Читать книгу Una Ragione per Salvarsi - Блейк Пирс - Страница 13
CAPITOLO SETTE
ОглавлениеSenza le risorse della centrale, Avery doveva affidarsi agli stessi strumenti di chiunque altro sul pianeta. Quindi, davanti a una tazza di caffè e qualche vecchio bagel che aveva trovato nella dispensa di Ramirez, avviò Google e si mise a lavoro. Grazie ai fascicoli che aveva portato con sé, conosceva già i nomi di tre professori che avevano lavorato a stretto contatto con Howard durante il suo periodo ad Harvard. Uno di loro era deceduto l’anno prima, lasciando solo due potenziali fonti. Inserì i loro nomi nella maschera di ricerca di Google, cliccò tra le pagine dei Dipartimenti e dello Staff, e si salvò i loro contatti nel cellulare.
Mentre lavorava, Rose entrò in cucina. Annusò l’aria in maniera esagerata dirigendosi verso la macchina del caffè.
“Caffè. Buono.”
“Come hai dormito?” chiese Avery.
“Uno schifo. E mamma… sono le sette del mattino e tecnicamente non stai lavorando. Quindi cosa ci fa in piedi?”
Avery alzò le spalle. “Non sto tecnicamente lavorando, suppongo.”
“Non finirai nei guai con il tuo capo?”
“No, se non lo scopre. A questo proposito… oggi devo uscire per un po’. Ti posso lasciare da qualche parte?”
“A casa mia,” rispose Rose. “Se dovrò nascondermi insieme a te per qualche altro giorno, nell’appartamento di qualcun altro, voglio qualche cambio di vestito e uno spazzolino da denti.”
Avery ci rifletté per un momento. Sapeva che Sawyer e Dennison erano ancora seduti fuori, e probabilmente stavano per essere sostituiti da un’altra coppia di agenti. Di solito lavoravano a turni di dodici ore. L’avrebbero seguita ovunque fosse andata, per accertarsi che fosse al sicuro. Le avrebbero messo i bastoni tra le ruote. Ma stava già elaborando un piano.
“Ehi, Rose, dove hai parcheggiato la tua auto?”
“A un isolato dal tuo appartamento.”
Lo aveva immaginato. Sawyer e Dennison avrebbero contattato automaticamente Connelly o O’Malley se fosse tornata a casa sua. Ma forse se avesse confuso un po’ le cose e si fosse diretta altrove, sarebbe stato più facile.
“Okay,” disse Avery. “Torneremo a casa tua. Devo fare una chiamata al volo e vedere se Sawyer e Dennison possono darci uno strappo da te.”
“Okay,” accettò Rose, ovviamente scettica sui suoi programmi, come se avesse capito che sotto c’era qualcosa di losco.
Prima di contattare Sawyer e Dennison per chiedere loro un passaggio, come se stesse obbedendo agli ordini e restando al sicuro, chiamò una compagnia di taxi e prenotò un veicolo che si fermasse dietro l’appartamento di Rose di lì a mezz’ora.
***
Era stato fin troppo facile. E non perché Sawyer e Dennison non fossero dei bravi poliziotti. Semplicemente non sospettavano che Avery avrebbe voluto disobbedire. Così come si era organizzata, avrebbe preso due piccioni con una fava. Uscendo dal retro del palazzo dove viveva Rose senza farsi vedere, avrebbe avuto qualche ora di libertà per fare quello che voleva senza temere ciò che avrebbe potuto pensare O’Malley, mentre Rose sarebbe rimasta sotto la protezione della polizia. Era una vittoria su tutti i fronti. Il fatto che li avesse chiamati per chiedere un passaggio fino all’appartamento di Rose era la ciliegina sulla torta.
Il taxi la lasciò nel campus di Harvard poco dopo le nove del mattino. Dal sedile posteriore dell’auto aveva chiamato i due professori, Henry Osborne e Diana Carver. Osborne non aveva risposto, ma era riuscita a parlare con la Carver, che si era tenuta libera sulle dieci per discutere con lei. Dopo aver cercato meglio sul sito di Harvard, aveva trovato l’ufficio di Osborne e gli orari del suo ricevimento. Aveva deciso che sarebbe andata a dare un’occhiata nell’ora circa che mancava all’appuntamento con la Carver.
Mentre attraversava il campus, lanciando un’occhiata occasionale alla mappa sul suo telefono, si prese qualche momento per apprezzare l’architettura. Dato che la maggior parte della popolazione di Boston era abituata all’esistenza del college, spesso dimenticava la storia del posto. Avery riusciva a percepirla nella gran parte degli edifici, oltre che nell’atmosfera storica che permeava il posto, i prati impeccabili, i vecchi mattoni, il legno e le statue.
Si concentrò su quei dettagli mentre si avvicinava all’edificio degli Studi Filosofici. Henry Osborne era un insegnante alla facoltà di filosofia, specializzato in Etica Applicata e Filosofia del Linguaggio. Quando entrò nel palazzo, qualche studente si stava affrettando qua e là, in leggero ritardo per la lezione delle nove.