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CAPITOLO OTTO

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Danielle si rese conto che, una volta conclusa la sua ultima relazione, si ritrovava di nuovo disoccupata. Il lavoro come barista e il sogno troppo–bello–per–essere–vero di aprire il proprio locale erano stati sufficienti a farle vivere la vita per alcuni mesi come in stato di galleggiamento; invece eccola di nuovo qui, senza un uomo e senza alcun tipo di lavoro importante.

Era sempre stata brava a mascherare il proprio disprezzo per lavori di merda, ma quello era davvero difficile. Faceva la barista in uno strip club, ma la direzione era decisa a non chiamarlo “Strip club”. Preferivano solo “Club”, o “Salotto per signori”. Per quanto riguardava Danielle, non importava come lo si chiamasse. Il fatto era che, attualmente, sul palco c’era una donna che scuoteva ritmicamente il culo in faccia ad un uomo a tempo di qualche canzone di merda di Bruno Mars.

Finì di preparare il mojito che un cliente aveva appena ordinato (seriamente, ma chi ordina un mojito in uno strip club?) e glielo passò. Aveva circa cinquant’anni e, quando prese il drink, non fece alcuno sforzo per nascondere il fatto che le stesse fissando le tette. Le sorrise e sorseggiò dal suo drink, con gli occhi che non lasciavano mai il suo petto.

“Dovresti stare sul palco, sai?” disse. Alla fine, la guardò negli occhi, forse per farle vedere la serietà del suo sguardo ubriaco.

“Wow. Non l’ho mai sentito prima. Che battuta originale per rimorchiare.”

Confuso, il tizio alla fine sbuffò e si allontanò dal bancone, prendendo posto più vicino al palco.

Ebbene sì, più di una dozzina di uomini avevano detto di non capire perché lei fosse dietro il bancone e non sul palco. Il suo capo era uno di quelli. E anche se Danielle aveva sopportato abbastanza lavori umilianti in passato, si rifiutava di spogliarsi per uomini ubriachi in modo che potessero infilarle banconote da cinque e dieci dollari nel tanga.

Sapeva che si trattava solo di un lavoro temporaneo. Doveva esserlo. Ma non era sicura di cosa avrebbe fatto per uscirne. Forse avrebbe finalmente finito il college. Le era rimasto un altro anno e mezzo... e anche se avrebbe avuto quasi trent’anni al momento della laurea, sarebbe stato almeno qualcosa.

Non che i vantaggi di quel lavoro fossero qualcosa da disprezzare. Era lì da un mese, lavorando quattro serate alla settimana. Nella seconda settimana, aveva accumulato più di settecento dollari solo in mance. Ma erano l’atmosfera e la sensazione di quel luogo a disturbarla. Anche quando le ragazze uscivano a ballare musica che a Danielle piaceva, sentiva il bisogno di andarsene il più velocemente possibile.

Inoltre... a volte, quando le ballerine venivano al bar o quando le capitava di incontrarle dietro le quinte, Danielle era sempre sorpresa nel vedere che non sembravano infelici. E quando le vedeva ripiegare i pezzi da cinquanta e da cento come se fossero semplici fazzoletti, il pensiero di salire sul palco non sembrava poi così terribile.

Era quello, più di ogni altra cosa, il motivo per cui voleva andarsene da quel posto il più in fretta possibile.

Osservò il bancone e notò che la folla si stava esaurendo. C’erano cinque persone al bar, tre delle quali – un maschio e due femmine – sembravano molto vicini, magari programmando di chiudere la loro domenica sera. Danielle controllò il suo orologio e rimase sorpresa nel vedere che erano le 23:50. Un’altra ora e poteva tornare a casa... poteva andare a casa e dormire fino a mezzogiorno, cosa che le era mancata nel corso dell’ultimo anno, mentre cercava di diventare un’adulta più responsabile. Un’ adulta responsabile che era stata fin troppo dipendente da un uomo, ma comunque un’adulta responsabile.

Un Vicino Silenzioso

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