Читать книгу Un Vicino Silenzioso - Блейк Пирс - Страница 7

CAPITOLO UNO

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Chloe aveva sentito molti racconti ammonitori sui tentavi di mantenere una barriera tra la vita personale e la carriera. Come agente federale, le cose tendevano a diventare particolarmente spinose quando i due mondi si scontravano. Ma onestamente, viveva con la costante collisione di quei due mondi da quando si era diplomata all’accademia, grazie ai giochetti mentali di gatto con il topo di suo padre.

Sapeva di aver trascorso troppo tempo a speculare su suo padre e su quello che poteva o meno aver fatto a sua madre quasi diciotto anni prima. Grazie alla scoperta da parte di Danielle del diario di sua madre, Chloe aveva vissuto le ultime settimane in un’atmosfera di confusione. Ora si sentiva abbastanza sicura che il padre avesse ucciso la madre, tanti anni prima. Gli aveva concesso tutti i benefici del dubbio fino a quel momento, al punto da provare ad attribuire l’omicidio di sua madre a un capro espiatorio, Ruthanne Carwile.

Ma ora lo aveva davanti scritto nero su bianco, per mano della madre. Adesso aveva prove più che sufficienti a dimostrare che suo padre non solo era un assassino, ma che aveva ucciso sua madre.

Il colpo era stato molto duro. Anche se Chloe aveva fatto del suo meglio per non lasciare che questo influisse sul suo lavoro, aveva consumato quasi ogni momento libero che aveva avuto. Aveva trascorso i primi due fine–settimana dopo la scoperta sfuggendo alle chiamate di tutti – di Danielle, della sua partner, l’agente Nikki Rhodes, e di suo padre.

Tutto quello che devo fare è renderlo pubblico, pensava più volte tra sé. Esci allo scoperto, rivolgiti al Bureau e affondalo. Chiudi questo sordido capitolo della tua vita e rimetti quel bastardo dietro le sbarre.

Ma era rischioso. Poteva influire sulla sua stessa carriera. E, soprattutto, c’era quella bambina ancora ribelle dentro di lei, una versione più giovane di se stessa che insisteva che forse c’era qualcosa che le sfuggiva... che non poteva essere davvero un assassino, suo padre.

Era una lotta interna che la potò ad arrivare al lavoro con la sbornia più volte. Erano passati solo venti giorni da quando aveva fatto la scoperta nel diario. E, anche al lavoro, pur rimanendo professionale e non lasciando che i suoi demoni personali interferissero con il suo ruolo, gli appunti del diario le venivano in mente di continuo.

Mi ha strangolato stasera... e mi ha dato uno schiaffo in faccia. Prima di capire cosa succedesse, mi ha spinta contro il muro e mi ha stretto le mani al collo. Ha detto che se mai gli avessi mancato di nuovo di rispetto, mi avrebbe uccisa. Ha detto che aveva già qualcosa di meglio pronto per lui, una donna migliore e una vita migliore...

Il diario era sul suo tavolinetto. L’aveva lasciato lì in modo da ricordarselo sempre... in modo da non potersi concedere la comodità di averlo fuori dalla vista. Lo teneva lì a ricordarle che era stata una stupida e che suo padre le aveva gettato sabbia negli occhi per molto tempo.

Erano passati venti giorni, quasi tre intere settimane, da quando lei e Danielle erano finalmente giunte alla conclusione che il padre aveva ucciso la madre, quando Chloe pensò di andare a casa sua e ucciderlo. Era un sabato. Aveva iniziato a bere alle undici di mattina, guardando fuori dalla finestra del suo appartamento mentre il traffico di Washington scorreva sotto i suoi occhi.

Conosceva abbastanza bene il sistema per sapere come farlo sembrare un suicidio. Oppure, se non altro, sapeva come nascondere bene le proprie tracce. Poteva assicurarsi che lui morisse senza che nulla fosse riconducibile a lei.

Ci aveva pensato molto attentamente. Nella sua testa si agitava un piano, che era per lo più valido.

Ma questa è follia, non è vero? Si chiese.

Poi pensò a quanto profondamente l’avesse ingannata. Ricordò quanto gli era stata fedele, anche quando Danielle aveva provato ad avvertirla che il padre non era l’uomo che pensava. E quando tutto ciò penetrava nel suo cervello, no... l’idea di ucciderlo non sembrava poi così drastica.

Stava sognando ad occhi aperti di premere il grilletto contro il padre e di iniziare la sua terza birra del giorno, quando qualcuno bussò piano alla sua porta. Fece una smorfia; suo padre era venuto quattro volte negli ultimi venti giorni, ma lei era sempre rimasta in silenzio dall’altra parte dell’uscio. I colpi erano diversi stavolta – come il ritmo della batteria all’inizio di “Closer”, dei Nine Inch Nails, una delle canzoni preferite di Danielle. Erano i colpi che avevano concordato in modo che Chloe sapesse che era sua sorella dall’altra parte della porta.

Con un sorriso stanco, Chloe aprì l’uscio. Danielle aspettava dall’altra parte, con la mano sollevata e pronta a bussare ancora. La abbassò e fece un sorriso alla sorella. Sembrava strano; Danielle era di solito quella cupa che Chloe cercava di rallegrare. Era stato così per la maggior parte della loro vita, soprattutto da quando Danielle aveva scoperto quanto possono essere stronzi gli uomini.

“Non dormi bene?” Danielle chiese entrando e chiudendo la porta dietro di sé.

“Non particolarmente” disse Chloe. “Vuoi una birra?”

“Che ore sono?”

“Mezzogiorno? O giù di lì...”

“Solo una”, disse Danielle, guardando sua sorella con sospetto.

Chloe era molto consapevole di come i ruoli si fossero fondamentalmente ribaltati tra loro. Mentre apriva una bottiglia e la passava a Danielle, vide la preoccupazione sul volto della sorella. Il che era bello... dimostrava che Danielle era cresciuta. Dimostrava che, di fronte a ciò che avevano scoperto insieme, riusciva a stare in piedi da sola senza che la sorella la sostenesse, come aveva fatto in passato.

“So cosa stai pensando”, disse Chloe.

“No, non lo sai. Odio dover dire che mi piace la Chloe che beve prima di mezzogiorno. Mi piace questa Chloe lunatica che se ne fotte del mondo intero. Ma sarei una cattiva sorella se non ti dicessi che sono preoccupata per te. Non hai esattamente la personalità giusta per fare la dark imbronciata.”

“È per questo che sei qui?” chiese Chloe. “Per dirmi che sei preoccupata per me?”

“In parte. Ma c’è qualcos’altro. E ho bisogno che tu mi stia ad ascoltare per un secondo, ok?”

“Certo” disse Chloe mentre si sistemavano sul divano con le loro birre. Vedendo il diario di sua madre sul tavolino da caffè, la sua mente ritornò brevemente alla squallida idea di uccidere suo padre. E fu allora, con Danielle seduta di fronte a lei, che si rese conto che non avrebbe mai potuto farlo. Poteva fantasticare e pianificare quanto voleva, ma non l’avrebbe mai fatto. Semplicemente, non era quel tipo di persona.

“Allora, un po’ di tempo fa, mi ricordo di aver visto questo show... uno del genere Misteri Irrisolti”, disse Danielle.

“Spero che questo abbia un senso”, interruppe Chloe.

“Ce l’ha. Ad ogni modo... si trattava di questa donna che ha salvato la vita di suo fratello. Vedi... erano gemelli omozigoti. Nati a cinque minuti di distanza, o qualcosa del genere. Insomma, lei sta preparando la cena per la sua famiglia una sera, e le viene una specie di fitta alla testa... come se qualcuno le parlasse. Ha la straziante impressione che suo fratello sia nei guai. È così intensa che interrompe quello che stava facendo e lo chiama. Quando lui non risponde al telefono, chiama la ragazza del fratello. La ragazza va a casa del fratello e scopre che qualcuno ha fatto irruzione nella sua casa e gli ha sparato. Stava morendo dissanguato quando la ragazza lo trova, ma chiama il nove–uno–uno e finisce per salvargli la vita. Tutto basato su questa strana sensazione che aveva la sorella gemella.”

“Ok...”

Danielle alzò gli occhi al cielo. Chloe capì che stava valutando molto attentamente le prossime parole che le sarebbero uscite dalla bocca. “Ho sperimentato qualcosa del genere circa quaranta minuti fa”, disse. “Non così forte come hanno detto in quel programma televisivo, ma era abbastanza forte. Ed è stato... ecco, è stato strano.”

“Nessuno ha fatto irruzione in casa”, disse Chloe. “Non mi hanno sparato.”

“Lo vedo. Ma... non lo so. Ho avuto quella strana sensazione dei gemelli. Sentivo di dover essere qui. Scusa se sembra stupido. Ma... beh, c’è qualcosa che forse sono riuscita ad impedire, presentandomi qui da te?”

Chloe scosse la testa, ma dentro di sé pensò: Mi hai solo impedito di pianificare l’omicidio di nostro padre. Fece una risatina e sorseggiò la sua birra.

“Tu non stai bene”, disse Danielle. Fece un cenno verso la bottiglia di birra. “Quante ne troverò nella spazzatura, vuote?”

“Due. E mi dispiace... ma chi sei tu per preoccuparti di quanto bevo? Da che pulpito.”

“Oh, non mi interessa se bevi. Puoi curarti come meglio credi. Ma so che questo tipo di automedicazione non è da te. Non lo è mai stata. Tu sei quella logica... quella intelligente. È proprio perché stai affrontando la cosa come avrei fatto io un tempo che sono qui. Questo è quello che mi preoccupa.”

“Sto bene, Danielle.”

Danielle incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale del divano. Se prima la conversazione era stata pacifica, Chloe sentì che la situazione era cambiata con quel semplice gesto. Lo sguardo di Danielle aveva un che di gelido.

“Quindi vuoi dirmi che nell’ultimo anno, con te che mi proclamavi la grandiosità di papà... io ho sempre lasciato correre? Tu ed io siamo arrivate più volte allo scontro per lui, e tu ti schieravi sempre dalla sua. Per come la vedo io, mi merito un po’ di onestà, Chloe. Non sono stupida. Questa bomba esplosa con papà ti ha distrutta.”

“Naturale.”

“Allora dimmi cosa stai pensando. Dimmi cosa facciamo adesso. Se devo essere sincera, non vedo perché non l’hai ancora denunciato. Il diario non è abbastanza per condannarlo?”

“Non credi che non ci abbia già pensato?” chiese Chloe, cominciando ad arrabbiarsi un po’. “E no... il diario non basta. Potrebbe essere sufficiente per riaprire il caso, ma questo è tutto. Non ci sono prove concrete... e il fatto che ci fosse già un processo e che nostro padre sia stato messo in prigione e poi lasciato andare rende il tutto ancora più difficile. Aggiungici la recente condanna di Ruthanne Carwile, e diventa un enorme casino.”

“Quindi stai dicendo che probabilmente finirà per farla franca?”

Chloe non rispose. Buttò giù il resto della birra ed entrò in cucina. Aprì lao sportello del frigorifero per prenderne un’altra, ma poi si fermò. Lentamente, lo richiuse di nuovo e si appoggiò al piccolo bancone della cucina.

“Sono consapevole che è soprattutto colpa mia”, disse Chloe. Era difficile ammetterlo. Le parole avevano il sapore dell’acido, nella sua bocca.

“Non sono qui per incolparti, Chloe.”

“Lo so. Ma è quello che stai pensando. E non ti biasimo. Ora che ho visto cosa c’è in quel diario e ho... diciamo... capito meglio che uomo è... lo penso anch’io. Se ti avessi ascoltato prima che tutto questo iniziasse, sarebbe stato diverso. Prima di Ruthanne, prima di ottenere il mio lavoro al Bureau...”

“Non fare così. Cerchiamo solo di guardare avanti. Cerchiamo di capire cosa possiamo fare.”

“Non c’è proprio niente!”

Chloe si sorprese quando urlò quelle parole alla sorella. Ma una volta pronunciate, non poteva rimangiarsele.

“Chloe, io...”

“Ho combinato un casino. Ho deluso te, la mamma e me stessa. Ecco come sono ora. Devo convivere con questo e non...”

“Ma possiamo risolverlo insieme, giusto? Ascolta... mi piace questa inversione di ruoli e tutto il resto, ma non posso sopportare di vederti buttarti giù così.”

“Non ora. Non posso occuparmene ora. Devo capire alcune cose.”

“Lascia che ti aiuti, allora.”

Chloe si sentiva soffocare. Sentiva anche sopraggiungere un’altra crisi, ma strinse i pugni e riuscì a placarla. “Danielle”, disse il più lentamente e pazientemente possibile, " Ti ringrazio per il pensiero e ti voglio bene per esserti così preoccupata. Ma ho bisogno di gestire la cosa da sola, per ora. Più mi assilli e insisti, più sarà difficile. Quindi, per favore... per ora... puoi andartene?”

Chloe vide qualcosa mutare nell’espressione di Danielle. Sembrava delusa. O forse triste. Non avrebbe saputo dirlo con esattezza e, francamente, in quel momento non le importava.

Danielle posò la sua birra sul tavolino – ancora quasi del tutto piena – e si alzò in piedi. “Voglio che mi chiami quando hai finito di essere così distante.”

“Non sono distante.”

“Non so cosa sei”, disse Danielle mentre apriva la porta per andarsene. “Ma distante suonava meglio di stronza.”

Prima che Chloe potesse replicare, Danielle uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

Chloe avrebbe voluto che Danielle l’avesse sbattuta. Almeno avrebbe dimostrato che anche Danielle era arrabbiata quanto Chloe. Invece ci fu solo il morbido clic della serratura e nient’altro.

Chloe rimase seduta nel silenzio che seguì per il resto del pomeriggio, e a testimoniarlo, il giorno dopo, ci sarebbero state solo le bottiglie di birra vuote nel cestino.

Un Vicino Silenzioso

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