Читать книгу La Porta Accanto - Блейк Пирс - Страница 12
CAPITOLO SEI
ОглавлениеChloe sedeva nella sala d’aspetto, guardando la scarsa selezione di letture sul tavolino. In seguito alla morte della madre aveva visto due psicoterapeuti, ma non aveva mai compreso lo scopo di quelle sedute. Adesso invece, all’età di ventisette anni, sapeva perché si trovava lì. Seguendo il consiglio di Green, aveva chiamato lo psicoterapeuta del Bureau per prendere appuntamento e parlare della reazione che aveva avuto il giorno prima di fronte alla scena del crimine. Stava cercando di ricordare gli uffici in cui era stata da bambina, quando la voce di una donna la chiamò dall’altro lato della stanza: “Signorina Fine?”
Chloe era così assorta nei suoi pensieri che non aveva sentito aprirsi la porta della sala d’attesa. Una donna dall’aspetto gradevole le stava facendo segno con la mano. Chloe si alzò in piedi e fece del proprio meglio per non sentirsi una fallita, mentre seguiva la donna lungo il corridoio verso l’ufficio.
Ripensò a ciò che le aveva detto Green il giorno prima, mentre prendevano il caffè insieme. Nella sua mente le sue parole erano ancora fresche, anche perché era stato il primo consiglio datole da un agente con molta esperienza, da quando aveva iniziato la sua carriera.
“Durante il mio primo anno sono stato parecchie volte in analisi. La mia quarta scena del crimine era un omicidio suicidio. Quattro corpi in totale. Uno apparteneva a un bambino di tre anni. Mi ha sconvolto nel profondo. Ecco perché mi sento di poterle dire senza esitazione che… la terapia funziona. Soprattutto se inizia a questo stadio della sua carriera. Ho visto agenti credersi dei duri che non avevano bisogno di aiuto. Non sia uno di quelli, Fine.”
Perciò, no… Avere bisogno di uno psicoterapeuta non faceva di lei un agente fallito. Anzi, sperava che l’avrebbe resa più forte.
Entrò nell’ufficio e vide un signore sulla sessantina seduto ad una grande scrivania. Dalla finestra dietro la scrivania si vedeva una piccola siepe con farfalle che vi svolazzavano sopra. Il nome dello psicoterapeuta era Donald Skinner, e praticava quella professione da più di trent’anni. Chloe lo sapeva perché lo aveva cercato su Google prima di decidersi a prendere appuntamento. Skinner era molto calmo e composto; sembrava quasi che la sua presenza si espandesse fino a riempire la stanza quando si alzò per andarle incontro.
Le fece cenno di sedersi su una poltrona dall’aria confortevole sistemata al centro della stanza.
“Prego, si metta comoda.” Le disse.
Chloe si sedette, visibilmente nervosa. Si rendeva conto che probabilmente si stava sforzando troppo per nasconderlo.
“L’ha mai fatto prima?” domandò Skinner.
“Quando ero molto più giovane” rispose lei.
L’uomo annuì mentre prendeva posto in una poltrona identica alla sua, posizionata proprio di fronte a lei. Una volta seduto, accavallò le gambe e intrecciò le mani.
“Signorina Fine, perché non mi racconta di lei… Di cosa l’ha portata qui, oggi.”
“Da dove devo partire?” fece lei, a mo’ di battuta.
“Per ora concentriamoci solo sulla scena del crimine di ieri” rispose Skinner.
Chloe si prese un momento per riflettere, quindi iniziò a raccontare. Raccontò tutto, aggiungendo persino qualche particolare che riguardava il suo passato, per fargli avere un quadro più completo della situazione. Skinner rimase attento in ascolto, poi rimuginò su quanto gli era stato riferito.
“Mi dica” disse Skinner. “Tra tutte le scene del crimine che ha visto ad oggi, è stata quella di ieri la più raccapricciante?”
“No. Però è stata quella più sanguinolenta che mi è stato permesso di vedere davvero.”
“Perciò lei è disposta ad ammettere tranquillamente che è stato quell’evento del suo passato a causare la sua reazione?”
“Immagino di sì. Insomma, non mi era mai successo prima. E anche quando sembrava che qualcosa fosse sul punto di turbarmi, riuscivo a fermarlo in tempo.”
“Capisco. E mi dica, ci sono altri fattori che potrebbero essere entrati in gioco? È una nuova città. Ha un nuovo istruttore, una nuova casa. Ci sono stati molti cambiamenti.”
“Mia sorella gemella” disse Chloe. “Vive qui a Pinecrest. Forse… Forse l’idea di rivederla dopo un anno ha contribuito alla mia crisi, oltre alla scena in sé.”
“Sì, potrebbe essere” disse Skinner. “La prego di scusarmi se le faccio una domanda così semplice, ma è stato l’omicidio di sua madre a spingerla a intraprendere una carriera nell’FBI?”
“Sì. All’età di dodici anni sapevo che era questo che volevo fare.”
“E sua sorella? Lei cosa fa?”
“Lavora in un bar. Credo che le piaccia perché deve sforzarsi di essere socievole solo per un paio d’ore al giorno, dopodiché può andarsene casa e dormire fino a mezzogiorno.”
“E lei ricorda quel giorno bene quanto lei? Ne avete parlato insieme?”
“Sì, ne abbiamo parlato, ma lei non è mai scesa nei dettagli. Ogni volta che ci provo, mi zittisce praticamente subito.”
“Allora scenda in questi dettagli con me, adesso” disse Skinner. “È evidente che ha bisogno di parlarne, perciò perché non farlo con me… che sono imparziale?”
“Be’, come le ho detto poco fa, a quanto pare si è trattato di un semplice ma sfortunato incidente.”
“Eppure suo padre è stato arrestato” le fece notare Skinner. “Perciò a me, che sono una persona che non ha familiarità con il caso, non sembra proprio che si tratti di un incidente. Mi incuriosisce come possa affermare così tranquillamente che sia trattato di un incidente. Perciò provi a rivivere i fatti. Cosa è successo quel giorno? Cosa si ricorda?”
“Be’, è stato un incidente, ma è stato causato da mio padre. Ecco perché è stato arrestato. Non ha nemmeno mentito in proposito. Lui era ubriaco, mia madre l’aveva fatto arrabbiare e così l’ha spinta.”
“Le sto dando la possibilità di scendere nei particolari, e questo è tutto quello che ha da dirmi?” chiese Skinner in tono amichevole.
“Ecco, molte parti sono sfuocate” ammise Chloe. “Ha presente come accade spesso con i ricordi, che sono come avvolti da una nebbia?”
“Certo, certo. Allora… Voglio provare qualcosa con lei. Dato che questa è la prima volta che ci vediamo, non ho intenzione di provare l’ipnosi. Però voglio tentare un’altra terapia altrettanto efficace. È quella che alcuni chiamano “terapia temporale”. Spero che oggi ci possa servire per tirare fuori dalla sua mente ulteriori particolari di quella giornata; particolari che sono già nella sua mente, ma che è come se fossero nascosti perché lei ha paura di vederli. Si continuerà a fare le sedute con me, questa tecnica ci aiuterà a estirpare la paura e l’angoscia che si risvegliano in lei ogni volta che deve affrontare il ricordo di quel giorno. Che gliene pare? È disposta a provare oggi?”
“Sì” rispose senza esitazione.
“D’accordo, bene. Allora… Iniziamo da dove era seduta. Voglio che chiuda gli occhi e si rilassi. Si prenda qualche secondo per liberare la mente e mettersi comoda. Mi faccia un cenno quando si sente pronta.”
Chloe fece come le era stato detto. Si appoggiò allo schienale. La poltrona era in ecopelle ed era molto comoda. Si sentiva le spalle contratte, per il disagio di mostrarsi così vulnerabile davanti ad una persona che non aveva mai visto prima. Prese un profondo respiro e sentì i muscoli rilassarsi. Sprofondò nella poltrona e ascoltò il ronzio dell’aria condizionata. Rimase sintonizzata su quel suono per qualche istante, quindi fece un cenno del capo. Era pronta.
“D’accordo” disse Skinner. “Lei è fuori sulla gradinata del palazzo con sua sorella. Ora, anche se non ricorda esattamente le scarpe che indossava quel giorno, voglio che immagini di guardarsi i piedi, le scarpe. Voglio che si concentri su quelle e su nient’altro, solo sulle scarpe che indossava quel giorno quando aveva dieci anni. Lei e sua sorella siete sulla gradinata d’ingresso, ma tenga gli occhi solo sulle scarpe. Me le descriva.”
“Sono delle Chuck Taylor” disse Chloe. “Rosse. Consumate. Con i lacci larghi e flosci.”
“Perfetto, adesso studi quei lacci. Si concentri solo su di essi. Poi voglio che si alzi senza distogliere lo sguardo dai lacci. Si alzi e ritorni nel punto in cui era prima di scoprire il sangue sulla moquette ai piedi delle scale. Voglio che torni indietro di un paio d’ore, ma senza smettere di guardarsi i lacci delle scarpe. Pensa di riuscirci?”
Chloe sapeva di non essere sotto ipnosi, ma le istruzioni sembravano davvero semplici. Così chiare e facili. Nella sua mente, si alzò e tornò dentro l’appartamento. Una volta dentro, vide il sangue, vide sua madre.
“Ecco la mamma in fondo alle scale” disse. “C’è un sacco di sangue. Danielle è da qualche parte che piange. Papà cammina avanti e indietro.”
“D’accordo, ma guardi solo i lacci delle scarpe” le rammentò Skinner. “Adesso provi ad andare ancora più indietro. Ci riesce?”
“Certo, è facile. Sono insieme a Beth… una mia amica. Siamo appena tornate dal cinema. Sua madre ci ha riaccompagnate. Mi ha fatto scendere ed è rimasta sul marciapiede finché non sono entrata nel palazzo. Lo faceva sempre, non se ne andava finché non mi vedeva entrare.”
“Ok. Adesso continui a guardare i lacci delle scarpe mentre scende dall’auto e sale le scale. Poi mi racconti resto del pomeriggio.”
“Sono entrata nel palazzo e poi sono salita fino a secondo piano, dov’era il nostro appartamento. Quando mi sono avvicinata alla porta e ho preso le chiavi per aprire, da dentro ho sentito mio padre. Poi sono entrata, ho chiuso la porta e sono andata in soggiorno, ma ho visto il corpo della mamma. Era ai piedi delle scale. Il braccio destro era incastrato sotto il corpo. Il naso sembrava rotto e c’era sangue dappertutto. Il suo viso era quasi completamente sporco di sangue.
Il sangue aveva imbrattato tutta la moquette alla base delle scale. Credo che mio padre abbia cercato di spostare il corpo…”
La voce di Chloe si affievolì. Trovava sempre più difficile restare concentrata su quei vecchi lacci delle scarpe. La scena era troppo vivida perché potesse ignorarla.
“Danielle è lì in piedi, proprio davanti alla mamma. Ha le mani e i vestiti sporchi di sangue. Papà sta urlando al telefono, chiedendo di mandare in fretta qualcuno perché c’è stato un incidente. Quando chiude la conversazione, mi guarda e inizia a piangere. Lancia il telefono dall’altra parte della stanza, facendolo rompere contro il muro. Poi viene verso di noi e si china, dicendo che gli dispiace… Dicendo che l’ambulanza sta arrivando. Poi guarda Danielle e farfuglia qualcosa tra le lacrime, che noi capiamo a malapena. Sta dicendo che Danielle deve andare di sopra a cambiarsi i vestiti.
“È quello che fa, e io la seguo. Le chiedo cosa è successo ma lei non vuole parlarmi. Non sta neanche piangendo. Dopo un po’ sentiamo il suono delle sirene. Ci sediamo insieme a papà, aspettando che ci dica cosa succederà. Ma non ce l’ha mai detto. Arriva l’ambulanza, poi la polizia. Un poliziotto gentile ci accompagna fuori sulle scale e rimane con noi finché papà non viene portato via ammanettato. Finché non portano fuori il corpo della mamma…”
All’improvviso l’immagine dei lacci consunti delle scarpe svanì e Chloe era di nuovo a sedere sulla scalinata, che aspettava che la nonna l’andasse a prendere. Il poliziotto in sovrappeso era con lei e, anche se non lo conosceva, la faceva sentire al sicuro.
“Tutto ok?” Chiese Skinner.
“Sì” disse Chloe con un sorriso nervoso. “La parte di papà che lancia il telefonino… Me l’ero completamente dimenticata.”
“E cosa ha provato ricordando?”
Era una domanda difficile. Suo padre era sempre stata una persona irascibile, ma vederlo compiere quel gesto dopo quello che era appena successo a sua madre lo faceva quasi apparire debole, vulnerabile.
“Sono rattristata per lui.”
“Lo ha mai incolpato per la morte di sua madre da quando è successo?” Chiese Skinner.
“A essere sincera, dipende dai giorni. Dipende dal mio umore.”
Skinner annuì e abbandonò la sua posizione, alzandosi e guardandola con un sorriso rassicurante.
“Credo che per oggi possa bastare. La prego di chiamarmi se le capita di avere un’altra reazione del genere davanti ad una scena del crimine. E, comunque, vorrei che ci rivedessimo. Potremmo fissare un appuntamento?”
Chloe ci pensò su, poi annuì. “Va bene, ma sto per sposarmi e ho ancora molte cose da preparare; i fiori, la torta… È un incubo. Posso richiamarla con una data più precisa?”
“Certamente. Fino ad allora… Rimanga vicina all’agente Greene. È un brav’uomo. E ha fatto bene a mandarla da me. Voglio che lei sappia che, essendo all’inizio della sua carriera, il fatto che sia dovuta venire da uno psicoterapeuta per risolvere i suoi problemi non significa nulla. Non è indicativo del suo talento.”
Chloe annuì. Lo sapeva, ma era comunque bello sentirlo dire la Skinner. Si alzò e lo ringraziò. Mentre usciva dalla porta per tornare nella sala d’aspetto, rivide il padre che lanciava il telefonino. Poi però le sovvenne anche un commento che aveva fatto; non che se lo fosse scordato, ma fino a quel giorno era rimasto confuso.
Aveva guardato Danielle e, con voce fin troppo agitata, aveva detto: “Danielle, tesoro… Vai a cambiarti i vestiti. Non abbiamo molto tempo prima che arrivino.”
Quel commento continuò a frullarle in testa per tutto il pomeriggio, facendola rabbrividire. Era come se stesse spingendo per aprire una porta che era rimasta chiusa negli ultimi diciassette anni.