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CAPITOLO QUATTRO

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Pioveva quando Chloe e il suo istruttore arrivarono sulla scena. Si sentì un pesce piccolo scendendo dalla macchina sotto quella pioggerellina. Poiché era ancora una tirocinante che doveva andare in giro con il suo istruttore, non le venivano affidati casi importanti. Quello, per esempio, sembrava il classico caso di violenza domestica. E anche se i particolari del caso non sembravano particolarmente brutali o raccapriccianti, le sole parole violenza domestica la facevano rabbrividire.

Del resto, aveva sentito ripetere quelle parole molto spesso, dopo la morte della madre. Il suo istruttore avrebbe dovuto essere a conoscenza del suo passato, di quello che era successo ai suoi genitori, ma quando quella mattina erano usciti non le aveva detto niente.

Si trovavano nella città di Willow Creek quel primo giorno, una piccola cittadina a circa venticinque chilometri di distanza da Baltimora. Stava facendo tirocinio nell’FBI per entrare a far parte della Squadra Ricerca Prove, e mentre si avvicinavano all’edificio a due piani, l’istruttore le lasciò persino assumere il comando. Il suo nome era Kyle Greene, un agente di quarantacinque anni che era stato sollevato dagli incarichi sul campo quando si era strappato il legamento incrociato anteriore durante l’inseguimento di un sospettato. Non era mai guarito del tutto da quella ferita, e così gli era stata offerta la possibilità di fare da istruttore e da mentore per i tirocinanti. Lui e Chloe avevano parlato solo due volte prima di quella mattina: una settimana prima su FaceTime, per conoscersi meglio, quindi due giorni prima, durante il viaggio da Philadelphia a Pinecrest.

“Una cosa, prima che entriamo” disse Greene. “Non gliel’ho detto finora perché non volevo che ci rimuginasse tutta la mattina.”

“Sì…?”

“Anche se questo è un caso di violenza domestica, si tratta anche di omicidio. Quando saremo là dentro, ci sarà un cadavere. Piuttosto recente.”

“Oh…” disse Chloe, incapace di nascondere il suo shock.

“So che è ben più di quello che si aspettava, ma prima che arrivasse c’è stato un po’ di dibattito. Abbiamo pensato che avremmo potuto farla agire in prima linea fin dall’inizio. È da un po’ che stiamo considerando l’idea di affidare ai tirocinanti più responsabilità, per dare loro modo di imparare più in fretta. E a giudicare dal suo fascicolo, abbiamo pensato che sarebbe stata una candidata ideale per mettere in pratica questa nostra idea. Spero che per lei vada bene.”

Chloe era ancora sorpresa, incapace di mettere insieme le parole. Sì, era una maggiore responsabilità. Sì, significava che avrebbe avuto più occhi puntati su di sé. Ma non si era mai tirata indietro da una sfida, e non intendeva iniziare a farlo ora.

“Sono grata per questa opportunità.”

“Bene” disse Greene, e dal suo tono si capiva che era esattamente quello che si aspettava.

Le fece cenno di seguirlo su per i gradini del portico. All’interno c’erano due agenti che parlavano con il medico legale. Chloe fece del proprio meglio per prepararsi alla scena, ma nonostante credesse di esserci riuscita, rimase comunque scossa quando vide la gamba di una donna spuntare da dietro il bancone della cucina.

“Adesso voglio che giri intorno al cadavere” disse Greene. “Mi dica quello che nota, sia del corpo che dell’ambiente circostante. Mi riferisca tutto il suo ragionamento.”

Durante il suo tirocinio, Chloe aveva visto un paio di cadaveri; quando viveva a Philadelphia non era così raro imbattersi in uno. Ma stavolta era diverso. Questo le sembrava fin troppo familiare. Aggirò il bancone della cucina e guardò la scena del delitto.

La vittima era una donna che sembrava sulla trentina. Era stata colpita in testa con un oggetto contundente, con tutta probabilità il tostapane che ora giaceva in pezzi a qualche passo da lei. I danni maggiori li aveva fatti sul lato sinistro della fronte della donna, e l’impatto era stato così forte da spaccarle la cavità oculare; adesso pareva che l’occhio della donna potesse scivolare fuori da un momento all’altro e finire sul pavimento. La testa era circondata da una pozza di sangue circolare, quasi fosse un’aureola.

Forse la cosa più strana era che i pantaloni della tuta erano abbassati fino alle caviglie e le mutandine fino alle ginocchia. Chloe si accovacciò vicino al corpo in cerca di altri particolari. Vide due piccoli segni sul lato del collo della donna, che sembravano graffi freschi.

“Dov’è il marito?” chiese.

“In custodia” disse Greene. “Ha confessato tutto, ha già raccontato alla polizia cosa è successo.”

“Ma se è un caso di violenza domestica, perché è stato chiamato l’FBI?” chiese lei.

“Perché questo tizio è stato arrestato tre anni fa per aver picchiato la sua prima moglie in modo talmente violento da spedirla al pronto soccorso. La donna però non ha sporto denuncia. Inoltre, due settimane fa, il suo computer è stato segnalato per la presenza di potenziali video proibiti.”

Chloe ascoltò tutte le informazioni, riflettendo su quello che aveva davanti. Mise insieme tutti i pezzi come in un puzzle ed espose le sue teorie ad alta voce man mano che le venivano in mente.

“Visti i precedenti di quest’uomo, si può dire che sia incline alla violenza. Alla violenza estrema, a giudicare dal tostapane. I pantaloni da tuta e le mutandine calate indicano che stava cercando di fare sesso con lei in cucina. O forse lo stavano già facendo e lei voleva fermarsi. I graffi sul collo indicano un rapporto violento, forse consensuale all’inizio, oppure del tutto non consensuale.

In quella si fermò a studiare il sangue. “Il sangue sembra relativamente fresco. Se dovessi fare una stima, direi che l’omicidio è avvenuto nelle ultime sei ore.”

“E quale sarebbe la sua prossima mossa?” chiese Greene. “Se non avessimo già il marito in custodia e stessimo cercando il colpevole, come si muoverebbe?”

“Cercherei le prove di un rapporto sessuale, così potremmo ricavare il DNA e scoprire a chi appartiene. Ma in attesa dei risultati, andrei di sopra in camera da letto a cercare un portafoglio o qualcosa di simile, nella speranza di trovare un documento d’identità. Naturalmente, questo se non fosse già stato sospettato il marito. In quel caso, potremo ottenere il suo nome direttamente dall’indirizzo di casa.”

Greene le sorrise, annuendo. “Proprio così. Sarebbe sorpresa da quanti novellini cascano in questa domanda tranello. Siamo a casa del sospettato, quindi il nome lo sappiamo già. Ma se non fosse il marito ad essere sospettato, avrebbe ragione lei. Tra l’altro… Fine, si sente bene?”

La domanda la colse di sorpresa, soprattutto perché non stava affatto bene. Era rimasta incantata, a fissare il sangue sulle mattonelle della cucina. Quella vista l’aveva riportata indietro negli anni, a fissare la pozza di sangue che andava seccandosi sulla moquette alla base delle scale.

Senza alcun preavviso, iniziò a sentirsi debole. Si afferrò al bancone della cucina, temendo di stare per vomitare. Era preoccupante e imbarazzante.

È questo che mi devo aspettare ogni volta che mi troverò davanti una scena del crimine anche solo vagamente sanguinolenta? Davanti ad ogni scena del crimine che assomigli vagamente a quella della mamma?

Nella sua mente sentiva la voce di Sally, una delle prime cose che le avesse detto: non sono sicura che una donna possa essere un bravo agente. Soprattutto una con un passato traumatico come il tuo. Mi domando se sia un trauma che si riesca mai a superare…

“Mi dispiace, mi scusi” mormorò. Si spinse via dal bancone e corse alla porta d’ingresso. Per poco non cadde dai gradini del portico mentre raggiungeva il prato, sicura che avrebbe vomitato.

Per fortuna il destino le risparmiò quell’imbarazzo. Fece una serie di respiri profondi, concentrandosi al punto che quasi non si accorse di Greene che la raggiungeva.

“Ci sono casi che colpiscono anche me” le disse. Mantenne una certa distanza, lasciandole il suo spazio. “Ci saranno scene del crimine molto peggiori. È triste, ma dopo un po’ è come se ci si facesse il callo.”

Chloe annuì, poiché l’aveva già sentito prima. “Lo so. È solo che… Questa scena mi ha riportato alla mente un ricordo. Un ricordo a cui non mi piace pensare.”

“Il Bureau dispone di psicoterapeuti eccezionali per aiutare gli agenti a superare cose come questa. Perciò non pensi mai di essere da sola o che questo faccia di lei un agente incapace.”

“La ringrazio” disse Chloe, finalmente in grado di rimettersi dritta in piedi.

Si accorse che all’improvviso sua sorella le mancava terribilmente. Per quanto sembrasse macabro, ogni volta che le affioravano alla mente ricordi del giorno in cui la loro madre era morta, erano sempre accompagnati da un profondo affetto nei confronti di Danielle. Come adesso; Chloe non poteva fare a meno di pensare a sua sorella. Danielle ne aveva passate tante nel corso degli anni; era una vittima delle circostanze e al tempo stesso di alcune decisioni sbagliate. E adesso che Chloe viveva così vicino a lei, sembrava impensabile che dovessero rimanere distanti.

Certo, aveva invitato Danielle alla festa di quartiere quel weekend, ma Chloe scoprì che non sarebbe riuscita ad aspettare tanto a lungo. Inoltre, aveva il sospetto che non ci sarebbe nemmeno venuta.

All’improvviso, seppe cosa doveva fare: doveva vederla adesso.

***

Chloe non sapeva perché fosse così nervosa quando bussò alla porta di Danielle. Sapeva che Danielle era in casa; la stessa auto che aveva avuto da adolescente era nel parcheggio della palazzina, con ancora attaccati gli stickers di band musicali come Nine Inch Nails, KMFDM, Ministry. Vedere l’auto e tutti quegli adesivi le provocò una fitta di nostalgia che era più che altro tristezza.

Davvero non è cresciuta per niente? Si domandò Chloe.

Quando Danielle aprì la porta, Chloe vide che era proprio così. O almeno era quello che il suo aspetto lasciava pensare.

Le sorelle rimasero a guardarsi per due secondi, prima di abbracciarsi rapidamente. Chloe notò che Danielle si tingeva ancora i capelli di nero, indossava ancora il piercing al labbro sul lato sinistro della bocca, aveva un accenno di eyeliner nero e indossava una maglietta dei Bauhaus e dei jeans strappati.

“Chloe” disse Danielle, accennando appena un sorriso. “Come stai?”

Era come se si fossero viste appena il giorno prima, ma andava bene così. Chloe non si aspettava certo una reazione più emotiva dalla sorella.

Chloe entrò nell’appartamento e, senza curarsi di quello che potesse pensare Danielle, la avvolse in un altro abbraccio. Era passato poco più di un anno da quando si erano viste, tre da quando si erano abbracciate così affettuosamente. Qualcosa nel fatto che ora vivessero nella stessa città sembrava aver creato un legame tra loro; era qualcosa che Chloe poteva avvertire, per cui non erano necessarie parole.

Danielle ricambiò l’abbraccio, seppur pigramente. “Quindi… come stai?” ripeté Danielle.

“Bene” disse Chloe. “So che avrei dovuto chiamare prima, ma… Non lo so. Avevo paura che avresti trovato una scusa per dirmi di non passare.”

“Può darsi” ammise Danielle. “Ma adesso che sei qui, accomodati. Scusa il disordine. Anzi no, non scusarlo. Sai che sono sempre stata disordinata.”

Chloe rise ma, entrando nell’appartamento, rimase sorpresa di trovarlo relativamente ordinato. L’area del soggiorno era scarsamente ammobiliata, con soltanto una poltrona, una TV su mobiletto, un tavolino e una lampada. Chloe sapeva che anche il resto della casa doveva essere così. Danielle era il tipo di persona che viveva solo con lo stretto essenziale. Le uniche eccezioni, se non era cambiata da quando era un adolescente (e a quanto sembrava non lo era), erano la musica e i libri. Chloe si sentì quasi in colpa per la casa elaborate spaziosa che aveva appena comprato con Steven.

“Vuoi che metta su del caffè?” chiese Danielle.

“Sì, sarebbe fantastico.”

Andarono in cucina, che come il soggiorno aveva solo lo stretto necessario. Il tavolo era stato chiaramente comprato ad una svendita, e ad abbellirlo c’era solo una tovaglia stropicciata. Due sedie solitarie erano ai lati opposti.

“Sei qui per obbligarmi a venire alla festa di quartiere?” chiese Danielle.

“Niente affatto” disse Chloe. “Oggi durante il tirocinio mi sono trovata su una scena del crimine che… Insomma, ha riportato tutto alla mente.”

“Ahia.”

Tra loro calò il silenzio mentre Danielle preparava la caffettiera. Chloe osservò la sorella muoversi in cucina, un po’ inquietata dal fatto che non sembrasse minimamente cambiata. Quella che aveva davanti potuto benissimo essere la ragazzina diciassettenne che se n’era andata di casa con la speranza di mettere su una band, nonostante le proteste dei nonni. Tutto sembrava uguale, compresa l’espressione assonnata.

“Sai qualcosa di papà?” chiese Chloe.

Danielle si limitò a fare di no con la testa. “Con il tuo lavoro, pensavo che avresti potuto imparare tu qualcosa. Sembra che ci sia qualcosa da sapere.”

“Ho smesso di informarmi qualche tempo fa.”

“Facciamo un brindisi a questo” disse Danielle, coprendo uno sbadiglio con il dorso della mano.

“Mi sembri stanca” disse Chloe.

“Perché è così. Solo che non è semplice stanchezza. Il dottore mi aveva dato degli stabilizzanti dell’umore; sono stati quelli a incasinarmi il sonno. E quando lavori in un bar e di solito non rientri prima delle tre del mattino, l’ultima cosa che ti serve sono farmaci che ti scombussolino i ritmi.”

“Hai detto che il dottore ti dava delle medicine. Non le prendi più?”

“No. Interferivano con il sonno, l’appetito, la libido. Da quando ho smesso, mi sento molto meglio… Solo che sono sempre stanca.”

“Ma perché te le ha prescritte?” chiese Chloe.

“Per poter sopportare la mia sorella ficcanaso” disse Danielle, scherzando solo in parte. Dopo un istante, le rispose in modo sincero. “Iniziavo a diventare facilmente depressa. Mi capitava all’improvviso. E io gestivo la cosa in modo… Piuttosto stupido. Alcol, sesso, Una casa su misura.”

“Se erano per la depressione, probabilmente dovresti ricominciare a prenderle” disse Chloe, realizzando mentre lo diceva che si stava comportando in modo invadente. “E comunque, a che ti serve la libido?” chiese con una risatina.

“Per quelle di noi che non stanno per sposarsi, è piuttosto importante. Non possiamo semplicemente sdraiarci sul letto e farci scopare quando ci pare e piace.”

“Non hai mai avuto problemi a trovare ragazzi, prima” le fece notare Chloe.

“È ancora così” disse Danielle portando le tazze di caffè al tavolo. “Solo che ci vuole troppo impegno. Soprattutto adesso. Quello nuovo è un ragazzo serio. Abbiamo deciso di fare le cose con calma… diciamo.”

“Infatti è l’unico motivo per cui sposerò Steven, lo sai” disse Chloe, cercando di imitare il suo tono scherzoso. “Mi ero stancata di dovermi impegnare per trovare qualcuno con cui poter fare sesso.”

Entrambe si misero a ridere. Sarebbe dovuto sembrare naturale ridere insieme di nuovo, invece in qualche modo sembrava forzato.

“Allora, che mi racconti, sorellina?” Chiese Danielle. “Non è da te fare improvvisate. Non che io possa saperlo, dato che non ce n’è stata occasione per quasi due anni.”

Chloe annuì, ricordando l’unica volta in cui avevano passato insieme del tempo nel corso degli ultimi anni. Danielle si era trovata a Philadelphia per un concerto, e dopo aveva passato la notte da Chloe, nel suo appartamento. Avevano parlato per un po’, ma non molto. Danielle era esausta ed era crollata sul divano. Nei loro discorsi erano saltati fuori la madre e il padre. Fu l’unica volta in cui Chloe sentì Danielle dire apertamente di volerlo andare a trovare.

“Quella scena stamattina” disse Chloe. “Mi ha fatto ripensare a quella mattina fuori da casa nostra. Continuavo di vedere il sangue in fondo alle scale e non ho retto. Credevo di stare per vomitare. E io non sono quel tipo di persona, sai? La scena del crimine era “alla vaniglia”, se paragonata ad altra roba che ho visto. È solo che mi ha colpito. Mi ha fatto pensare a te e al fatto che volessi vederti. Ha senso?”

“Sì. Gli stabilizzanti dell’umore… Sono quasi sicura che la mia depressione derivi dagli incubi che faccio su mamma e papà. Ogni volta che li avevo stava da schifo per giorni. Addirittura non volevo neanche uscire dal letto e non mi fidavo di nessuno.”

“In realtà avevo intenzione di chiederti come affrontassi tu la cosa quando ripensi a quello che è successo, ma immagino che adesso conosco la risposta, eh?”

Danielle annuì e distolse lo sguardo. “Farmaci.”

“Stai bene?”

Danielle si strinse nelle spalle, ma era come se avesse mostrato a Chloe il dito medio. “Siamo insieme da 10 minuti e hai già tirato fuori l’argomento. Cristo, Chloe… Non hai ancora imparato a vivere la tua vita senza rivangare sempre il passato? Se non ti ricordi, quando mi hai chiamato per dirmi che ti saresti trasferita a Pinecrest, avevamo deciso di non parlarne. Acqua passata, ricordi?”

Chloe fu colta alla sprovvista. Aveva appena visto Danielle passare da impassibile e sarcastica a furiosa in un battito di ciglia. Certo, quell’argomento era un tasto dolente, ma la reazione di Danielle sembrava bipolare.

“Da quant’è che smesso di prendere le medicine?” chiese Chloe.

“Fottiti.”

“Da quanto?”

“Tre settimane, giorno più giorno meno. Perché?”

“Perché sono qui da quindici minuti e riesco già a capire che ne hai davvero bisogno.”

“Grazie, dottoressa.”

“Promettimi che ricomincerai a prenderle, d’accordo? Ti voglio al mio matrimonio. Sei la damigella d’onore, ricordi? Per quanto possa sembrarti egoista, vorrei che tu ti divertissi. Perciò, per favore, ricomincia a prenderle, d’accordo?”

Questo sortì un effetto su Danielle. Sospirò e rilassò le spalle. Adesso riusciva di nuovo a guardar e Chloe negli occhi e, anche se era ancora arrabbiata, c’era anche dell’affetto nel suo sguardo.

“D’accordo” disse.

Si alzò da tavola e andò verso una piccola cesta di vimini sul bancone della cucina. Tirò fuori un flacone di medicinali, lo aprì prendendo una pillola, e la mando giù con il caffè.

“Grazie” disse Chloe. Poi proseguì, percependo che c’era ancora qualcosa che non andava. “Per il resto, tutto bene?”

Daniele ci pensò su per un momento e Chloe la colse a lanciare una rapida occhiata verso la porta d’ingresso. Fu molto breve, ma le parve di cogliere paura nel suo sguardo; anzi, Chloe ne era certa.

“Sì, tutto bene.”

Chloe conosceva abbastanza la sorella da sapere che insistere non sarebbe servito.

“Allora, che accidenti è una festa di quartiere?” chiese Danielle.

Chloe rise; aveva quasi dimenticato la capacità Danielle di cambiare drasticamente argomento con la grazia di un elefante in una cristalleria. E così, si misero a parlare d’altro. Chloe osservava la sorella per controllare se guardasse di nuovo verso la porta con timore, ma non successe.

Eppure, Chloe sentiva che c’era qualcosa di strano. Magari dopo qualche tempo insieme, Danielle avrebbe confessato.

Ma cosa può essere? si domandò Chloe, lanciando uno sguardo verso la porta.

Fu allora che realizzò che non conosceva per niente sua sorella. Una parte di lei sembra ancora la ragazzina diciassettenne dal look gotico che Chloe conosceva così bene. Ma c’è anche qualcosa di nuovo in Danielle, adesso… Qualcosa di più oscuro.

Qualcosa per cui era costretta ad assumere farmaci che tenessero il suo umore sotto controllo e che la aiutassero a dormire e a vivere normalmente.

Chloe si rese conto in quel momento di avere paura per sua sorella e di volerla aiutare in ogni modo possibile.

Anche se avesse significato scavare nel passato.

Ma non adesso. Forse dopo il matrimonio. Dio solo sapeva le emozioni represse che sarebbero riaffiorate parlando della morte della madre e dell’arresto del padre. Eppure, Chloe sentiva i fantasmi del suo passato più forti che mai, seduta lì con Danielle, e questo la portò a chiedersi quanto dovesse esserne perseguitata la gemella.

Quali fantasmi si annidavano nella mente di Danielle? E cosa le stavano dicendo?

Sentiva, come quando stava per scatenarsi un temporale, che qualunque cosa Danielle stesse reprimendo, alla fine l’avrebbe coinvolta. Avrebbe coinvolto il suo nuovo fidanzato, la sua nuova casa. La sua nuova vita, E non avrebbe portato nulla di buono.

La Porta Accanto

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