aria dolorosa di colui a cui si riapre un'antica piaga dell'anima.

– Mi cascò un giorno nel beverino e mi si annegò.

Barnaba assunse un aspetto adatto alla circostanza.

– Che disgrazia!

– Or dunque, che cosa dicevo?.. Ah!.. Nel veder Lei, mi parve subito di riconoscere qualcheduno già visto altra volta. Di certo Lei abita da queste parti… To'! Badi se la indovino… Lei è il fumista e stufista che sta alla cantonata di via Santa Teresa.

Il poliziotto fece il suo sorriso più grazioso ed adulatore, per temperare la negativa con cui doveva rispondere.

– No, non sono il fumista.

– Per bacco! Avrei giurato… Si rassomigliano come le due chiappe d'una mela… Ma senza fallo Lei la deve abitare in questi quartieri.

Barnaba col medesimo sorriso rispose:

– Veramente no… Abito anzi piuttosto lontano… Però (s'affrettò a soggiungere) pratico frequente da queste parti.

– Ecco! Appunto! Gli è ciò. Volevo ben dire! E Lei dunque cerca di qualcheduno? Mi pare che abbia detto che cercava di qualcheduno.

– Sì. Mi fu supposto che in questa casa ci deve stare o ci deve venire alcune volte un medico, un bravo medico, giovane ed elegante, che si chiama… che si chiama… Ho lì il nome sulla punta della lingua… Non saprebb'ella aiutarmi, madama?

Ghita appoggiò al suo mento onorato d'una lanugine che quasi poteva chiamarsi barba, la punta di uno de' suoi ferri da calza, in atto di profonda meditazione.

– Un medico? Diss'ella. No, veramente qui non ce ne abita nessuno di medici… Ah sì… Al secondo piano c'è un dentista.

– No, non gli è ciò.

– Al primo c'è un notaio con sua moglie e sua madre… Liti del diavolo fra la suocera e la nuora. Un giovane di mercante che abita uscio ad uscio fa gli occhi dolci a quest'ultima… La Marta dice che li ha trovati insieme, lei e lui, una mattina in una strada scartata. Basta! Non facciamo giudizi temerarii come fa quella maldicente d'una Marta. Di sopra dunque c'è il dentista e un impiegato al Ministero, un brav'uomo che ha mezza dozzina di ragazzi. Al terzo piano abitano il calzolaio che ha bottega qui vicino al portone, il pizzicagnolo ed una di quelle donne che vanno ad impegnare per altrui la roba al Monte di Pietà. All'ultimo piano poi c'è una frotta di giovani…

Barnaba si accostò alla vecchia ciarliera con un interessamento che era più vero di quello manifestato fino allora.

– Giusto! Il medico che cerco sarà forse tra quelli, od almeno sarà loro conoscente, e verrà a vederli.

– No: disse la donna, tornando a riflettere. Di medici non ce n'è punto. C'è un pittore, che anzi è quello che ha preso a pigione tutto il quartiere.

– E si chiama? Domandò con aria innocente il poliziotto.

– Antonio Vanardi.

– Ah bene… L'ho sentito nominare… E con lui ci stanno parecchi…

– Tre… Anzi adesso quattro… Ma nessuno di loro è medico. Due devono essere avvocati… Ma di quegli avvocati di cui ce ne regge mille sopra un ramo… Credo che non abbiano mai visto l'ombra d'un cliente… Scrivono su per le gazzette e stampano libri o qualche cosa di simile… Spiantati, in una parola.

– E si chiamano? Tornò a domandar Barnaba colla medesima aria innocente.

– Uno, che ha l'aria d'essere un po' più innanzi degli altri negli anni, si chiama Romualdo, l'altro Giovanni Selva. Il terzo, che non è punto avvocato nè altro, ma fa lo scrivano pubblico e scrive suppliche e poesie, ha nome Maurilio Nulla: un originale a cui nessuno è capace di far dire quattro parole… È rientrato poco fa in casa, e l'ho visto passare attraverso il vetro del finestrino… Ma non c'è pericolo che mai e poi mai dica uno straccio di parola di saluto.

Barnaba si stampava tutti questi nomi nella memoria. Il giovane ch'egli aveva visto nella bettola di Pelone, poi sotto l'atrio del palazzo dell'Accademia Filarmonica, dove aveva fatto un cenno di meraviglia incontrandosi col dottor Quercia; quel giovane chiamavasi dunque Maurilio Nulla, era scrivano ed abitava insieme con due che alla polizia erano già noti da tempo come liberali e, secondo s'usava dire, patrioti rivoluzionarii.

– E ce n'è ancora un quarto? Soggiunse Barnaba per provocare la portinaia a parlare.

– Sicuro, da poco tempo… Saranno tre mesi tutt'al più… Questo è un forastiere… un italiano. Parla così bene che par sempre un libro stampato… È cantante e fa da secondo… com'è che si dice?.. secondo baritono al teatro Regio… Si chiama Medoro Bigonci… È venuto ad affittare una camera in casa del pittore, e non so davvero dove diavolo lo abbiano cacciato… Di medici fra tutti costoro non c'è nemmanco l'ombra. Forse gli è qui nella casa vicina che Lei dovrebbe andare. Ci sta un flebotomo che un tempo aveva anche la bottega da barbiere, ed ora s'intitola dottore. Un uomo grande e grosso, colla faccia color del vino…

– No, no, non è quello che cerco io: disse Barnaba. Io intendo anzi parlare d'un bel giovanotto che veste proprio coi fronzoli e porta due baffetti neri. Mi si diceva che qualche volta venisse a trovare quei giovani che abitano col pittore, e sopra tutto quel cotale che fa lo scrivano.

– Ah ah! Esclamò la portinaia come illuminata da una nuova idea. Sì che ci viene, ed anco di frequente, un giovane signore, ma signore per davvero e coi baffetti, ma questi baffi invece che neri sono biondi, e chi li porta non è medico altrimenti, ma avvocato ancor egli come il signor Selva e il signor Romualdo. E non è altri che il figliuolo del signor Benda il fabbricante presso cui è allogato il mi' uomo.

– Viene di sovente?

– Soventissimo. E ci si ferma per delle ore: Certe volte io ho già chiuso il portone, sono già andata a letto, sono già bella e addormentata che sor Francesco… l'avvocato Benda si chiama Francesco… non è ancora partito.

– Capisco. Una frotta di giovani. Faranno delle baldorie, cene, giuochi e donnette…

– Oibò! oibò!.. Prima di tutto c'è la signora Rosa, la moglie del pittore, una donna che ha lingua, ed anche le unghie, se occorresse, per farsi rispettare, la quale non tollererebbe mai una cosa simile… E poi conviene essere giusti, quei giovani sono a questo riguardo veramente esemplari. Io che ho buoni occhi ed ho buon naso in queste cose… come nelle altre… non ho mai potuto accorgermi di tanto così che avesse un'aria sospetta riguardo ai costumi.

– Lei mi stupisce. Ci credo perchè gli è Lei che me lo dice; ma che tanti giovinotti si radunino insieme e stieno chiusi in casa sino a notte inoltrata per far che?.. Per guardarsi semplicemente addosso?.. Uhm! la stenterei a mandar giù… Ci deve essere qualche segreto motivo.

– Eh! il motivo ci sarà fors'anco. In verità pare che abbiano le gran cose d'importanza di cui discorrere. La signora Rosa, la quale si ferma alcune volte a scambiar meco quattro ciarle, non sa nemmanco ella, dice, che cosa facciano, ma dice che si chiudono in una stanza tutti insieme e parlano fitto fitto sottovoce. Ella ha bensì origliato alla porta, ma dice non aver mai potuto capire una parola; ed una volta, dice, che dopo uno di questi colloquii suo marito era più cupo e pensieroso del solito, perchè quasi sempre, dice, dopo siffatte conferenze, il pittore si mostra tutto sossopra; una volta dunque che essa l'ha voluto interrogare, egli, dice, le ha risposto brusco brusco che non ficcasse il becco in codesto che non erano cose di cui occuparsi una donna.

– Oh oh! Cospetto! Disse il poliziotto, il quale ora non aveva più bisogno di fingere l'interessamento, ma anzi voleva dissimulare quello vivissimo che provava in realtà. Ch'e' facciano i monetari falsi? soggiunse sorridendo.

– Mai più! L'avvocatino Benda è straricco e non metterebbe le mani in siffatto intruglio…

In quella giungeva il sedicente Medoro Bigonci, ossia Mario Tiburzio il carbonaro, il quale, come abbiamo veduto, credeva opportuno confabulare colla portinaia un momento prima di salire all'alloggio di Vanardi.

Se l'istinto di cospiratore, in Mario Tiburzio, gli aveva fatto presentire la spia e il poliziotto nell'uomo che trovavasi nel camerino della portinaia, l'istinto proprio del segugio di polizia aveva da parte sua fatto subodorare a Barnaba in quel sedicente artista di canto qualche cosa che sapeva della ribellione alle leggi ed all'ordine vigente, e Mario non s'era niente affatto sbagliato, quando aveva creduto di accorgersi che quello sconosciuto, tuttochè cercando nascondersene, lo osservava con esperta attenzione.

Appena Mario venne fuori della stanza di monna Ghita, Barnaba disse vivamente a quest'essa:

– Quegli è il cantante Medoro Bigonci?

– Appunto. Gli è un pezzo che mi ha promesso dei biglietti d'entrata al teatro per me e per mio figlio… il quale si chiama Bastiano come suo padre, ma spero che non diventerà un bestione come suo padre.

Barnaba meditava fra sè.

– L'aspetto di quell'uomo non mi è nuovo. Fra le tante figure che mi sono passate innanzi nella mia vita così avvicendata, vi fu certamente anche quest'essa; ma dove e quando e come?.. L'accento della sua parola è romano… che io abbia dunque veduto codestui nel mio soggiorno a Roma?

Ad un tratto la nebbia che avvolgeva i suoi sovveniri parve squarciarsegli innanzi alla mente, e credette veder chiaro in essi, col suo vero nome e col vero esser suo, la figura dell'uomo che era passato.

Non potè frenare un'esclamazione, mentre e' si diceva a se medesimo:

– Conviene che ne esamini di meglio la persona, che lo veda almanco a camminare.

– Che cos'è stato? Disse la portinaia stupita, vedendo il suo compagno alzarsi di scatto.

Il poliziotto non ebbe altro spediente per ispiegare la sua mossa che dire la verità.

– Mi pare aver ravvisato quel signore per un cotale che ho conosciuto altrove, e voglio chiarirmi se ciò gli è vero o no.

Uscì sollecito dal camerino e seguitò con passo riguardoso il cospiratore, la cui ombra vedeva disegnarglisi innanzi nello scuriccio della scala male illuminata.

Mario Tiburzio s'accorse d'esser seguìto, ma non mostrò di porvi mente e continuò col suo solito passo il suo cammino.

Quando furono giunti all'ultimo pianerottolo, i sospetti di Barnaba s'erano quasi convertiti in certezza.

– Gli è lui senza fallo: disse a se stesso. È il rivoluzionario che fuggì in Roma medesima ai gendarmi papali che l'avevano arrestato.

Poichè Mario si fu introdotto nella stanza dove l'aspettavano i compagni, Barnaba s'accostò con cautela all'uscio, pose l'occhio e poi l'orecchio alla toppa, e vedendo che non poteva nulla scorgere nè udire di quanto avveniva colà dentro, si dirizzò della persona e collo stesso andar riguardoso si tolse di là e tornò nello stanzotto di monna Ghita.

– M'ero affatto sbagliato, diss'egli a costei; quel signor cantante mi è perfettamente sconosciuto. Ora non mi resta che ringraziarla della gentilezza con cui Lei mi ha trattato e partirmene che gli è tardi.

– Si figuri!.. Tutta a suo servizio. La Ghita è conosciuta per essere la più servizievole del mondo. Mi rincresce non saperle dir nulla del medico che Lei cerca…

Il poliziotto pensò fare ancora uno sperimento.

– Ah! Ora me n'è venuto in mente il nome: esclamò egli. Si chiama il dottor Quercia.

La portinaia tornò a riflettere un momentino e poi rispose:

– Non lo conosco davvero; non l'ho mai sentito a menzionare.

Barnaba soggiunse:

– È amico dell'avvocato Benda. Glie l'ho visto insieme più volte.

– Allora forse mio marito che è portiere alla casa Benda saprebbe dirgliene qualche cosa.

– Lei non lo vede mai suo marito?

– Una volta ogni morte di vescovo… e non cerco di più sicuramente. Un villanzone manesco che quando è in collera usa certi argomenti per aver ragione… E non c'è verso di parlargli senza farlo andare in collera. Avrebbe avuto bisogno di aver per moglie un ceppo di legno e non una donna viva. Con lui avrei dovuto tagliarmi la lingua, cucirmi la bocca e vivere come una mummia… Basta! Una buona ispirazione glie ne venne, sono già anni parecchi, d'andarsene egli pei fatti suoi e di lasciar me ai miei. È tornato al servizio dei Benda, dove era già stato fin da giovinotto. Ha una divozione per quella famiglia, che la sommission del cane pel suo padrone non gli è nulla.

L'agente della polizia che non aveva più cosa alcuna da spillare alle ciancie di monna Ghita, troncò lì il discorso, salutandola ed augurandole la felice notte con mille ringraziamenti, ed uscito di quella casa, s'avviò di buon passo verso Piazza Castello.

– Ecco un uomo assai gentile e garbato: disse la portinaia chiudendo dietro di lui il portone. È strana come ei rassomiglia al fumista!.. Ma guarda mò che ha finito per non dirmi chi egli è!

La plebe, parte II

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